Introduzione Le donne sono una risorsa essenziale per lo sviluppo. Tutti gli
indicatori lo confermano: nelle realtà dove è più consistente il numero
delle donne occupate, si registra un più elevato livello di servizi e una
migliore qualità della vita. Impegnarsi per garantire alle donne un
pieno accesso all’occupazione non è dunque soltanto il
riconoscimento di un diritto, ma un modo per dare un contributo
concreto alla crescita dell’economia. In altre parole, aumentare le
opportunità per le donne significa contribuire ad accrescere il
benessere dell’intera società.
Anche se nel mondo occidentale i diritti e le conquiste delle donne
hanno fatto passi avanti, la contraddizione tra potenzialità e
condizione reale è ancora grande. Partendo da questa premessa, il
lavoro si concentra sulla condizione delle donne nel mercato del
lavoro italiano, i cui principali indicatori pur rilevando un crescente
miglioramento, mostrano un persistente divario tra i due sessi
soprattutto nel Mezzogiorno.
In particolare, in Campania il tasso di occupazione femminile nel
2007 è fermo al 46,6%.
Nel primo capitolo di questo lavoro, sono illustrate le specificità del
mercato del lavoro italiano, caratterizzato da una forte
differenziazione territoriale, infatti è estremamente rilevante il divario
esistente non solo tra il Nord e il Sud del paese ma anche all’interno
dello stesso Sud, che sembra essere caratterizzato dalla compresenza
di una molteplicità di realtà socio-economiche che vedono la
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Campania collocata all’ultimo posto nella graduatoria regionale dei
tassi di occupazione femminile.
In questo capitolo, si è cercato di porre l’accento sulla qualità
dell’occupazione, infatti per le donne il cammino per arrivare ad un
occupazione stabile è in genere più faticoso e la carriera è più lenta.
Pesano ancora troppo una cultura e un’organizzazione familiare che
richiedono un doppio onere: da un alto il lavoro, dall’altro la cura dei
figli e degli anziani, che ripresentano l’eterno dilemma della
conciliazione tra ruolo produttivo e ruolo riproduttivo. Un dilemma
che ancora oggi si risolve, nella maggior parte dei casi, a sfavore delle
donne, costrette ad accettare, a parità di condizioni, lavori meno
retribuiti e meno qualificati, a rinunciare in tutto o in parte alla
carriera e ad accettare retribuzioni più modeste rispetto ai colleghi
uomini. Tutto ciò ha fatto sì che la partecipazione femminile al
mercato del lavoro da un lato ha comportato la mercificazione del
lavoro delle donne, ma dall’altro, ne ha favorito l’emancipazione e
l’indipendenza dai modelli culturali di divisione sessuale del lavoro
tradizionali.
Il lavoro ha cercato di evidenziare come i sistemi di welfare
rimangono ancora prevalentemente rivolti al male breadwinner
(maschio procacciatore di reddito) e l’accesso ai servizi avviene per
stato e ruolo all’interno della famiglia, da ciò ne derivano importanti
differenze nell’accesso alle risorse, per cui la flessibilità del lavoro
rischia di trasformarsi per molti in una condizione di precarietà dove
le donne rimangono più a lungo e con ruoli spesso non corrispondenti
ai loro titoli di studio.
Come si è avuto modo di evidenziare nel secondo capitolo ,
nonostante un quadro normativo che sancisce l’uguaglianza giuridica
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e le pari opportunità permangono asimmetrie, sia tra i generi che tra le
generazioni. Si creano così presenze deboli, a cui porre rimedio
attraverso strumenti e azioni positive in grado di superare le persistenti
diseguaglianze sociali che caratterizzano l’occupazione femminile.
Nonostante le molteplici trasformazioni che hanno investito la nostra
società e gli indubbi risultati ottenuti dalle donne, che hanno fatto
evolvere la condizione femminile da “destino sociale imposto” a
“biografie scelte”, rimangono asimmetrie che ancora pongono la
differenza non come valore ma come diseguaglianza.
Nel secondo capitolo di questo lavoro si affronta proprio la tematica
delle diseguaglianze di genere, infatti, oltre alla famiglia, un ulteriore
contesto in cui si realizzano forti diseguaglianze di genere è il mercato
del lavoro, poiché ancora oggi, lavoro maschile e lavoro femminile si
differenziano sotto molteplici aspetti: per il diverso coinvolgimento
dei due sessi nelle sfere del lavoro familiare e delle attività produttive,
per il minore riconoscimento sociale del lavoro femminile e per la
pluralità di aspetti che presenta l’occupazione femminile (lavoro
pagato e non pagato, familiare e di cura, precario e marginale).
Le diseguaglianze di genere sono prodotte dalla tradizionale
attribuzione dei ruoli, che ha attribuito alle donne prevalentemente un
ruolo riproduttivo, escludendole conseguentemente dalla possibilità di
svolgere anche un ruolo produttivo, tutto ciò ha confinato le donne in
alcuni segmenti del mercato del lavoro caratterizzati da una maggiore
flessibilità che permette loro, almeno in parte, di superare il problema
della conciliazione tra i “tempi della città” e i tempi del lavoro e
conseguentemente anche della conciliazione tra vita lavorativa e vita
familiare.
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Per favorire la partecipazione femminile al mercato del lavoro è
necessario garantire l’eguaglianza sostanziale e allo stesso tempo
assicurare azioni positive. L’inclusione dell’obiettivo delle pari
opportunità tra i principi della Comunità europea è avvenuto nel 1992,
infatti il Trattato di Maastricht prevede la possibilità per gli Stati
membri di adottare misure che prevedano vantaggi specifici diretti a
facilitare l’esercizio di un’attività professionale da parte del sesso
sottorappresentato ovvero evitare o compensare svantaggi nelle
carriere professionali.
Le azioni positive sono considerate strumenti utili ad eliminare lo
squilibrio presente nel mondo del lavoro tra uomini e donne, uno
squilibrio che si palesa nella cosiddetta segregazione orizzontale, ossia
nella scorretta ripartizione nei vari settori delle possibilità
occupazionali, e nella cosiddetta segregazione verticale, ossia nella
presenza di un freno invisibile che ostacola la progressione in carriera
delle lavoratrici.
Agli stati membri, alla luce delle specificità dei contesti nazionali,
rimane la scelta circa le forme più efficaci per realizzare l’obiettivo
delle pari opportunità. Attraverso lo sviluppo dei programmi di azione
comunitaria a medio termine per le pari opportunità tra uomini e
donne, si compie il passaggio dal più ristretto e limitato obiettivo
dell’incremento dei livelli occupazionali, al più ampio ed ambizioso
obiettivo del miglioramento della qualità dell’occupazione femminile,
fino alla formulazione della cosiddetta strategia del mainstreaming ,
con la quale ci si pone l’obiettivo ambizioso di promuovere la parità
delle opportunità in tutte le politiche ed azioni comunitarie, oltre
l’ambito del lavoro, in tutti i contesti della vita sociale, politica ed
economica.
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Il terzo capitolo di questo lavoro è dedicata all’analisi dei cosiddetti
“nuovi lavori” o “lavori atipici” che sono stati codificati dalla legge
n°30 del 2003 (la cosiddetta “legge Biagi”), ma che in parte avevano
già avuto una prima regolazione con la legge n°196 del 1997 (il
cosiddetto “pacchetto Treu”).
Con la “legge Biagi” il processo di progressiva estensione delle
garanzie del lavoro dipendente, con le connesse rigidità, ha avuto una
vera e propria inversione; infatti l’esigenza della flessibilità e
l’interesse dell’impresa domina sui valori quali la tutela del contraente
debole (il lavoratore).
Sono però proprio questi nuovi lavori, in particolare il lavoro part time
e quello autonomo, che hanno favorito la partecipazione al mercato
del lavoro delle donne e allo stesso tempo hanno generato una diffusa
precarietà occupazionale perché hanno ridotto notevolmente le
garanzie offerte ai lavoratori. Queste forme alternative di lavoro
mirano a ridurre, almeno in parte, il fenomeno della disoccupazione ed
hanno rappresentato un opportunità di ingresso nel mercato del lavoro,
seppur temporanea, per i cosiddetti outsider , per le categorie più
deboli del mercato del lavoro: donne e giovani.
Occorre chiedersi però se realmente queste nuove forme di lavoro
hanno soddisfatto le esigenze delle donne o se hanno, invece,
contribuito a creare il cosiddetto “ghetto dei colletti rosa” confinando
le donne nei segmenti del mercato del lavoro caratterizzati da
precarietà, scarse opportunità di crescita professionale e bassi salari.
Le molteplici forme di contratto che si sono affermate, sembrano però
aver prodotto, come emerge dai dati dell’Istat presentati nell’ultima
parte di questo lavoro, una riduzione dell’occupazione “in nero” infatti
tra il 2000 e il 2006 il valore aggiunto prodotto nell’area del
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sommerso economico si è ridotto dal 18,2% al 15,3% del Pil (ipotesi
minima) e dal 19,1% al 16,9% del Pil (ipotesi massima). Anche il
tasso di irregolarità, nello stesso periodo, ha evidenziato una riduzione
dal 13,3% (nel 2000) al 12,0% (nel 2006).
Occorre però riflettere sul fatto che i settori maggiormente coinvolti
dall’irregolarità del lavoro sono quelli dell’agricoltura e dei servizi,
dove raggiunge rispettivamente il 22,7% e il 13,7%. Proprio il settore
dei servizi rappresenta uno dei settori in cui è maggiormente diffusa la
presenza femminile; in particolare il comparto maggiormente
caratterizzato dal lavoro femminile è quello del “commercio, alberghi,
pubblici esercizi e trasporti” dove il tasso di irregolarità raggiunge il
18,9%.
Gli elevati tassi di irregolarità riguardano ancora una volta le donne e
celano, a mio parere, il rilevante contributo delle donne allo sviluppo
economico, ma allo stesso tempo mostrano anche, nonostante gli
obiettivi di Lisbona sanciti dall’Unione Europea, l’esistenza di forme di diseguaglianze di
genere molto visibili che rendono l’obiettivo delle pari opportunità
ancora lontano.
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Capitolo primo
Il mercato femminile del lavoro in Italia nel 2007
1.1. Premessa.
Per analizzare il ruolo della donna nel mercato del lavoro italiano è
necessario analizzare l’andamento di quest’ultimo nel 2007 ed
effettuare le dovute comparazioni con il precedente anno.
Questo capitolo cercherà di illustrare dapprima i principali indicatori
del mercato del lavoro, le specificità settoriali, territoriali e le
differenze di genere che lo caratterizzano; per poi soffermarsi più in
dettaglio sulla crescente partecipazione delle donne nel mercato del
lavoro e le difficoltà di inserimento che tuttavia continuano ad
interessare alcune categorie socio-demografiche come le donne
giovani e a bassa scolarità, soprattutto se residenti nel Mezzogiorno.
Si cercherà di illustrare come proprio le caratteristiche strutturali del
mercato del lavoro hanno determinato un processo di segregazione
occupazionale, confinando le donne nelle attività più precarie e
dequalificate, anche se negli ultimi anni, come evidenziano i dati
relativi alla crescente partecipazione delle donne al mercato del
lavoro, sembra essere in atto un processo di desegregazione che
comincia a garantire alle donne maggiori chances di successo
lavorativo.
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