INTRODUZIONE
Il periodo in cui nasce e si sviluppa il neorealismo nel cinema italiano
è quello della seconda guerra mondiale. La nostra penisola si trova in
una tragica situazione, in cui miseria e disoccupazione sono diffuse
tra la gente. I film neorealistici cercano di dare voce ai problemi
collettivi e ne prospettano o ne auspicano una soluzione positiva e lo
fanno mediante un approccio diretto (simile al documentario) alle
difficoltà ed alle grandi incertezze della popolazione.
L’ambientazione nei luoghi autentici, con conseguenti riprese in
esterni, lontano dagli studi cinematografici e l’utilizzo di attori non
professionisti, danno un taglio reale alla rappresentazione
cinematografica. La coralità della narrazione garantisce che al
centro dell’attenzione non vi siano le vicende del singolo ma
dell’intera collettività.
Il neorealismo cinematografico ha breve durata: nasce all’inizio
degli anni Quaranta, culmina nel periodo immediatamente successivo
la seconda guerra mondiale e declina con gli anni Cinquanta. Esso non
può essere considerato una vera e propria scuola cinematografica,
privo com’è di manifesti, programmi e documenti fondativi, ma un
atteggiamento nuovo di fronte al ruolo dello strumento-cinema nel
mondo, alimentato soprattutto dalla tragedia della guerra e dal
dramma della ricostruzione. Ciò però non toglie che, pur nella
complessità intrinseca del fenomeno, si possano individuare delle
caratteristiche comuni fra i vari artisti e le varie opere che a
questa corrente vengono ascritti, in modo da dare un senso
unificante all’uso del termine “neorealismo”. Ciò che accomuna
questi artisti è un atteggiamento di rifiuto della precedente
tradizione cinematografica, considerata nella sua quasi totalità
come convenzionale nella forma ed artificiosa nei contenuti, lontana
dalla realtà e dai suoi molteplici problemi. Nell’Italia distrutta dalla
guerra, il cinema diventa, agli occhi del mondo, uno dei simboli della
volontà di riscatto degli italiani: con la fine del fascismo e dopo la
resistenza, il cineasta non può isolarsi dalla società, ma di essa deve
diventare testimone e coscienza critica, impegnato anch’egli, nei
limiti delle sue possibilità, in un progetto di rinascita nazionale.
Un’ulteriore caratteristica del fenomeno è costituita dall’estrema
aderenza alla realtà contemporanea ed in particolare alle sue più
scottanti ed urgenti problematiche sociali e civili, quali la
disoccupazione, l’emarginazione di adolescenti ed anziani, la miseria
dei ceti popolari… e il rifiuto di scenografie artificiali e ricostruite
e l’utilizzo di sfondi e scenari reali, soprattutto in esterni,
prevalentemente d’ambiente popolare e proletario. Anche
l’illuminazione tende al massimo di naturalezza e di rispetto del
dato oggettivo. Con il neorealismo lo schermo è il punto di fusione
perfetto tra finzione e realtà, come non era mai stato in nessun
altro momento. Cinecittà è inagibile e i cineasti scendono per le
strade e là costituiscono i loro set, dimostrando al mondo che
l’Italia intera è uno straordinario set naturale ed i suoi abitanti
sono capaci di raccontarsi in molte storie. Gli attori vengono presi
dalla strada e sono quasi sempre appartenenti a quegli strati sociali
che devono rappresentare sullo schermo, in modo da ridurre al
minimo la distanza fra realtà e finzione. Spesso si ricorre all’uso del
dialetto, oppure, per ovvie ragioni di comprensibilità, ad un italiano
vicino alla lingua parlata e caratterizzato in senso regionale, assai
lontano e distante dalla lingua letteraria e neutra che era la norma
del Cinema d’anteguerra. Nei maggiori film del neorealismo italico
appare il plurilinguismo: basti pensare al tedesco, all’italiano,
all’inglese ed ai dialetti locali presenti nei grandi capolavori di
Roberto Rossellini (Roma città aperta, Paisà), di De Sica e Zavattini
(Sciuscià, Ladri di biciclette) e di Visconti (La terra trema,
Bellissima). Il dialetto, per la prima volta nella storia del cinema
nostrano, veniva assunto allo stesso livello dell’italiano e delle altre
lingue, non in posizione di subalternità (lo si trova addirittura nel
titolo del film di De Sica Sciuscià ed in quello di Rossellini Paisà).
“I registi si sforzavano di essere più fedeli alla realtà di quanto non
fossero stati, a loro giudizio, i loro predecessori, impegnandosi nella
denuncia dell’antagonismo di classe, degli orrori del fascismo, della
guerra e dell’occupazione. I neorealisti italiani, che giravano per le
strade e rivolgevano la loro attenzione ai problemi sociali del
momento, offrono in questo senso l’esempio più lampante. Questo
realismo obiettivo condusse i cineasti verso un tipo di narrazione
più aperta, fatta di scorci di realtà, ben diversa dalle trame
fortemente strutturate di Hollywood. (…).
Stilisticamente, molti cineasti si affidarono al piano sequenza-
inquadrature molto lunghe, di solito sostenute da movimenti di
macchina- soprattutto al fine di presentare l’evento nella sua
durata reale, senza manipolazioni di montaggio. Allo stesso modo
nuovi stili di recitazione - frasi interrotte, discorsi frammentari ed
ellittici, rifiuto di incontrare lo sguardo degli altri interpreti -
erano spesso visti come opposizione alle performance impeccabili e
armoniose del cinema americano.”
1
“La realizzazione - afferma Pierre Sorlin
2
-
era accurata, le
sceneggiature di ottima qualità, i dialoghi elaborati, fotografie e
montaggio erano eccellenti. Le storie non erano originali, ma si
sviluppavano su uno sfondo che, invece di essere un semplice
elemento scenografico, aveva un ruolo importante. L’enfasi posta sul
contesto sociale e culturale è un altro aspetto significativo del
neorealismo e fu uno degli elementi che lo distinsero dallo stile
dominante nella produzione hollywoodiana. Quasi la metà dei film
neorealisti ambientano le trame in aree rurali e richiamano i
problemi dei braccianti, dei pescatori o dei membri di cooperative.”
1
Bordwell D. –Thompson K., Storia del cinema e dei film. Dal dopoguerra ad oggi, Milano,
Editrice Il Castoro, 1998, vol. II, pag 77
2
Sorlin P., Cinema e identità europea. Percorsi del secondo Novecento, Milano, La Nuova
Italia, 2001, pag 123
Il termine “neorealismo” venne usato per la prima volta negli anni
Venti con riferimento alle tendenze artistiche del tempo e alla
parola tedesca “Neue Sachlichkeit” (nuova oggettività). Chi lo usò in
modo nuovo nel 1943 fu il montatore cinematografico Mario
Serandei riferendosi al film Ossessione di Luchino Visconti e, dopo
il senso assunto nella ribalta internazionale da Roma città aperta,
esso ebbe libero corso e rapida diffusione in ambito
cinematografico. Dopo le teorizzazioni di De Santis ed Alicata sulle
pagine della rivista “Cinema”, si concretizzò in un movimento
artistico sviluppatosi fino ai primi anni Cinquanta, caratterizzato da
un nuovo modo di guardare e rispecchiare la realtà dell’Italia uscita
dalla seconda guerra mondiale, in contrapposizione con il cinema
esile e retorico del fascismo. Il suo momento più autentico è quello
rappresentato dalla Resistenza, quando si diffonde un modo nuovo
di rappresentazione della realtà popolare. In questi anni si crea, in
maniera quasi spontanea, un nuovo linguaggio, che sembra quasi
emanare da una voce anonima: è la voce di un popolo che agisce come
protagonista ed esprime un nuovo bisogno di raccontare. Esso fu il
frutto artistico dei più grandi registi di quegli anni, un cinema
antropomorfo che affrontava la realtà italiana con una coscienza
politico-artistica innovativa e che ha fatto scuola nel mondo intero.
Osvaldo Contenti ha affermato: “La rivoluzione profonda del
neorealismo sta soprattutto nella rinuncia alla retorica, in nome di
minuscoli fatti, la cui drammaticità interiore è però superiore a
qualsiasi forma idealizzata o immaginata.”
Il neorealismo trionfò più sul piano internazionale che in patria;
divenne un’importante fonte di ispirazione ed un valido modello per
molte cinematografie straniere ed è tuttora ricordato come un alto
esempio di impegno civile e sociale. Pur nella diversità dei soggetti,
degli stili e delle interpretazioni, ciò che accomuna i registi che
operarono in quel periodo e le loro rispettive opere fu
un’eccezionale tensione morale e il fatto che la produzione
neorealistica coincise, per ciascuno di essi, con il periodo più
creativo e fecondo in cui raggiunsero il più alto livello artistico.
“Il neorealismo fu semplicemente un periodo irripetibile in cui un
buon numero di professionisti del mondo del cinema, accompagnati
da una serie di intellettuali, si trovò a discutere animatamente per
riformulare l’identità del nostro cinema in un periodo in cui anche il
nostro Paese stava risollevandosi dopo la guerra. Per questo motivo
il neorealismo cinematografico italiano è stato spesso paragonato
ad un coro, ad un “insieme di voci”, non sempre in accordo tra loro,
ma comunque solidali nel portare avanti un nuovo modo di pensare e
di fare cinema.
3
”
Tra i maggiori e più emblematici esponenti del movimento si
ricordano Luchino Visconti, Roberto Rossellini, Vittorio De Sica e
Giuseppe De Santis. Ognuno di loro - in modo diverso - ha vissuto e
rappresentato il “bisogno di ritorno alla realtà
4
.”
“Agli occhi del mondo - afferma il critico Gian Piero Brunetta
5
il
cinema diventa uno dei simboli della volontà di riscatto degli italiani
e il modo più diretto di familiarizzazione con un popolo sconosciuto
(…) Il cinema riesce a fare dello schermo lo specchio e il punto di
permeabilità assoluta rispetto alla platea e il collettore delle
speranze collettive di un’Italia che vuole rimettersi in cammino.
3
Villa F., “Il neorealismo e l’avvento del cinema moderno in Italia” in Paolo Bertetto (a
cura di), Introduzione alla storia del cinema. Autori, film e correnti, Torino, Utet, 2002,
pag 158
4
Enciclopedia Encarta 2002.
5
Brunetta G. P., “Cinema italiano dal neorealismo alla “Dolce vita” in Storia del cinema
mondiale, volume III “L’Europa e le cinematografie nazionali” di A.A.V.V., Einaudi, anno
2000, pag 585
In nessun altro momento della storia del cinema (…) lo schermo è il
punto di fusione più perfetto tra il mondo della finzione e quello
della realtà. La macchina da presa scopre quello che Eugène
Minkowski chiama “il sincronismo vissuto” ossia la penetrazione del
tempo dello schermo nel tempo reale della vita della gente
6
”.
Il cinema neorealista non svolse solo il compito di aprire una
finestra sulla realtà, di denunciare senza retorica i mali che
affliggevano il nostro Paese, di raccontare con l'occhio del cronista
la guerra, l'occupazione, la lotta partigiana e la liberazione. La sua
funzione più importante fu di accogliere l'imprevisto, il minimo
dettaglio, di riuscire a coniugare alle volte il tempo filmico con
quello reale, dando la dovuta importanza a tutti gli atti dell'uomo.
Nel 1945 i film realizzati sono 28, nell’anno successivo 62, a
testimonianza di una graduale riconquista del mercato.
Piano piano ci si accorge che i prodotti nazionali, riorganizzati e
rafforzati, recuperano terreno rispetto ai film prodotti a
Hollywood. “La realtà è che, nel periodo che va dal 1945 al 1953,
vennero realizzati in Italia 822 lungometraggi e che il “neorealismo”
6
Minkowski E., Il tempo vissuto,Torino, 1987, pag 20