5
Introduzione.
Il contributo positivo, offerto all’economia in generale, dall’applicazione di
sistemi di allarme preventivo (early warning system) nella misurazione del rischio
di credito e nel processo di valutazione dell’affidabilità creditizia dei soggetti,
viene sottolineato e confermato continuamente dagli studi che si sono succeduti in
questo campo. Al tempo stesso, e pericolosamente vicino all’entrata in vigore del
Nuovo Accordo sul Capitale, si registra una diffusa indifferenza, dettata
principalmente dalla scarsa “conoscenza”, da parte degli utilizzatori del canale
creditizio. Eppure, la banca è da sempre la principale interlocutrice di tali soggetti;
trasmette la politica monetaria ed appiana i problemi legati all’asimmetria
informativa. Complessità e rischiosità sono risultati i caratteri più forti e crescenti
dell’intermediazione finanziaria; tanto da richiedere con urgenza un ridisegno
complessivo della regolamentazione.
Col capitolo primo il lavoro compie, nella prima parte, una breve disamina sul
concetto di rischio, collegandolo con la definizione di “incertezza” così come è
intesa nella finanza moderna. Oggi le banche devono fare i conti con una
situazione radicalmente cambiata: bisogna rendere conto al mercato del risultato
reddituale e del rischio insito nelle attività; le regole impongono che si presti la
necessaria attenzione alla trasparenza, così nelle azioni come nella contabilità;
così nella capacità gestionale come nell’efficienza.
Il rapporto tra la banca ed il cliente è spesso inficiato dall’esistenza di asimmetrie
informative che influiscono negativamente sulla capacità della banca di analizzare
il merito creditizio della clientela stessa.
Seguono delle riflessioni analitiche sui rischi bancari, dapprima distinti nelle
macrocategorie dei rischi “economici” e dei rischi “finanziari”.
La seconda parte affronta, nello specifico, il tema dell’inadeguatezza del vecchio
Accordo. Per individuare i driver e gli effetti dell’opera di revisione delle regole,
viene detto che, il modo migliore è partire proprio dall’analisi dei principali limiti
dell’impianto regolamentare e dei dubbi che accompagnano il Nuovo Accordo.
Il rischio di credito è il tema principale del secondo capitolo che, come accadrà
per i successivi, inizia con opportuni chiarimenti terminologici. Se a prima vista
può apparire abbastanza scontato, nella realtà il significato di “rischio di credito”
6
si allarga fino a comprendere la situazione nella quale il merito creditizio si sposti
verso il basso. Una tale riduzione dovrebbe tradursi in una modifica (nella stessa
direzione) del valore di mercato della posizione creditoria detenuta.
Da qualche anno si sono ampliate le possibilità di “impiego” dei crediti bancari.
La nascita di nuove pratiche e strumenti, come la securitization e i credit
derivatives, ha accentuato l’aspetto dinamico del rischio di credito;
indipendentemente dalla scadenza, la banca potrà liberarsi di una parte dei crediti,
“dismettendoli” sul mercato. Quali sono le determinanti possibili del rischio di
credito? La conoscenza delle specificità che lo caratterizzano, mette in evidenza
ulteriori tipologie di rischio, tra le quali il rischio di recupero (la possibilità che
hanno i crediti, divenuti insolventi, di essere inferiori a quanto originariamente
preventivato), la cui entità dipende soprattutto dalle garanzie concesse e dalle
lungaggini delle procedure giudiziali, oppure quello “implicito” nello spread di
credito e costituito dal differenziale tra i rendimenti obbligazionari di titoli emessi
da emittenti con differente merito creditizio.
Altra possibile fonte di rischio, può derivare da scelte strategiche mal ponderate.
Si parla, nello specifico, della “concentrazione” del credito verso un unico
soggetto o (più probabilmente) verso un gruppo di soggetti che sono suscettibili di
condividere le stesse sorti per ragioni economiche o territoriali.
Un primo avanzamento concettuale all’interno della ricerca delle componenti
fondamentali del rischio di credito, individua la perdita attesa. Tale dimensione è
una previsione del danno economico che la banca si aspetta, mediamente, di
subire a fronte di un credito o di un portafoglio crediti.
Il tasso di perdita considerato, è chiamato Expected Loss Rate (ELR) e dipende da
due componenti: la Probability of Default (PD), cioè la probabilità di insolvenza e
la Loss Given Default (LGD), quota del credito che la banca non recupererà. La
dimensione “a valore” della perdita attesa, introduce la variabile che indica
l’ammontare dell’esposizione al momento del default (EAD, Exposure at default).
Ma, al di là della chiarezza ed ai fini dell’indagine, è palese una difficoltà: il
“rischio” non può derivare dal verificarsi di una circostanza prevista. In altre
parole, il tasso di perdita atteso, non rappresentando la vera incognita di
7
un'esposizione creditizia, ha bisogno di essere “trasformato” in un valore “non
atteso”, che stimi quanto si è lontani dalle previsioni.
Oggetto d’indagine del terzo capitolo è l’esame del comportamento delle imprese,
nei periodi precedenti la crisi. Un generico modello di previsione delle insolvenze
si propone, infatti, di evidenziare, i segni che indicano che l’azienda va verso
situazioni di squilibrio. Ovviamente, sono da ritenersi tanto più efficaci quanto più
riescono a minimizzare il margine d’errore, rendendo visibili gli indizi di
potenziale alterazione delle condizioni di stabilità.
Un tentativo di classificazione dei modelli di previsione delle insolvenze,
elaborati in diversi contesti ed in diverse epoche, può essere compiuto
evidenziando i metodi di costruzione degli stessi: i modelli “teorici” il metodo di
elaborazione delle informazioni è di tipo strettamente deduttivo; i modelli di
“comportamento” delle imprese, osservano un campione di aziende al fine di
costruire una sintetica “griglia” di relazioni fra le cause più frequenti, gli effetti ed
i sintomi critici.
Gli anni più recenti ci presentano nuove procedure “early warning”. Tali tecniche
valutative hanno lo scopo di tradurre gli indici di performance economica e del
rapporto tra affidato ed intermediario in stime quantitative del livello di rischiosità
del cliente. Le “reti neurali” (e i “sistemi esperti” in generale), sono il futuro; sono
sistemi capaci di “apprendere”: riproducono artificialmente le elaborazioni
compiute dal cervello umano e, per tale via, sembrano meglio interpretare
situazioni caratterizzate da elevati gradi di complessità.
Il capitolo, dopo aver compiuto una panoramica sui vari modelli di previsione,
dedica la parte finale alla spiegazione del differente contributo dato dagli
indicatori e ratios utilizzati.
Il sistema di Internal Rating, nel quarto capitolo, costituisce l’elemento di
raccordo verso cui confluiscono le spinte evolutive del credit risk management,
della nuova regolamentazione, delle logiche di selezione e pricing e dell’attività di
prestito in generale. Esso ha l’obiettivo di produrre stime sintetiche, strutturate e
condivise all’interno della banca sulla perdita attesa nei riguardi della singola
operazione o ad un complesso di operazioni facenti capo ad un singolo cliente o
gruppo di clienti. Tale obiettivo poggia sulla realizzazione di un modello in grado
8
di segmentare i prenditori in un certo numero di classi caratterizzate da una
specifica probabilità media di default. Anche la stima della severity of loss (LGD)
contribuisce alla valutazione della perdita in quanto, presumendo un default certo,
la perdita sarà pari alla somma non recuperata. Il metodo più efficace per una
banca si trova costruendo un sistema che preveda l’utilizzo di una combinazione
degli approcci descritti nel capitolo. Combinando ad esempio l’output di un
sistema automatico di scoring delle controparti e la valutazione soggettiva di un
analista è possibile giungere ad una strutturazione in classi di merito creditizio
(“pass” per i soggetti meritevoli di affidamento e “fail” per il monitoraggio dei
crediti deterioratisi nel tempo) rigorosa e completa di elementi non facili da
quantificare (management, settore produttivo, stadio evolutivo dell’impresa,
rischi, posizione competitiva, ecc.).
Il controllo sul singolo affidato, nel quinto capitolo, si avvale di strumenti di early
warning, volti a monitorare l’andamento degli indicatori di anomalia predefiniti.
Per rispondere alle esigenze del monitoring dei crediti, occorre uno strumento
estremamente sensibile e reattivo che segnali tempestivamente il deteriorarsi della
posizione affidata. Numerosi indicatori di natura andamentale (quali ad esempio
gli sconfinamenti, la percentuale di utilizzo dei fidi, la presenza di sospesi, la
percentuale di insoluti o richiamati sul foglio…) o di altra natura (dati di bilancio,
informazioni di sistema…) sono osservati in via periodica o continuativa per
mezzo di tali sistemi deputati al controllo. L’andamento congiunto degli indicatori
di anomalia può essere esaminato mediante sistemi esperti che attribuiscono
punteggi di anomalia alle posizioni affidate. Tale soluzione è alla base dei sistemi
di rating di controllo, che definiscono le classi di rischiosità come intervalli nella
scala dei punteggi di anomalia. A livello internazionale, nonostante la volontà di
trovare soluzioni omogenee, si riscontrano applicazioni differenti, soprattutto
relative diverso al coinvolgimento delle istituzioni ed al diverso contesto in
generale. Chiarite le questioni relative all’oggetto dei sistemi di early warning ed
alla loro funzionalità, viene riportato sinteticamente lo studio condotto dal FITD e
relativo all’utilizzo di tali sistemi per la previsione delle crisi bancarie.
9
Cap. I:
RISCHIO E INCERTEZZA NELLA FINANZA MODERNA.
1.1 Precisazioni e nuovi orientamenti.
Al di là delle tante definizioni che la letteratura accademica ha “coniato” nei
riguardi del termine “banca”, si può pensare in modo corretto che la causa della
nascita di tali istituzioni e la giustificazione della loro operatività siano collegabili
con il concetto di rischio e con quello di incertezza
1
.
La presenza di incertezza viene avvertita dall’agente economico nel momento in
cui si trova a constatare che esiste una vastissima percentuale di eventi governati
dalla casualità e sui quali incidono variabili che, in modo differente, influenzano
la consistenza delle alternative disponibili. L’incertezza esercita una pressione tale
che alcune classi di operatori
2
preferiranno, ad esempio, sopportare un esborso
certo pur di non rimanere “ostaggi” degli eventi
3
possibili, i quali possono
rivelarsi fortemente svantaggiosi.
Il concetto di rischio è intimamente collegato con la definizione di incertezza ed
entrambi si collocano in una posizione di rilievo, divenendo elementi
discriminanti, quando si tratta di prendere una decisione o valutare i possibili
effetti di quest'ultima.
In relazione al comportamento assunto di fronte ad un determinato fenomeno che
implichi una scelta, l'incertezza può essere definita come “lo stato, di norma
rilevante sul piano psicologico, di non completa percezione di uno o più elementi
che regolano le manifestazioni di quel fenomeno o dello sfondo in cui esso è
collocato”
4
.
1
Knight ha aperto il passaggio all’analisi della teoria economica distinguendo incertezza e rischio.
Si veda Knight (1921).
2
Gli operatori avversi al rischio.
3
Per un consumatore avverso al rischio, l’utilità del valore atteso della ricchezza U(10) è maggiore
dell’utilità attesa della ricchezza 0,5U(5)+0,5U(15). Generalizzando, si indicherà: U(ŵ)<U(w), con
ŵ = valore atteso e w = valore certo. Quindi, l’utilità data dalla somma probabile è inferiore
all’utilità della somma certa.
4
S. Ecchia, “Il rischio di insolvenza nella gestione individuale del credito e nella gestione di
portafoglio”, in Stefano Ecchia (a cura di), “Il rischio di credito. Metodologie avanzate di
previsione delle insolvenze”, Giappichelli, Torino, 1996.
10
Si introduce in questi casi il tema dell’informazione incompleta. Tuttavia, questo
tipo di carenza informativa non impedisce di capire, anche in maniera puntuale,
quali scenari potranno aver luogo nel futuro: l'incapacità di prevedere cosa
avverrà, farà si che le manifestazioni possibili vengano rappresentate come uno
spettro che va dal meglio al peggio, dal successo alla sconfitta; ad ogni possibile
manifestazione corrisponderà, associata, una certa probabilità che ha di verificarsi.
Se è nota la probabilità che ciascun evento ha di verificarsi, risulta ipotizzabile
operare delle scelte dal momento che: è possibile calcolare sia il risultato atteso,
ossia il valore medio degli scenari futuri, sia la probabilità dell’allontanamento
rispetto a tale valore atteso.
Ipotizzando che l’evento (o uno tra i vari scenari) si verificherà, ci si espone
consapevolmente all'eventualità che il risultato finale diverga, anche molto, da
quanto ci si attendeva.
In un’istituzione orientata al profitto, la perdita è lo scenario che va assolutamente
evitato e l’incertezza che circonda le perdite monetarie prende il nome di rischio.
Poiché le incertezze si scambiano, dovrà esistere un prezzo capace di compensare
questa forma di incertezza che può tradursi in perdita: un prezzo che premia il
rischio assunto.
Nell’ambiente economico, il rischio non si ripropone con una cadenza tale da
determinare delle distribuzioni di probabilità
5
stabili e oggettive: chiunque si trovi
nella situazione di dover prendere delle decisioni, attribuirà a ciascuno scenario
una probabilità che risente anche di un giudizio soggettivo. Spesso poi, la
decisione finale non deriverà dall’analisi condotta su una sola variabile ma,
diversi fattori quali l'entità del capitale a disposizione, il tipo di occupazione
svolta dall'investitore e l'andamento dell'economia, andranno a determinare in
modo congiunto, l'atteggiamento del soggetto decisionale rispetto al rischio che
può essere di avversione, di propensione o di indifferenza.
Per tutte le organizzazioni operanti in settori che si espongono a una forte
pressione competitiva, la determinante chiave del successo, oltre a riguardare la
qualità dei prodotti e dei servizi offerti, è costituita dalla disponibilità immediata
5
Una variabile casuale discreta è descritta dalla “distribuzione di probabilità, ovvero dalla
combinazione dei possibili eventi e delle probabilità associate ad ognuno di essi.
11
di informazioni concrete, caratterizzate cioè da un alto grado di affidabilità e
precisione.
Nel settore creditizio, il sistema informativo di ogni banca ha il compito di
maturare una conoscenza perfetta, quasi “intima”, della propria clientela. Questa è
una condizione necessaria e che va collegata con la capacità di prevedere col
giusto anticipo i comportamenti possibili delle controparti. Se tali funzioni
riescono ad attivarsi all’interno di un ambiente capace di collaborare, diminuirà
sensibilmente la possibilità di rimanere coinvolti più del dovuto nel rischio che
gravita attorno alla gestione delle pratiche del credito.
D’altra parte, la realizzazione di queste premesse avvicina obiettivi ulteriori, tra
cui quello di ricavare una gestione positiva sotto l’aspetto economico e
finanziario, capace di presentare agli azionisti un livello di profitto ritenuto
ottimo.
La rivoluzione economica introduce termini nuovi, diversi e globali (network
economy, internet economy, virtual economy), ma la realtà è che essa non
riguarda più come una volta gli scambi reali.
La nuova economia si rivolge allo scambio dell’incertezza: qualcosa che non è
propriamente definibile come merce. Se è vero che gli uomini mettono in gioco le
loro reciproche incertezze, è allora possibile pensare a un sistema di mercato i cui
meccanismi riescono a creare soluzioni che vanno a vantaggio dalla collettività: si
favorisce in questo modo la creazione di un sapere condiviso e comune a tutti.
Anche le scelte più difficili trovano soluzione immediata perchè le persone,
essendo munite della giusta percezione di quel che accade, possono agire alla
ricerca del miglioramento reciproco. La teoria dei giochi, ad esempio, il braccio
probabilmente più avanzato dell’economia neoclassica applicata, risolve il
dilemma del prigioniero facendo ricorso, pur con notevoli sottigliezze, all’ipotesi
di conoscenza comune.
Il paradosso è che tutto ciò non è vero. Non è vero che l’economia accompagna la
conoscenza, ma è vero esattamente il contrario: la teoria economica, molto spesso,
si trova incapace di fornire soluzioni, modelli o prospettive
6
.
6
La più grande asta di tutti i tempi si tenne nel 1995 negli Stati Uniti e riguardò la vendita delle
licenze per l’utilizzo dell’etere. Il meccanismo di quell’asta era stato ideato da alcuni economisti
cresciuti con la teoria dei giochi e con le idee di Nash. La teoria dei giochi consentì di definire un
12
Sembra strano ma, nello stesso momento in cui le informazioni diventano alla
portata di tutti, nello stesso tempo in cui la conoscenza viene collegata in rete, si
alzano le barriere del protezionismo culturale e si pongono ostacoli alla libera
circolazione delle idee informatiche che sono sempre più spesso brevettate e rese
accessibili a pochi. Tutti gli sforzi dei neoclassici, ideatori della conoscenza
comune, vengono vanificati.
L’economia che riconosce la presenza di ignoranza informativa dunque, non
produce necessariamente un equilibrio fondato sulla conoscenza comune, ma può
condurre ad un accesso sempre più costoso ed elitario all’informazione.
L’evoluzione tecnologica in atto, sta riducendo l’arco temporale di sviluppo
riferito ai fenomeni ambientali. Manifestazione degli eventi e conoscenza degli
avvenimenti si associano a tempi brevissimi. L’informazione realizza un
condensamento dell’intero processo decisionale che vede interagire l’azione con
la reazione, l’elaborazione preventiva dei fenomeni con quella ex-post. Le
decisioni vanno assunte con estrema rapidità perché muta repentinamente lo
scenario ambientale e la velocità con cui si trasferisce l’informazione indebolisce
le difese competitive.
Gli avvenimenti non sono cambiati nella sostanza perchè le conseguenze del
rischio rimangono immutate. La novità è che si rivelano in un breve orizzonte
temporale e gli osservatori ne subiscono all'istante gli effetti.
In questo scenario di riferimento, bisogna creare una base di partenza
rappresentata dagli strumenti che soddisfano le esigenze di chi, in campo
creditizio per fare un esempio, ha bisogno continuamente di rilevazioni analitiche
capaci di evidenziare il rischio sopportato.
Così come sono nati modelli diretti alla misurazione precisa della redditività,
bisogna entrare in confidenza sia con i fattori che compongono il rischio, inteso in
tutti gli aspetti, sia con gli elementi che permettono di inquadrarlo come entità
omogenea, universalmente compresa, vale a dire, come valore probabilistico
7
.
insieme di regole in grado di influire sul comportamento degli offerenti. Anche se si può, a
ragione, ritenere che quell’asta abbia costituito il punto di partenza della rivoluzione informatica,
quell’idea di economia non si è tramutata in maggiore conoscenza.
7
Per approfondimenti sulla probabilità e sui modelli deterministici si vedano: S. Benedetto,
“Teoria delle probabilità e variabili casuali”, Boringheri, Torino, 1980; M. R. Spiegel,
“Probabilità e statistica”, ETAS Libri, Milano, 1979; S. Lipschutz, “Calcolo delle probabilità”,
13
I metodi innovativi conosciuti sotto il nome di value at risk, si indirizzano verso la
ricerca della massima perdita probabile che potrebbe verificarsi all’interno di un
intervallo di confidenza.
Da qualche anno le istituzioni bancarie e finanziarie, in stretto contatto con le
autorità, stanno lavorando per introdurre e utilizzare tali metodi nuovi per la
gestione tecnica e strategica del rischio. Anche se non si rivela semplice,
l’obiettivo risulta concretamente realizzabile grazie all’ausilio di molte
competenze mutuate dalla finanza aziendale, dalla statistica e dall’informatica.
Sotto diversi punti, il percorso si sta annunciando costoso perchè, sperimentare le
tecniche definite di risk management, implica l’introduzione nella struttura di una
combinazione di modelli e di conoscenze specifiche, di strutture hardware,
software e di capacità elaborative innovate, unite da quel fondamentale tassello
costituito dalle risorse umane operanti nelle unità di rischio.
Nelle aziende di credito, crescerà l’urgenza di trovare la collaborazione di soggetti
dotati di abilità interpretative e decisionali i quali, considerata l’alta complessità
dell’impegno, dovranno dimostrarsi preparati a supportare professionalmente le
decisioni in materia di affidamento; lo sviluppo risulta faticoso anche perchè in
molti casi impone un cambiamento culturale
8
ma, se messo bene a punto, potrà
dirsi molto proficuo.
1.2 La banca nella finanza moderna.
La nuova finanza nasce dalle “macerie” create dal crollo della usuale distinzione
tra ciò che veniva considerato attività bancaria e ciò che non lo era. Così, le
tradizionali istituzioni bancarie si sono trasformate in nuove imprese di servizi
finanziari, aprendosi a linee di business inesplorate e conseguentemente a nuovi
rischi; le istituzioni non bancarie hanno risposto con prontezza e oggi stanno
sfidando le banche sul loro stesso terreno. Come risultato, la classica separazione
tra istituti creditizi e finanziari si è indebolita in modo netto.
ETAS Libri, Milano 1975; B. De Finetti, “Theory of probability: A Critical Introductory
Treatment”, volume 1, Wiley, New York, 1974.
8
A. Carretta (a cura di), “Il governo del cambiamento culturale in banca. Modelli di analisi,
strumenti operativi, valori individuali”, Bancaria Editrice, Roma, 2002.
14
Fondamentalmente, questo tipo di evoluzione, orientata in direzione di una
finanza che si imposta su nuovi paradigmi, sembra originarsi da alcune cause
sintetizzabili in due punti. In primo luogo, la caduta delle barriere della
regolamentazione ha permesso alle banche l’entrata in settori fino a pochi anni fa
preclusi e sconosciuti; in secondo luogo, il grande processo della
disintermediazione e l’altrettanto poderoso sviluppo dei mercati dei capitali hanno
permesso alle imprese di procurarsi, piuttosto agevolmente e direttamente sul
mercato, i fondi necessari per lo svolgimento dell’attività produttiva.
Il principale effetto critico per le aziende di credito, è stato la crisi della fonte
tradizionale e principale dei profitti bancari: il prestito alle piccole o grandi
imprese, finanziato da depositi a basso costo. Le banche hanno così cercato valore
altrove, ad esempio, in nuove forme di intermediazione dei rischi.
A tali premesse si aggiungano altre peculiarità vigenti pochi anni fa, come: la
dimensione degli spread, apparsa per diverso tempo elevata, tra l’attività di
raccolta e di impiego; l’operatività bancaria custodita in un mercato non aperto
perchè difeso dall’ingresso di concorrenti stranieri; la presenza di enti senza fini di
lucro in qualità di azionisti i quali non avanzavano pretese di risultati reddituali
eccellenti.
Tutti e tre i punti motivano una conclusione: la redditività del capitale investito
non era al primo posto tra le preoccupazioni degli istituti di credito italiani.
Oggi le banche devono fare i conti con una situazione radicalmente cambiata.
Bisogna rendere noto al mercato non solo il risultato reddituale ma anche la
dimensione del rischio insito nelle attività
9
. Le regole impongono che si presti la
necessaria attenzione alla trasparenza, così nelle azioni come nella contabilità;
così nella capacità gestionale come nell’efficienza.
Certamente il processo ha avuto velocità diverse a seconda dei paesi, ma un’unica
direzione: le banche attive in piccoli mercati, ad esempio, hanno sperimentato un
livello di concorrenza indubbiamente inferiore. E tuttavia, la tendenza di fondo
risulta confermata: da un lato, la percentuale dei depositi nel passivo bancario è
scesa e la percentuale di passività negoziabili è sostanzialmente aumentata;
dall’altro, la percentuale dei prestiti nell’attivo bancario si è ridotta, facendo
9
C. Scardori, “La banca del futuro. Scenari, vision e cambiamento per una strategia vincente”,
Edibank, Milano, 1999.
15
spazio a investimenti sui mercati dei capitali. Accanto a questi fattori di strutturale
modifica della geografia del bilancio bancario, si è inserita la forte crescita delle
attività fuori bilancio, tipicamente costituite da strumenti finanziari derivati
10
.
Negli ultimi anni, inoltre, le banche hanno iniziato a svolgere attività di tipo
assicurativo, specialmente in Europa dove i costi dei canali di distribuzione sono
relativamente più bassi. Come si può notare dalla figura 1.1, in tutti i mercati
europei, le banche sono riuscite a strappare quote di mercato, in termini
distributivi, alle compagnie assicurative
11
, promuovendo spesso polizze
semplificate e standardizzate
12
.
Figura 1.1: Divisione percentuale delle quote di mercato: penetrazione della Bancassicurazione
62
32
6
72
21
7
63
28
9
56
30
14
12
86
2
17
77
6
Francia Spagna Italia Belgio Gran
Bretagna
Germania
Reti bancarie Reti tradizionali Reti di vendita diretta
(Fonte: L’Argus de l’Assurance, n. 6781, 12 aprile 2002)
10
Si vedano le affermazioni di A. Fazio, che scrive: “ (...) Tra gli strumenti derivati, quelli relativi
ai tassi di interesse rappresentano circa i tre quarti dell’intero mercato. Negli anni più recenti
particolarmente rapido è stato lo sviluppo dei derivati su crediti; a metà di quest’anno il valore
nozionale dei credit default swaps si aggirava sui 5.400 miliardi di dollari (...) Si stima che i
profitti basati sugli strumenti derivati rapresentino circa il 15%-20% dei redditi che non derivano
da interessi (...)”. Cfr.: Intervento del Governatore della Banca d’Italia, in “Panel on “Regulation
and Supervision in Financial Markets””, fonte:
http://www.bancaditalia.it/interventi_comunicati/integov/19112004/fazio_19_11_04.pdf,
Frankfurt European Banking Congress, novembre, 2004.
11
“Bancassurance” è il termine apparso in Francia dopo il 1980, per definire la vendita di prodotti
assicurativi tramite sportelli bancari. Mentre in alcuni mercati la bancassicurazione prevale
nettamente, con oltre due terzi della raccolta premi nell’assicurazione vita, in altri mercati non è
ancora un modello distributivo di successo. Dopo la Francia, il secondo mercato di
bancassicurazione è quello spagnolo.
12
Secondo le stime dell’Ufficio Studi Ass. Generali, la raccolta premi del mercato
“bancassicurazione” è passata da un totale di 22.680.000 di euro nel 2000, ad uno di 39.000.000 di
euro nel 2004.