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INTRODUZIONE.
Il presente lavoro si occupa di due tematiche che a prima vista possono
apparire lontane e non riconducibili a un comune ambito di studi: il problema
filosofico della vaghezza e quello che è comunemente definito come il secondo
periodo del pensiero wittgensteiniano.
L'importanza teorica della vaghezza deriva dalla centralità di problemi che essa
solleva nell'ambito della riflessione sulla natura del significato, sul rapporto tra
linguaggio, mente e realtà e sulla natura stessa della realtà. Questi temi
costituiscono l'asse portante della riflessione in molteplici campi: filosofia,
linguistica, psicologia, ontologia e scienze della natura. Se infatti vaghezza è un
fenomeno che emerge nel linguaggio ordinario e interessa termini appartenenti
a diverse categorie lessicali come aggettivi, verbi, sostantivi, nomi propri, allora
necessariamente tale fenomeno produrrà degli effetti concreti sul linguaggio da
noi utilizzato quotidianamente per svolgere le molteplici attività che esso rende
possibili. Le espressioni linguistiche vaghe, pur appartenendo a categorie
lessicali differenti, evidenziano alcuni elementi in comune che possono essere
considerati caratteristici del fenomeno della vaghezza: esse cioè
i. danno luogo a casi borderline,
ii. presentano confini che almeno in apparenza possono definirsi indeterminati,
iii. sono suscettibili al cosiddetto paradosso del sorite.
I casi borderline sono casi per i quali non è chiaro se le espressioni linguistiche
utilizzate per descriverli vi si applichino o meno. Per esempio, un individuo è
un caso borderline del predicato “essere calvo” quando non è chiaro se
l‟individuo in questione possa essere legittimamente definito in tal modo, dato
il particolare numero di capelli presente sulla sua testa.
L‟assenza di confini determinati si riscontra nel momento in cui ci si interroga
sull‟applicabilità di una certa espressione linguistica: l‟estensione di un predicato
è l‟insieme degli oggetti a cui esso si applica veridicamente; dire che il confine
dell‟estensione è indeterminato significa che non è possibile stabilire qualcosa
che possa costituire l‟elemento discriminante in grado di decretare ciò che può
o non può legittimamente far parte dell‟estensione del termine stesso. Per
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esempio non è possibile stabilire qual è l‟esatto numeri di capelli che una
persona deve avere per essere considerata calva, superato il quale, anche di un
solo capello, essa non possa più essere descritta attraverso il medesimo
termine.
Ovviamente questo aspetto è strettamente connesso alla questione dei casi
borderline, che di fatto sono i casi concreti che si trovano sulla “linea di
confine” tra estensione e controestensione di un termine. Se infatti tale linea di
confine non è precisamente determinata, allora necessariamente alcuni casi che
si trovano a ridosso di tale ipotetico confine non potranno essere collocati in
modo non problematico all‟interno o all‟esterno dell‟estensione del termine in
questione.
Il terzo elemento che caratterizza tutti i casi di espressioni linguistiche vaghe è
il paradosso del sorite. Di tale aspetto si tratterà più approfonditamente più
avanti nel presente lavoro, ma per il momento in sede introduttiva si può dire
che esso è un paradosso al quale sono soggetti tutti i termini vaghi: un
paradosso è un argomento che possiede delle premesse (apparentemente) vere,
regole d‟inferenza ritenute valide, ma che conduce a conclusioni evidentemente
false, inaccettabili. Il fatto che le espressioni linguistiche vaghe non siano
dotate di confini ben determinanti è, come si vedrà in seguito, il motivo
principale per cui tale paradosso può presentarsi in quanto problema nella
trattazione del fenomeno della vaghezza.
Dalle caratteristiche fin qui esposte emergono principalmente due riflessioni
che si possono fare riguardo alla questione della vaghezza:
- La vaghezza è un fenomeno molto comune e pervasivo del linguaggio
ordinario. Numerosissimi, e come sottolineato prima appartenenti a differenti
categorie lessicali, infatti sono gli esempi di espressioni linguistiche vaghe che
fanno parte del linguaggio da noi comunemente utilizzato.
- La problematicità dei termini vaghi deriva dal fatto che questi ultimi
posseggono confini sfumati.
La vaghezza può costituire un problema sotto due diversi punti di vista, uno di
carattere pratico ed uno più squisitamente filosofico.
I problemi di carattere pratico sono conseguenza del fatto che alcuni termini
del nostro linguaggio sono privi di una estensione perfettamente definita, e
quindi di incerta applicazione in situazioni che invece necessitano di una
precisa definizione. Problemi di questo tipo emergono per esempio se si deve
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stabilire un limite di reddito al fine di assegnare una borsa di studio: ci si trova
costretti a fissare una cifra che se superata, ipoteticamente, anche di un solo
centesimo non concede diritto di accedere ad essa nonostante la situazione
economica dell‟ultimo dei beneficiari e del primo degli esclusi sia
sostanzialmente identica. Esempi di questo tipo sono numerosi nell‟esperienza
quotidiana.
I problemi di carattere filosofico non hanno invece rilevanza dal punto di vista
pratico.
Le diverse teorie della vaghezza che affrontano questa problematica hanno
come obiettivo quello di indagare, studiare il fenomeno da un punto di vista
meramente conoscitivo, si cerca cioè di affermare la “verità” della cosa che
viene analizzata.
Nel caso specifico, la prima questione che viene posta dalle suddette teorie
riguarda le cause che fanno sì che all‟interno del nostro linguaggio siano
presenti termini vaghi.
Su questo argomento si riscontra la prima importante, fondamentale differenza
tra le diverse impostazioni filosofiche: le teorie semantiche della vaghezza, le
teorie epistemiche e le teorie ontologiche si distinguono infatti principalmente
per il luogo in cui viene riscontrata l‟origine della vaghezza.
I sostenitori delle teorie semantiche affermano che la vaghezza consiste in un
difetto del nostro linguaggio, ovvero è una caratteristica del significato dei
termini vaghi, il quale non è sufficientemente specificato.
I sostenitori delle teorie epistemiche affermano che la vaghezza è la
manifestazione, riscontrabile nel linguaggio, dei limiti conoscitivi degli esseri
umani; non è cioè causata da un difetto insito nel nostro linguaggio, ma deriva
dall‟impossibilità dell‟uomo di conoscere l‟esatta estensione delle espressioni
linguistiche. Noi adoperiamo delle espressioni senza sapere se essi possano
essere utilizzati veridicamente per determinati oggetti o stati del mondo, e
questa incertezza nella loro corretta attribuzione fa di essi delle espressioni
vaghe.
I fautori della vaghezza di tipo ontologico, al contrario dei precedenti, non
vedono la vaghezza come caratteristica del linguaggio, ma del mondo che da
quest‟ultimo viene descritto. Essendo gli oggetti del mondo vaghi essi stessi, il
linguaggio utilizzato per descriverli non potrà che essere vago.
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L‟origine del fenomeno della vaghezza è dunque un primo elemento di
distinzione tra le diverse impostazioni filosofiche, aspetto di primaria
importanza in quanto pone subito delle differenze sostanziali nell‟impostazione
stessa del problema.
Il secondo aspetto di problematicità del dibattito filosofico sulla vaghezza
consiste nello stabilire le condizioni di verità di un enunciato contenente
termini vaghi: in che modo, in che misura, a quali condizioni questo può dirsi
vero o falso?
Qualunque si ritenga essere la causa che dà origine al fenomeno della vaghezza,
in ognuna di queste teorie diventa un problema stabilire il valore di verità di un
enunciato contenente un termine vago: se non sono in grado di stabilire l‟esatta
estensione del predicato “essere calvo”, come faccio ad affermare la verità o la
falsità dell‟enunciato “Mario è calvo”, specialmente nel caso in cui Mario non
sia né chiaramente calvo né chiaramente non calvo?
Le varie teorie della vaghezza si distinguono tra loro in virtù delle differenti
soluzioni, delle diverse risposte che danno a tali domande, e ogni impostazione
filosofica sviluppa una sua teoria riguardo a quale debba essere il modo per
determinare il valore di verità di un enunciato contenente espressioni vaghe.
I capitoli I e III sono dedicati all‟approfondimento questi temi: il capitolo I di
carattere più introduttivo espone brevemente le caratteristiche principali delle
teorie semantiche ed epistemiche della vaghezza, viene fatto un accenno alla
teoria della vaghezza ontologica, al nichilismo, ed alle tematiche più importanti
della questione filosofica della vaghezza, con le quali ogni teoria deve
necessariamente confrontarsi, come il già citato paradosso del sorite e la
vaghezza di ordine superiore.
Il terzo capitolo affronta in maniera più particolareggiata alcune particolari
teorie della vaghezza, appartenenti al filone della vaghezza semantica. Verranno
presi in considerazione alcuni saggi che hanno avuto un ruolo importante
nello sviluppo di quelle teorie che vedono la vaghezza come caratteristica insita
nel linguaggio stesso, cercando di mettere in evidenza le differenze reciproche.
Il capitolo II è una sezione introduttiva nella quale vengono presentati i temi
principali delle Ricerche Filosofiche, le quali costituiscono il lavoro più importante
del cosiddetto secondo periodo del pensiero wittgensteiniano, l‟opera in cui
vengono raccolte con maggiore organicità le più importanti tematiche
sviluppate a seguito del momentaneo abbandono della filosofia accademica
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compiuto dall‟autore austriaco, avvenuto dopo la pubblicazione del Tractatus
logico-philosophicus.
Il motivo per cui si è scelto di parlare in maniera più dettagliata delle teorie
semantiche della vaghezza piuttosto che di altre, per esempio delle teorie di
tipo epistemico, risiede nel fatto che si è riscontrata una certa affinità tra le
suddette teorie e alcune posizioni di Wittgenstein che emergono nelle Ricerche
Filosofiche.
Obiettivo del presente lavoro è infatti quello di approcciare le tematiche
caratterizzanti il dibattito filosofico sulla vaghezza tenendo in considerazione la
lezione wittgensteiniana. Le Ricerche Filosofiche sono sostanzialmente un testo
avente come obiettivo la chiarificazione del linguaggio ordinario, il linguaggio
quotidiano da noi comunemente utilizzato, attraverso la messa in luce degli usi
concreti e particolari della comunicazione umana. Ciò che maggiormente si è
tentato di indagare di tale opera sono aspetti di carattere più generale e
metodologico, al fine di rendere chiara la concezione stessa del filosofare in
Wittgenstein: cosa può fare la filosofia, qual è e quale deve essere, ma
soprattutto quale può essere, il suo compito, la sua missione, il suo ruolo
all‟interno della vita umana e della sua conoscenza? Questo aspetto è
fondamentale in Wittgenstein, e soprattutto è preliminare alla trattazione di
tutti i temi delle Ricerche, sebbene esso non si trovi in una parte introduttiva del
testo ma sparso in vari punti dell‟opera, per il fatto che egli scrive attraverso
aforismi talvolta slegati e indipendenti l‟uno dall‟altro. È preliminare perché tale
aspetto offre una chiave di lettura del suo stesso lavoro, nel senso che consente
al lettore di interpretare in un certo particolare modo quello che costituisce il
corpo vero e proprio della filosofia wittgensteiniana del linguaggio, dove
vengono discussi e trattati i vari aspetti che lo compongono, ed inserirli in un
contesto che l‟autore considera più corretto, non fuorviante.
È importante tuttavia spiegare la natura particolarissima di questa proposta
wittgensteiniana: prima si è detto che Wittgenstein quasi stabilisce ciò che la
filosofia debba o non debba fare, come se egli designasse un campo di studi,
una modalità, una tecnica di azione, avente essa il carattere del “giusto”,
diversamente da quella da lui criticata che invece si trova dall‟altra parte, quella
sbagliata. Ciò potrebbe suggerire l‟idea che Wittgenstein proponga una
determinata idea di filosofia, e perciò ne stabilisca i paletti, i confini e la sua
corretta e vera natura. Ma non è del tutto così: la forza e la particolarità,
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l‟eccentricità della proposta wittgensteiniana sta proprio nel fatto che egli sì
propone qualcosa, la sua idea di filosofia e di verità, e tutta una serie di teorie
sulla natura del linguaggio; ma fa questo in modo del tutto particolare, non
attraverso rigide prescrizioni metodologiche, ma al contrario, attraverso un
depotenziamento di tutto ciò che in filosofia può far pensare alla definizione di
regole precise e perfettamente determinate.
Il concetto di gioco linguistico è l‟esempio più evidente, ma non il solo, di
questa tendenza e direzione che prende la filosofia di Wittgenstein nelle
Ricerche: il linguaggio non viene più preso in considerazione in quanto qualcosa
di unitario, ma frantumato in molteplici giochi linguistici, linguaggi parziali
ognuno dei quali possiede caratteristiche, regole interne, finalità peculiari e
reciprocamente indipendenti.
È all‟interno di questa prospettiva che la tematica della vaghezza diventa
importante per l‟opera wittgensteiniana: la vaghezza pervade la sua stessa
ricerca, la sua opera si fa carico del problema della vaghezza in ogni suo
aspetto. La vaghezza che deve essere accettata e messa in evidenza, perché essa
c‟è, è parte integrante del linguaggio da noi comunemente usato, ed è causa di
quel depotenziamento filosofico, quella ferma critica a tutto ciò che è
essenziale, caratteristico del suo pensiero. La presa d‟atto della pervasività di
tale fenomeno porta ad una revisione del compito della filosofia, ora più umile
e dell‟idea di essenza. Porta all‟abbandono ad una concezione del linguaggio
orientata al suo utilizzo come uno strumento assolutamente preciso, capace di
dire, sempre in ogni occasione, per sua possibilità intrinseca e ineliminabile, la
verità attraverso la categoria dell‟esattezza.
Dal punto di vista pratico la vaghezza non è un problema, Wittgenstein lo dice
chiaramente: se diventa scomoda, l‟uomo provvede immediatamente, e forse in
alcuni casi inconsapevolmente, a risolvere tali problemi di carattere pratico. Dal
punto di vista filosofico sì: essa porta a riconsiderare la possibilità dell‟uomo di
dire, quindi in un certo senso anche di pensare, gli oggetti del mondo e la verità
stessa.
Per questo motivo si è scelto nel capitolo III di parlare delle teorie semantiche
della vaghezza: esse infatti condividono con Wittgenstein l‟idea che il
linguaggio sia vago in quanto sostanzialmente impreciso, e non si cerca
l‟origine del fenomeno della vaghezza altrove, nel mondo o nella possibilità di
conoscenza umana. Nel capitolo IV però verranno portate avanti delle critiche
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che potrebbero essere rivolte a queste alla luce degli intenti dell‟opera
wittgensteiniana: esse infatti parlano della vaghezza, ma non assumono su sé
stesse tutto il peso che il fenomeno della vaghezza comporta sul linguaggio e
sul pensiero, quindi anche sul linguaggio e sul pensiero filosofico. Parziale
eccezione a questo è stata riscontrata nell‟articolo di analisi della vaghezza
proposta da R. M. Sainsbury, “Concepts without boundaries” posto alla fine del
capitolo III al fine di costituire un punto di continuità tra la concezione di
filosofia che sta alla base e pervade le varie teorie ufficiali sulla vaghezza e la
concezione filosofica di Wittgenstein: in tale articolo è stata riscontrata una
grande sensibilità per la questione dell‟esempio come mezzo privilegiato e
principale del procedere filosofico, aspetto questo che si riscontra anche in
Wittgenstein e che costituisce indubbiamente uno degli elementi cardine della
sua filosofia, e funzionale agli obiettivi di quest‟ultima.
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CAPITOLO I.
LA VAGHEZZA. PRINCIPALI TEMATICHE E TEORIE
1. Caratteristiche principali della vaghezza riscontrabili nel linguaggio
ordinario. Alcune definizioni.
La vaghezza è un fenomeno del linguaggio ordinario. Molte delle parole da noi
comunemente utilizzate, e molti dei concetti da noi solitamente espressi, sono
considerati o possono definirsi vaghi. Nel discorrere utilizziamo normalmente
sostantivi, aggettivi e verbi vaghi. Per esempio viene utilizzato spesso il termine
“montagna”, e pronunciando questa parola tutti possono ritenere di avere una
concezione precisa di cosa effettivamente essa sia. Tuttavia, quanto deve essere
alta una montagna per essere considerata tale, piuttosto per esempio che una
collina? E lo stesso discorso potrebbe essere fatto anche per termini e parole
appartenenti ad altre categorie grammaticali; per gli aggettivi: quanti capelli
deve avere un uomo per essere considerato “calvo”? Quanto denaro per essere
considerato “ricco”? Per i verbi: qual è la velocità minima alla quale deve
andare qualcuno perché si possa dire che “corre”? gli esempi di questo genere
sono innumerevoli. (Varzi 2001)
Con la parola vago si intende definire un concetto come privo di confini
precisi, i cui contorni, che separano ciò che fa parte del concetto da ciò che
non ne fa parte, ciò che è interno ad esso da ciò che è esterno, sono sfumati. Se
un termine è vago si potranno sempre trovare numerosi oggetti dei quali non si
potrà affermare con certezza se essi rientrino o meno all‟interno della
specificazione individuata dal termine vago in questione. Ogni termine infatti,
sia esso sostantivo, aggettivo o verbo, ha una determinata estensione, cioè un
insieme di oggetti, o stati del mondo, a cui questo termine si può applicare
correttamente. Allo stesso modo un termine delinea una certa contro-
estensione, cioè un insieme di oggetti a cui questo termine non si può applicare
correttamente, perché tali oggetti non rispondono a quelle caratteristiche che
determinano la parola in questione. Quando non si riescono a stabilire confini
precisi tra l‟estensione e la contro-estensione di un termine, ma tali confini
sono sfumati, siamo di fronte a un termine vago.
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Riprendendo gli esempi fatti sopra, si nota come i termini “montagna”,
“calvo”, “ricco”, “correre” rispondano esattamente a questa definizione di
vaghezza: la loro estensione non è ben definita e esistono numerosi esempi di
oggetti, o persone, a cui non è chiaro se sia possibile applicare correttamente o
meno tale termine. Prendiamo l‟aggettivo calvo ad esempio; si possono trovare
diversi esempi di persone a cui tale aggettivo si applica correttamente e senza
discussioni in merito: Claudio Bisio, Pierluigi Collina, Moby. Allo stesso modo
sono molto numerosi e evidenti esempi di persone a cui questo aggettivo non
può applicarsi correttamente, ma al contrario andrebbe utilizzato un altro
aggettivo di significato opposto, ad esempio “capelluto”: Fabio de Luigi, Ruud
Gullit, Jim Morrison. Per le persone ora nominate dunque è chiaro se sia o
meno possibile attribuire il titolo di “persona calva”. Tuttavia se nel
determinare la correttezza dell‟aggettivo “calvo” è rilevante il numero di capelli
presenti sulla testa della persona in questione, e se si assume che un capello
non possa fare la differenza tra una persona che è calva da una che non lo è,
allora il confine tra l‟estensione del termine calvo e la sua contro-estensione
risulta essere necessariamente sfumato, non perfettamente definito, incerto.
Perché se ammettiamo che possa definirsi calva una persona senza alcun
capello, e siamo disposti ad accettare tranquillamente che questa stessa
definizione possa accordasi anche per chi possiede solamente uno, due, tre
capelli, seguendo il principio che un solo capello non possa fare la differenza
tra chi è calvo e chi non lo è, si giungerebbe alla conclusione paradossale che
anche chi possiede un milione di capelli andrebbe definito come “calvo”.
Assistiamo così a un perfetto esempio di termine vago, in cui è ben chiaro quali
tipi di oggetti, o persone, rientrino nell‟estensione della parola “calvo” (Claudio
Bisio, Pierluigi Collina, Moby), quali rientrino nella sua contro-estensione
(Fabio de Luigi, Ruud Gullit, Jim Morrison), ma non è assolutamente chiaro
dove sia il confine tra chi è calvo e chi non lo è. Questo è dovuto al fatto che è
stato assunto intuitivamente, rispettando un dettato valido per il senso comune,
che un solo capello non possa determinare il confine tra estensione e contro-
estensione dell‟aggettivo calvo.
Lo stesso si può vedere con gli altri esempi in precedenza suggeriti: l‟aggettivo
“ricco” presenta le stesse problematiche, dal momento che è molto agevole
enumerare esempi di stati di cose che rientrano nell‟estensione e nella contro-
estensione di questo concetto. Ma assumendo come indiscutibilmente vera la
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concezione che un solo euro non possa costituire una quantità di denaro
discriminante per distinguere chi è ricco da chi non lo è, vedremo riproporsi la
stessa difficoltà riscontrata in precedenza nel definire con precisione
l‟estensione dell‟aggettivo “ricco”.
È stata messa in evidenza una modalità con cui riconoscere e individuare i
termini vaghi, e la vaghezza nel linguaggio ordinario: la difficoltà nel
riconoscere i confini tra estensione e contro-estensione del termine vago in
questione. Tuttavia c‟è un‟ altra caratteristica dei termini vaghi intimamente
connessa a quella discussa fino a questo momento: un termine può essere
definito vago se dà luogo a casi borderline, che letteralmente significa “sulla linea
di confine”. Questo vuol dire che per ogni termine vago esiste tutta una serie di
oggetti a cui non è chiaro se tale termine, sia esso nome aggettivo o verbo, si
possa applicare correttamente o veridicamente. I casi borderline sono chiamati
così perché sono idealmente posizionati sulla linea di confine tra estensione e
contro-estensione del termine, e non si è in grado di affermare con certezza se
esso rientri nell‟estensione o nella contro-estensione del termine in questione.
Come affermato in precedenza questo aspetto dei termini vaghi, cioè il fatto
che essi danno origine a casi borderline, è strettamente connesso con l‟aspetto
notato in precedenza, ossia che un termine vago non permette di individuare
chiaramente i confini della sua estensione. Infatti appare evidente che se esiste
una “zona grigia” all‟interno della quale è impossibile determinare se il termine
possa applicarsi o meno, allora tutti quegli oggetti aventi le particolari
caratteristiche proprie di quella zona grigia rimarranno in bilico tra estensione e
contro-estensione di quel termine, senza ricevere una precisa attribuzione e a
scanso di equivoci: rimarranno cioè sulla linea di confine, borderline appunto.
Sarebbe facile immaginare una persona in possesso di una quantità tale di
capelli che non permetta di definirlo “calvo”, ma allo stesso tempo non
permetta nemmeno di situarlo tranquillamente e senza discussione nella
contro-estensione del termine calvo, intesa come quell‟insieme di oggetti che
evidentemente e con certezza non rientrano in questa categoria. Possono
essere pensati diversi livelli di calvizie “intermedi”, per i quali l‟aggettivo calvo
risulterebbe essere troppo forte, esagerato, non perfettamente adeguato alla
realtà delle cose. Si potrebbe pensare di eludere questo problema utilizzando di
volta in volta dei termini “intermedi”, necessari appunto a descrivere stati di
cose intermedie tra quelle che possono essere descritte usando la parola