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ABSTRACT
Neo-colonialism and Nationalization
The phase after the Second World War is known as the period of
Decolonization. This is the arc of time when colonized nations of Asia
and Africa, lead by nationalistic movements, made themselves
independent from the Western colonial Powers. This formal
independence wasn‟t followed by substantial independence because
many new States remained economically dependent on the previous
imperialistic powers. From the 1950s Neocolonialism was coined.
This indicates the form of control exercised by Western powers over
a previous colony based on economic dependence and military
occupation. In some cases this control continued, in other cases the
newly independent States harshly opposed this. Among these States
we mention Egypt and Iran, which in fifty Years carried out two
important forms of nationalization. Iran, guided by Prime Minister
Mohammed Mossadeq, in 1951 decided to interrupt relations with
Great Britain by nationalizing the oil industry. This decision put him in
a position of strong conflict with Iranian monarchy, which in 1953
supported the Anglo American ”coup d‟etat” that ended Mossadeq‟s
government. A few years later, Egypt also became protagonist of
nationalization. The Suez Canal, considered the most important route
of commerce in the world, joining European ports with Far East. In
1956 the Egyptian president Gamal Abdel Nasser announced the
nationalization. As answer to his decision, the Western Powers
France, Great Britain and Israel, whose access to Suez Canal was
refused since 1948, attacked Egypt by sea and by land. Due to
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diplomatic operation of the ONU and the USA, the war ended
militarily with a heavy defeat for Egypt, but politically permitted to
Nasser to hoist himself up as absolute leader of Arabic nationalism
and anti-imperialism.
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INTRODUZIONE
L‟argomento della Tesi che ho scelto per concludere questo percorso
di studi accademici, nell‟ambito della disciplina della Storia dei Paesi
Islamici, riguarda la nazionalizzazione delle risorse strategiche.
L‟argomento si inserisce all‟interno di un contesto storico ben
definito, quello della decolonizzazione. La tesi si può dividere in due
blocchi, che ricostruiscono le ideologie emerse a partire dagli anni
cinquanta nel mondo arabo islamico, proponendo un‟accurata
narrazione cronologica degli eventi.
I capitoli in cui è diviso questo lavoro sono tre: nel primo capitolo,
partendo da una breve disamina del periodo coloniale alla fine
dell‟Ottocento, giungo sino agli anni Cinquanta quando, per effetto
delle lotte anticoloniali, i paesi nordafricani e del Vicino Oriente
diedero vita ad una serie di politiche di stampo nazionalista e
socialista, volte all‟allontanamento del colonizzatore i cui interessi
economici e strategici sui territori, un tempo colonie, erano rimasti
elevati. Nel capitolo, dopo aver dato spazio all‟importante concetto di
neocolonialismo, si dà altrettanta importanza ad una particolare
ideologia, il Nasserismo, il cui nome proviene dal suo ideatore, il
presidente egiziano Gamal Abdel Nasser, il quale per primo
promosse una serie di politiche antimperialiste. Successivamente
vengono descritte le politiche in alcuni dei maggiori paesi
nordafricani quali l‟Algeria, la Tunisia e la Libia, includendo nel
discorso per similitudine con tali politiche anche l‟Iran che negli anni
sessanta visse un periodo simile.
Nel secondo e nel terzo capitolo, dinnanzi alla possibilità di trattare
diversi casi, ho scelto di occuparmi della nazionalizzazione del
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canale di Suez in Egitto e dell‟industria petrolifera in Iran, per due
motivi: il fatto di trattarsi di due paesi precursori nell‟ambito delle
politiche di nazionalizzazione e soprattutto perché ambedue le
nazioni fossero al centro del comune interesse economico e
strategico della Gran Bretagna, che timorosa di perdere lo status di
grande potenza a discapito di Stati Uniti ed Unione Sovietica, come
mostrerò nella tesi, reagì con la forza in entrambi i casi per difendere
i propri interessi.
Nel secondo capitolo, dopo aver delineato un quadro della situazione
dell‟Iran all‟inizio del Novecento, ho concentrato la mia attenzione
sulla questione petrolifera, partendo dalla scoperta dei primi
giacimenti nel 1908. E correlando il discorso alla carriera politica di
Mohammed Mossadeq il quale ispirato da ideali nazionalistici, nel
1951, appena democraticamente eletto alla carica di primo ministro,
giungerà alla decisione di nazionalizzare l‟industria petrolifera
iraniana.
La decisione, come vedremo, scatenò l‟ira inglese, che culminò nel
1953 con un colpo di stato, guidato dai servizi segreti americani, in
cui venne deposto Mossadeq e posto fine ad un processo di
democratizzazione che altrimenti sarebbe proseguito.
Nel terzo ed ultimo capitolo, partendo dall‟ascesa al potere di
Mohammed Alì, padre dell‟Egitto moderno, ho descritto tutte le fasi
che dall‟inaugurazione del canale di Suez nel 1869, culminarono
nella nazionalizzazione di quest‟ultimo nel 1956. Passando dunque
dall‟occupazione britannica nel 1882, l‟indipendenza formale nel
1922, il colpo di stato degli “Ufficiali Liberi” del 23 luglio 1952 e la
nascita della Repubblica Araba d‟Egitto nel 1953, sino all‟avvento
alla presidenza di Gamal Abdel Nasser.
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CAPITOLO I
DAL NEOCOLONIALISMO ALLE POLITICHE
ANTIMPERIALISTE
1.1 Una fase di mutamento
La storia contemporanea dei paesi arabo-islamici rientra in quel
periodo storico unanimemente riconosciuto come “età
dell‟imperialismo”.
Alla fine del XIX secolo, le grandi e piccole potenze europee
iniziarono una politica espansionistica radicalmente diversa da quella
precedente, legata all‟iniziativa privata o alle grandi imprese
commerciali. I governi occidentali assunsero l‟iniziativa, e la
tendenza diventò quella di annettere, economicamente e
politicamente, i territori extraeuropei, i quali diventarono vere e
proprie colonie (direttamente sotto il controllo dei paesi occupanti,
come nel caso dell‟Algeria) o protettorati (con ordinamenti locali
parzialmente mantenuti, vedesi i casi di Egitto, Tunisia e in senso più
lato l‟Iran). Questa nuova politica fu legata a diversi fattori:
• Fattori economici: la necessità di reperire materie prime a basso
costo ed investire capitali.
• Fattori politici ed ideologici: si fece largo l‟idea che “la civiltà
dell‟uomo bianco”, in quanto espressione di un ordine superiore,
avesse la missione di redimere i “selvaggi”. La politica dei selvaggi si
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mischiò ad un vero e proprio razzismo di stampo positivista
propugnato dalle classi intellettuali europee, in primis quella inglese.
Negli anni Trenta, la situazione andò mutando, quando le classi
intellettuali islamiche maturarono la consapevolezza che lo status
quo coloniale non poteva più essere mantenuto, e giunsero così a
creare, nei rispettivi contesti territoriali, una serie di movimenti politici
d‟ispirazione nazionalista. Alcuni dei quali, inizialmente si limitarono a
chiedere il riconoscimento di diritti, spostandosi solo più in là su
posizioni nettamente indipendentiste.
Il dominio coloniale iniziò a cedere nel momento in cui i movimenti
nazionalisti, sfruttati strategicamente dall‟una o dall‟altra parte
durante il secondo conflitto mondiale, si mobilitarono per combattere
la dominazione coloniale. Un ruolo importante fu indubbiamente
giocato dalle nuove potenze mondiali, Stati Uniti ed Unione
Sovietica, il cui intento era quello di sostituirsi alle ormai logore
potenze europee. Nel 1941, la Carta Atlantica, aveva proclamato il
diritto all‟autodeterminazione dei popoli. L‟Europa, i cui interessi
coloniali erano vasti, fu costretta ad accettare il documento,
consapevole peraltro che i vantaggi economici procurati dalle colonie
erano inferiori ai costi di mantenimento delle medesime. Ciò
nonostante il processo di decolonizzazione fu tutt‟altro che semplice.
O almeno non fu così dappertutto. Se in alcuni paesi, il processo di
indipendenza nazionale fu relativamente pacifico, la stessa cosa non
può dirsi di quei territori affacciati sul mar Mediterraneo, i quali
scatenarono nei confronti delle potenze coloniali una durissima e
sofferta lotta, che per alcuni si concluse solo negli anni Sessanta.
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1.2 Caratteri formali e limiti della
decolonizzazione
La decolonizzazione fu un processo più formale che sostanziale
poiché al momento dell‟indipendenza politica molti degli istituti
coloniali vennero ereditati dai nuovi Stati indipendenti. Per questa
ragione in gergo anglosassone si usa definire flag-independence
(indipendenza della bandiera) questa fase della decolonizzazione,
enfatizzando l‟aspetto simbolico del passaggio di sovranità a scapito
del cambiamento di sostanza che l‟indipendenza ha implicato a
livello sociale ed economico.
1
Una colonia, conquistata l‟indipendenza, diventa uno Stato; doveva
quindi darsi un ordinamento, una legislazione, un governo. Tutto ciò
comportava però un rischio: che l‟ordinamento statale, le leggi, il
governo non fossero democratici, ma anzi oppressivi e repressivi.
Tanti furono i casi di popolazioni africane ed asiatiche che ottennero
la liberazione dal dominio coloniale, ma non ottennero la libertà, la
democrazia. Molti i casi di Stati che, dopo brevissime esperienze
pseudo-democratiche, si svilupparono in senso autoritario, dando
vita a sanguinosi regimi militari, o a partito unico. Ciò fu dovuto
principalmente alla mancanza di quelle élite politiche e burocratiche
che si sarebbero dovute occupare degli affari nazionali.
Quest‟assenza fu causata dalle politiche delle potenze imperialiste,
le quali per evitare durante il periodo coloniale che insorgessero
richieste di autonomia da parte dei popoli oppressi, evitarono di dar
loro quegli strumenti che gli sarebbero sicuramente serviti, in seguito,
al momento dell‟indipendenza.
Un altro limite della decolonizzazione, non inferiore per gravità, fu
costituito dalla mancanza, di quella che possiamo chiamare
“emancipazione economica”. Diversi Stati, all‟indomani della
1
Bellucci Stefano, Storia delle guerre africane, Carocci, Roma, 2004, p. 16.
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raggiunta indipendenza nazionale, mantennero pressoché inalterati i
rapporti economici con le potenze occidentali. La causa di ciò va
ricercata sempre nelle politiche imperialiste delle nazioni europee, le
quali in alcuni casi impedirono, nel periodo coloniale, la nascita di
qualunque forma di industria locale, in grado di permettere alle
popolazioni colonizzate una qualsiasi forma di sussistenza
economica; in altri casi mantennero un ferreo controllo su tutte quelle
risorse i cui interessi erano elevati (si pensi ai casi del canale di Suez
in Egitto o del petrolio in Iran), arrivando a mantenere veri e propri
contingenti militari sui territori delle ex colonie.
1.3 Il neocolonialismo e la conferenza di
Bandung del 1955
Negli anni Cinquanta, mentre il processo di decolonizzazione
proseguiva sui suoi binari, gli studiosi di ogni parte del mondo,
riferendosi a questo processo, iniziarono ad utilizzare un nuovo
termine, ben presto divenuto famoso: quello di neocolonialismo.
Nel 1965, il primo leader del Ghana indipendente, Kwame Nkrumah,
denunciando le intrusioni e le manipolazioni subite dagli stati africani
ad opera dei paesi più sviluppati, sottolineò le diverse forme e le
molteplici facce di una dipendenza di tipo nuovo, neocoloniale:
“l‟essenza del neocolonialismo è che lo stato che ne è soggetto in
teoria è indipendente e possiede tutti gli orpelli esterni tipici della
sovranità internazionale. In realtà, il suo sistema economico e di
conseguenze le sue politiche sono dirette dall‟esterno. La forma e i
metodi di questo controllo possono essere di vario tipo. Ad esempio,
in un caso estremo le truppe della potenza imperiale possono essere
presenti sul territorio dello stato neocoloniale e controllarne il
governo. Più spesso, tuttavia, il controllo neocoloniale è esercitato
attraverso strumenti economici o monetari. […] Il controllo sulle
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politiche governative nello stato neocoloniale può essere ottenuto
con i finanziamenti al funzionamento dello stato stesso, con la
fornitura di funzionari pubblici per posizioni da cui essi possono
decidere le politiche.”
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Grazie a questa definizione di neocolonialismo dataci da Nkrumah,
possiamo capire il perché, un decennio prima, nel 1955 i capi di stato
di 29 paesi del sud del mondo, si riunirono a Bandung, in Indonesia
per discutere dei problemi comuni che li affliggevano, quali la povertà
e l‟arretratezza economica. La conferenza segnò l‟affermazione del
Terzo mondo e del Movimento dei non-allineati sulla scena mondiale.
Durante la conferenza afroasiatica di Bandung, si giunse alla stesura
di dieci punti programmatici, nei quali si definiva come il Movimento
dei non-allineati fosse neutrale ed indipendente rispetto alle due
superpotenze sorte all‟indomani della seconda guerra mondiale, Stati
Uniti ed Unione Sovietica. Particolare rilevanza tra i dieci punti aveva
quello in cui si definiva il non intervento e la non interferenza negli
affari interni di un altro paese. L‟intento della conferenza di Bandung
era chiaro: lottare a favore dei diritti di quegli stati che nonostante
l‟avvenuta indipendenza erano ancora soggiogati dalle potenze
neocoloniali. La conferenza ricevette l‟importante adesione di colui
che era il più prestigioso leader arabo contemporaneo, il Presidente
egiziano Gamal Abdel Nasser, il quale poco tempo prima di
Bandung, nel febbraio 1955, aveva rifiutato di aderire al Patto di
Baghdad, stipulato subdolamente in funzione anticomunista da Iraq e
Turchia, ma il cui vero obiettivo era quello di permettere alla Gran
Bretagna di mantenere la propria posizione dominante in Medio
Oriente e quindi il controllo di tutte quelle importanti risorse
strategiche esistenti in quei territori.
2
Carbone Giovanni, L’Africa. Gli stati, la politica, i conflitti, Il Mulino, Bologna, 2005, p. 50.
15
1.4 Il ruolo fondamentale dell’Egitto e di
Nasser nel panorama afroasiatico
1.4.1 Le riforme interne e il nasserismo
L‟Egitto giocò un ruolo fondamentale all‟interno del contesto
afroasiatico, grazie principalmente all‟operato del suo leader più
illustre, Gamal Abdel Nasser. Stato indipendente sin dal 1922,
quando gli inglesi diedero il loro assenso alla nascita del Regno
d‟Egitto, guidato dai discendenti di Mohammed Alì, il paese
nordafricano rimaneva nell‟orbita degli interessi britannici soprattutto
per la presenza del canale di Suez; questo perché Suez era
considerata la via di commercio più importante del globo, l‟unica che
permetteva il transito delle merci dal mar Mediterraneo direttamente
all‟Estremo Oriente in un periodo di tempo decisamente inferiore a
quello previsto dagli altri tragitti via terra e via mare.
Quando nel 1952, gli Ufficiali liberi, presero il potere attraverso un
colpo di stato, condividevano un triplice obiettivo: abbattere la
monarchia, evacuare le truppe britanniche dall‟Egitto e promuovere
una serie di riforme politiche e sociali volte ad eliminare il potere
della classe dei proprietari terrieri.
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Il primo provvedimento messo in atto fu la riforma agraria poiché
l‟urgenza della questione contadina era ben presente ai rivoluzionari.
La legge 178 del 9 settembre 1952 prevedeva che: l‟estensione della
proprietà fondiaria non superasse i 200 feddan (un feddan equivale a
1.038 acri), anche se un supplemento di 100 feddan era messo a
disposizione di mogli e figli del proprietario; fossero redistribuite le
terre espropriate ai contadini poveri o nullatenenti nel giro di cinque
anni; fossero indennizzati i proprietari espropriati; fosse promossa la
nascita di cooperative agricole tra i contadini più indigenti; fossero
poste le basi per la nascita di sindacati dei lavoratori agricoli. Gli
effetti della riforma furono scarsi, certamente inferiori alle aspettative.
3
Mansfield Peter, The Arabs, Penguin Books, Londra, 1992, p. 245.