3
INTRODUZIONE
Con il presente lavoro si vuole offrire un contributo teorico sulle possibili
cause delle difficoltà nello studio universitario indagando sugli aspetti
motivazionali connessi all’ apprendimento.
In particolare si farà riferimento alle componenti cognitive ed emotive
connesse alla motivazione (motivazione alla riuscita, obiettivi di
apprendimento, percezione di competenza, senso di efficacia, autostima) ed
alla loro correlazione. Verrà esposta la relazione tra cognizioni-emozioni
disfunzionali e la variazione del rendimento e della performance di
apprendimento con un approfondimento sugli effetti sul piano motivazionale,
di autostima e di autoefficacia in studenti universitari affetti da Disturbo da
Attacco di Panico.
Da alcuni decenni la psicologia ha individuato l’attività di studio come un
proprio campo di indagine in cui giocare le proprie competenze. L’attività di
studio va intesa come un tipo particolare di apprendimento che consiste nella
lettura attenta e selettiva, mirata a comprendere e a memorizzare informazioni
utili per eseguire una prova (Anderson 1979).
Il percorso di istruzione di uno studente si snoda attraverso gradi successivi,
ognuno dei quali richiede e a sua volta trasmette conoscenze e competenze
sempre maggiori: per questo anche l’attività di studio si modifica nel corso
degli anni, parallelamente alla continua crescita di complessità dei compiti da
affrontare. Quando lo studente arriva all’ultima tappa della sua carriera
scolastica, l’università, con almeno tredici anni di scolarizzazione alle spalle,
dovrebbe avere ormai acquisito un metodo di studio autonomo ed efficace. In
4
questo contesto lo studio dovrebbe essere diventato un’attività intenzionale,
organizzata, e guidata dagli obiettivi dell’individuo. Purtroppo, però, qualcosa
sembra non funzionare in questo meccanismo, se è vero che su dieci studenti
che si iscrivono all’Università italiana soltanto quattro arrivano alla laurea (dati
ISTAT 2003).
Ai dati ufficiali si può aggiungere come testimonianza visibile di tale difficoltà
l’esistenza di servizi di tutorato- supporto metodologico allo studio presso le
Università italiane che accolgono una percentuale non irrisoria di studenti.
Con ciò vorrei mettere in evidenza che non necessariamente un lungo percorso
scolastico porta automaticamente ad una abilità di studio e ad una gestione di
sé efficaci. Proprio su questo scarto si innesta il contributo della psicologia, che
è chiamata ad individuare le modalità di apprendimento più efficaci e le
metodologie per insegnarle a chi ne ha bisogno.
La scelta del mio progetto di tesi è infatti frutto delle esperienze tratte durante
il periodo di tirocinio professionalizzante svolto presso lo sportello di Tutorato-
Supporto Metodologico allo Studio del Centro Orientamento e Tutorato
dell’Università degli Studi di Palermo: in tal sede ho potuto riscontrare che le
difficoltà incontrate nella prosecuzione degli studi che lamentava l’utenza, non
riguardavano la sfera cognitiva in senso stretto (deficit nell’ attenzione, nella
memoria ecc.), bensì la dimensione organizzativa del sapere e le strategie di
apprendimento (gestione del tempo dello studio, abilità di connessione, di
generalizzazione, di deduzione fra campi epistemologici diversi ecc.). Tale
difficoltà dipendeva, nella gran parte dei casi, da vissuti demotivazionali e/o
ansiogeni relativi sia a specifiche materie sia allo studio in generale.
Tale presupposto mi ha fornito la “motivazione” per indagare cosa sta dietro l’
apparente semplice “mancanza di voglia, di motivazione verso lo studio”
5
ricercando non solo le conseguenze ma soprattutto le cause dei problemi
motivazionali che derivano da cognizioni ed emozioni non direttamente
individuabili, come le attribuzioni di successi-insuccessi nel compito, il livello
di autoefficacia percepita e di autostima , la paura del fallimento, l’ ansietà per
il risultato. Mi sono soffermata su quest’ ultima caratteristica per indagare se e
con quanta intensità l’ansia può essere un predittore di una buona o di una
cattiva motivazione all’ apprendimento e della performance accademica.
L’ansia non è del tutto un male; una piccola dose di ansia può facilitare la
prestazione, specialmente se il compito non è molto difficile. (Sieber, O’Neil &
Tobias, 1977). Ma per alcuni studenti essa frustra la prestazione in situazioni di
rendimento, interferendo nell’ apprendimento e nel recupero del materiale
imparato precedentemente.
La società occidentale contemporanea impone dei ritmi frenetici e stressanti
che hanno contribuito alla diffusione di Disturbi d’ ansia; fra questi è sempre
più diffuso fra i giovani adulti il Disturbo da Attacco di Panico (DAP).
Quando l’ ansia è un tratto (come nel caso del DAP) e non solo uno stato
(come l’ansia da prestazione) e diventa generalizzata a molti contesti di vita
(sociale, privato ecc...) quali sono i suoi effetti nel campo del rendimento
universitario? A tal domanda si cercherà di dare una risposta fornita non
soltanto dalla letteratura a riguardo (nazionale ed internazionale), ma anche
supportata dall’ esperienza personale, quella di una studentessa universitaria
che prima di diventare soggetto della psicologia ne è stata improvvisamente
oggetto di studio a causa di una sindrome sempre più diffusa ma ancora poco
accettata dalla “Società” perché non ben compresa essendo considerata
semplicemente come stato mentale tipico di persone fragili e quindi trattata con
superficialità: ciò comporta nei soggetti con DAP la difficoltà a riconoscere ed
6
accettare il proprio come reale disagio e di conseguenza a curarlo (in quanto
malattia vera e propria), ma soprattutto la tendenza a sentirsi diversi,
incompresi, inefficaci, incapaci, con pesanti conseguenze negative sul piano
relazionale, emotivo, motivazionale e, nei casi peggiori, di personalità.
Oggetto di interesse del presente elaborato è indagare il piano motivazionale
individuando quali sono gli elementi cognitivi ed emotivi disfunzionali
caratteristici del DAP e se essi causano una bassa motivazione ed una scarsa
prestazione nel rendimento universitario.
Ho ritenuto necessario affrontare lo studio a partire dalla definizione di
motivazione e di motivazione all’ apprendimento attraverso un’analisi della
letteratura delle teorie a riguardo, per consentire ai lettori la possibilità di
orientarsi sui diversi approcci. Il progetto successivamente si sviluppa
attraverso l’ esposizione dei costrutti cognitivi ed emotivi che compongono la
motivazione all’ apprendimento, poiché, essendo quest’ ultima un costrutto
teorico multifattoriale e non direttamente osservabile, non ha effetti diretti sull’
apprendimento ma mediati da diversi fattori e dalla loro interrelazione.
Fra questi, un elemento importante nella motivazione ad apprendere, è lo
sviluppo della percezione di competenza e di efficacia. Tutti abbiamo bisogno
di sentirci capaci in qualsiasi attività che svolgiamo, per cui anche uno studente
ha bisogno di provare questo senso di efficacia, per impegnarsi e riuscire in un
compito. In quest’ottica è centrale il concetto di autoefficacia percepita, ovvero
le aspettative che una persona ha di padroneggiare con successo determinate
situazioni. È sostanzialmente l’autoefficacia che guida la decisione sugli
obiettivi da raggiungere e sostiene l’azione fino al loro raggiungimento. L’
autostima, l'azione di valutare se stessi come insieme di determinate
caratteristiche, nonché il giudizio risultante da questa valutazione, si rivela
7
fondamentale nella vita di ciascun individuo poiché le conseguenze di una
buona o cattiva autostima incidono sui successi o i fallimenti in determinate
attività, ed in linea generale sul complessivo benessere psicologico rendendo il
soggetto, in caso di bassa autostima, inadeguato all’apprendimento di valide
strategie di adattamento.
La parte finale dell’ elaborato si concentra sugli aspetti disfunzionali della
motivazione: si indagheranno gli effetti dell’ansia da prestazione e del DAP
sull’ apprendimento e sulla performance.
Si spera che tale contributo inciti chi lo leggerà, specialmente quei giovani
studenti che sono affetti da DAP e che hanno visto e vedono la loro vita
privarsi delle attività più comuni, quali ad esempio lo studio, a non considerarsi
inefficaci, inutili, demotivati ma a lavorare con l’aiuto degli esperti verso un
progetto di cura che possa permettere loro di riprendere in mano le proprie
attività, la propria vita.
8
CAPITOLO PRIMO
MOTIVAZIONE ALL’ APPRENDIMENTO:
DEFINIZIONI E TEORIE CLASSICHE
1.1 Introduzione
I processi motivazionali sono alla base dell’ attivazione, dell’ orientamento e
del mantenimento delle energie psicologiche necessarie ad apprendere ciò che
è proposto nei contesti scolastico- universitari. Una mancanza, carenza o
disfunzione di essi può provocare conseguenze negative al rendimento degli
studenti.
De Beni, Pazzaglia, Molin & Zamperlin (2003) elencano le cause delle
difficoltà di rendimento collocandole lungo un continuum che và da specifici
disturbi nei processi cognitivi (memoria, attenzione, comprensione del testo...),
nei processi strategici, a disturbi nella conoscenza e nel controllo
metacognitivo (incapacità di prevedere in anticipo i risultati, di pianificare ed
organizzare il lavoro personale, di autovalutare la propria prestazione
accorgendosi di eventuali cadute...) fino a marcati disturbi demotivazionali
causati da stili attributivi, percezioni del sé, stati emotivi poco funzionali.
Nel lavoro presente si farà riferimento a quest’ultima categoria fornendo
dapprima, in questo capitolo, un quadro teorico sul concetto di motivazione e
di motivazione all’ apprendimento, e sulle principali teorie.