Il problema da me analizzato, tratto da un articolo di Alistair Ulph, contenuto nel
testo di R. Pethig “Conflicts and cooperation in managing environmental resources”,
riassume questo contrasto, poichè considera da un lato le tasse sulle emissioni,
dall’altro gli standard ambientali: dall’esame della letteratura in materia questi sono
gli strumenti più usati per la protezione ambientale.
Mediante la teoria dei giochi si può dimostrare come la scelta di uno strumento possa
portare a risultati differenti in termini di benessere per le imprese e per i paesi stessi.
In quest’ottica ho esaminato un caso specifico nel quale i risultati più importanti sono
stati i seguenti: uno standard sulla quantità di un fattore utilizzato nella produzione di
un bene è più efficiente, in termini di benessere, di una tassa sul consumo del fattore
stesso, nell’ipotesi in cui il commercio internazionale sia deciso strategicamente (cioè
le scelte di un paese che si riferiscono ad un primo stadio influenzano le scelte in un
secondo stadio). Nel caso in cui sia assente l’aspetto strategico, le due politiche
ambientali avranno gli stessi effetti in termini di benessere.
Dobbiamo tuttavia rilevare che i risultati enunciati dipendono in larga parte dalle
ipotesi del modello considerato, soprattutto da quelle di informazione perfetta delle
autorità e di mancanza di tecnologie di abbattimento dell’inquinamento.
D’altra parte i modelli utilizzati per analizzare l’interazione strategica e le politiche
ambientali presentano parecchie ipotesi alternative, cambiando le quali si giunge a
risultati e conclusioni profondamente diverse.
La limitazione principale di questo lavoro è sicuramente la specificità del caso
studiato. Il modello utilizzato è molto semplificato e le conclusioni raggiunte
dipendono essenzialmente dalle ipotesi assunte. Del resto il mio scopo non è quello
di elencare le varie opzioni metodologiche in termini di teoria dei giochi. Ho inteso
unicamente mostrare come le strutture teoriche del commercio strategico possano
essere abbinate alla scelta di politiche ambientali.
Quindi mi è sembrato opportuno dare, nella prima parte della tesi, nozioni teoriche
che riguardassero gli argomenti trattati nel lavoro di Ulph, per poi analizzarlo nella
seconda parte in modo particolareggiato.
Più in dettaglio, nel capitolo 1 è presentata una sintesi dei vantaggi e degli svantaggi
connessi all’utilizzo di tasse e standard. Le politiche ambientali sono considerate e
confrontate, sia a livello nazionale, sia a livello internazionale e soprattutto con
riferimento ad interazioni strategiche tra imprese.
Nel secondo capitolo, ai fini di una migliore comprensione delle questioni analizzate
in seguito, ho esposto alcune nozioni di teoria dei giochi: tra queste l’equilibrio di
Nash e l’equilibrio perfetto nei sottogiochi.
Nel terzo capitolo ho introdotto i casi più semplici di interazione strategica tra
imprese: il modello di Cournot e il modello di Stackelberg. L’analisi di questi
modelli, soprattutto in termini di giochi non cooperativi e non ripetuti, permette di
comprendere appieno le procedure adottate nel caso studiato.
Gli elementi di teoria dei giochi, cosiccome i modelli di oligopolio sono presentati in
un modo semplice, limitando le dimostrazioni e utilizzando delle esemplificazioni.
Nella seconda parte della tesi il mio intento è stato quello di spiegare e quindi
ampliare con interpretazioni personali il contenuto del lavoro citato. In particolare il
capitolo quarto si sofferma sull’analisi del modello utilizzato e dei risultati dello
stesso.
Nel capitolo finale ho proposto una rassegna degli studi effettuati nella stessa
direzione del lavoro studiato, evidenziando i limiti del modello e proponendo
eventuali estensioni.
Questa seconda parte si pone come la parte più personale del mio lavoro, nella quale
ripercorro per tappe le proposte di Alistair Ulph, mettendone in evidenza i passi
salienti e tutto ciò che un “addetto ai lavori” come l’autore può aver omesso, perchè
supposto già noto.
La doppia appendice, infine, riguarda i procedimenti di ottimizzazione vincolata e
libera, nonchè una definizione delle caratteristiche delle curve di isoprofitto. Si tratta
comunque di contenuti finalizzati alla comprensione dei capitoli 3 e 4.
Parte prima
Capitolo primo
Le politiche ambientali
1.1.Introduzione.
L’introduzione di strumenti per la conservazione ambientale e gli effetti sulle
variabili del sistema economico ad essi connessi sono stati in questi ultimi anni
oggetto di analisi per molti studiosi.
L’analisi teorica pur prendendo spunto dal dibattito politico si è mossa secondo
direttive profondamente diverse.
Inizialmente il problema è stato affrontato da un punto di vista di efficienza ed
efficacia degli strumenti oggetto dell’analisi e, in parte, da un punto di vista di
coordinamento e monitoraggio delle azioni dei singoli agenti.
Prima di iniziare l’analisi è necessario esporre alcuni semplici concetti utili all’uopo.
L’attività economica di alcune imprese può creare esternalità negative (o
diseconomie esterne); esse sono definite come un danno, procurato da un soggetto a
terzi nel corso della propria attività economica, senza che sussista tra essi un rapporto
commerciale.
Se i terzi sono rappresentati dalla collettività possiamo considerare il fenomeno
dell’inquinamento come un’esternalità negativa.
Affinchè si possa valutare la bontà di ciascun strumento di politica ambientale e
quindi effettuare un corretto paragone tra di essi, è necessario ricordare i criteri di
efficacia ed efficienza. Un metodo è efficace se è in grado di raggiungere gli obiettivi
prescelti mentre è efficiente se è in grado di minimizzare l’ impiego di risorse, dato
un determinato obiettivo. Negli ultimi tempi il problema dell’efficienza sta
acquisendo via via un’importanza rilevante, soprattutto in un’ottica di problema
planetario dell’inquinamento.
1.2.Tasse e standard.
Per eliminare le cosiddette diseconomie esterne sono utilizzati vari metodi.
Relativamente ai metodi disponibili, a noi interessano soprattutto gli standard sulle
emissioni e le tasse. I primi rientrano nella categoria delle politiche di controllo
diretto mentre i secondi fanno parte dei cosiddetti incentivi di mercato. Entrambi
sono comunque metodi che fanno pagare l’inquinatore.
Riguardo alle politiche di controllo, gli standard sono attualmente la forma più
diffusa di strumento per la politica ambientale e costituiscono la misura più popolare
e utilizzata da autorità legislative e regolamentatrici.
Gli standard sono soglie imposte dall’autorità sui livelli delle attività produttive
inquinanti. A questo proposito ricordiamo la definizione proposta da Baumol-Oates
(1975): ”Lo standard è una direttiva per il singolo decision maker che stabilisce,
limitatamente ad uno o piu’ input e/o output dell’attività produttiva e di consumo, il
livello massimo (minimo) che deve essere mantenuto “.
I tipi più conosciuti di standard sono i cosiddetti standard sulle prestazioni
(performance standard) di una impresa e quelli sulla tecnologia (design standard).
Essi sono fissati con riferimento a criteri connessi alla salute dell’uomo: si impone,
ad esempio, di non superare un certo livello di sostanze inquinanti per mantenere
l’acqua potabile.
La definizione di standard richiede la presenza di un’agenzia di monitoraggio che
controlli l’attività dell’inquinatore e che abbia il potere di imporre una multa in caso
di infrazione, altrimenti l’unico incentivo al rispetto per l’inquinatore sarebbe
rappresentato da una qualche forma di coscienza sociale.
Pertanto gli standard sono associati a multe, nel senso che gli inquinatori sono
perseguiti penalmente nel caso in cui non rispettino le norme.
Gli standard presentano alcuni vantaggi, soprattutto in termini di efficacia; tra questi
il fatto che essi sono senza dubbio un metodo a lungo sperimentato, che presenta
buone garanzie per il raggiungimento degli obiettivi prefissati. Una volta fissata la
quota, si è certi di realizzarla se si hanno i mezzi per imporla all’inquinatore.
Inoltre lo standard costituisce uno degli strumenti più rapidi da implementare,
soprattutto in condizioni di emergenza ambientale e per evitare effetti irreversibili.
Da un punto di vista di efficienza lo standard presenta parecchi limiti; infatti, una
volta raggiunta la quota imposta, non vi é alcun incentivo a passare a tecnologie
meno inquinanti. In fin dei conti si finisce per accettare una tecnologia mediocre. Le
industrie sono infatti costrette ad allinearsi ai livelli prescritti quali che siano i costi
marginali per raggiungerli.
Anche da un punto di vista di costi, lo standard non si configura come uno degli
strumenti più vantaggiosi soprattutto in termini di costi sociali complessivi,
sicuramente maggiori.
Non dobbiamo poi dimenticare la lentezza e pesantezza delle procedure
amministrative e giudiziarie ad esso collegate.
I cosiddetti incentivi di mercato sono invece invocati a gran voce dagli economisti e
consistono in sistemi che operano mediante la fissazione di prezzi per i servizi
ambientali attraverso il mercato.
La forma concettuale più semplice di un incentivo basato sul mercato è proprio
l’onere o tassa sull’inquinamento. Nella realtà solitamente viene fissata una tassa sul
prodotto o sul fattore produttivo (noi tratteremo quest’ultimo caso).
Da un punto di vista di efficacia la tassa presenta parecchie lacune. Innanzitutto
richiede una grossa mole di informazioni poichè, per fissare un livello ottimale di
tassazione, è necessario conoscere la curva di costo marginale esterno, o funzione di
danno. E’ opinione comune che una stima concreta della funzione di danno sia nella
realtà molto difficoltosa e comunque suscettibile di diverse interpretazioni.
Pertanto le stime dei danni potrebbero essere manipolate e dare adito a controversie
legali.
Inoltre la tassa rappresenta un elemento di novità nell’ambito delle politiche di
controllo dell’inquinamento; l’organo di regolamentazione preferisce utilizzare
politiche ambientali in uso già da tempo e delle quali si fida ciecamente.
Lo scarso utilizzo di tasse è dovuto anche al fatto che l’introduzione di tasse
ambientali può provocare nel breve periodo l’insorgere di costi economici di
transizione: si crea infatti un aumento della pressione inflazionistica, con
rallentamento della crescita economica e diminuzione dell’occupazione causata dalla
pressione fiscale.
Per contro le tasse presentano parecchi vantaggi sottovalutati dagli operatori
soprattutto in un’ottica di efficienza: nell’approccio in termini di standard,
l’inquinatore ha come unica ambizione quella di raggiungere la quota fissata, se
possibile al minimo costo. Ragion per cui egli non ha alcun incentivo a realizzare
tecnologie dal costo più basso mentre nell’approccio in termini di tasse, in particolar
modo quelle sugli input, l’innovazione in campo tecnologico, sinonimo di notevoli
risparmi di energia, é stimolata. Le aliquote delle tasse possiedono l’interessante
vantaggio di far selezionare spontaneamente agli operatori le opportunità migliori di
riduzione delle emissioni. Per cui con le tasse vi sarà una distribuzione molto più
efficiente degli sforzi di riduzione tra gli inquinatori: è questo l’aspetto della
cosiddetta efficienza allocativa.
La tassa presenta, inoltre, un vantaggio di manovrabilità che consiste nella possibilità
di variare le aliquote nel corso del tempo, in relazione al mutare dei livelli di
inquinamento. Diversamente gli standard si presentano come misure difficilmente
modificabili, se non in ampi intervalli di tempo, a causa della presenza di costi
addizionali.
Il gettito ottenuto mediante la tassazione può poi venir utilizzato per finanziare
politiche di sussidio a favore dell’ambiente o addirittura può venir utilizzato nel
finanziamento della spesa pubblica.
E’ inoltre dimostrabile che se deve essere raggiunto uno standard, una tassa
rappresenta il miglior modo, in termini di efficienza, per realizzarlo. Tale
affermazione, della quale tralasciamo la dimostrazione, non sta a significare una
presunta superiorità delle tasse nei confronti degli standard ma ricorda che la
definizione di uno standard comporta costi totali di riduzione dell’inquinamento più
elevati rispetto all’uso di una tassa fissata per raggiungere un determinato standard.
L’efficacia di una tassa dipende comunque dal livello della tassazione imposta e dalla
posizione di mercato dell’inquinatore. In particolare le imprese oligopolistiche,
essendo in una posizione dominante, possono trasferire la tassazione sui consumatori
e continuare ad inquinare. Per cui il livello della tassazione dovrà essere deciso
dall’autorità anche tenendo conto di quest’aspetto.
Inoltre il profitto medio, ma non il profitto marginale dell’impresa, é solitamente più
basso con il canone che con la norma; ecco perché si dice che il canone ha un effetto
redistributivo di reddito dall’inquinatore a favore della collettività. E’ questo uno dei
motivi per cui le imprese sono solitamente ostili all’utilizzo di tasse.
In conclusione da un punto di vista teorico i vantaggi delle tasse superano di gran
lunga quelli degli standard. Nonostante ciò l’applicazione dei secondi nel settore
ambientale é sicuramente maggiore poichè gli economisti continuano a incontrare
difficoltà nel rendere comprensibile la loro proposta. Infatti sul piano politico il
sistema di tassazione urta contro forti opposizioni:
• l’opposizione dell’industria che preferisce negoziare e influenzare il governo sulla
dimensione della quota piuttosto che pagare una tassa. Le industrie contano inoltre di
poter migliorare le loro tecnologie nel tempo che intercorre tra l’approvazione della
misura e la sua implementazione;
• l’opposizione dei pubblici poteri (governi e parlamenti) che continuano ad
ignorare l’aspetto dell’efficienza della politica ambientale, timorosi di mutare le loro
abitudini e fedeli alle loro tradizioni, e che utilizzano tasse e diritti solo quando vi è il
bisogno di liquidità, (inoltre essi conoscono l’impopolarità delle tasse);
• l’opposizione ecologica che vede nella tassa un acquisto del diritto di inquinare.
Secondo quest’ultima fazione la tassa andando contro una concezione etica di molti
cittadini viene percepita come un declassamento della protezione ambientale da
valore a interesse; la regolamentazione ambientale non può avere il compito di
rendere il mercato più efficiente ma di renderlo più umano.
Del resto lo standard si presenta come una misura di apparente efficacia, e questo
motivo la rende ben accetta ai gruppi ambientalisti e comprensibile all’opinione
pubblica.