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Introduzione
Da anni il fenomeno povertà suscita grande interesse, stimolando
l’attenzione di studiosi e ricercatori interessati a riflettere,
analizzare ed approfondire questo tema. La povertà ha assunto nel
tempo un diverso significato. Non basta pensare a tale fenomeno
come mera carenza di risorse economiche, ma è più opportuno
parlare di una povertà multidimensionale, che meglio rappresenta
la complessità della società in cui viviamo. Lo stile di vita, il lavoro,
l’istruzione, la salute psicofisica divengono vari aspetti della povertà
multidimensionale: si può provare una situazione di disagio
economico a causa di un licenziamento improvviso, di una malattia
invalidante, o per una separazione coniugale, eventi che
condizionano e sono a loro volta condizionati da uno stato di
povertà.
Questa tesi cerca di offrire un quadro dettagliato delle condizioni di
povertà presenti attualmente nel nostro paese, con differenze tra
centro-Nord e il sud dell’Italia, grazie soprattutto al supporto dei
dati forniti dalle fonti statistiche, dai quali emerge che la povertà, a
differenza del passato, riguarda un numero cospicuo ( 13,1 % ) di
individui. Parlo di quei poveri diventati ancora più poveri, e di gente
comune, appartenenti alla classe media, i cosiddetti “stipendiati”
che da un giorno all’altro hanno visto ridurre le loro capacità di
acquisto, costretti a cambiare il loro tenore di vita e a rinunciare ad
una serie di beni e servizi. Queste difficoltà peggiorano con
l’aumento del numero di componenti familiari: le famiglie con due o
tre figli, seppur poche oramai, e per lo più residenti nelle regioni
del sud, sono coloro che incontrano maggiori difficoltà
nell’affrontare le spese necessarie: per la casa, per le utenze, per
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l’istruzione dei figli, per la cura della salute, e in alcuni casi
addirittura per l’acquisto di beni di prima necessità. Ed è proprio nel
Mezzogiorno che la povertà presenta i tassi d’incidenza più elevati
di tutto il paese ( 22,7% ), con un intreccio stretto tra povertà e
disoccupazione. Non vi è dubbio che vada registrato lo scarso
intervento dello Stato nel cercare di garantire il benessere dei
cittadini, qualora questi ultimi non siano in grado di provvedere
autonomamente alle loro esigenze. In una famiglia in cui il
capofamiglia è disoccupato e la donna è dedita alla cura della casa
e dei figli, o che di tanto in tanto si presta a lavori a nero per
contribuire al reddito familiare, il sostegno delle politiche sociali
spesso non basta a garantire una vita dignitosa. In questi contesti
l’istruzione passa in secondo piano ed un “giovanotto di 13 anni”,
se non tanto bravo nello studio, diventa una risorsa per la famiglia
che lo spinge a cercare lavoro, “per aiutare in casa”. Questo stesso
ragazzo avrà da grande ancor meno possibilità dei suoi coetanei
diplomati o laureati ad aver accesso al mercato del lavoro formale.
Ed è molto probabile che restando al sud, diventerà un numero in
più nelle alte percentuali di disoccupazione che riguardano “la terza
Italia”: l’Italia Meridionale, dove le regioni e gli enti territoriali non
hanno abbastanza risorse economiche per investire
nell’occupazione, per creare nuove opportunità lavorative, per
realizzare asili nido per le madri lavoratrici e per migliorare le
condizioni economiche familiari congenite. In uno Stato già debole,
non in grado di sopperire alle diverse esigenze territoriali, il
decentramento amministrativo ( D.P.R. 616/1977 ) ed il federalismo
fiscale introdotto con la recente riforma Legge n.3 del 2001, che ha
previsto l’attribuzione di competenza esclusive nell’ambito delle
politiche sociali e dell’ assistenza alle regioni, l’offerta dei beni e
servizi ed i criteri di accesso assumono un carattere discrezionale, a
seconda della regione e delle risorse disponibili. In mancanza di un
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coordinamento centrale da parte dello Stato, in ritardo rispetto alla
definizione dei LIVEAS, tale situazione è stata la causa principale di
una forte differenziazione territoriale, in cui il diritto alle prestazioni
sociali dipende dal luogo di residenza.
Il lavoro ricostruisce il modo in cui la povertà e l’esclusione sociale
si inseriscono nei processi di cambiamento che a partire dagli anni
Settanta hanno generato trasformazioni socio-demografiche
evidenti in una realtà sociale caratterizzata dal costante aumento
dell’invecchiamento della popolazione, e dal calo delle nascite; ma
anche dalle riforme del lavoro che ne avrebbero dovuto aumentare
le opportunità, ma che in realtà lo hanno reso instabile, precario, e
scarsamente tutelato, in uno scenario in cui la famiglia resta il
principale ammortizzatore sociale. Questi cambiamenti hanno
generato la diffusione di nuovi rischi sociali ai quali ho ritenuto
opportuno prestare attenzione.
Il primo capitolo presenta un’analisi approfondita del concetto di
povertà intesa come povertà assoluta e relativa, a secondo della
prospettiva assunta nell’analisi e nella misurazione di tale
fenomeno.
Nel secondo capitolo si è scelto di approfondire due temi “caldi”: il
lavoro precario e i disagi delle donne in una società poco attenta
alle loro difficoltà quotidiane. Il lavoro precario tocca in particolare i
giovani per i quali si apre, pur studiando a lungo, un futuro del
tutto incerto e poco programmabile; mentre lievita l’effetto
“scoraggiamento” che produce un aumento degli inoccupati e dei
cosiddetti “Neet”, ossia i 2 milioni di giovani che non studiano, non
lavorano e non cercano lavoro. In questo quadro le donne hanno da
sempre maggiori difficoltà ad essere assunte, poiché meno
disponibili e affidabili secondo i datori di lavoro, soprattutto quando
la presenza di figli piccoli, in assenza di servizi offerti dallo Stato,
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rende più difficile dover conciliare il ruolo familiare con gli impegni
lavorativi. Per molte donne la scelta del “part-time” diventa così
una scelta di genere, fatta per non essere costrette a dover
dipendere economicamente dal proprio partner e per contribuire
alle necessità familiari. L’occupazione delle donne si riversa in quei
lavori considerati “tipicamente femminili” spesso marginali e poco
retribuiti, con difficoltà di carriera e di raggiungimento di ruoli di
prestigio. È così che le donne diventano più vulnerabili
economicamente e maggiormente esposte a rischi di povertà.
L’ultimo capitolo concentra l’attenzione sull’intervento delle
politiche sociali in Italia, caratterizzate da una logica assistenziale,
basata sulla residualità degli interventi pubblici e sull’accertamento
del reale stato di bisogno degli individui attraverso la prova dei
mezzi. Gli scarsi investimenti nell’assistenza ai poveri, l’assenza di
uno schema nazionale di sostegno del reddito e l’incapacità delle
istituzioni nell’ affrontare i ritmi del cambiamento dimostrano un
crescente disallineamento tra domanda di protezione e l’offerta di
adeguate misure di aiuto, che costituisce la sfida reale di una nuova
ed urgente riflessione sulle nuove politiche sociali.
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Capitolo I
La Povertà e l’Esclusione sociale
La povertà e l'esclusione sociale negli anni sono state al centro
dell'attenzione di studiosi, sociologi, ricercatori e in epoca
contemporanea anche di policy makers, interessati in particolare
alla definizione del fenomeno “povertà” e all'identificazione dei
“poveri” per l’implementazione di politiche sociali. A partire dagli
anni ‘70 e ‘80, la crescente concentrazione della povertà in alcuni
quartieri urbani, ha indotto gli studiosi a porre maggiore attenzione
agli aspetti della famiglia, del quartiere e della cultura come fattori
determinanti della povertà. Nell’utilizzo di questi due concetti è
fondamentale evitarne l’uso in maniera interscambiabile. La
povertà, come fenomeno unidimensionale, è considerata la forma
più estrema di disuguaglianza nella distribuzione dei redditi, sono
poveri quei soggetti privi di entrate monetarie o così contenute da
costringerli a condurre un basso tenore di vita, ritenuto dalla
generalità dei membri della collettività, cui gli stessi poveri
appartengono, inaccettabile e non degno di un essere umano.
Secondo tale definizione, generalmente la povertà è assimilata ad
una carenza di risorse materiali, cioè ad un'insufficienza di “reddito”
e di risorse ritenute indispensabili per la sopravvivenza, questa
condizione è basata su una valutazione che parte da una
componente puramente economicistica, attraverso gli indicatori di
reddito e consumo del sistema di misurazione. Le stesse statistiche
nazionali dimostrano come reddito e consumo rappresentino ancora
gli indicatori di stima della povertà più utilizzati ( Sommonte 2008 ).
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Pertanto secondo l'approccio unidimensionale la povertà è associata
alla capacità di un individuo, in termini di risorse, di soddisfare i
propri bisogni, quindi il povero è chi non dispone di risorse
sufficienti per garantirsi la sopravvivenza.
1.1 Povertà Assoluta e Povertà Relativa
Secondo Chiara Saraceno ( 2004 ), anche nel definire la povertà
occorre una valutazione su quale sia il livello di disuguaglianza
economica, ossia di mancanza di risorse materiali che risulta essere
insostenibile, non solo per chi la sperimenta sulla propria pelle, ma
per la società nel suo complesso. Tale scelta valutativa si ripresenta
anche quando si tratta di individuare quali siano gli indicatori e gli
strumenti di misurazione più adeguati. Solitamente si è definiti o ci
si definisce poveri, rispetto ad un parametro, cioè facendo
riferimento a ciò che definiamo come adeguato o minimo.
In Inghilterra agli inizi del Novecento, “Rowntree, nel definire il paniere di
beni essenziali […], vi aveva incluso un po’ di tabacco e un po’ di tè, ed anche la
possibilità di pagarsi una pinta di birra al pub” ( www.nuvole.it ),
effettivamente non si tratta di beni essenziali per la sopravvivenza
fisica, ma sono considerati necessari affinché un uomo possa
sentirsi parte della comunità. Nel 1979 Peter Townsend, fornì la
prima definizione di povertà relativa, sostenendo che “una persona o
una famiglia doveva essere considerata povera quando le sue risorse sono così al
di sotto di quelle disponibili alla media degli individui o delle famiglie da
escluderla di fatto dai modi di vita, abitudini e attività comuni” ( ibidem ).
Quindi da queste definizioni di povertà assoluta e relativa si evince,
che non fanno riferimento alla semplice sussistenza fisica, ma alla
sussistenza sociale.
Per poter parlare di povertà assoluta occorre stabilire il valore
monetario di un paniere di beni e servizi, che garantiscano la
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sussistenza di un individuo e per una determinata famiglia e che
siano considerati essenziali a conseguire uno standard di vita
minimamente accettabile. “Sono classificate come assolutamente povere
quelle famiglie con una spesa mensile pari o inferiore al valore della soglia di
povertà assoluta” ( ISTAT 2009, 12 ). Per cui, secondo questa
definizione, nella distinzione tra poveri e non poveri, l'incidenza
della povertà misurata in termini assoluti, comporta che essa si
identifichi con un numero ristretto di casi. Della povertà assoluta si
parla in termini di “sopravvivenza” e di livello minimo ritenuto
“accettabile”. La sopravvivenza spesso è associata alla “miseria
nera”, ossia a quella situazione nella quale la carenza di risorse a
disposizione mette in pericolo la vita dell'individuo o costringe a
condurre una vita in condizione disperate. La definizione di
sopravvivenza è utilizzata in riferimento ad alcuni paesi del terzo
mondo o per i casi di povertà estrema, anche all'interno di paesi
industrializzati. La povertà assoluta fa riferimento anche ad uno
standard di vita ritenuto “minimo accettabile”: in quanto per
discriminare i poveri da i non poveri occorre definire un insieme di
bisogni ritenuti essenziali e quelle risorse che ne consentono un
soddisfacimento minimo, in modo che, coloro che non dispongono
di questo minimo di risorse sono qualificati come poveri. Sono
considerati bisogni essenziali: le necessità fisiologiche di base, quali
l’alimentazione, l’alloggio, la salute l'igiene e il vestiario su cui si
basa la povertà assoluta. L’aggettivo assoluta sottolinea che essa
prescinde dagli standard di vita prevalenti all'interno della comunità
di riferimento e non dà peso al contesto socio-economico e al ruolo
che quest’ultimo gioca nel determinare le condizioni di povertà.
Esistono alcuni bisogni che hanno origine ed assumono importanza
rispetto alla società di appartenenza e che non entrano a far parte
di quel paniere di beni e servizi ritenuti essenziali per il
conseguimento di uno standard di vita minimamente accettabile,
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ma sono considerati importanti per l’individuo per la sua
realizzazione sociale. “Si pensi ad esempio ai beni durevoli: il possesso di un
personal computer o di una connessione ad internet sono ormai divenuti dei beni
di primaria importanza nelle società occidentali, ma la loro mancanza non incide
sicuramente nel determinare la condizione di povertà dell’abitante di una favela
messicana, dove altre mancanze sono ben più gravi e prioritarie” ( Sommonte
2008 ,79 ). Considerare la povertà in termini assoluti comporta una
serie di nodi problematici: in prima analisi il povero è
quell'individuo che non dispone di risorse sufficienti alla
sopravvivenza e vive in una situazione cronica di disagio. Altro
limite consiste nello stabilire l'ammontare minimo di consumi che
garantisce tale sopravvivenza: infatti, che il soggetto si accontenti
di poter disporre solo di alcuni beni non significa che debba
considerarsi soddisfatto. Nel definire un “minimo accettabile”
occorrerebbe considerare che tale standard varia in base alla
situazione storica sociale e ambientale; infatti, basta pensare che
l'essere poveri nel terzo mondo è diverso dall'essere poveri in
Europa, ma anche la povertà del Nord d’Italia non è certo
paragonabile alla situazione di disagio del Mezzogiorno. Ma ciò che
dovrebbe far riflettere è che, almeno nelle società avanzate, la
responsabilità collettiva nei confronti dei singoli individui non
dovrebbe limitarsi a garantirne la mera “sopravvivenza”.
La povertà intesa come fenomeno relativo consente di superare
buona parte di questi limiti, la povertà relativa consiste ”in una
condizione di deprivazione inserita all'interno di una vasta rete di relazioni sociali,
cioè di disuguaglianza che caratterizzano una data società in un dato momento“
( http://sociologia.tesionline.it ). Diversamente dalla povertà assoluta,
la condizione del povero dipende non soltanto dal reddito
individuale, ma dal contesto nel quale il reddito viene percepito;
per cui occorre far riferimento al contesto geografico e alla
condizione di vita media della società presa in esame. In questa
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prospettiva i bisogni presi in considerazione, non sono quelli che
garantiscono la sopravvivenza, come per la povertà assoluta, ma
dipendono dall'ambiente sociale, economico e culturale e variano
nel tempo e nello spazio. La stima della povertà relativa si basa sul
confronto del reddito o dei consumi individuali con quelli della
comunità a cui appartiene l’individuo che costituiscono il valore
medio o mediano della linea della povertà relativa. Pertanto la linea
della povertà relativa non corrisponde a un valore costante, ma
varia rispetto al contesto geografico, storico e socio-culturale.
Proprio per questo occorre prestare molta attenzione al modo in cui
vengono interpretati i dati, infatti come sostiene Roberto Cellini: "le
condizioni di recessione generalizzata, talvolta, implicano l'uscita di persone dalla
fascia della povertà relativa, non perché si sia innalzato il loro reddito
individuale, ma perché, proprio per effetto della recessione, si è abbassato il
livello della linea di soglia della povertà" ( ibidem ).
1.2 Povertà Soggettiva e Povertà Oggettiva
La povertà oggettiva differisce dalla povertà soggettiva, in quanto
un conto è misurare la povertà basandosi su dei dati
oggettivamente verificabili, altra cosa è stimare la povertà
soggettiva partendo dalla percezione che il soggetto ha della
propria condizione di povertà. Ciò implica non poche difficoltà,
infatti la percezione soggettiva varia nel tempo e differisce in base
alle aspettative che ogni persona ha e queste dipendono dalla
cultura d'appartenenza, dall'ambiente in cui si è vissuti,
dall'influenza che ha su di noi la pubblicità ed il gruppo dei pari.
Nella Nota del 16 luglio 2009, l'ISAE ( Istituto di Studi ed Analisi
Economica ) definisce "soggettivamente poveri quegli individui il cui reddito
familiare è inferiore a quello da loro ritenuto adeguato, ovvero necessario per
condurre un'esistenza senza lussi ma senza privarsi del necessario" ( p.1 ). Le