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CAPITOLO 1
DONNE E VIOLENZA
GINOCIDIO E SOCIETA’ GLOBALE La violenza contro le donne è ormai diventata un fenomeno globalizzato,tanto
da potersoi parlare di Ginocidio
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. Essa si articola in varie forme e si manifesta
in vari modi : ricatti, molestie, stupro,omicidio, compiuti sia nel chiuso della
propria abitazione che in ogni contesto di vita sociale e lavorativa.
In sociologia si mette in luce come, soprattutto negli strati socioculturali più
bassi, il fine della violenza sia la legittimazione del dominio del genere
maschile sul genere femminile, l’imposizione autoritaria di fronte ad una
condizione di sottomissione, subordinazione sociale e rassegnazione. Un atto di
violenza è finalizzato a piegare una volontà, a farlo ritenere legittimo e a portare
conseguenze e costrizioni dal punto di vista fisico e psicologico.
La filosofa statunitense Martha Nussbaum ha applicato ai rapporti fra sessi
l’approccio macroeconomico utilizzato dall’economista Amarthya Sen basato
sulla “ad attività delle preferenze” : poiché la scelta si basa su obiettivi
raggiungibili, essa non è un criterio valutativo adeguato, proprio perché
condizionato e condizionabile da fattori culturali,sociali,ambientali o
psicologici.
Nonostante le vittorie del femminismo, culminate nel 1979 con la firma della
Cedaw, l’avvento del neoliberismo e della globalizzazione hanno , sotto certi
aspetti, peggiorato la condizione delle donne nel mondo. La parità fra i sessi, lo
sviluppi della modernizzazione e l’emancipazione femminile hanno rafforzato
secondo alcuni sociologi un sistema sessista, fatto di asimmetrie di genere,
pratiche patriarcali e politiche di deregolamentazione.
La violenza è una modalità relazionale dell’agire umano,soprattutto fra estranei
e nei gradi più bassi di organizzazione sociale. Studi antropologici dimostrano
che su un campione di 90 società, in 15 di esse la violenza in famiglia non
esiste : sono società in cui le differenze sessuali di genere sono minimizzate
invece che marcatamente imposte.
Pur non esistendo un rapporto lineare tra frequenza della violenza e status
femminile, sono indicatori importanti : il controllo dei comportamenti sessuali
premaritale, la divisione ereditaria, la capacità di guadagno e di decisione. Nei
gruppi sociali in cui questi aspetti sono prerogative di un controllo maschile e in
cui la donna è maggiormente isolata si registrano fenomeni di maggiore
violenza contro le donne.
La sessualità è un elemento frequentemente utilizzato come forma di potere
ginocida, specie nelle società tradizionali occidentali (come quella Romana) in
cui lo stupro richiama una visione di estrema passività delle donne e una
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Daniela Danna, Ginocidio. La violenza contro le donne nell’era globale . Eleuthera 2007
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considerazione delle stesse come bene oggetto di proprietà. Secondo indagini
sociologiche americane degli anni ‟80 un alto status socioculturale delle donne
corrisponde ad una bassa incidenza della violenza, la quale sarebbe dunque
inversamente proporzionale all‟uguaglianza di genere, tanto negli Usa quanto
nelle società tribali. Nei contesti sociali dominati dai maschi, infatti, lo stupro
esprime una svalutazione della donna ed una rigida subordinazione per genere.
La violenza sessuale è sociologicamente una reazione repentina degli uomini
alla perdita di supremazia sulle donne, e la percezione del fenomeno è legata ad
un giudizio di ingiustizia circa una determinata condotta maschile, le cui
prerogative contengono l‟imposizione di un rapporto sessuale.
Gli stupri vengono inoltre denunciati con più frequenza in contesti in cui si
parla apertamente di sessualità, mentre caratteristiche ricorrenti sono la
povertà,la misogina,l‟abuso di sostanze stupefacenti, la partecipazione ad atti
criminosi e situazioni violente o di guerra, in cui i ruoli di genere sono
estremizzati ed impersonali.
L‟Oms nel 2002, individuando i “fattori di rischio” fa riferimento ad un
modello machista, dove il mito dello stupro è valutato positivamente, dove il
materiale pornografico è di libera fruizione e dove le rappresentazioni
aggressive sono estremizzate. Per pervenire la violenza, secondo l‟Oms, è
importante favorire l‟educazione e la cura dei piccoli da parte dei genitori,
rapoorti più bilanciati fra i due sessi e condivisione delle qualità di genere. Le
donne potenziali vittime devono interrompere quelle dinamiche che le vedono
soggetti vulnerabili e violabili, protagoniste del “copione della violenza
ginocida”, agendo invece come soggetti che lottano e si difendono dalla
“violenza sessualizzata”.
Per quanto riguarda il problema dei maltrattamenti familiari, è statisticamente
dimostrato che risultano essere la forma di violenza più diffusa, da quella
psicologica fino all‟omicidio. Essi sono perpetrati da mariti, ex partner o amici
che intendono spezzare o quantomeno piegare la volontà della donna ; fattori
che influenzano il manifestarsi della violenza sono povertà, scarsa istruzione,
giovane età e forte percezione dell‟innamoramento (il 18% delle donne vittime
di violenza risulta essere ancora molto innamorata , e in via generale il distacco
dal partner violento è un percorso tortuoso e mai sin da subito netto) e in modo
non costante l‟abuso di alcol e di sostanze stupefacenti.
In molti casi la violenza, sia fisica che economica e psicologica, inizia quando
la donna resta incinta,quale reazione del‟uomo scatenata da sentimenti di
gelosia, invidia e frustrazione ; al contrario, in quelle zone dove la sessualità e
la contraccezione sono fortemente represse, la violenza è causa e non
conseguenza di un alto numero di figli.
Le comunità più violente sono quelle in cui la violenza è poco disapprovata dal
punto di vista sociale e dove vi è un basso capitale sociale ; la violenza ginocida
è inoltre aumentata dalla diffusione di norme tradizionali sul rapporto fra sessi e
di norme sociali che approvano queste prassi.
La forma primaria di prevenzione è dunque la disapprovazione sociale, mentre
la protezione concreta si esplicita in misure di allontanamento del maltrattatore
e di diffida ,oltre all‟istituzione di case rifugio e centri antiviolenza.
L‟occidentalizzazione del modo di vivere e la partecipazione delle donne alla
vita sociale, polita ed economica hanno eroso dogmi e ideologie delle società
tradizionali (come ad esempio quelle induiste, che imponevano alla donna
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l‟adorazione del marito alla stregua di una divinità). Questo ingresso delle
donne in ruoli non tradizionali ha portato ad aumenti considerevoli del tasso di
violenza, mentre nelle società in cui lo status delle donne è di per sé elevato il
contrasto fra ruoli di genere si riduce, perché le donne non sfidano più l‟autorità
maschile.
Secondo i dati mondiali dell‟Oms la morte violenta è la causa principale di
decesso per le persone tra 15 e 44 anni
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. Escludendo le guerre, soprattutto
quelle del „900 dove l‟alto tasso di omicidi permane anche dopo la cessazione
del conflitto, in quanto percepito come socialmente accettabile, la prima causa
di morte risulta essere non l‟omicidio ma il suicidio, sebbene comunque
collegabile ad una situazione di violenza. Una lettura criminologica e
sociologica dei dati mette in evidenza la correlazione tra omicidi e situazione
economica : posto che nei paesi più poveri le morti violente sono più frequenti
rispetto ai paesi ricchi, il tasso di omicidi nelle aree metropolitane è
proporzionale alla disuguaglianza fra etnie, elemento variabile che
neutralizzerebbe , secondo una ricerca degli anni ‟80
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, la relazione tra livello di
povertà e tassi di frequenza di reati violenti come omicidi, stupri , aggressioni e
rapine.
Questa ricerca parla infatti di “deprivazione relativa”, fatta di alienazione,
disperazione e aggressività latente, risultati dello scontro fra ceti e della
mancanza di protezione sociale da parte dello Stato.
Il collettivismo rappresenta infatti un fattore protettivo abbastanza forte;
secondo una ricerca statunitense del 1997
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il tasso di omicidi è posto in
correlazione inversa rispetto al livello di spesa sociale, in quanto una visione
utilitaristica o di tipo previdenziale (welfare state) inciderebbe in maniera
positiva o negativa sulla diffusione degli atti criminali.
In molte zone del mondo la donna è considerata esclusivamente un “contenitore
di prole”; in Occidente una considerazione “evoluta” della differenza di genere
si traduce spesso per le donne in disturbi alimentari e ossessioni per il bisturi, in
misura notevolmente maggiore rispetto agli uomini ; la sessualità è il terreno in
cui maggiormente si palesano strutture e norme sociali “ingabbianti” e
generatrici di conflitti con se stesse e con il sesso opposto, mentre le pratiche
sociali smentiscono l‟idea freudiana della naturale complementarietà sessuale
tra uomini e donne.
La violenza ginocida istituzionale riguarda invece i luoghi in cui leggi e
consuetudini determinano nella sfera pubblica “due pesi e due misure” nei
rapporti tra uomo e donna. In molti paesi occidentali la non applicabilità al
coniuge del reato di stupro è rimasta in vigore fino ad alcuni anni fa ( In Italia
fino al 1981) e anche l‟omicidio passionale o “delitto d‟onore” è ancora
previsto in molti codici penali come circostanza attenuante della pena.
La violenza economica ginocida cela invece rapporti di sfruttamento gerarchico
e di riserva per le donne di spazi limitati di responsabilità nel privato, mentre
l‟azione pubblica è totalmente in mano agli uomini. Si tratterebbe in alcune
società tradizionali di un mero adempimento del contratto di matrimonio, che
non prevede forme di complementarietà fra uomo e donna nella sfera familiare
e domestica. La violenza economica viene esercitata indirettamente,
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Dati simili a quelli del Rapporto contro la Violenza del Consiglio d‟Europa , 2002
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Judith e Peter Blau,1982
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Messner e Rosenfeld, 2007
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costringendo chi non possiede beni a subire rapporti di sfruttamento,
subordinazione e “segregazione occupazionale”, giustificati per le donne
proprio dal loro ruolo domestico, tradizionalmente diffuso a livello globale, di
“mogli e madri” (oltre all‟impiego nelle multinazionali, spesso come
manodopera sottopagata, in misura superiore all‟80%).
Un approccio comparativo al problema ci impone di osservare, oltre alle
indagini sociologiche , aziendali e giudiziarie, anche e soprattutto le cd.
“inchieste di vittimizzazione”, in cui si chiede direttamente ad un campione di
popolazione quanti reati abbia subito in un determinato arco di tempo. Al di là
del tasso di non risposta, il rischio di indagini troppo generalizzate è di
registrare un tasso di vittimizzazione inferiore rispetto a quella scoperta con
richieste “ad hoc”.
Una di queste è l‟ICVS (International Crime Victims Survey)
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, che
intervistando tra le 300 e le 400 donne in oltre 70 paesi ha rilevato che, in
generale, il livello di incidenza delle aggressioni sessuali risulta proporzionale
al numero totale di reati commessi nel paese.
È bene tuttavia precisare che nei paesi dove le donne sono più libere la
percezione dell‟offensività di un comportamento è maggiore rispetto a luoghi in
cui tali gesti sono socialmente accettati. L‟inchiesta ICVS mostra inoltre una
quota di estranei maggiore tra gli autori delle aggressioni e una maggiore
frequenza nell‟ambito delle relazioni familiari.
Anche se l‟andamento delle aggressioni e delle relative denunce non è univoco,
anche l‟Oms ha rilevato una percentuale di violenze fisiche verso le donne che
varia dal 23% al 49% nel corso della vita.
La violenza contro le donne è spesso legittimata e mascherata dal Mito della
Famiglia, dall‟idea del Dover Essere, da quel senso di possesso che una volta
minacciato e ferito produce , anche dopo la fine del legame, situazioni
drammatiche. Questa idea di socialità della famiglia è condivisa talvolta anche
dalle vittime e rappresenta un ostacolo nel percorso di uscita dalla violenza,
provocando sensi di colpa e sentimenti di abnegazione e disponibilità totale.
In sostanza la tanto celebrata “complementarietà” fra ruoli maschili e femminili
risulta essere invece una “gerarchia” fra sessi, con l‟uomo ancora in posizione
socialmente dominante; essa andrebbe invece sostituita con la “reciprocità” dei
ruoli, posto che la stessa violenza maschile è la forma di esteriorizzazione di un
disagio nel vivere il proprio ruolo, in cui il controllo rappresenta l‟elemento
chiave e la vera posta in gioco.
In Italia la Legge n.66/1996 contro la violenza sessuale aveva lo scopo di far
cessare indagini troppo invasive sulla vita sessuale precedente della vittima, ma
la formulazione “nei casi di minore gravità” ha lasciato ai giudici ampi margini
di discrezionalità circa la valutazione delle attenuanti (Es. Cassazione
sent.1369/99, ovvero la celebre “sentenza dei jeans”).
I dati italiani ci dicono che le denunce per stupro sono in aumento e che le
vittime tra le mura domestiche sono il coniuge e il convivente in un terzo dei
casi,in un sesto un figlio , in un decimo gli ex partner e in meno di un decimo i
genitori. Tali dati sono però sensibilmente in aumento : solo nel 2004 sono
state denunciati 1548 omicidi volontari,4571 violenze sessuali e 4861
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http://rechten.uvt.nl/icvs/
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maltrattamenti in famiglia. Dal 1960 al 1995 il Sud Italia è stata la zona con il
più alto livello di denunce, ma spesso solo allo scopo di “salvare l‟onore”: se il
ragazzo rifiutava il matrimonio riparatore veniva denunciato per “stupro per
seduzione”, cosicchè la minaccia della denuncia mirava a salvare l‟onorabilità
della ragazza “in età da marito”.
I dati raccolti dall‟Istat nella “Indagine sulla sicurezza dei cittadini” nel 1997-
98 e nel 2002 dimostrano come il 3,9% delle donne interpellate nel ‟97 e il
3,6% nel 2002 hanno dichiarato di aver subito un tentativo di violenza sessuale
o stupro nel corso della vita. Il tasso di denuncia degli episodi di violenza
sessuale subiti dal 2004 al 2007 è del 9,2% e del 9% per il tentato stupro. La
propensione a denunciare sta tuttavia aumentando, soprattutto tra le donne
neolaureate e diplomate. La ricerca Istat del 2002 , oltre a sovrapporre
discutibilmente partner ed ex come autori della violenza, evidenzia come oltre il
69% delle intervistate dichiari di non aver superato il trauma nel corso della
vita.
L‟Indagine multiscopo dell‟Istat sulla “Sicurezza dei cittadini” è stata effettuata
anche nel 2008-2009
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tramite intervista telefonica, selezionando un campione di
60 mila famiglie per un totale di 24 mila 388 donne di età compresa tra i 14 e i
65 anni.
Circa la metà delle donne in età 14-65 anni (10 milioni 485 mila, pari al 51,8
per cento) hanno subito nell‟arco della loro vita ricatti sessuali sul lavoro o
molestie in senso lato. Sono più esposte alle molestie o ai ricatti sessuali sul
lavoro le donne che abitano nei centri delle aree metropolitane (64,9 per cento)
e nei comuni periferici delle stesse (58 per cento). Valori sopra la media si
evidenziano per le donne del Nord-Ovest (57,2 per cento) e del Nord-Est (54,3
per cento), soprattutto in Piemonte (58,9 per cento), Lombardia (56,9 per
cento), Emilia-Romagna (56,3 per cento), e Liguria (55,5 per cento).
Negli ultimi tre anni sono state 3 milioni 864 mila (il 19,1 per cento del totale)
le donne di 14-65 anni ad aver subito almeno una molestia o un ricatto sessuale
sul lavoro. Le più colpite da questo fenomeno sono le ragazze di 14-24 anni
(38,6 per cento), per le quali la probabilità di subire una molestia è doppia
rispetto alla media, seguite dalle 25-34enni (29,5 per cento). I valori più alti
riguardano le laureate (26,1 per cento) e le diplomate (22,3 per cento). Negli
ultimi tre anni il fenomeno risulta maggiormente diffuso tra le donne del Sud
(21 per cento contro 19,9 per cento del Nord-Ovest e 17,7 per cento del Nord-
Est).
La differenza tra i valori rilevati sulle molestie e ricatti sessuali sul lavoro subiti
nell‟arco della vita (maggiormente segnalati dalle donne residenti al Nord) e
negli ultimi tre anni (maggiormente subite dalle donne del Sud) può essere
dovuta a diversi fattori, quali una maggiore omogeneità negli stili di vita (e
quindi nell‟esposizione al rischio di molestie e ricatti) tra le donne più giovani e
la maggiore partecipazione delle donne del Sud al mercato del lavoro negli anni
più recenti.
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http://www.meltinglab.it/images/violenze/files/testointegrale20100915.pdf
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Secondo l‟ultimo rapporto Eures-Ansa su "L'omicidio volontario in Italia"
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resta una "forte prevalenza delle vittime di sesso maschile" (che nell'ultimo
biennio in esame rappresentano il 76,2% del totale), ma l'aumento dei
femminicidi é un dato di fatto "riconducibile - si legge nella ricerca - al
decremento degli omicidi della criminalità organizzata (che colpisce quasi
esclusivamente gli uomini) accompagnato da una progressiva maggiore
incidenza dei delitti in famiglia (all'interno dei quali le principali vittime sono
donne)".
Se ci si ferma all'ultimo anno disponibile, il 2008, si osserva che la vittima è
una donna in un caso su 4 (il 24,1%. Ma, in percentuale, l'anno peggiore
dell'ultimo decennio è stato il 2006: le donne uccise furono 181, pari al 29,4%).
Ed è il Nord, "dove sono più frequenti gli omicidi in famiglia", a registrare la
quota prevalente delle vittime di sesso femminile - 70, pari al 47,6% delle 147
uccise nel 2008 in Italia - a fronte del 29,9% al Sud (44 vittime) e del 22,4% al
Centro (33 vittime). Al Sud la distribuzione delle vittime vede prevalere nel
2008 gli uomini sulle donne di oltre 70 punti percentuali (attestandosi i primi
all'86,3% e al 13,8% le seconde), ma lo scarto di genere si riduce
significativamente al Centro (66% le vittime uomini e 34% donne) e al Nord
(rispettivamente 63,9% e 36,1%). Disaggregando i dati a livello regionale, gli
uomini registrano un numero di vittime superiore a quello delle donne in quasi
tutte le regioni italiane: fanno eccezione soltanto l'Umbria e il Molise, in cui
prevalgono nel 2008 le vittime di sesso femminile (5 a fronte di 2 vittime tra gli
uomini in Umbria e 2 contro nessuna vittima tra gli uomini in Molise). La
regione che detiene il triste record dei femminicidi è la Lombardia (26, pari al
17,7% del totale), seguita dalla Toscana (15, pari al 10,2%), dalla Puglia (14,
pari al 9,5%) e dall'Emilia Romagna (12 femminicidi, pari all'8,2%). In termini
relativi sono però la Liguria, il Molise e l'Umbria a registrare il rischio più alto,
rispettivamente con un indice di 1,3, 1,2 e 1,1 omicidi ogni 100 mila donne (la
media nazionale è di 0,5 omicidi ogni 100 mila donne).Riguardo all'ambito in
cui si è consumato l'omicidio, il rapporto Eures-Ansa evidenzia che il 70,7% dei
femminicidi è stato compiuto nel 2008 all'interno di contesti familiari (104
donne uccise, a fronte di 67 uomini), segnando tuttavia un leggero calo rispetto
al 74% del 2006. Aumentano invece le donne vittime della criminalità comune
(21 casi, pari al 14,3% delle vittime totali in questo ambito) e degli omicidi tra
conoscenti (dal 4,4% del 2006 al 6,8%), mentre non si registra nel 2008 alcun
femminicidio compiuto dalla criminalità organizzata (a fronte di tre casi del
2006 e di un caso nel 2007). Le donne più colpite sono le anziane (36 vittime,
pari al 24,5% del totale), con numerosi omicidi di coppia o 'pietatis causa', ma il
rischio è alto anche "nell'età feconda, in cui le donne sono uccise
prevalentemente all'interno di rapporti di coppia, per ragioni passionali: il
21,8% delle vittime di sesso femminile ha infatti tra i 25 e i 34 anni (32
vittime)".
In linea generale tuttavia non vi è un andamento lineare del rischio di violenza
sessuale a seconda del ceto o del titolo di studio , poiché secondo le statistiche è
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L'omicidio volontario in Italia. Rapporto EURES - ANSA 2007