II
Introduzione
La domanda di energia cresce nel mondo ad un tasso sostenuto, soprattutto per il contributo dei
Paesi asiatici ed in particolare Cina ed India. Il Protocollo di Kyoto, elaborato nel 1997 ed entrato in
vigore il 16 febbraio 2005, introduce degli obiettivi quantitativi di riduzione per i soli Paesi
industrializzati, in base al principio di responsabilità comune ma differenziata. Il Protocollo di
Kyoto rappresenta il primo importante simbolo della crescente preoccupazione riguardante le
tematiche ambientali e, insieme, il primo – e ancora unico - strumento assunto a livello
internazionale per dare una risposta comune alla sfida dei cambiamenti climatici. In questo scenario
macroeconomico gli investimenti in energia rinnovabile (fotovoltaico, eolico, ecc.) ritrovano un
riscontro sempre maggiore tra i player dei mercati. Gli indirizzi contenuti nel Protocollo, infatti,
hanno favorito in tutti gli Stati aderenti l‟introduzione di meccanismi di incentivazione per la
produzione di energia da fonti ad “emissioni zero”.
In Italia, a partire dal 2005, sono stati previsti dei meccanismi di incentivazione alla produzione di
energia da fonti rinnovabili differenziati per “fonte”. Accanto alle misure di legge riferite ai
certificati verdi, giudicate in alcuni casi insufficienti a rendere sostenibili economicamente le
iniziative di investimento (es. impianti fotovoltaici), è stato introdotto il meccanismo del c.d.
“Conto Energia”. Si tratta di una sorta di “bonus” riconosciuto dal Gestore dei Servizi Energetici
(GSE) ai produttori di energia, in termini di prezzo di vendita dell‟energia prodotta. Nell‟ultimo
anno, inoltre, il sistema industriale del nostro Paese sta iniziando a colmare un gap produttivo di
tecnologia in questo settore, riducendone progressivamente il valore delle importazioni nette e
favorendo così i processi di approvvigionamento di prodotti necessari alla realizzazione degli
impianti.
Investimento in nuove tecnologie che costituisce una condizione necessaria ma non sufficiente per
la realizzazione di soluzioni eco sostenibili che sono vincolate ad una vitale condizione definita e
delineata dall‟investimento in “Capitale Umano” e quindi nella Ricerca. Questo è un punto cruciale
su cui voglio soffermarmi con maggiore attenzione.
L‟Italia non sempre riesce ad avere la giusta forza e l‟intraprendente coraggio di credere nella
ricerca, essenziale ed indispensabile per l‟evoluzione di un sistema economico basato sulla
conoscenza e sull‟innovazione tecnologica. Ringrazio la mia Università per avermi dato la
possibilità di studiare un anno all‟estero grazie al progetto Europe Erasmus Programme. L‟anno
scorso sono stato per un anno in Finlandia, ad Helsinki, un Paese che definirei completamente
“diverso” dall‟Italia, per cultura, per clima, per mentalità e per storia. E‟ proprio su quest‟ultimo
aspetto che voglio soffermarmi. Dopo la caduta del muro di Berlino, e quindi del più importante
partner commerciale del paese baltico, l‟Unione Sovietica, l‟economia subisce una tremenda battuta
III
d‟arresto. Il tasso di disoccupazione arriva a toccare il 17 % della forza lavoro (Fonte Istat) e il
prodotto interno crolla di quasi 40 punti percentuali tra il 1990 e il 1993. Dopo 15 anni ci troviamo
di fronte ad uno dei Paesi più competitivi del mondo (global Economic Forum – Global
Competitiveness Report), in cui si è riusciti a coniugare una crescita media del PIL di oltre il 3,5%
annuo tra il 1997 e il 2007 (Eurostat) con una forte attenzione agli impatti ambientali che una
crescita così sostenuta può comportare.
Cosa è successo in 15 anni in Finlandia? I politici finlandesi hanno seguito l‟ortodossia neoliberista
tanto in voga negli anni ‟90, ossia liberalizzazione del mercato del lavoro, decentramento della
contrattazione, generalizzato taglio della spesa pubblica in particolare quella destinata alla
protezione sociale (pericolosa per la produttività perché rende tutti i lavoratori terribilmente pigri).
Niente di tutto ciò. I policy makers finlandesi hanno deciso di andare controcorrente: hanno
preferito adottare una ben focalizzata politica industriale aumentando gli investimenti in Ricerca &
Sviluppo e in formazione, specialmente a livello universitario, compensando i costi in termini di
disoccupazione e consentendo di mantenere un elevato livello di protezione e tutele sociali per le
fasce più deboli. Quest‟esempio dimostra il potente effetto anticiclico della spesa per l‟istruzione.
Tra i fattori strategici che spingono la crescita di lungo periodo dell‟economia vi sono senz‟altro la
formazione e le politiche per la ricerca e l‟innovazione. Ecco la vera sfida dell‟Ita lia: comprendere e
investire in “capitale umano” generale ed universitario il che favorisce l‟adozione di nuove
tecnologie che allo stesso tempo comporta la riduzione del rischio di disoccupazione dovuta a skill
mismatches (ovvero un cattivo incontro tra qualifiche richieste dalle imprese e quelle offerte dalla
forza lavoro). Sfida verso la tecnologia necessaria per una grande economia quale quella italiana
all‟interno del mondo globalizzato, dove la tecnologia costituisce il pilastro fondamentale per
affrontare quella forte competitività che sta caratterizzando il contesto economico mondiale. Mi
sono dilungato nel raccontare la mia esperienza che tanto mi ha fatto riflettere e tanto mi stimola a
lottare. Lottare per migliorare dei meccanismi economici potenzialmente fonte di grande
“ricchezza”. L‟opportunità che la “Sapienza” mi ha dato devo ricambiarla e il prezzo è dato dalla
mia capacità di cercare di importare quei miglioramenti, costituiti da meccanismi politici,
economici e culturali che in Finlandia sono normalità. E‟ proprio questo il senso di un‟esperienza di
un anno all‟estero, essere come una spugna che tutto assorbe e tutto vede. Separare i pro e i contro
di un sistema e sviluppare una capacità di analisi critica che si conclude con la voglia di importare
ed adattare degli automatismi che un sistema democratico, economicamente efficiente deve
possedere.
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1 Uno sguardo al fotovoltaico
1.1 Produzione di energia elettrica da fotovoltaico
Il termine fotovoltaico deriva dall‟unione di due parole “Foto” deriva dal greco “phos” che significa
luce, e“Volt”che prende le sue radici dallo scienziato italiano Alessandro Volta il primo a studiare il
fenomeno elettrico e l‟inventore della pila. Il termine fotovoltaico significa letteralmente :
“elettricità prodotta dalla luce”.La teoria fisica che spiega l‟effetto fotoelettrico, del quale l‟effetto
fotovoltaico rappresenta una sottocategoria, fu pubblicata nel 1905 da Albert Einstein che per
questo ricevette il premio Nobel. L‟effetto fotoelettrico ha avuto la sua prima applicazione
commerciale nel 1954 quando, nei laboratori della BELL, fu realizzata la prima cella fotovoltaica in
silicio monocristallino. Gli impianti fotovoltaici consentono di trasformare, direttamente e
istantaneamente, l‟energia solare in energia elettrica senza l‟uso di alcun combustibile. Producono
elettricità là dove serve, non richiedono praticamene manutenzione, non danneggiano l‟ambiente e
offrono il vantaggio di essere costruiti “su misura”, secondo le reali necessità dell‟utente. [39]
1.1.1 Dal silicio alla cella fotovoltaica
Il silicio è il secondo elemento per abbondanza in natura: il 90% della crosta terrestre è costituito
infatti da silicati. Ma affinché il silicio acquisisca la proprietà semiconduttrice è necessaria
un‟elevata purezza. Attraverso complessi processi di purificazione e distillazione si devono infatti
allontanare le tracce delle molteplici sostanze indesiderate per ottenere silicio utilizzabile a scopo
fotovoltaico. Il primo passo dei processi tradizionali è costituito dalla produzione di Triclorosilano,
ottenuto a partire dal silicio metallurgico prodotto per carboriduzione della silice. Con reazione di
acido cloridrico sul silicio metallurgico si ricava il TCS (triclorosilano), che allontana le
contaminazioni di ferro, alluminio e boro.
La produzione del lingotto inizia sottoponendo il silicio policristallino, materiale costituito da
cristalli di silicio disallineati (policristallo), di grado solare a ulteriore purific azione con attacchi
acidi. Viene quindi inserito in un reattore dove avviene la cristallizzazione, effettuata con due
modalità diverse: l‟una per la produzione del lingotto in policristallino a forma di parallelepipedo,
l‟altra per la produzione del lingotto in monocristallino a forma cilindrica.
Il processo produttivo parte dalla crescita del lingotto sino ad arrivare al taglio del wafer. Nel caso
del mono cristallino si procede con le operazioni di rettifica del lingotto cilindrico per ottenere il
formato squadrato. Entrambi i tipi di lingotto, mono e policristallino, vengono successivamente
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tagliati in sezioni sottili corrispondenti alle dimensioni del wafer. Infine si passa alla purificazione
finale delle superfici, per allontanare qualunque contaminazione cristallino.
Figura 1.1: Dal silicio al wafer
I wafer in silicio monocristallino o policristallino sono il materiale di partenza per la produzione
della cella fotoconduttrice che consente di catturare l‟energia luminosa e di convertirla in energia
elettrica.
Le celle fotovoltaiche sono fatte essenzialmente di silicio e si distinguono in tre tipi principali:
Celle in silicio monoscristallino: sono ottenute a partire da un unico grande cristallo di silicio.
Hanno colore uniforme e scuro tra il blu notte e il nero. Vengono prodotte tagliando una barra
monocristallina. Il vantaggio principale è un alto rendimento (fino al 18%). Questo tipo di celle è
però molto costoso a causa del complicato processo di produzione. Generalmente di forma quadrata
con spigoli smussati, particolare che permette di distinguerli dagli altri tipi e che formano dei
piccoli rombi bianchi tra le celle. Rendono meglio delle celle in silicio policristallino in condizioni
di esposizione ottimale (luce perpendicolare e assenza di nuvole).
Celle in silicio policristallino : vengono colate in blocchi e poi tagliate a dischetti a partire da molti
cristalli di silicio. Hanno forma quadrata e colore bluastro con riflessi determinati dal
posizionamento casuale dei singoli cristalli. Le celle sono unite tra di loro senza spazi intermedi.. Il
rendimento è minore (10/14%), ma minore è anche il prezzo
Celle in silicio amorfo, anche dette "a film sottile": Sono formate da strisce di silicio amorfo.
Rendono nettamente meno delle celle cristalline a parità di superficie occupata, ma hanno un costo
per Watt inferiore, infatti, questo tipo di cella ha il rendimento minore (circa 4/8%), ma si adatta
anche al caso di irraggiamento diffuso (cielo coperto, ecc.). Le celle così prodotte sono riconoscibili
da un caratteristico colore scuro, inoltre sono realizzabili in qualsiasi forma geometrica (forme
circolari, ottagonali, irregolari, e persino convesse). La produttività è molto variabile nel tempo e la
durata della produzione inferiore a quelle cristalline. [40]
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Figura 1.2: Differenti tipi di celle: monocristallina, policristallina e a film sottile [40]
1.1.2 L’effetto fotovoltaico all’interno della cella e sua composizione.
E‟ nella cella che si sviluppa l‟effetto fotovoltaico, tecnologia che permette di produrre energia
elettrica mediante la conversione diretta della luce del sole senza l‟utilizzo di combustibili e senza
parti meccaniche in movimento. Tale fenomeno avviene nella cella fotovoltaica costituita, da una
sottile lamina di un materiale semiconduttore, il silicio. Quando un fotone dotato di sufficiente
energia viene assorbito nel materiale semiconduttore di cui è costituita la cella, si crea una coppia di
cariche elettriche di segno opposto, un elettrone (carica di segno negativo) ed una “lacuna” (cioè
una carica positiva). Si dice allora che queste cariche sono “disponibili per la conduzione di
elettricità”.
Per generare effettivamente una corrente elettrica, però, è necessaria una differenza di potenziale, e
questa viene creata grazie all‟introduzione di piccole quantità di impurità nel materiale che
costituisce le celle. Queste impurità, chiamate anche “droganti”, sono in grado di modificare
profondamente le proprietà elettriche del semiconduttore. Se, come comunemente accade, il
materiale semiconduttore è il silicio, introducendo atomi di fosforo si ottiene la formazione di
silicio di tipo “n”, caratterizzato da una densità di elettroni liberi (cariche negative) più alta di quella
presente nel silicio normale (intrinseco). La tecnica del drogaggio del silicio con atomi di boro
porta, invece, al silicio di tipo “p” in cui le cariche libere in eccesso sulla norma sono di segno
positivo. Una cella fotovoltaica richiede l‟intimo contatto, su una grande superficie, di due strati di
silicio p ed n. Nella zona di contatto tra i due tipi di silicio, detta “giunzione p-n”, si ha la
formazione di un forte campo elettrico. Le cariche elettriche positive e negative generate, per effetto
fotovoltaico, dal bombardamento dei fotoni costituenti la luce solare, nelle vicinanze della
giunzione vengono separate dal campo elettrico. Tali cariche danno luogo a una circolazione di
corrente quando il dispositivo viene connesso ad un carico.
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Figura 1.3: Conversione fotovoltaica dell’energia solare: l’effetto fotovoltaico[40]
Il processo più comunemente impiegato per ottenere silicio monocristallino per uso elettronico parte
dalla preparazione di silicio metallurgico (puro al 98% circa), mediante riduzione della silice (SiO2)
con carbone in forni ad arco. Dopo alcuni processi metallurgici intermedi consistenti nella:
o purificazione del silicio metallurgico a silicio elettronico (processo Siemens);
o conversione del silicio elettronico a silicio monocristallino (metodo Czochralskj).
Vengono ottenuti lingotti cilindrici (da 13 a 30 cm di diametro e 200 cm di lunghezza) di silicio
monocristallino, solitamente drogato p mediante l‟aggiunta di boro. Questi lingotti vengono quindi
“affettati” in wafer di spessore che va dai 0,25 ai 0,35mm. Da alcuni anni l‟industria fotovoltaica sta
sempre più utilizzando il silicio policristallino, che unisce ad un grado di purezza comparabile a
quello del monocristallino costi inferiori. I lingotti di policristallino, anch‟essi di solito drogati p,
sono a forma di parallelepipedo e vengono sottoposti al taglio, per ottenerne fette di 0,2-0,35mm di
spessore.
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In pratica la tipica cella fotovoltaica è costituita da un sottile wafer, di spessore di 0,25-0,35 mm
circa, di silicio mono o policristallino, opportunamente drogato. Essa è generalmente di forma
quadrata e di superficie pari a circa 100 cm2 (anche fino a 400 cm2) e si comporta come una
minuscola batteria, producendo, nelle condizioni di insolazione standard (1kW/m2) e a 25 °C, una
potenza di 1,5 W. L‟attuale processo di fabbricazione delle celle si basa sull‟utilizzo di:
silicio monocristallino dell‟industria elettronica, materiale molto puro rispetto alle esigenze
della tecnologia fotovoltaica;
silicio policristallino ottenuto da fusione degli scarti dell‟industria elettronica,
solidificazione direzionale e riduzione del lingotto in fette.
In passato, i piccoli ma sempre crescenti volumi di produzione caratteristici dell‟attuale fase di
sviluppo dell‟industria fotovoltaica sono stati perfettamente compatibili con la quantità, ovviamente
limitata, di tali materiali di scarto. Però, per offrire un contributo veramente significativo alla
produzione di energia elettrica totale, il fotovoltaico deve raggiungere volumi di produzione
enormemente superiori agli attuali e assolutamente non compatibili con la dipendenza da un
materiale prodotto da altre industrie e per altri scopi. L‟industria fotovoltaica avrà bisogno di
materia prima per le celle, a basso costo, in gran quantità, preparato espressamente per la
fabbricazione delle celle.
Le celle solari costituiscono un prodotto intermedio dell‟industria fotovoltaica, forniscono valori di
tensione e corrente limitati in rapporto a quelli normalmente richiesti dagli apparecchi utilizzatori,
sono estremamente fragili, elettricamente non isolate, prive di supporto meccanico; esse ve ngono
quindi assemblate in modo opportuno a costituire un‟unica struttura: il modulo fotovoltaico. Il
modulo rappresenta di fatto il componente elementare dei sistemi fotovoltaici, una struttura robusta
e maneggevole, in grado di garantire molti anni di funzionamento anche in condizioni ambientali
difficili. Il processo di fabbricazione dei moduli è articolato in varie fasi: connessione elettrica,
incapsulamento, montaggio della cornice e della scatola di giunzione. La connessione elettrica
consiste nel collegare in serie-parallelo le singole celle per ottenere i valori di tensione e di corrente
desiderati; al fine di ridurre le perdite per disaccoppiamento elettrico è necessario che le celle di uno
stesso modulo abbiano caratteristiche elettriche simili tra loro. L‟incapsulamento consiste
nell‟inglobare le celle fotovoltaiche tra una lastra di vetro e una di plastica. È importante che
l‟incapsulamento, oltre a proteggere le celle, sia trasparente alla radiazione solare, stabile ai raggi
ultravioletti e alla temperatura, abbia capacità autopulenti e consenta di mantenere bassa la
temperatura delle celle. In linea di principio la vita di una cella solare è infinita; è pertanto la durata
dell‟incapsulamento a determinare la durata di vita del modulo, oggi stimab ile in 25-30 anni. Il
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montaggio della cornice conferisce al modulo maggiore robustezza e ne consente l‟ancoraggio alle
strutture di sostegno. I moduli in commercio attualmente più diffusi (con superficie attorno a 0,5-2
m2) utilizzano celle al silicio mono e policristallino e prevedono tipicamente un minimo di 36 e un
massimo di 72 celle legate elettricamente in serie. Il modulo così costituito ha una potenza che va
da 50 a 240 Wp a seconda del tipo e dell‟efficienza delle celle. I moduli comunemente usati nelle
applicazioni commerciali hanno un rendimento complessivo del 12-16%. [41]
L‟efficienza di conversione di una cella solare fotovoltaica è limitata da numerosi fattori, alcuni dei
quali di tipo fisico, cioè correlati allo stesso fenomeno fotoelettrico e quindi inevitabili, mentre altri,
di tipo tecnologico, derivano dal particolare processo adottato per la fabbricazione del dispositivo
fotovoltaico. Attualmente il materiale più usato per la fabbricazione di una cella fotovoltaica è lo
stesso silicio adoperato dall‟industria elettronica, il cui processo di fabbricazione presenta costi
molto alti, non giustificati dal grado di purezza richiesto dal fotovoltaico, inferiore a quello
necessario in elettronica.
Un altro importante aspetto da analizzare è la quantità di energia che ci arriva dal sole, infatti,
all‟interno del sole, a temperature di alcuni milioni di gradi centri gadi, avvengono incessantemente
reazioni termonucleari di fusione che liberano enormi quantità di energia sottoforma di radiazioni
el ettromagnetiche. Una parte di questa energia, dopo aver attraversato l‟atmosfera, arriva al suolo
con un‟intensità di circa 1000W/m
2
(irraggiamento al suolo in condizioni di giornata serena e sole a
mezzogiorno). Questo enorme flusso di energia che arriva sulla terra è pari a 15.000 volta l’attuale
consumo energetico mondiale. Di questa energia, però, solo una parte può essere utilizzata dagli
impianti fotovoltaici. La quantità di energia solare che arriva sulla superficie terrestre e che può
essere utilmente “raccolta” da un dispositivo fotovoltaico dipende dall‟irraggiamento del luogo.
L‟irraggiamento è, infatti, la quantità di energia solare incidente su una superficie unitaria in un
determinato intervallo di tempo, tipicamente un giorno (kWh/m
2
/giorno). Il valore istantaneo della
radiazione solare incidente sull‟unità di superficie viene invece denominato radianza (kW/m
2
).
L‟irraggiamento è influenzato dalle condizioni climatiche locali (nuvolosità, foschia ecc..) e
dipende dalla latitudine del luogo, cresce cioè quanto più ci si ci avvicina all‟equatore. In Italia,
l‟irraggiamento media annuale varia da 3,6 kWh/m
2
/giorno della pianura padana ai 4,7
kWh/m
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/giorno del centro e ai 5,4 kWh/m
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/giorno della Sicilia. [42]