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Introduzione
La stabilità economica di un Paese discende, fortemente, da una efficiente gestione del
debito pubblico. Difatti, gli economisti sono costantemente impegnati nella ricerca di
soluzioni in grado di ridurre il livello del debito dello Stato. L‟esperienza empirica
colloca il debito pubblico tra le cause generatrici di recessioni, disoccupazione,
inflazione, tassi di interesse elevati, deficit della bilancia dei pagamenti ed altre cagioni
inadeguate dell‟andamento del sistema economico.
Il presente lavoro di tesi mira a chiosare i meccanismi che portano alla formazione del
debito pubblico; esplica la relazione tra variazioni del debito pubblico, livello iniziale
del debito e livello corrente della spesa pubblica e delle imposte; studia il rapporto
debito pubblico Prodotto Interno Lordo e l‟evoluzione e le problematiche derivanti da
un elevato debito, ovvero mostra in quali circostanze e per quali ragioni il debito può
diventare un danno per l‟economia; il principio che si vuole mettere in luce è che elevati
disavanzi di bilancio e la conseguente formazione di debito possano frenare
l‟accumulazione di capitale, lo sviluppo degli investimenti e dell‟occupazione, mettere a
repentaglio la stabilità del sistema economico, aumentando il rischio di crisi finanziarie,
rendere difficile condurre la politica monetaria e, più in generale, costituire un ostacolo
per il mantenimento dell‟Italia nell‟Unione Europea.
Inoltre, si analizza il federalismo fiscale nelle sue svariate forme e si passa in rassegna
la riforma del Titolo V della Costituzione e l‟ambiguità del modello di perequazione
delle risorse descritto nell‟articolo 119 costituzionale e nel decreto legislativo numero
56 del 2000; ancora, si presentano metodologie ed ipotesi di ripartizione del debito
pubblico tra le Regioni e gli effetti delle politiche di riequilibrio della finanza pubblica.
Infine, la convinzione secondo cui un fattore decisivo di squilibrio del bilancio pubblico
fosse, da tempo, rappresentato dal deficit primario che si realizza nelle Regioni
meridionali e che risulta ben più cospicuo degli avanzi che il settore pubblico consegue
nel Centro – Nord, viene alquanto ridimensionata da accurati calcoli che includono le
componenti di natura non specificamente fiscale del bilancio pubblico come i pagamenti
per gli interessi sul debito pubblico, il rimborso ed il collocamento dei titoli di Stato; il
risultato è ancor più eloquente se si esamina con attenzione il contesto italiano,
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caratterizzato da una marcata asimmetria nella distribuzione dei titoli del debito nelle
diverse Regioni e da una ingente spesa per interessi.
Le metodologie di analisi adoperate nel presente lavoro sono di natura sia teorica che
empirica; la struttura complessiva della tesi, peraltro, è corredata da numerosi quadri di
approfondimento.
Più in particolare, nel primo capitolo viene introdotta, anzitutto, l‟espressione del
vincolo di bilancio del Governo, la quale esprime la variazione del debito pubblico in
funzione del livello iniziale del debito stesso, che ne determina la spesa per interessi,
della spesa pubblica al netto degli interessi e delle imposte, qualora si assuma che il
disavanzo di bilancio possa essere finanziato unicamente ed interamente con
l‟emissione di nuovi titoli di Stato. Attraverso il vincolo di bilancio del Governo si
mettono in luce i processi di formazione del debito pubblico e si esaminano le cause che
provocano una crescita eccessiva del disavanzo di bilancio e gli effetti di determinate
politiche fiscali sulla dinamica del debito. Vengono, poi, esternate alcune considerazioni
sulla rilevanza degli avanzi e dei disavanzi di bilancio, considerando, in modo
particolare, il ruolo non sempre negativo giocato da questi ultimi.
Per valutare, invece, la capacità di indebitamento di un Governo, espressa in relazione
alla solidità della sua economia e alla fiducia che riscuote nei mercati, la sostenibilità
del debito pubblico, ovvero la possibilità che il debito pubblico si autoalimenti con il
debito accumulato che produce, in modo continuo e crescente, nuovo debito per
finanziare la spesa per interessi, ed il livello del debito in generale, si intende far
riferimento al rapporto costituito dal debito pubblico al numeratore e dal Prodotto
Interno Lordo al denominatore, ed all‟andamento di tale rapporto nel tempo.
Infine, vengono sviscerati i pericoli di un elevato debito pubblico, le eventuali strategie
da mettere in atto per tentare di ridurre la cosiddetta “insostenibilità” del debito
pubblico e, attraverso la teoria “politica” del debito, i motivi che impediscono un
intervento immediato del Governo finalizzato al risanamento economico-finanziario del
Paese.
Nel secondo capitolo viene compendiata la storia del federalismo italiano con i suoi
passaggi più significativi. Si esplorano gli effetti del federalismo evidenziando quelli
che potrebbero essere i vantaggi/benefici oppure gli svantaggi/sacrifici discendenti da
una realizzazione pratica e totale del movimento; si richiamano tematiche etiche basate
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sulla nozione di “equità orizzontale” a cui la letteratura sul federalismo fiscale ha dato
scarsa rilevanza e, quindi, la esigenza di soppesare, nell‟ambito del dibattito sul
federalismo, gli aspetti di efficienza con quelli distributivi cercando di ravvisare quel
giusto trade-off tra equità ed efficienza più consono agli interessi del Paese.
Comunque, il centro di interesse del capitolo posa sull‟accezione del “federalismo
integrale”, che prevede la ripartizione dell‟intero debito pubblico tra le Regioni, un
progetto molto affascinante e suggestivo ma che presenta notevoli difficoltà di messa in
punto, come dimostrato anche dal caso, proposto nel capitolo, di alcuni studiosi che
hanno simulato una ipotesi di ripartizione del debito pubblico tra le Regioni italiane.
Nel terzo capitolo si discute la riforma del titolo V della Costituzione, che, secondo
opinione comune, è risultata mal scritta e non sufficientemente elucubrata; invece di
ridimensionare l‟eccessiva moltiplicazione e frantumazione dei Governi, con ipotesi di
accorpamento, è stato introdotto un ulteriore livello, le Città Metropolitane. In aggiunta,
si considera l‟ambiguità della nuova Costituzione in riferimento alla struttura di
finanziamento che dovrebbe sostenere il programma di decentralizzazione a favore degli
enti locali. Il nuovo articolo 119 presenta aspetti oggettivamente contraddittori. Il terzo
comma esalta l‟autonomia degli enti locali, istituendo un fondo perequativo, senza
vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante. Ma il
quarto comma prevede che il finanziamento delle funzioni attribuite agli enti territoriali
sia “integrale”, con un riferimento, pertanto, alla nozione di fabbisogno finanziario. Poi,
il quinto comma si riferisce ad ulteriori interventi da parte dello Stato centrale
assimilabili a trasferimenti vincolati basati su indicatori diversi dalla capacità fiscale. E‟
evidente che l‟evoluzione del sistema finanziario locale dipenderà dal peso associato a
questi diversi commi ed alla loro interpretazione. Nell‟articolo 119, l‟ambiguità è
riferibile anche al significato da attribuire al concetto di “territori”.
Infine, nel capitolo vengono marcate le differenze tra il Vecchio ed il Nuovo testo della
Costituzione ed è disquisito il decreto legislativo 56/2000, che ha avuto una certa
influenza sul Costituente. Il decreto si concentra, in sostanza, sul problema della
perequazione delle risorse tra aree territoriali; l‟idea di fondo era quella di abolire i
trasferimenti erariali ordinari alle Regioni in luogo di una compartecipazione al tributo
erariale IVA. La redistribuzione tra le Regioni delle risorse provenienti dalla
compartecipazione all‟IVA sarebbe avvenuta, inizialmente, sulla base del “riparto
storico”, ovvero in base ai trasferimenti aboliti nel 2001 in modo da garantire a ciascuna
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Regione nel primo anno le stesse risorse che avrebbe avuto con il vecchio sistema, e
poi, progressivamente con un percorso di 12 anni, sulla base di una formula contenente
parametri oggettivi.
Nel quarto ed ultimo capitolo si tratta il tema della redistribuzione del debito pubblico
mediante l‟annovero di alcuni metodi e modelli. Molti dei criteri per la ripartizione del
debito pubblico non hanno basi teoriche e si fondano su considerazioni politiche a breve
termine, favorendo l‟utilizzo di regole facili da capire ed implementare; la regola della
distribuzione neutrale del debito di Cattoir e Docquier, ispirata alla proposta di Dréze,
invece, si basa su considerazioni di equità/efficienza, cioè qualsiasi separazione o
secessione avverrebbe solo per ragioni di efficienza e non per scopi di redistribuzione
interregionali. Questi metodi, sovente, fanno riferimento alla contabilità
intergenerazionale, strumento proposto dalla letteratura economica negli ultimi anni
che, inizialmente, veniva utilizzato per valutare la dinamica e la sostenibilità finanziaria
del debito pubblico e, poi, è diventato sempre più un indicatore del grado di
equità/iniquità intergenerazionale delle politiche di bilancio.
Un ulteriore tema affrontato nel capitolo concerne il cosiddetto “residuo fiscale”, ossia
il saldo tra entrate e spese pubbliche, che dovrebbe essere compensato dalla
perequazione fiscale e che, essendo stimato in modo differente, ovvero nel calcolo del
residuo tal volta si includono e tal‟altra si escludono la spesa per interessi ed il rimborso
del debito pubblico, ingenera non poche discordanze di valutazione, soprattutto nel
contesto italiano contraddistinto da una sostanziale difformità nella distribuzione dei
titoli tra Regioni meridionali e settentrionali.
Si mostra come anche politiche di riequilibrio apparentemente eque comportino in realtà
effetti redistributivi a favore delle aree più ricche, soprattutto mediante il ricorso al
concetto di “equivalenza ricardiana”, al quale sono riconducibili i problemi e della
ripartizione del debito pubblico e degli effetti redistributivi delle politiche di rientro.
Infatti, il problema della redistribuzione del debito si riscontra proprio poiché tutti i
cittadini, e non solo i detentori di titoli pubblici, partecipano alle manovre di
risanamento.
Il lavoro termina con alcune considerazioni conclusive in cui il riferimento principale
cade nuovamente sui problemi specifici che pone l‟adozione del federalismo fiscale in
un sistema dualistico come quello italiano, sulla ripartizione del debito pubblico tra le
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Regioni italiane, non tralasciando i risultati ottenuti col “residuo fiscale finanziario”,
che chiariscono, in qualche maniera, il ruolo e la posizione del Sud del Paese.
Per lo svolgimento dell‟intero lavoro di tesi sono risultati fondamentali i dati reperiti
tramite le fonti Istat e Banca d‟Italia, e diversi libri tra i quali si ricordano:
Blanchard O., (2003), “Macroeconomia”, edizione italiana a cura di Giavazzi F.,
il Mulino;
Giannola A., Scalera D. (1996), L’Autonomia finanziaria delle regioni e gli
effetti delle politiche di riequilibrio della finanza pubblica, in “Studi
Economici”, 55;
Giannola A., Petraglia C., (2007), “Politiche dell‟offerta, della domanda e
programmazione dello sviluppo. Il dualismo „dimenticato‟, in Rivista
economica del Mezzogiorno, il Mulino, 1/2007;
De Iaco L., Fausto D., (2005), “Debito federalista e riforma federalista”, lavoro
presentato alla Giornata di studio sul tema “Riforme istituzionali e mutamento
strutturale in un sistema dualistico. Mercati, imprese ed istituzioni” tenuta a
Roma il 29 settembre;
Cattoir P. e Docquier F.,(2004), Debt-sharing and secession: A Generational
Accounting Approach, Regional Studies, vol. 38.3.
Peraltro, sono stati utilizzati numerosi articoli presenti nelle principali riviste di
economia, tra le quali si ricordano Rivista Economica Del Mezzogiorno ed Economia e
Management.
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Capitolo 1
FORMAZIONE, EVOLUZIONE E RIDUZIONE DEL DEBITO
PUBBLICO
1.1. Premessa
Il debito pubblico assume grande rilevanza negli studi macroeconomici in quanto
condiziona fortemente lo sviluppo economico dei paesi.
Gli economisti ritengono che elevati disavanzi di bilancio, e la conseguente formazione
di debito possano frenare l‟accumulazione di capitale, lo sviluppo degli investimenti e
dell‟occupazione, mettere a rischio la stabilità del sistema economico, aumentando il
rischio di crisi finanziarie, rendere difficile condurre la politica monetaria e, più in
generale, costituire un ostacolo per il mantenimento dell‟Italia nell‟Unione Europea.
La grave entità del problema, quindi, induce i governi ad individuare costantemente
soluzioni in grado di ridurre il debito pubblico.
Nelle pagine seguenti il processo di formazione del debito pubblico sarà introdotto con
lo studio del vincolo di bilancio del Governo, mediante il quale si studieranno anche le
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cause che determinano una crescita eccessiva del disavanzo di bilancio e gli effetti di
determinate politiche fiscali sulla dinamica del debito. Seguirà la valutazione del
rapporto debito/PIL e la sua evoluzione nel lungo periodo per apprezzare la capacità di
indebitamento di un governo e la sostenibilità del debito pubblico. Infine, verranno
analizzati i pericoli di un debito pubblico elevato e le eventuali strategie da mettere in
atto per tentare di ridurre la cosiddetta “insostenibilità” del debito pubblico.
1.2. Cosa si intende per debito pubblico
Il debito pubblico altro non è che il modo con cui lo Stato (amministrazioni dello Stato,
amministrazioni locali e enti di previdenza) finanzia un disavanzo nel suo bilancio; esso
è costituito dalla somma del deficit di bilancio del periodo attuale più gli interessi che si
stanno pagando per i titoli emessi nei periodi precedenti allo scopo di finanziare i
precedenti deficit di bilancio; il deficit o disavanzo pubblico è la differenza tra spese ed
entrate, ovvero l‟importo delle spese che non trova copertura con le entrate. In Italia, il
debito viene contratto a livello nazionale dal Governo centrale e a livello locale dagli
organi amministrativi regionali, provinciali e comunali. I titolari del debito pubblico,
ossia i creditori dello Stato in questione, sono tutti quei soggetti che hanno finanziato lo
Stato in qualche maniera. Grazie al debito pubblico ogni Stato finanzia la propria
crescita economica, i servizi che offre ai suoi cittadini, i suoi investimenti: per questo
motivo una corretta gestione del debito pubblico è fra i più importanti compiti di ogni
Governo. Anche perché, se anno dopo anno, il bilancio dello Stato chiude sempre con
un deficit, ossia le entrate superano sempre le uscite, alla fina viene a realizzarsi una
situazione insostenibile, come quella di un individuo che sistematicamente spende più
di quanto guadagna ed è quindi costretto ad indebitarsi con un meccanismo a spirale.
Tuttavia, nel giudicare la situazione del debito, più che il suo ammontare assoluto,
occorre considerare la capacità di una nazione di provvedere al rimborso e al “servizio
del debito” (cioè al pagamento degli interessi); difatti, i fondi occorrenti per il servizio
ed il rimborso devono derivare da ciò che una nazione produce annualmente (cioè dal
suo Prodotto Interno Lordo) ed è quindi essenziale che si mantenga una certa
proporzione fra il debito pubblico e il PIL; in concreto, il rapporto tra il debito pubblico
18
ed il PIL costituisce un importante indice della solidità finanziaria ed economica di uno
Stato. Per salvaguardare la tenuta delle finanze pubbliche, i criteri di Maastricht hanno
imposto alle varie nazioni europee alcuni parametri di riferimento. In particolare va
ricordato che si chiese alle nazioni di mantenere il proprio debito entro il 60% del
proprio Prodotto Interno Lordo, oppure che si dimostrasse questa tendenza.
In Italia il debito pubblico costituisce uno dei più gravi problemi economici, a causa
dell‟ingente importo raggiunto dallo stesso; in percentuale sul PIL il debito pubblico
italiano è superiore al 100% (quindi esso ha superato ormai da anni il livello del reddito
nazionale).
1.3. Significati e classificazioni del debito pubblico
Nel sistema delle finanze pubbliche italiane, il debito pubblico viene classificato in:
1) debito estero;
2) debito interno.
Il primo, quello piazzato sui mercati esteri, raccoglie il risparmio fuori del Paese ed
aumenta, contemporaneamente, il Prodotto Nazionale Lordo (PNL) del paese su cui è
stato collocato. E‟ previsto che, dopo un determinato periodo, venga restituito al paese
debitore il capitale versato più gli interessi passivi; è impiegato produttivamente solo se
concorre ad incrementare il gettito fiscale necessario per pagare gli interessi passivi.
Il secondo, invece, è collocato sul mercato interno e non comporta nessun incremento
del PNL.
I prestiti possono classificarsi in :
1) forzosi, se sottoscritti obbligatoriamente da alcuni risparmiatori e prelevati
coattivamente dal Governo;
2) liberi od ordinari, se vengono sottoscritti liberamente dai risparmiatori, perché
da questi ritenuti convenienti o soddisfacenti;
19
Una ulteriore distinzione si ha in base alle modalità di emissione:
a) emissioni alla pari, se la somma con cui si acquista il titolo è uguale al suo
valore nominale; sul valore nominale vengono calcolati gli interessi e viene, poi,
rimborsato alla scadenza;
b) emissioni sotto la pari, se il prezzo di acquisto è inferiore al valore nominale del
titolo e, di conseguenza, sarà inferiore anche il tasso di interesse nominale;
c) emissione diretta, se lo Stato offre in proprio i titoli ai sottoscrittori, con
l‟evidente vantaggio di non dover pagare alcun aggio agli intermediari, ma con
l‟equivalente rischio di non riuscire a collocare l‟intera somma;
d) emissione indiretta, con la quale si hanno i vantaggi e gli svantaggi inversi,
perché vi è la presenza degli intermediari;
e) emissione mista, se lo Stato offre al pubblico direttamente il prestito tramite il
sistema bancario, che garantisce la sottoscrizione in proprio di quei titoli che non
trovino collocazione presso i risparmiatori.
Infine, il debito pubblico, in base alla scadenza, può dividersi in:
debito fluttuante, che rappresenta una forma di finanziamento con scadenze non
superiori all‟anno (da 3 a 12 mesi) destinate a coprire esigenze momentanee di
cassa dello Stato;
debito consolidato, che è contratto per far fronte ad esigenze eccezionali ed ha
sempre lunga durata.
Il debito consolidato è ulteriormente classificabile in redimibile ed irredimibile; nel
primo caso lo Stato si impegna, oltre a pagare gli interessi, anche a rimborsare il
capitale alla scadenza (il titolo che rappresenta questo tipo di debito è detto
obbligazione), mentre nel caso del debito irredimibile lo Stato è obbligato a pagare gli
interessi ma non a rimborsare il capitale (in tal caso il titolo che lo rappresenta è detto
rendita).
Il debito pubblico si estingue col rimborso dei titoli, alla data di scadenza o
anteriormente, mediante sorteggio; per estinguere quote di debito pubblico lo Stato può
anche acquistare i titoli in borsa o esercitare l'opzione di rimborso anticipato, se le
20
clausole di emissione del titolo lo prevedono
1
. Talora però gli Stati, in situazioni di forti
pressioni causate da gravi crisi economiche o turbolenze politiche, sono ricorsi
all'estremo rimedio di disconoscere il proprio debito pubblico per intero o in parte.
1
Per maggiori notizie sui titoli dello Stato, si rimanda al quadro di approfondimento “Tipi di titoli del
debito pubblico”.
Tipi di titoli del debito pubblico
In Italia ci sono quattro tipi di titoli del debito pubblico:
- i Buoni Ordinari del Tesoro (Bot), sono titoli di breve durata, inferiore o al massimo
uguale a un anno, e vengono emessi ed acquistati dai cittadini ad un valore più basso
del loro valore nominale; alla scadenza essi vengono rimborsati, invece, al valore
nominale;
- i Certificati di credito del Tesoro (Cct), sono rappresentati da titoli a scadenza medio -
lunga e hanno la caratteristica di poter avere una cedola per il pagamento degli
interessi variabile e legata al rendimento dei titoli di durata più breve;
- i Buoni del Tesoro poliennali (Btp), sono titoli a cedola fissa che possono essere di
qualsiasi durata superiore ad un anno;
- i Certificati del Tesoro Zero Coupon (Ctz), che hanno una durata di 24 mesi.
Su tutti questi titoli di Stato c‟è un vantaggio fiscale rappresentato da una tassazione di favore
al 12,50%, riscossa come imposta sostitutiva mediante ritenuta alla fonte .
I tassi di interesse per i Bot, per i Cct, per i Btp e per i Ctz sono diversi tra loro, per la
diversità delle caratteristiche che definiscono ciascun titolo (come, ad esempio, la scadenza
del titolo stesso).
Ma per i titoli che hanno caratteristiche simili, i tassi di interesse devono tendere ad
uguagliarsi, altrimenti gli investitori si sposterebbero da un titolo all‟altro fino a determinare
una uguaglianza nei diversi tassi di rendimento.
Questo implica che esiste una relazione inversa tra il tasso di interesse di ogni tipo di titolo del
debito pubblico ed il prezzo di mercato di quel titolo.
21
1.4. Dinamica del debito pubblico in Italia
Di seguito è raccontata brevemente la vicenda del debito pubblico italiano dalla
costituzione del Regno d‟Italia ai giorni nostri.
Il periodo che va dall‟unificazione del paese alla fine della seconda guerra mondiale è
caratterizzato, fondamentalmente, da quattro vicende di crisi del debito pubblico, risolte
in differenti modi per le condizioni economiche e politiche nelle quali si verificavano:
1. la prima crisi viene risolta dalla Destra storica mediante il ricorso all‟aumento
delle entrate;
2. il risolutore della seconda crisi fu Giolitti che, grazie anche al contesto
internazionale favorevole, riuscì a combinare, in modo virtuoso, risanamento e
sviluppo;
3. in un quadro politico autoritario, viene risolta la terza crisi dal fascismo con un
drastico consolidamento forzato;
4. la quarta crisi viene risolta dall‟inflazione esplosa alla fine della vicenda bellica.
Gli anni cinquanta sono caratterizzati da una comune filosofia della politica economica
e della politica monetaria, entrambe orientate verso l‟obiettivo della stabilità e della
ricerca di un sostanziale pareggio del bilancio pubblico; il debito pubblico
2
veniva
utilizzato prevalentemente per sostenere il processo di accumulazione di capitale e di
sviluppo economico.
Durante gli anni sessanta, iniziarono a materializzarsi le condizioni che avrebbero
permesso la formazione di disavanzi strutturali, attraverso una serie di iniziative di
potenziamento della spesa pubblica corrente nei settori della sanità, della previdenza
sociale e dell‟istruzione,e che avrebbero esteso i loro effetti soprattutto nel decennio
successivo.
Nel periodo degli anni ottanta, il rapporto debito/PIL esplose. La difficile situazione
economica italiana fu gravata dalla modifica del finanziamento del disavanzo del
2
Il debito pubblico, in quegli anni ,era rimasto sostanzialmente costante come percentuale del prodotto
interno lordo al 30 per cento
22
bilancio pubblico a favore del debito collocato sul mercato anziché sottoscritto dalla
Banca centrale
3
.
Solo a partire dal 1992, anno in cui veniva firmato il Trattato di Maastricht, l‟Italia fu in
grado di invertire la rotta. Per aderire all‟Unione, si rendeva necessario il rispetto di
alcuni vincoli, che imposero strategie di aggiustamento. Arrivando ai giorni nostri, il
debito pubblico italiano nel 2008 ha toccato quota 1,658 miliardi di Euro, pari a 103,7%
del Prodotto Interno Lordo. L‟Italia si batte con l‟Egitto per la sesta posizione per il più
alto rapporto debito/PIL e fra le 50 economie più avanzate è seconda solo al Giappone,
che vanta un rapporto debito/PIL del 177%. Certo, i problemi, ad oggi, non sembrano
per niente risolti ed influiscono negativamente sull‟economia italiana; dunque, la ricerca
di uno stratagemma non può ancora essere demandata nel tempo, ma esso appare di
ardua risoluzione.
1.5. Analizzando il vincolo di bilancio del Governo
L‟equazione del livello del debito pubblico può essere composta a partire dalla
definizione del disavanzo di bilancio, che nell‟anno t è rappresentato da:
[1.1]
Le variabili sono espresse in termini reali. B
t-1
è il debito pubblico alla fine dell‟anno t-1
ovvero all‟inizio dell‟anno t; r è il tasso di interesse reale, che in questo caso
consideriamo costante. Di conseguenza rB
t-1
esprime gli interessi corrisposti sui titoli
dello stato in circolazione. G
t
è la spesa pubblica in beni e servizi nell‟anno t, T
t
sono le
imposte al netto dei trasferimenti nell‟anno t. Riassumendo, quindi, il disavanzo di
bilancio è uguale all‟interesse sui titoli in circolazione, più la spesa in beni e servizi,
meno le imposte al netto dei trasferimenti.
3
La ragione era essenzialmente rappresentata dall‟impossibilità di continuare con una prassi
inflazionistica divenuta esplosiva
t t t t
T G rB disavanzo
1
23
Nel calcolare la spesa per interessi sul debito esistente viene utilizzato il tasso di
interesse reale in quanto espressivo di una misura più corretta del disavanzo rispetto
all‟utilizzo del tasso di interesse nominale. In tal caso il disavanzo è spesso denominato
“disavanzo corretto per l’inflazione”.
Per quel che concerne i trasferimenti va chiarito che essi non sono considerati
nell‟ambito della spesa pubblica, poiché G è stata definita come spesa in beni e servizi,
ma vengono sottratti da T, che rappresenta le imposte al netto dei trasferimenti. Il
risultato in termini di disavanzo non cambia dato che si tratta di espedienti matematici
(sommare i trasferimenti alla spesa ovvero sottrarli alle imposte) che influenzano la
misurazione di G e T ma non il calcolo del disavanzo nel complesso.
Nel proseguire la trattazione bisogna assumere che il disavanzo di bilancio possa essere
finanziato unicamente ed interamente con l‟emissione di nuovi titoli di Stato senza il
ricorso al finanziamento monetario. Dall‟assunto precedente deriva che:
[1.2]
la variazione del debito pubblico nel corso dell‟anno t deve essere uguale al disavanzo
nel corso dello stesso anno. Il debito pubblico aumenta o diminuisce a seconda che il
governo registri rispettivamente un disavanzo o un avanzo.
A questo punto, utilizzando l‟ultima definizione fornita del disavanzo, il vincolo di
bilancio del governo può essere scritto come:
[1.3]
Il vincolo di bilancio esprime, quindi, la variazione del debito in funzione del livello
iniziale dello stesso (che ne determina la spesa per interessi), della spesa pubblica al
netto degli interessi e delle imposte.Il disavanzo di bilancio può convenientemente
essere scomposto nella somma di due componenti: da un lato il valore degli interessi sul
debito, rB
t-1
; dall‟altro l‟eccesso di spesa al netto degli interessi, rispetto alle imposte,
G
t
– T
t
denominato disavanzo primario (oppure avanzo primario qualora siano le
imposte ad eccedere la spesa pubblica). L‟equazione [1.3] equivale a:
B
t
- B
t-1
= rB
t-1 +
G
t
– T
t
interessi sul debito disavanzo primario
1
t t t
B B disavanzo
t t t t t
T G rB B B
1 1
24
Spostando B
t-1
sul lato destro dell‟equazione e riordinando tutti i termini si ottiene:
Il debito alla fine dell‟anno t è uguale a (1+r) moltiplicato per il debito alla fine
dell‟anno t-1, più il disavanzo primario, G
t
– T
t
.
1.6. A proposito dei disavanzi
Non sempre disavanzi continui hanno effetti negativi di lungo periodo sulla produzione
e sull‟accumulazione di capitali.
Disavanzi (o avanzi) di bilancio possono essere utilizzati per stabilizzare l‟attività
economica e distribuire nel tempo il costo di eventi particolari come guerre o catastrofi
naturali.
Quindi i disavanzi prodotti in periodi di recessione dovrebbero essere compensati da
avanzi nei periodi di espansione per non aumentare il livello del debito costantemente.
Gli economisti hanno costruito misure del disavanzo in riferimento al livello naturale
della produzione che permettano di valutare la bontà di una data politica fiscale: tali
misure determinano “il disavanzo corretto per il ciclo”.
Se il disavanzo effettivo è positivo ma il disavanzo corretto per il ciclo è nullo allora la
politica fiscale è compatibile con l‟obiettivo di non aumentare nel tempo il debito: il
debito aumenterà fin quando la produzione sarà inferiore al suo livello naturale, ma
quando essa tornerà a tale livello il debito si stabilizzerà.
Non è preclusa la possibilità per il Governo di generare disavanzi corretti per il ciclo
positivi. Ma in tal caso il ritorno della produzione al suo livello naturale non sarà
sufficiente a stabilizzare il debito; il governo dovrà in futuro produrre avanzi corretti per
il ciclo.
t t t t
T G B r B
1
1 [1.4]