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Capitolo 2
Gli atti persecutori e l’ordinamento italiano
2.1 Lo stalking in Italia prima dell’introduzione della legge n. 38/2009
In Italia, per ragioni culturali e sociali, la valutazione della fattispecie di
reato di stalking è stata estremamente lenta; anche a causa del velo di silenzio
calato dalle stesse vittime. Nel nostro Paese, infatti, il comportamento dello
stalker è stato spesso accettato e considerato normale, nonostante i forti effetti
psicologici sul destinatario ed il concreto rischio di violenze.
Fino all’approvazione del decreto legge 23 febbraio 2009 n. 11, recante
misure contro gli atti persecutori, che introduce la nuova figura di reato e
appronta validi strumenti di tutela giudiziaria e stragiudiziale in favore della
vittima, i comportamenti persecutori erano inquadrati come molestie (art. 660
c.p.), violenza privata (art. 610 c.p.) o ancora come minacce (art. 612 c.p.).
Questi reati non costituiscono risposte efficaci rispetto a persecuzioni ed
intimidazioni reiterate caratterizzate da un escalation di comportamenti
aggressivi che può giungere, nei casi più gravi, sino allo stupro o all’omicidio.
Le sanzioni minacciate difficilmente avrebbero potuto avere efficacia
deterrente. Tale normativa era, di conseguenza, insufficiente e poneva le forze
dell’ordine e le istituzioni giudiziarie in una situazione di impotenza nei riguardi
di chi commetteva atti persecutori.
2.1.1 Art. 660 c.p.: il reato di molestie
La norma che più di ogni altra veniva in rilievo nei casi di stalking è l’art.
660 c.p., molestia o disturbo alle persone, che recita: “Chiunque, in un luogo
pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per
altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l’arresto
fino a sei mesi o con l’ammenda fino a € 516”.
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Questo reato si colloca tra le contravvenzioni, strumento rigido e poco
adatto a reprimere condotte molto diverse fra loro e lesive della libertà morale
della persona.
Questa norma ha l’obiettivo di tutelare l’ordine pubblico; infatti, il
legislatore nell’affermare che è punito chiunque in luogo pubblico o aperto al
pubblico reca molestia o disturbo, non si era posto lo scopo di offrire una tutela
al destinatario della condotta criminosa; quest’ultimo può essere considerato un
effetto riflesso, nella misura in cui l’interesse del singolo coincide con l’interesse
dello Stato nel garantire l’ordine pubblico.
Un limite all’applicabilità di questa norma deriva dal fatto che l’azione
molesta deve avvenire in luogo pubblico o aperto al pubblico, quindi tale reato
non ricorre nel caso in cui la molestia avvenga in luogo privato.
L’art. 660 c.p. copre anche tutte quelle molestie commesse con il mezzo del
telefono; a queste vengono assimilate quelle molestie effettuate con qualsiasi
altro analogo mezzo di comunicazione a distanza. Rientrano tra queste molestie
anche quelle inviate tramite sms, così come specificato in una sentenza della
cassazione del 2004
57
. In tale sentenza infatti viene affermato come gli sms
possono ledere la tranquillità privata del destinatario, che è costretto a leggere il
contenuto del messaggio prima di poter identificare il mittente. In questo modo il
mittente può raggiungere il suo scopo, come se avesse usato lo strumento
telefonico tradizionale. Sempre nella stessa sentenza viene dichiarata la non
punibilità delle molestie effettuate tramite mezzo epistolare.
Sotto il profilo oggettivo il reato di cui all’art. 660 c.p. consiste in qualsiasi
condotta idonea a molestare e disturbare persona terza, interferendo nella vita
privata e relazionale di quest’ultima
58
.
57
Cassazione penale, sezione III, sentenza n. 28680 del 26 marzo 2004, consultabile sul sito
www.ictlex.net.
58
Cassazione penale, sezione I, sentenza n. 8198 dell’8 marzo 2006, in “Cassazione Penale”, 2007, p.
1644.
50
Affinché questa condotta abbia rilievo, ai fini della configurabilità del reato
di cui all’art. 660 c.p., è necessario che il soggetto sia mosso da petulanza o altro
biasimevole motivo.
La giurisprudenza è intervenuta per spiegare cosa debba intendersi per
petulanza; a tal fine in una sentenza del 1998
59
la Cassazione penale ha affermato
che per petulanza deve intendersi ogni atteggiamento di insistenza eccessiva e
perciò fastidiosa, di intromissione continua nell’altrui sfera di libertà.
Tale comportamento viene agito nonostante il soggetto che lo pone in
essere sia consapevole che la sua condotta non è gradita e sia stato diffidato a
porvi fine.
Oltre alla petulanza, l’art. 660 c.p. prevede che le molestie possono essere
caratterizzate da biasimevole motivo, il quale consiste in ogni motivo diverso
dalla petulanza che sia del pari riprovevole, in se stesso o in relazione alla qualità
della persona molestata, e che abbia su quest’ultima l’effetto della petulanza
60
.
Si deve ricordare che, poiché l’oggetto giuridico della tutela penale di cui
l’art. 660 c.p. è sempre l’ordine pubblico, la soglia penale della molestia o del
disturbo è valutata con riferimento alla psicologia media; la causa deve essere
posta in relazione al modo di sentire comune, non a quello della persona offesa.
Il criterio di riferimento è oggettivo, ed è irrilevante che il soggetto molestato
abbia in concreto avvertito fastidio
61
.
Per quanto l’art. 660 c.p. abbia trovato applicazione in molte ipotesi di
stalking, è evidente che il reato di molestie risulta insufficiente a contrastare il
fenomeno in esame.
Rimangono fuori dall’ambito di applicazione della norma sin qui esaminata
molti comportamenti di stalking che non prevedono nessuna forma di contatto in
pubblico, in privato o tramite mezzi di comunicazione con la vittima. Esempi di
59
Cassazione penale, sezione I, sentenza n. 7044 del 13 febbraio 1998, in “Cassazione Penale”, 1999.
P. 1804.
60
Tiseo A., La disciplina dello stalking o molestie assillanti (I parte), in “Diritto e formazione”, n.
4/2007, p. 547.
61
Curci P., Galeazzi G. M., Secchi C., La sindrome delle molestie assillanti (Stalking), Bollati
Boringhieri, Torino, 2003, p.90.
51
tale condotta possono essere i casi in cui lo stalker fa o cancella ordinazioni a
nome della vittima o acquista a suo nome beni e servizi
62
; ancora, casi in cui lo
stalker non molesta in modo diretto la propria vittima, ma ricorre all’aiuto di
terzi, complici inconsapevoli, per attuare la propria persecuzione
63
.
Altro limite all’applicabilità dell’art. 660 c.p. per tutelare la vittima di
stalking consiste nel fatto che, come detto in precedenza, la rilevanza penale
della molestia è valutata con riferimento alla psicologia normale media; al
contrario lo stalking è un reato definito dalla vittima.
Ciò che desta maggiore perplessità resta, comunque, il profilo
sanzionatorio. Essendo il reato di molestia una semplice contravvenzione e non
un delitto, non consente l’applicazione di misure cautelari e prevede solo la pena
dell’arresto fino a sei mesi o un’ammenda fino a 516 €. Queste sanzioni non
forniscono una risposta adeguata ad un fenomeno di tale gravità e rilevanza
sociale come è lo stalking.
2.1.2 Art. 610 c.p.: il reato di violenza privata
Nei casi più gravi di molestia insistente, la giurisprudenza faceva ricorso al
reato di violenza privata di cui all’art. 610 c.p.. Tale articolo afferma: “Chiunque,
con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa
è punito con la reclusione fino a 4 anni.
La pena è aumentata se concorrono le condizioni previste dall’art. 339”.
Tale norma, più dell’art. 660 c.p., offriva maggiori possibilità di tutela della
persona offesa.
Come prima cosa bisogna evidenziare che, con tale norma, il legislatore ha
lo scopo di proteggere la libertà morale della vittima; di conseguenza si supera il
limite dell’ordine pubblico come bene da tutelare, come previsto nel reato di
62
Curci P., Galeazzi G. M., Secchi C., La sindrome delle molestie assillanti (Stalking), Bollati
Boringhieri, Torino, 2003, p. 47.
63
Curci P., Galeazzi G. M., Secchi C., La sindrome delle molestie assillanti (Stalking), Bollati
Boringhieri, Torino, 2003, p. 54.
52
molestia, per giungere alla tutela della persona e della sua libertà di
autodeterminazione, intesa come libertà di agire secondo la propria volontà.
La giurisprudenza ha affermato che il delitto di violenza privata si pone
l’obiettivo di garantire non solo la libertà fisica, ma anche la libertà psichica
dell’individuo. Da ciò si può concludere che tale condotta si realizzi ogni
qualvolta un soggetto, con il suo comportamento violento o intimidatorio, eserciti
una costrizione sulla libertà di volere o di agire del soggetto passivo, così da
costringerlo ad una certa azione, tolleranza od omissione
64
.
Dal momento che la condotta prevista da questo reato non si limita alla sola
violenza fisica, ma prevede anche tutte quelle forme di violenza che possano
incidere sulla libertà e volontà del soggetto offeso, ben si comprende come
questo articolo potesse rispondere in modo abbastanza adeguato alle condotte di
stalking. La previsione di cui all’art. 610 c.p. permetteva di intervenire anche in
quei casi in cui non vi fosse un contatto fisico tra la vittima ed il suo stalker; da
ciò si evince come la condotta molesta comprendesse pedinamenti, telefonate
indesiderate, invio di regali, minacce rivolte a familiari.
Tutte queste condotte devono comunque essere idonee a coartare la volontà
della vittima, realizzando una vera e propria intromissione nella vita privata della
vittima; causando, di conseguenza, un disagio psico-fisico nella vittima stessa.
In conclusione va ricordato che il ricorso all’art. 610 c.p. permetteva al
legislatore di adottare misure cautelari per la protezione della persona offesa al
fine di evitare il concreto rischio che il molestatore potesse commettere gravi
delitti con l’uso di violenza personale.
2.1.3 Art. 612 c.p.: il reato di minaccia
Prima dell’entrata in vigore della legge n. 38/2009, il giudice, nei casi di
stalking, oltre a ricorrere agli articoli già citati, quali l’art. 660 c.p. e l’art. 610
c.p., poteva avvalersi dell’art. 612 c.p., il quale configura il reato di minaccia:
64
Cassazione penale, sezione V, sentenza n. 4554 del 14 aprile 1987, riportata in Tovani S., Trinci A.,
Lo stalking, DIKE giuridica editrice, Roma, 2009, p. 36.
53
“Chiunque minaccia ad altrui un ingiusto danno è punito, a querela della persona
offesa, con la multa fino a 51 €.
Se la minaccia è grave, o è fatta in uno dei modi indicati nell’articolo 339,
la pena è della reclusione fino a un anno con procedimento d’ufficio”.
Secondo tale articolo il reato di minaccia si realizza nel momento in cui vi è
la prospettazione di un male futuro ed ingiusto, che dipende dalla volontà
dell’agente.
Non è necessario che il male prospettato venga realmente agito; ciò che
conta è che tale minaccia possa incutere timore nel soggetto passivo, provocando
delle ripercussioni sulla sfera della sua libertà morale.
Elemento comune sia alle minacce che agli atti persecutori è che non
occorre che le minacce siano pronunciate in presenza del soggetto offeso; ciò che
conta è il fatto che la persona offesa venga a conoscenza di queste espressioni
intimidatorie. Tutto ciò deve avvenire in un contesto per il quale si ritenga che
l’agente abbia avuto la volontà di produrre l’effetto intimidatorio
65
.
Una distinzione tra i due reati sopra citati è rappresentata dalla presenza o
meno di uno stato di paura nel soggetto offeso. Infatti nel reato di minaccia è
essenziale che vi sia una limitazione della libertà psichica del soggetto leso,
causata da un male ingiusto prospettato dall’autore del reato; non è importante
che tale condotta faccia insorgere nella vittima un concreto stato di
intimidazione
66
. Al contrario nel reato di stalking lo stato di ansia e paura che
insorge nella vittima del reato si annovera fra gli elementi fondamentali del reato
stesso.
Perché la condotta del soggetto attivo si configuri come reato, è necessario
che vi sia un nesso tra la condotta ed il turbamento della psiche del destinatario.
65
Cassazione, sezione VI, sentenza n. 36353 del 26 maggio 2003, in “Cassazione Penale”, 2004, p.
4083.
66
Cassazione, sezione V, sentenza n. 31693 del 7 giugno 2001, in “Cassazione Penale”, 2002, p. 2373.
54
Ciò dipende dal fatto che il male minacciato deriva dalla volontà dell’agente e
non sia solo un auspicio di un fatto negativo o un cattivo presagio
67
.
In riferimento alla natura del reato di minaccia si sono sviluppate due tesi
contrapposte.
Nella prima tesi si sostiene che il reato di minaccia sia un reato di evento,
che si consuma nel momento in cui si realizza l’effetto intimidatorio sulla
vittima
68
.
La tesi opposta, invece, afferma che il reato di minaccia deve essere
considerato come un reato di pericolo. In questo caso non è richiesto che il bene
tutelato sia realmente leso mediante l’incussione di timore nella vittima; è
sufficiente che il male prospettato sia idoneo ad incutere timore nel soggetto
passivo, danneggiandone la sfera della libertà personale. Tale valutazione di
idoneità della minaccia ad incutere timore nella vittima va fatta prendendo come
riferimento il criterio delle reazioni dell’uomo comune
69
.
Per il reato di minaccia sembra aver prevalso la seconda tesi; mentre a
proposito di atti persecutori si è favorita la proposta della prima tesi.
Infine si può evidenziare come anche per il reato di minaccia di cui all’art.
612 c.p., come per il reato di molestie di cui all’art. 660 c.p., è prevista una
sanzione che non riesce a rispondere ad un fenomeno tanto complesso come lo
stalking. Infatti è prevista solo una multa di € 51; solo nei casi più gravi è
previsto l’arresto sino ad un anno.
Questo sistema sanzionatorio non riusciva quindi a svolgere la funzione
deterrente.
2.2 Le proposte di legge anteriori alla legge n. 38/2009
Non era agevole scrivere la nuova fattispecie criminosa vista la complessità
del fenomeno in esame. Il percorso per giungere all’attuale legge n. 38/2009, che
67
Cassazione, sezione V, sentenza n. 35763 del 20 settembre 2006, in “Cassazione Penale”, 2007, p.
193.
68
Tribunale di Napoli 8 aprile 2004, in “Rivista penale”, 2005, p. 599.
69
Cassazione, sezione VI, sentenza n. 14628 del 18 ottobre 1999, in “Cassazione Penale”, 2001, p.
1210.
55
introduce nel nostro ordinamento il reato di atti persecutori, è stato lungo e
complesso. È a partire dal 2004 che al nostro Parlamento sono stati presentati
diversi progetti di legge.
Nel 2004 l’onorevole Cossa presentò una proposta di legge che mirava ad
introdurre il reato di atti persecutori nel codice penale. La proposta di legge
n.4891 dell’8 aprile 2004, intitolata “Disposizioni per la tutela delle molestie
insistenti”, era composta da 4 articoli.
Nel primo articolo
70
si cerca di dare una definizione della condotta che
integra il reato facendo riferimento ad un comportamento intenzionale, malevolo
e persistente nel seguire e molestare un’altra persona. Il comportamento deve
essere idoneo a suscitare, nella persona offesa, un ragionevole stato di paura o
disagio emotivo; tale situazione deve incidere sulla libertà morale o personale o,
ancora, sulla salute psico-fisica della vittima.
Al secondo comma dell’articolo 1 viene definito che il reato è perseguibile
a querela della persona offesa e prevede la sanzione della reclusione fino a due
anni e una multa fino a 10.000 euro.
Al terzo comma del suddetto articolo era prevista la procedibilità d’ufficio
nei casi in cui il reato è reiterato o se viene commesso dopo una diffida formale
da parte dell’autorità di pubblica sicurezza. In questi casi è anche previsto un
aumento fino ad un terzo della pena.
Al fine di tutelare la sicurezza fisica e psichica della vittima, all’articolo 2
71
della proposta di legge era prevista la possibilità di applicare all’indagato delle
70
L’articolo 1 della proposta di legge n. 4891/2004 prevede che: “Commette il delitto di molestia
insistente chiunque pone in essere un intenzionale, malevolo e persistente comportamento finalizzato a
seguire o a molestare un’altra persona con attività che allarmano o suscitano una ragionevole paura o
disagio emotivo, che ledono la altrui libertà morale o personale o la salute psico-fisica.
Il delitto di cui al comma 1 è perseguibile a querela della persona offesa ed è punito con la reclusione
fino a due anni e con la multa fino a 10.000 euro.
Se il reato è reiterato o è commesso dopo specifica diffida formale da parte dell’autorità di pubblica
sicurezza ai sensi dell’articolo 3, si procede d’ufficio e, in caso di condanna, la pena di cui al comma 2 è
aumentata fino ad un terzo”.
71
L’articolo 2 della proposta di legge n. 4891/2004 prevede che: “Al fine di tutelare l’incolumità fisica
o psicologica o la libertà personale o morale della persona offesa, dei suoi congiunti o di suoi
conoscenti, il giudice può prescrivere all’indagato di non avvicinarsi al domicilio o ad altri luoghi
abitualmente frequentati dalla persona offesa, o al domicilio di parenti, di affini o di conoscenti della
stessa.
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misure restrittive; tali misure imponevano all’indagato l’obbligo di non
frequentare o frequentare con delle limitazioni il domicilio o altri luoghi
abitualmente frequentati dalla vittima e dai parenti, affini o conoscenti della
stessa.
All’articolo 3
72
era previsto l’istituto della diffida, cui la persona offesa
poteva fare ricorso nei confronti del molestatore. La diffida è una misura
preventiva, fatta dall’autorità di pubblica sicurezza su autorizzazione del
pubblico ministero. Con questa diffida l’autorità di pubblica sicurezza invita il
molestatore a desistere dalla propria condotta.
A chiusura della proposta di legge 4891/2004 era posto l’articolo 4 che
prevedeva l’istituzione dell’osservatorio nazionale sulle problematiche delle
molestie insistenti presso il ministero dell’interno. L’osservatorio era chiamato a
svolgere compiti di ricerca, promozione di campagne di sensibilizzazione e
formazione degli operatori che si occupano della ricezione delle querele e della
redazione delle istanze di diffida. Sempre in questo articolo era prevista la
costituzione, presso ogni questura, di uno sportello del cittadino; lo sportello
doveva divenire il punto di riferimento delle vittime di stalking, che in esso
dovevano trovare il sostegno di figure professionali capaci di aiutarle
nell’affrontare il complesso fenomeno dello stalking di cui erano vittime. A tal
fine la proposta di legge prevedeva che in ogni sportello dovevano essere
presenti almeno uno psicologo, uno psichiatra e un assistente sociale.
Il 29 giugno 2006 fu elaborata una nuova proposta di legge, la n.1249/2006.
Se la frequentazione dei luoghi di cui al comma 1 è necessaria all’indagato per motivi di lavoro o di
cura e in ogni caso quando appare opportuno, il giudice prescrive le relative modalità di frequentazione
e può imporre limitazioni”.
72
L’articolo 3 della proposta di legge 4891/2004 prevede che: “La persona che si ritiene offesa da
condotte che presentano gli elementi del reato di cui all’articolo 1 può presentare all’autorità giudiziaria
competente formale richiesta di diffida all’autore delle stesse.
Quando sussistono specifici elementi che fanno ritenere fondato il pericolo di reiterazione del reato, da
parte delle persone denunciate per il reato di cui all’articolo 1, l’autorità di pubblica sicurezza, su
autorizzazione del pubblico ministero che procede, diffida formalmente l’indagato dal compiere ulteriori
atti di molestia insistente.
La diffida è notificata all’indagato con le forme di cui agli articoli da 148 a 171 del codice di
procedura penale.
Se nonostante la diffida formale l’indagato commette nuovi atti di molestia insistente espressamente
denunciati all’autorità di pubblica sicurezza, si applicano le misure cautelari di cui all’articolo 2, comma
1”.