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INTRODUZIONE
Nei “Canti Pisani”
Ezra Pound ha detto: “ciò che l’uomo veramente ama rimane, il resto è scoria ….”, un postulato
fondamentale che tutti noi dovremmo tenere sempre ben presente. Soprattutto le nostre
istituzioni, che troppo spesso dimenticano di valorizzare, una delle più grandi risorse del nostro
paese ,“l’opera d’arte”, il manufatto di valore artistico e storico, il bene culturale, che come ci
hanno insegnato, “avente valore di civiltà”, considerato fino ad oggi essenzialmente oggetto di
fruizione, ma che non si è mai realmente provveduto, se non a parole, ad un impegno adeguato di
uomini e mezzi per la sua conservazione.
È cosi l’arte viene dimenticata, resa invisibile, lasciata in perenne silenzio a subire le modifiche e le
aggressioni che il tempo gli impone. É su questo presupposto, che si presenta, l’urgenza del
restauro della pala d’altare di Castelbuono, nella Chiesa di SS. Rosario, il cui soggetto è la Madonna
del Rosario, oggetto di questa ricerca. Una vera fortuna mettere le mani su questa opera, dove ho
potuto vedere nella tela quanto ha sofferto l’artista per concepirla, d'altronde Michelangelo,
Donatello, lo stesso Giuseppe Salerno a cui probabilmente viene attribuita la tela, non è che
lavorassero otto ore per poi andarsene subito dopo a casa!! lavoravano sempre. Nelle loro
creazioni immortali hanno messo la loro stessa anima, che ,al momento del restauro ritroviamo;
come? osservando le fattezze di una pittura o il segno gestuale lasciato dal pennello sulla materia
o ancora individuandone le sfumature, persino le piccolissime imperfezioni, che ci dicono i
momenti di crisi di un genio mentre crea un capolavoro.
Quest’opera con accezione negativa, risulta essere di uno stile “popolaresco” d'altronde parte
della pittura siciliana è popolare, cosi come la poesia, nel senso che vive tutta di sentimento e su
tutto stende una velatura melanconica parlando più al cuore che alla fantasia. …
Il dipinto, arrivato a noi a prezzo di infiniti sforzi, purtroppo, non ben conservato, per il fatiscente
stato della Chiesa del SS.Rosario oggi ripristinata. Il dipinto su tela ha subito attacchi biologici
diretti, manifesti con attacchi fungini e indiretti manifesti da deterioramenti causati da deiezioni
animali; quest’ultime hanno eroso con la loro acidità grandi zone del dipinto, dalla pellicola
pittorica agli strati preparatori fino a giungere al supporto in tela. Oltre alle offese causate
dall’attacco biologico si sommano i problemi conservativi derivati da restauri o manutenzioni
troppo invasive, che con le numerose ridipinture e durissime stuccature stese anche sull’originale,
creavano numerose tensioni superficiali con conseguenti sollevamenti degli stati pittorici; inoltre
fornivano una falsa lettura dell’opera.
Questa tesi, dal titolo “arte svelata”
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ha il compito di illustrare il restauro della pala d’altare della
Madonna del Rosario in tutte le sue fasi, e i metodi di indagine diagnostica attraverso il quale si è
potuto progettare ed attuare il restauro.
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L’ARTE -SVELATA fu il titolo di una mostra realizzata nel 2007 dal museo civico di Castelbuono, una mostra
dell’intero patrimonio artistico esistente nella Chiesa, dove per l’occasione le opere pittoriche fortemente degradate
furono completamente velinate , per assicurare un trasporto sicuro dalla chiesa del Rosario, al vicino museo nel
Castello dei Ventimiglia.
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1. NOTIZIE STORICO- ARTISTICHE
L’opera oggetto del restauro proviene da Castelbuono
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(PA),e con precisione dalla chiesa del SS
Rosario. Castelbuono un’importate cittadina feudale la cui storia si perde nella notte dei tempi, le
prime tracce di insediamento infatti risalgono all'epoca neolitica, è sono probabilmente attribuibili
a popolazioni di stirpe sicana cacciate dalla costa per l’incalzare di altri popoli, tra i quali i Siculi. I
primi insediamenti, quindi, si fanno risalire al III millennio a.C. Castelbuono un area madonita che
fino ai primi decenni del ‘600 fu residenza di molti mastri provenienti da varie parti della penisola
e oltre,chiamati dai Ventimiglia.
1.1. NOTIZIE STORICHE
Intorno il 1316 Francesco I Ventimiglia fonda il
castello commemorando l’evento con
un’iscrizione incisa su una lastra di marmo,
arrivata integra ai nostri giorni. Un abitato è già
esistente ma sarà volontà del Conte di Geraci
rifondare la cittadina per farne un importante
centro dei propri possedimenti, fonderà quasi
contemporaneamente al castello strutture
religiose, il convento di San Francesco D’assisi
ed il monastero benedettino femminile di
Santa Venera.
È nel secolo XV che inizia ufficialmente la
vicenda di Castelbuono “capitale dei
Ventimiglia”: Giovanni I Ventimiglia, acquisito il
titolo di Marchese di Geraci, vi trasferisce la
corte marchionale da Geraci. Da quel momento
radicali trasformazioni della struttura urbana
ed una serie di interventi edilizi direttamente
riferibili alla presenza dei Ventimiglia, fanno si
che Castelbuono diventi un vero e proprio
stato autonomo all’interno del Regno di Sicilia
assume infatti i connotati di vera e propria città
feudale. Al primo marchese di Geraci e ai suoi
immediati predecessori si deve anche la
creazione dei quartieri. Qui di seguito si
elencano i vari quartieri della cittadina ,con la
loro denominazione e la loro approssimativa
localizzazione per mettere in evidenza quale
fosse la consistenza e la forma dell’abitato, a
metà del 1500. (Vedi fig 1) I quartieri erano 5;
Terra Vecchia ,Vallone o d’Oriente, Quartiere
della Fiera o di Santa Venera, Quartiere della
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Castelbuono ( ypsirigro sino al xiv secolo, Castiddubbonu in Siciliano) è un comune italiano della provincia di Palermo
in Sicilia.Geraci Siculo a sud ed Isnello e Gilbilmanna ad ovest. Fa parte del Parco delle Madonie.
Fig 1. Il centro urbano di Castelbuono con
l’approssimativa delimitazione dei quartieri a metà del
XVI secolo.(1) il Castello, (2) la Torre del Giardino, (3) il
Giardino del Belvedere, (4) il Giardino delli Cerasi, (5) il
Vallone, (6) il giardino e l’orto del convento di San
Francesco
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Manca e Quartiere di Sant’Antonio Abate. Quest’ultimo è un quartiere che ha una morfologia
fusiforme con isolati lunghi e stretti, strade regolari nella sezione,con lievi curvature e graduali
cambi di pendenza. È proprio in questo quartiere che sorgerà il convento dei domenicani, dove al
suo interno si trova oggi l’opera.
Nel 1583 giungono infatti i Domenicani per volere del giovane marchese Giovanni Ventimiglia che
concede corpulenti donazioni assegnando prima una rendita d’onze trenta annuali, quindi onze
400 una tantum per l’erezione delle fabbriche
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e poi una rendita annuale per altre 50 onze.
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Onze
30 vengono invece al convento da una donazione di Anna Ventimiglia, Marchesa di Geraci. Intorno
alla fine del ‘500 l’erezione delle fabbriche dei domenicani e nel pieno
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ed essa continua
alacremente nei primi anni del ‘600 con la realizzazione del chiostro con colonne in pietra,
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oggi
non più esistente. La chiesa viene completata solo intorno al 1613, cioè dopo la fondazione del
convento che da antichi registri generalizi dei domenicani di catania risulta fondata nel 1583
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.
Inoltre da un manoscritto
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risultano le seguenti parole: est locus terre Castriboni sub titulo SS.mi
rosarii habet redditus: temporales 125, spirituales vero 4. Possunt ali commode fratres 8. Fruit
fundatus anno domini 1583. Sempre sulla stessa pagina si legge la seguente postilla: “ tutti
concordano con la relazione sulla data di fondazione. Una relazione del 1637 lo dice fondato il 25
aprile 1583 dal p. Vincenzo Saladino da Collesano, il quale ne fu per molti anni vicario, con la
licenza del Rev. Mo. Giuseppe Civino, vic. Gen. Di Messina, a petizione del marchese di Geraci,
Giovanni Ventimiglia, e dotato da sua moglie Donna Anna (Arch. Conv. Palermo, MSS. Montalto, II,
f.132). Il 12 settembre 1583 il Rev. Mo. concesse la facoltà al provinciale di poter accettare <<
conventum seu locum in quadam terra Ill. mi. DD. Marchionia de Geracio situm>> (AGOOP IV, 44, f
88), ed il 16 maggio 1586, ad istanza dello stesso marchese, fu eretto in priorato e ne fu istituito
priore il p. Vicenzo Saladino (ib. F. 90). Il visitatore Mattoncini nel 1588 lo ridusse a vicariato (AFP
44 (1974), 128, 132, 135).
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Con atto in notar Pietro Paolo Abruzzo di Castelbuono del 15 luglio 1583 il Marchese di Geraci dona il terreno con
alberi selvatici, olivastri e olivi domestici, attorno al convento e verso il nord (AST, notai, busta 2221A, carta 684 verso
e segg.). Cinque anni dopo i monaci hanno piantato 13000 viti e parte del terreno attorno viene coltivato ad orto con
cardi domestici; esso rende 12 onze l’anno di gabella al convento (AST, notai, busta 2258, carta 111)
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Repertorio delle rendite del convento, agli atti di notar Francesco Schimbenti di castelbuono il 28 gennaio del 1588
(AST, notai, 2258, carta 111).del 24 maggio 1586 (AST notai busta 2274,carta 594 e segg.) ed in notar Filippo Guarneri
del 3 settembre 1615 (AST , notai ,busta2235B, carta 3 e segg.)
Vendita di calce al monastero, agli atti di notar Filippo Guarneri l’1 settembre 1598(ast, notai busta,2234°carta1).
Come risulta per atto in notar Pietro Paolo Abruzzo del 7 agosto 1592(ast notai ,busta 2195B, carta 179 e segg.) il
marchese Giovanni Ventimiglai paga onze 50 ai domenicani “ per la fabbrica del monastero”e onze 30 ai cappuccini
per “la fabbrica”. Con atto in notar Giovan Giacomo Russo del 23 marzo 1591(AST notai busta 2301 carta 313 verso e
segg.) Mastro Bernardino Conforto si obbliga a fare 200 canne di pietra e tutta quella quantità di sabbia da consegnare
dentro la chiesa del convento. Del 19 giugno 1606,in notar Francesco Schimbenti, è altra fornitura di altre 150 salme di
calce (AST notai busta 2285 carta 146 e segg.)
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Registriamo un acquisto di pietra da parte dei domenicani agli atti di notar Filippo Schimbenti il 14 novembre 1606
(AST ,notai ,busta 2286 carta 73)ed un acquisto di calce allo stesso notaio il 10 maggio 1608 (AST notai busta 2286
carta 236).Con atto di notar Filippo Schimbenti del 14 novembre 1606 mastro Giovanni Longo e mastro Giovanni
Francesco Lima “ scalpellini “di Castelbuono si obbligano a fare duodecim basia sotto li colonni deli claustri dicti
conventus illius lapidis conformi alle altri di iusta mesura prout sunt alia basia incepta in dicto conventu (AST,
notai,busta 2286, carta 74)
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Le notizie riportate da questi documenti alludono alla fondazione del convento anche se il convento non esclude la
chiesa che però inizialmente poteva anche essere una cappella. Il fatto che sia dal 1402 esisteva in Castelbuono la
<<Pia Associazione di Maria SS. Del Rosario>>si intuisce che un edificio dove si svolgessero sacre funzioni preesistesse,
e che con la venuta dei domenicani sarà stato ampliato e modificato.(dal giornale le Madonie , nel solco della fede
castelbuonese “la chiesa della madonna del rosario”,pag 3, Antonio Mogavero Fina, biblioteca castelbuono
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Storia della Provincia Domenicana di Sicilia, cap. Sicilia nel censimento generale del 1613, Padre Coniglione, Catania
1937, p. 265 (archivio dei Domenicani di Catania)
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Insieme ai conventi (benedettini domenicani agostiniani) proliferano a Castelbuono tra la seconda
metà del ‘500 e il terzo decennio del ‘600 le confraternite le compagnie e le società,talune aventi
sede presso le chiese dei conventi, altre con propri oratori indipendenti affiancate alle chiese.
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Saranno spesso le chiese dei conventi ad ospitare le sedi di nuove confraternite, talvolta in una
problematica convivenza nello stesso locale, talvolta in ambienti propri,come nel caso della
confraternita del rosario, avente un oratorio adiacente alla omonima chiesa dei Domenicani
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Un
importanza determinante hanno le maestranze che operavano a Castelbuono attorno alla seconda
metà del ‘500, operavano infatti in campo edilizio muratori longobardi, ma anche lapicidi toscani .
Nel 1601 infatti risulta da atti che mastro Geronimo Gambaro e il fratello Antonino lavorassero
come mastri muratori nella fabbrica del convento dei domenicani di Castelbuono
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unico edificio
rimasto che testimonia il lavoro di questi mastri. In esso troviamo alcuni elementi che si possono
far risalire alla tradizione “lombarda”,come ad esempio un ottima tecnica muraria ,l’architettura
del convento domenicano cosi come quello della coeva Matrice Nuova mostrano il definitivo
trionfo della nuova maniera soprattutto nella conformazione degli spazi
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. Quasi certamente
l’architettura del convento e della chiesa domenicana sono da attribuire agli architetti dell’ordine,
mentre a discrezione dei Gambaro esecutori rimane la definizione di alcuni particolari costruttivi
ed alcune scelte tecniche sui materiali da impiegare. Altro mastro fu Bernardino Conforto che
esegui ornamenti in stucco. In realtà guardando con attenzione predomina la tradizione
domenicana poichè ad esempio planimetricamente la chiesa ripete la tipologia dell’aula
quadrangolare con alto soffitto ligneo a capriate in fondo alla quale s’innesta lo spazio quadrato
dell’abside-coro con una copertura più complessa, tipologia tipica delle chiese degli ordini
mendicanti nei secoli XIV e XV.
Gli ultimi lavori nella fabbrica conventuale furono realizzati nel 1775, avvennero infatti varie
decorazioni dell’Oratorio e modifiche strutturali che ne distaccavano tale Oratorio dalla chiesa
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,
alla quale vi si accedeva mediante una porticina di passaggio aperta nel muro divisorio con la
Cappella del Crocifisso. Tale transito fu dunque chiuso con mattoni, il vuoto rimasto nello spessore
del grosso muro venne adibito a ripostiglio, e per ragioni di comodità e soprattutto di estetica se
ne scavò un altro al lato opposto: identiche porte florealmente pitturate
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ne coprirono le
aperture.
Nel 1783 il convento fu soppresso
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,e più avanti con la legge del 7 luglio del 1866, n.3036 di
soppressione delle corporazioni Religiose, con l’art.18 fu stabilito. “ sono eccettuati dalla
devoluzione al demanio e dalla conversione, gli edifici ad uso del culto che si conserveranno a
questa destinazione, in un coi quadri statue, mobili e arredi sacri che vi si trovano”, dunque per
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Il moltiplicarsi di confraternite dedicate al santissimo Rosario viene documentato dagli atti ufficiali dell’ordine
domenicano alle cui fondazioni le dette confraternite erano spesso associate(si vedano: Coniglione Matteo Angelo –
op. cit. pag 357 e segg.Giarrizzo Giuseppe op.cit.vol.VI pag 65-66)
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Con atto in notar Bartolomeo Bonafede di Castelbuono del 4 maggio 1644 mastro Giuseppe,mastro Francesco e
mastro Guglielmo Conforto, fratelli , insieme a mastro Filippo Raffo eorum sororius si obbligano con la società del
Santissimo Rosario ad a edificare,construere,et fabricare cappellam dictoe societatis noviter inceptam e voltari lo
dammuso di detta cappella. (AST notai busta 2438, carta 145 e segg.)
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Atto d’obbligazione di mastro Geronimo Gambaro col convento di Santa Maria del Rosario in notar Giovan
Francesco Prestigiovanni il 4 settembre 1601 (AST notai busta 2308 carta 6 verso e segg.) atto d’obbligazione di
mastro Antonio Gambaro col convento del Rosario, in notar Giovan Francesco Prestigiovanni il 5 novembre 1601 (AST
notai busta 2308, carta 80 verso)
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Castelbuono capitale dei Ventimiglia, Eugenio Magnano di San Lio, Catania 1996
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Alla cosi detta <<chiesa grande>> era annesso l’Oratorio della <<chiesa piccola>>, disimpegnato dai Domenicani per
l’istruzione scolastica e religiosa del popolo, secondo le finalità volute dai Ventimiglia.
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Le porte furono vendute dalla confraternita nel 1958-9, e con il ricavato fu restaurato il gruppo ligneo dell’artista
Gioacchino galbo.
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Libro O, p. 250, Archivio dei Domenicani di Catania
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tale motivo fu venduto a privati il convento è lasciata la chiesa alle cure dei fedeli
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, in quanto non
si voleva urtare la popolazione nelle sue pratiche di culto, togliendo tutte le chiese dei religiosi. Gli
edifici furono venduti dall’allora sindaco di Castelbuono Bonomo Filippo alla nobile famiglia Turrisi
in data 16/10/1897.attualmente gli stabili sono in possesso dagli eredi.
1.2. LA CHIESA DEL SANTO ROSARIO
L’edificio non ha particolari strutture architettoniche, la facciata mostra un tetto a spiovente con
una modanatura che forma un timpano, al centro del quale vi si trova un’apertura ovale che da
luce all’interno, insieme ad un’altra apertura a finestra incorniciata, posta centralmente appena
più in basso. Nella parte inferiore, un unico portone da accesso alla chiesa. L’interno come
precedentemente si è detto rispecchia le strutture dell’ordine dei mendicati del XIV–XV secolo,
strutture dunque semplici e poco decorate, dovute al fatto che l’ordine religioso imponeva una
regola primitiva quale il voto alla povertà; è costituito da un’unica navata con otto altari ed una
Cappella del SS.Crocifisso, consta anche di un ampio vano adibito a sacrestia, dove vi si accede dal
presbiterio che risulta essere delimitato da una balaustra ottocentesca. Nel suo interno si trovano
in corrispondenza degli altari sette dipinti di ampie dimensioni e un crocifisso .L’opera oggetto di
restauro si trova nell’altare maggiore e rappresenta la Madonna del Santo Rosario
1.3. L’ORATORIO
L’Oratorio lo si trova posizionato alla destra della chiesa.
Sul fronte della facciata si legge a caratteri cubitali <<REGINA SS.MI ROSARJ ORA PRO NOBIS>>.
Questo piccolo, ma delizioso luogo sacro, possiede nel suo interno quadretti dipinti attribuiti al
palermitano Domenico Martorana. Le pareti sono bianche e ornate con semplici decorazioni in
oro. L’altare centrale del XVII secolo in marmo è stato realizzato dal marmoraro Paolo Licata. I
dipinti su tela custoditi nell’oratorio sono muniti di cornici coeve, nello specifico si possono
ammirare i << Misteri del Rosario>>: Incoronazione della vergine, Annunciazione, Crocefissione,
Presentazione al tempio di Maria, Nascita di Gesù, Presentazione al tempio di Gesù, Gesù fra i
dotti, Gesù nell’orto
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,flagellazione di Gesù, Ecce Homo, Incontro di Gesù con Maria, Ascensione di
Cristo. La pavimentazione cinquecentesca, ormai del tutto perduta è realizzata in maiolica, in essa
sono visibili appena varcata la porta di ingresso, tre piccole lapidi sepolcrali
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. All’interno è
custodito un gruppo scultoreo che raffigura la Madonna del Rosario con San Domenico opera dello
scultore Gioacchino Galbo vissuto nel secolo scorso, restaurato nel 1958-59 dagli amministratori
della confraternità. Per recuperare i fondi per tale restauro furono vendute le porte decorate a
motivi floreali dei ripostigli e i banchi addossati intorno alle pareti scolpiti in legno in stile rococò.
L’oratorio è stato da sempre gestito dalle confraternite; La confraternità con decreto firmato da
Vittorio Emanuele e da Mussolini in virtù del concordato del 1929 tra Santa Sede e lo Stato Italiano
<< ritenuto la confraternita avente scopo esclusivo e prevalente di culto, viene ammessa alla
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Sono edifici ad uso di culto non solo le chiese ,ma anche le sacrestie i campanili etc etc che servono per uso del culto
pubblico legge del 7 luglio 1866 di soppressione delle corporazioni religiose
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Dipinto che sembrerebbe di mano differente risulta evidente la qualità di esecuzione più scarsa, probabilmente di
attribuzione al pittore Rosario Drago giovane pittore concittadino – giornale “le Madonie”, Antonio Mogavaro Fina.
18
<<hic jacet Joseph Martorana cum husore- Obiit die …anno MDCC >>; <<hic jacet caratulus Gregorius Fiasconaro –
Obit die IX junii a. 1852>>; Hic jacet Laurentia nata Ficili Uxox >Sante fiasconaro Martini-Obiit die vigesima nona
septembris Anni 1871>>.( “le Madonie”, A. Mongavaro Fina)