Federalismo fiscale: la via italiana
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Introduzione
Il termine federalismo deriva dal latino foedus, foederis, (patto, alleanza) e si riferisce
ad un tipo di struttura politica particolare, ovvero l’associazione di più entità politiche
autonome in una sola organizzazione, per la gestione unitaria di determinati settori (ad
esempio la difesa o la politica monetaria).
Già manifestatasi nel XIX secolo, la tendenza alla centralizzazione si è concretizzata nel
corso del XX secolo, con una modesta inversione di tendenza, però, verso la devoluzione
delle attività del settore pubblico. Oggi, in presenza di forze che agiscono in entrambe le
direzioni, sembra comunque aver preso piede la propensione per la specializzazione e la
complessità della struttura del settore pubblico: ne sono esempio la creazione di governi
delle aree metropolitane, esercitanti la propria giurisdizione sulle città del centro e sulle
loro periferie, oppure il fatto che gli Stati membri della Comunità Europea sottostanno
all’autorità sovranazionale ma, contemporaneamente, si muovono al loro interno verso il
decentramento. Oggi, anche i Paesi in via di sviluppo scelgono la via della devoluzione:
perché? Il decentramento sembra capace realmente di migliorare le perfomances del
settore pubblico. Tuttavia esso non è sufficiente, poiché quasi tutti gli ordinamenti statali
attuali constano di più livelli di governo: vanno allineate le loro diverse politiche e vanno
individuati i giusti strumenti fiscali per ogni livello. Quindi per realizzare dei vantaggi, è
necessario capire quali funzioni vadano centralizzate e quali invece decentralizzare.
Questa è la materia del federalismo fiscale: vanno esplorati, in termini normativi e positivi,
i ruoli dei differenti livelli di governo ed il modo di coordinarne l’azione
1
.
Anche in Italia, si è ragionato sull’opportunità di decentrare le attività di governo,
principalmente quelle di spesa e bilancio, alla luce della grave situazione in cui versano le
casse dello Stato e degli enti locali. In verità, il dibattito si è originato a partire dalle
pressioni che il partito della Lega Nord ha da sempre esercitato in questo senso, in quanto
portatore delle istanze separatiste, più che federaliste, del Centro-Nord, l’area più ricca
del Paese. Tali pressioni politiche, esercitate all’interno della maggioranza di governo, si
sono concretizzate prima nella riforma costituzionale del 2001, che è intervenuta
sull’autonomia legislativa regionale e che ha sancito l’autonomia tributaria di Regioni ed
enti locali, poi con la legge n.42/2009 che pone le basi per una finanza pubblica
decentrata. Le istanze della Lega sono quindi risultate mitigate dalla previsione di
meccanismi perequativi e di sussidiarietà che tutelano le aree più in difficoltà del Paese.
Nel primo capitolo, verranno analizzati i principali modelli teorici elaborati in materia di
federalismo fiscale, dagli anni ’50 ad oggi: a partire dalla teoria della decentralizzazione di
Oates, si illustreranno i principali contributi alla First Generation Theory e,
successivamente, alla Second Generation Theory che presenta ancora oggi un campo di
ricerca molto attivo.
Il secondo capitolo tratterà del finanziamento di Regioni ed enti locali in Italia, negli
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Oates (1999)
Introduzione
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ultimi due decenni, un arco di tempo in cui si è abbandonato il sistema di finanziamento
centralizzato, con la prevalenza di trasferimenti diretti dalle casse statali a quelle locali,
per imboccare la strada del decentramento amministrativo e fiscale. Si passeranno in
rassegna le varie tipologie di entrate fiscali (tributi, entrate e tariffe da controprestazione,
trasferimenti) e le concrete modalità di finanziamento di Comuni, Province e Regioni. Poi
verrà affrontata la modifica della Costituzione al Titolo V ed, in maniera più specifica, la
nuova riformulazione dell’articolo 117 sulle competenze legislative regionali e statali e
dell’articolo 119 sull’autonomia tributaria degli enti locali. A quest’ultimo dà attuazione la
legge delega del maggio 2009, di cui sarà data ampia trattazione nel paragrafo conclusivo
del capitolo.
Infine, il terzo capitolo è dedicato alle considerazioni formulate in merito al nuovo
assetto stabilito dalla legge delega, così come sono emerse dal dibattito tra economisti ed
esperti, e si analizzano le prospettive future, alla luce del maggior problema presente in
Italia, vale a dire l’ampio divario regionale, tra il Centro Nord, ricco e sviluppato, ed il
Mezzogiorno che, nonostante le manovre d’aiuto e i finanziamenti governativi, registra da
sempre un fallimento delle politiche pubbliche.
Federalismo fiscale: la via italiana
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Capitolo I
Teorie classiche e teorie alternative sul federalismo fiscale
Dagli anni ’50 il federalismo fiscale è stato un campo di studi molto fecondo, in cui sono
stati elaborati molti modelli teorici. Per orientarci nella loro analisi, è utile operare delle
distinzioni tra le varie giustificazioni addotte in favore del decentramento fiscale. I possibili
vantaggi ottenuti sono stati ricondotti essenzialmente a due ordini di motivazioni: quelle
legate alla conoscenza e quelle legate agli incentivi. Secondo il primo genere di
motivazioni, un governo decentrato ha modo di venire a conoscenza dei bisogni della
collettività perché reperisce le informazioni tramite le giurisdizioni locali, con le quali i
cittadini possono comunicare più facilmente. Tale considerazione è riscontrabile già in
opere come “The Federalist Papers” e “La democrazia in America” di Tocqueville. Ed
unitamente a ciò, il decentramento garantisce un maggior livello di conoscenza in quanto
permette l'attuazione di esperimenti sociali di autonoma iniziativa dei governi locali. Il
secondo ordine di motivazioni si basa invece sugli incentivi: un governo decentrato limita
la concentrazione di potere nelle mani di pochi uomini o di uno solo con più facilità
rispetto ad un governo centralizzato, grazie al principio di separazione dei poteri che sta
alla base dell'ordinamento federale stesso; i cittadini esercitano un maggior controllo
sull’operato dei decisori politici, che premiano o puniscono attraverso il ricorso al voto (la
possibilità di venir rieletti incentiva i governanti ad una buona amministrazione della cosa
pubblica). Questo genere di motivazione è ravvisabile, oltre che nei testi sopracitati, nel
pensiero politico di Montesquieu.
Si mettono in risalto due aspetti fondamentali: il decentramento permette, dal lato dei
governi, una maggiore informazione sulle preferenze dei cittadini, dal lato dei cittadini una
migliore informazione sull’operato dei governi, conseguente al maggior controllo politico
esercitato. Conoscenza e incentivi appaiono allora come le due facce della stessa moneta
2
.
Muovendoci su questa dicotomia, è possibile quindi tracciare un distinguo tra le teorie
classiche e più familiari che sono state elaborate in tema di federalismo fiscale,
raggruppate poi sotto la dicitura di First Generation Theory (FGT), e quelle appartenenti
ad un filone da essa derivato, denominato Second Generation Theory (SGT).
1. La teoria tradizionale (First Generation Theory)
La FGT propende per il federalismo fiscale in base alle motivazioni relative alla
conoscenza: l'esistenza di rapporti più diretti tra i cittadini e le istituzioni governative
permette di amministrare i beni pubblici
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più saggiamente, cioè secondo la loro utilità e ad
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Garzarelli (2004)
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I beni pubblici sono per definizione beni non escludibili e non rivali.
Capitolo I - Teorie classiche e teorie alternative sul federalismo fiscale
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un costo efficiente, risolvendo così un problema fondamentale per il settore pubblico.
A fondamento della teoria tradizionale stanno due assunzioni basilari:
le preferenze dei cittadini sono eterogenee, per cui le amministrazioni
decentrate, dovendo far riferimento a collettività numericamente più ristrette,
possono tener conto di questa eterogeneità più facilmente rispetto al governo
centrale;
non esiste una perfetta informazione, in quanto gli enti decentrati hanno
sempre a disposizione una quantità maggiore di informazioni rispetto al
governo centrale, il quale, risultando in tal modo limitato, non può allocare
un'offerta dei beni pubblici soddisfacente.
1.1. La teoria della decentralizzazione di Oates
Wallace E. Oates ha illustrato nell'opera del 1972 "Fiscal Federalism" la presunta
superiorità di un sistema di governo decentrato nell'allocazione delle risorse pubbliche,
presentando un modello teorico molto semplice. In esso la collettività nazionale deve
misurarsi con il problema dell'individuazione della quantità ottimale da produrre di un
bene pubblico, la cui produzione avviene secondo rendimenti di scala costanti
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ed in
assenza di esternalità. Si suppone che la collettività sia divisa in due comunità
geograficamente distinte, all'interno delle quali esiste una perfetta omogeneità delle
preferenze individuali, per cui ognuna è rappresentabile da una sola curva di domanda. Si
presume inoltre che il governo centrale, disponendo di un'informazione imperfetta, sia in
grado di erogare solo una quantità del bene pubblico uniforme su tutto il territorio:
questa soluzione centralizzata e indifferenziata obbliga quindi i cittadini di una delle due
giurisdizioni locali a consumare una quantità del bene pubblico maggiore rispetto a quella
desiderabile ed i cittadini dell'altra a consumarne una quantità inferiore, diminuendone il
beneficio. Entrambe le giurisdizioni registreranno una perdita in termini di benessere,
facilmente evitabile adottando una soluzione di tipo decentrato che invece consente la
produzione della quantità ottimale domandata. Oates enuncia quindi che
in the absence of cost-savings from the centralized provision of a [local public] good and of
interjurisdictional externalities, the level of welfare will always be at least as high (and typically higher) if
Pareto-efficient levels of consumption are provided in each jurisdiction than if any single, uniform level of
consumption is maintained across all jurisdictions
5
.
In altri termini, poiché la quantità di un bene pubblico considerata ottimale (ovvero
quella per cui la somma dei benefici marginali dei cittadini eguaglia il costo marginale del
bene pubblico) varia tra le giurisdizioni in ragione dell'eterogeneità delle preferenze,
appare necessario che anche le offerte a livello locale di quel bene varino di conseguenza.
4
Secondo rendimenti di scala costanti, ad un aumento (diminuzione) degli input segue un aumento (diminuzione) proporzionale
dell'output. Il termine “scala” indica il volume della produzione.
5
Oates (1972)
Federalismo fiscale: la via italiana
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P D
a
D
b
K
A B
CM
C
H
0 Q
a
Q
c
Q
b
Q
Figura 1.1.: Secondo il teorema della centralizzazione, l’offerta centralizzata di un bene pubblico Q
c
comporterebbe per la comunità geografica A (che domanda una quantità Q
a
) una mancata copertura dei
costi di produzione, quantificabile con l’area del triangolo ACH, per la comunità geografica B (che richiede
una quantità Q
c
), una perdita di beneficio pari all’area del triangolo KBC.
La preferenza per un governo decentrato si basa quindi sul presunto vantaggio
informativo di cui godono gli enti locali rispetto ad un governo centrale, il quale si mostra
incapace di differenziare la propria offerta di beni pubblici su scala locale. Appare quindi
evidente la rigidità del modello di cui si è servito Oates. La realtà empirica mostra al
contrario l’esistenza di politiche centrali non uniformi su tutto il territorio; inoltre, non si
può escludere che un governo centrale sia capace di acquisire informazioni a livello locale
né che le amministrazioni locali rivelino volontariamente ad esso tutte le informazioni in
loro possesso, in assenza di conflitti. È piuttosto dall’esistenza di eventuali conflitti tra gli
attori pubblici, per l’acquisizione delle informazioni, che può dipendere la scelta in favore
del decentramento fiscale
6
.
Negli anni '90, lo stesso Oates precisa che i precetti da lui teorizzati vanno presi non
come principi, piuttosto come linea-guida generali, facendo notare come la teoria della
decentralizzazione necessiti di una qualche elaborazione, in quanto semplice proposizione
6
Greco (2003)
Capitolo I - Teorie classiche e teorie alternative sul federalismo fiscale
6
di carattere normativo
7
. Si può presumere migliore l'allocazione decentralizzata dei beni
pubblici solo assumendo che cui il governo centrale possa fornire solo un livello di output
unico ed uniforme su tutto il territorio: il federalismo risulterebbe inutile in presenza di
una perfetta informazione. Ma la realtà presenta delle imperfezioni nell’informazione che
rendono impossibile massimizzare il benessere sociale collettivo anche per un governo
centrale "benevolo" che si impegni a fornire una serie di allocazioni differenziate
localmente. In particolare, i governi locali conoscono meglio la geografia dei territori, le
preferenze nonché le condizioni locali: hanno accesso diretto ad una serie di informazioni
che il governo centrale ha difficoltà a reperire; inoltre quest’ultimo deve far fronte alle
pressioni politiche e perfino ad alcuni limiti costituzionali che impediscono la fornitura dei
servizi pubblici ai più alti livelli.
Osserva sempre Oates che l’aumento di ricchezza derivante dalla decentralizzazione
della finanza pubblica dipende dall’estensione dell’eterogeneità delle domande e dei costi
tra le giurisdizioni locali; in particolare, le differenze nella domanda comportano guadagni
inversamente proporzionali all’elasticità di prezzo della domanda. Poiché numerose analisi
econometriche hanno rilevato una grande anelasticità nella domanda di beni pubblici
locali, si può ben sperare in aumenti di benessere piuttosto estesi, conseguenti al
decentramento fiscale.
La teoria tradizionale del federalismo fiscale, ad un livello più generale, affida al
governo centrale la responsabilità principale delle funzioni relative alla stabilizzazione
macroeconomica ed alla redistribuzione del reddito, unitamente al compito di provvedere
a certi beni pubblici, come la difesa nazionale, definibili “nazionali” perché dedicati a tutta
la popolazione nazionale. Ogni governo locale invece deve garantire la fornitura di quei
beni pubblici il cui consumo è limitato alla propria giurisdizione locale, decidendone la
quantità in base alle preferenze ed alle caratteristiche locali.
1.2. La teoria dei club
La teoria dei club prende avvio da un articolo del 1955 di James M. Buchanan, ed è
divenuta poi uno dei più importanti contributi per l’analisi del funzionamento dei governi
locali. La teoria del federalismo fiscale se ne serve per spiegare appunto come vanno
determinate le dimensioni ottimali dei livelli di governo decentrati ed il tipo di servizi di
loro competenza.
Si pensa alla popolazione come ad un gruppo di persone aventi preferenze simili, come
i membri di un club, che per analogia corrisponde ad un governo locale. L’adesione al club
è volontaria cioè i membri scelgono volontariamente di consumare quel bene
8
. Vengono
assunte una serie di ipotesi per rendere funzionale il modello, ovvero: esiste un
meccanismo di rivelazione delle preferenze; vi è corrispondenza tra l’offerta del servizio
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Oates (1999)
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Altrimenti saremo in presenza di beni pubblici puri, ovvero indivisibili e riguardanti tutta la collettività (ad esempio, la difesa
nazionale).