Danni da mobbing e tutela della persona - Premessa
7
PREMESSA
La tutela del lavoratore quale “persona” implicata nel ciclo produttivo di
un’impresa ha costituito da sempre una priorità per il legislatore. L’acquisizione di
tale dato al patrimonio culturale comune è stata favorita dagli interventi legislativi
succedutisi a partire dagli anni sessanta, che hanno contribuito alla nascita e allo
sviluppo dell’attuale articolato sistema di tutela della persona del lavoratore. Tale
legislazione è ispirata alla ratio di affermazione della preminenza del lavoratore, in
quanto persona, rispetto alle esigenze aziendali e si caratterizza per l’attribuzione di
una serie di diritti in capo ai lavoratori, cui corrispondono altrettanti doveri del datore
di lavoro.
In tempi più recenti, inoltre, si registra un’ulteriore tendenza verso lo spostamen-
to del baricentro dell’attenzione dalla tutela della salute psicofisica del lavoratore alla
tutela della sua dignità e personalità morale. In tale senso, infatti, il moderno diritto
del lavoro ha scelto di valorizzare i beni della persona che sono implicati nel rappor-
to di lavoro affermandone l’irriducibilità alla logica dello scambio economico. Ciò,
peraltro, senza riuscire a sganciarli completamente dall’originario presupposto della
“patrimonialità”, essendo, ad oggi, tutelati pressoché esclusivamente attraverso lo
strumento risarcitorio per equivalente monetario.
Proprio in tale quadro si inserisce il dibattito dottrinale e giurisprudenziale intor-
no al riconoscimento giuridico del fenomeno del mobbing. L’esigenza di un siffatto
riconoscimento è sorta approssimativamente nell’ultimo decennio, non tanto perché
il mobbing è un elemento di novità dell’epoca moderna – rispecchiando piuttosto un
certo grado di conflittualità “fisiologica” propria del mondo del lavoro che può paci-
ficamente portare a ritenere che sia sempre esistito – ma piuttosto perché le recenti
tendenze dell’economia mondiale costituiscono terreno fertile per lo sviluppo del
fenomeno in questione e perché è tipica caratteristica della moderna società una
rinnovata sensibilità verso istanze di protezione della persona del lavoratore, consi-
derata nella sua interezza e complessità, che comporta una piena presa di consapevo-
lezza della gravità del mobbing da parte della coscienza collettiva.
Danni da mobbing e tutela della persona - Premessa
8
Infatti, la convulsa globalizzazione dell’economia moderna ha portato allo sposta-
mento di molte attività in aree a basso costo di manodopera e alle grandi fusioni tra
colossi societari, che hanno condotto a licenziamenti collettivi per riduzione di per-
sonale al fine di ridurre i costi aziendali. Da ciò gli esuberi e l’inevitabile aumento
della concorrenza interna, amplificata ancor più dalla maggiore precarietà che ha
assunto il posto di lavoro negli ultimi anni a causa del diffondersi di certe forme
contrattuali. Tutti questi aspetti hanno favorito il diffondersi delle pratiche di mob-
bing, sia come strumento di politica aziendale dell’occupazione (rectius il c.d. mob-
bing strategico), sia come “mezzo di sopravvivenza” degli stessi lavoratori, portati
dal moderno mercato del lavoro a concorrere coi propri colleghi per assicurarsi un
posto di lavoro il più possibile stabile e sicuro.
In tale quadro si è inserita anche la recentissima crisi economica mondiale che, unita
all’inefficienza del sistema previdenziale, ha contribuito a peggiorare ancor più le
condizioni di lavoro, incrementando l’instabilità lavorativa, economica e, in sintesi,
della vita di tanti lavoratori.
L’affannosa ricerca di un posto di lavoro stabile e remunerativo da parte dei prestato-
ri di lavoro e l’incessante ricerca del profitto aziendale da parte dei datori di lavoro
costituiscono il leitmotiv dell’uomo del ventunesimo secolo. In tale contesto le prati-
che di mobbing sono destinate a raggiungere livelli decisamente preoccupanti se gli
operatori giuridici non forniscono adeguati strumenti di tutela alle vittime, al fine
della repressione e prevenzione del fenomeno.
Tornando al tema della riconoscibilità giuridica del mobbing, si possono ridurre
i problemi della questione a tre fondamentali domande: in primo luogo occorre chie-
dersi se la nozione di mobbing, nata all’interno delle scienze sociologiche e psichia-
triche, possa essere recepita nell’ordinamento giuridico assumendo dignità giuridica
e, se sì, quale norma di diritto positivo può autorizzare tale operazione interpretativa;
in secondo luogo, ove si ammetta la rilevanza giuridica del fenomeno, occorre inter-
rogarsi su quali siano i confini di tale nuovo istituto giuridico fonte di responsabilità,
ossia quale sia il significato giuridicamente rilevante del mobbing, e se tale significa-
to apporti un reale vantaggio (rectius un “valore aggiunto”) per la tutela del lavorato-
re; in terzo luogo, infine, occorre domandarsi quale tipo di responsabilità possa
correttamente discendere da un fatto di mobbing, quale tipologia di danno sia effetti-
Danni da mobbing e tutela della persona - Premessa
9
vamente risarcibile e quali siano i limiti connessi all’applicazione della mera tutela
risarcitoria. In quest’ultima prospettiva, il tema del mobbing si inserisce nel dibattito
sulle nuove frontiere della responsabilità civile e sulla risarcibilità nei “nuovi danni”
alla persona.
Lo studio che si propone è finalizzato a far ottenere al lettore un quadro il più
possibile completo della questione riguardante il riconoscimento giuridico di quel
particolare fenomeno sociale che è il mobbing.
L’esame che verrà svolto si pone nella duplice prospettiva, da un lato, di fornire
uno sguardo sulla situazione giuridico-normativa complessiva riguardante la fattispe-
cie di mobbing e, dall’altro, di indicare quelle che sono le conseguenze giuridiche e i
rimedi attivabili che, allo stato del diritto, possono discendere da siffatto fenomeno.
In tal senso, l’elaborato può essere suddiviso in due parti generali: la prima,
costituita sostanzialmente dal primo capitolo, nella quale si effettua un’analisi prima
sociologica e poi giuridica sul fenomeno e la nozione di mobbing (ripercorrendo così
i passi dell’iter scientifico, prima sociologico e solo recentemente giuridico, che ha
studiato il mobbing); la seconda, costituita dai capitoli successivi, facendo proprio il
dato di fatto del riconoscimento giuridico del fenomeno del mobbing quale fonte di
obbligazioni da fatto illecito ricavabile dall’analisi della giurisprudenza in materia, si
propone di fornire al lettore il quadro tecnico-giuridico delle conseguenze e dei
rimedi (e delle rispettive problematiche) che possono discendere dal mobbing, così
come individuati dall’attività ermeneutica di dottrina e giurisprudenza. In particolare,
le principali problematiche giuridiche discendenti dal riconoscimento del mobbing
da parte dell’ordinamento attengono al tipo di responsabilità che esso configura
(secondo capitolo), alle tipologie di danno che può produrre sulla persona del lavora-
tore (terzo capitolo) e ai mezzi di tutela che quest’ultimo può azionare per far cessare
la condotta illecita ed ottenere la reintegrazione dei danni subiti (quarto capitolo).
L’elaborato si propone di fornire al lettore una piena consapevolezza delle prin-
cipali questioni giuridiche che il riconoscimento del mobbing porta con sé e tra
queste dei punti di accordo, che si sono raggiunti attraverso una fervida opera dottri-
nale e giurisprudenziale, e dei punti di attrito e dibattito che ancora oggi dividono tra
loro giuslavoristi e civilisti.
Danni da mobbing e tutela della persona - Il mobbing
10
CAPITOLO I
IL MOBBING
1. IL FENOMENO DEL MOBBING
Questo primo paragrafo si propone di studiare il fenomeno del mobbing dal
punto di vista della sociologia e della psicologia del lavoro. Proprio per la sua natura
extra-giuridica tale studio è finalizzato esclusivamente ad introdurre le nozioni fe-
nomenologiche di base della fattispecie di mobbing.
1.1. ETIMOLOGIA DEL TERMINE “MOBBING”
Il termine “mobbing” deriva dal lemma di origine anglosassone “mob” che
letteralmente significa “folla, moltitudine disordinata, marmaglia, plebaglia”. Si
tratta di un termine molto usato in etologia nel cui ambito è utilizzato per descrivere
il comportamento aggressivo di un animale del branco nei confronti di un altro ani-
male; in tal senso il verbo “ to mob” assume la valenza di un atteggiamento finalizza-
to a prendere d’assalto collettivamente qualcuno per emarginarlo ed escluderlo dal
resto del gruppo (
1
).
Pertanto il termine “mobbing” viene comunemente usato per rappresentare
quelle particolari forme di degenerazione dei rapporti interpersonali che si concretiz-
zano in una sorta di aggressione psicologica sistematica posta in essere nei confronti
di un soggetto, direttamente dal datore di lavoro o dai suoi preposti ovvero anche da
colleghi della vittima medesima, i quali provocano un progressivo disadattamento
della stessa (
2
).
(
1
) F. AMATO, M.V. CASCIANO, L. LAZZERONI, A. LOFFREDO, Il mobbing. Aspetti lavoristi-
ci: nozione, responsabilità, tutele, Giuffrè, Milano, 2002, p. 8.
(
2
) V. MATTO, Il mobbing fra danno alla persona e lesione del patrimonio professionale, in
Diritto delle relazioni industriali, 1999, p. 491 ss.; R. SCOGNAMIGLIO, A proposito del
mobbing, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 2004, p. 489 ss.
Danni da mobbing e tutela della persona - Il mobbing
11
1.2. I SOGGETTI DEL MOBBING
Punto nevralgico per comprendere appieno il fenomeno del mobbing in ambito
lavorativo è delineare a grandi linee i soggetti coinvolti nella fattispecie mobbizzan-
te, in modo da aver ben chiaro il ruolo svolto da ciascuno di essi per una corretta
imputazione delle responsabilità.
A tal fine vengono distinti sostanzialmente tre soggetti coinvolti nel fenomeno
del mobbing: l’autore, o soggetto attivo (il c.d. mobber), la vittima, o soggetto passi-
vo (il c.d. mobbizzato) ed infine i c.d. “spettatori”, cioè soggetti terzi rispetto alla
vera e propria condotta mobbizzante – salvo il particolare caso dei c.d. side-mobbers,
come vedremo tra breve – ma non rispetto alla sua concreta potenzialità lesiva.
1.2.1. Il soggetto attivo: il mobber
La scienza che per prima si è occupata del fenomeno del mobbing è la psicologia
del lavoro. Nonostante l’avvertimento, valido fin da subito, che l’analisi degli studi
scientifici extra-giuridici può essere utile soltanto ai fini di un’indagine fenomenolo-
gica e non anche per l’individuazione degli elementi costitutivi della fattispecie
giuridica di mobbing – avvertimento di cui la prima giurisprudenza di merito in tema
di mobbing non ha sempre tenuto conto, come questo studio mostrerà (
3
) – è possibi-
le in questa sede, e soltanto per scopi didattici, analizzare innanzitutto gli studi della
psicologia del lavoro circa il soggetto attivo del mobbing (il c.d. mobber).
Tale scienza distingue il soggetto attivo in cinque categorie, utilizzando quale
elemento diversificante il carattere o la personalità psichica della persona:
a) la prima categoria di mobber è costituita dal c.d. istigatore, un soggetto sem-
pre alla ricerca di nuove cattiverie. Secondo illustre sociologo (
4
) i tipi di que-
sto genere non lasciano in pace le loro vittime perché credono di avere van-
taggi dalla loro persecuzione o anche soltanto per sfogare i loro umori. Po-
trebbe essere considerato il mobber “classico”: una persona che pone in esse-
re una condotta mobbizzante di proposito e che trae piacere nel farlo, che
pianifica sempre nuove strategie per stressare e perseguitare la sua vittima.
(
3
) In proposito, v. infra cap. I, § 2.1.9.
(
4
) B. HUBER, Mobbing. Psychoterror am Arbeitsplatz, Falken, Niedernhausen, 1994.
Danni da mobbing e tutela della persona - Il mobbing
12
Non è facile trovare una soluzione semplice e facile ad un mobbing così pro-
gettato e pianificato. Questo tipo di mobber si rende conto benissimo di quel-
lo che sta facendo, tuttavia darà sempre la colpa a qualcun altro e sarà pronto
a giurare la sua innocenza. Il suo scopo è proprio quello di prendersela con
qualcuno, le sue strategie sono pianificate, le sue azioni non accadono per ca-
so: è lui a creare la situazione adatta e favorevole a lanciare una nuova vessa-
zione;
b) la seconda categoria di soggetto attivo è rappresentata dal c.d. mobber casua-
le, ossia una persona non tendente al conflitto innato, come l’istigatore, ma
che inizia una condotta mobbizzante ai danni di un collega a seguito di un
conflitto avuto con quest’ultimo. È forse questo il caso più comune. Il primo
problema di fronte ad un mobber casuale è il fatto che lui stesso prima del
conflitto non si riconosce come ambizioso o aggressivo; la sua potenziale
conflittualità non è quindi in nessun modo prevedibile. Oltre a ciò esiste
l’ulteriore problema riguardante il fatto che questa persona diventa mobber
senza rendersene conto. Ciò comporta una notevole difficoltà nella ricerca di
soluzioni al conflitto che pongano fine in maniera “naturale” alla condotta
mobbizzante;
c) la terza tipologia di mobber è quella del c.d. collerico, la categoria di soggetto
attivo con la quale è più difficile la convivenza lavorativa. Il suo carattere gli
impedisce di controllare e trattenere i sentimenti per cui tende ad esplosioni
di collera anche estremamente violente. Non ha tolleranza verso le mancanze
degli altri, sfoga i suoi umori senza riguardo verso i colleghi che gli stanno
intorno e altrettanto rapidamente si ricompone e riprende il suo lavoro. Il ri-
sultato è un comportamento del tutto imprevedibile i cui continui cambiamen-
ti di umore mettono a dura prova i rapporti coi colleghi. È molto facile diven-
tare vittima di un tipo simile: egli infatti pone in essere il mobbing perché non
riesce a tenere la propria rabbia dentro di sé ed a fronteggiare da solo i suoi
problemi, così se la prende con gli altri;
d) la quarta specie di soggetto attivo è il c.d. megalomane, una persona che ha
un’opinione distorta di se stesso, il cui profilo caratteriale principale è costi-
tuito dalla mancanza del sentimento del suo vero valore: si vanta perché crede
Danni da mobbing e tutela della persona - Il mobbing
13
di essere quello che lui vorrebbe essere, commettendo quindi un cruciale er-
rore di percezione, e mobbizza chiunque possa (o anche sembri soltanto) met-
tere in discussione l’autorità che crede di avere. Potrebbe di buon grado fun-
gere da esecutore materiale delle azioni mobbizzanti progettate dal vero mob-
ber, che in queste ipotesi potrebbe quindi restare occulto;
e) il quinto ed ultimo genere di mobber è rappresentato dal c.d. frustrato, per il
quale problemi privati o conflitti della vita al di fuori del lavoro sono spesso
motivo di frustrazioni che vengono spesso a manifestarsi sul lavoro a spese
dei colleghi. Per il frustrato gli altri diventano dei nemici, perché non soffro-
no dei suoi problemi o al suo posto li affronterebbero in modo diverso. Nella
categoria dei frustrati troviamo molte donne: tale dato statistico potrebbe es-
sere causato dalla diversa sensibilità che le donne manifestano verso i loro
problemi privati; il carattere femminile tende a concentrare molte aspettative
sui valori affettivi e familiari, per cui ne risulta più profondamente ferito nel
caso di problemi anche non gravissimi concernenti quella sfera. Anche gli
uomini naturalmente soffrono di frustrazione, ma l’indagine rileva che questa
sia maggiormente legata ad altri problemi, come la situazione economica o la
vita sentimentale (
5
).
1.2.2. Il soggetto passivo: il mobbizzato
In base a recenti studi sociologici e della psicologia del lavoro sul mobbing
emergono diverse definizioni della vittima del comportamento mobbizzante senza
che si stata raggiunta una uniformità di vedute. Ciò si spiega anzitutto in quanto
chiunque, potenzialmente, può essere vittima di mobbing, data l’estrema potenzialità
lesiva che tale atteggiamento persecutorio possiede e che, pertanto, rende ogni per-
sona suscettibile di subirne gli effetti pregiudizievoli. Neanche la convinzione che le
donne fossero più inclini ad essere condizionate, in senso negativo, dal mobbing è
oggi più sostenibile, in quanto tale convinzione si basava soprattutto
sull’identificazione tra mobbing e molestia sessuale, mentre i più recenti approdi
(
5
) B. HUBER, Mobbing. Psychoterror am Arbeitsplatz, op. cit., p. 24 ss.; H. EGE, Mobbing.
Che cos’è il terrore psicologico sul posto di lavoro, Pitagora, Bologna, 1996, p. 120 ss.
Danni da mobbing e tutela della persona - Il mobbing
14
della sociologia (
6
) e della scienza giuridica (
7
) sul tema hanno confermato come la
molestia sessuale non sia altro che una possibile estrinsecazione di un fenomeno
molto più complesso e articolato quale quello del mobbing, la cui portata lesiva si
proietta molto oltre la sfera sessuale.
Neanche un’analisi della categoria o della capacità lavorativa del mobbizzato aiuta
ad individuare categorie diverse di soggetti passivi o “zone” a rischio più alto di
mobbing. Peraltro, alcuni studi hanno rilevato una maggiore predisposizione a subire
atteggiamenti mobbizzanti degli impiegati rispetto agli operai (
8
) – predisposizione
facilmente spiegabile in termini di diversità del lavoro d’ufficio rispetto a quello
d’officina, essendo il primo maggiormente caratterizzato dal contatto umano e dalla
collaborazione diretta col datore di lavoro e quindi dall’“occasione di mobbing”,
rispetto al secondo – e dei dipendenti statali rispetto ai lavoratori nel settore privato
(
9
), in quanto la struttura tipicamente gerarchica della pubblica amministrazione
favorisce lo svilupparsi di rapporti conflittuali che possono sfociare nel mobbing.
Inoltre, non si possono ritenere “al sicuro” dal fenomeno neanche i lavoratori auto-
nomi, o meglio quella parte di loro che sono comunque legati all’organizzazione del
proprio committente da un rapporto continuativo: cioè i lavoratori parasubordinati
(
10
).
Nonostante le riportate difficoltà circa l’elaborazione di una classificazione dei
soggetti passivi, alcuni sociologi hanno cercato di dimostrare che quattro tipi di
persone corrono particolarmente il rischio di divenire vittime di mobbing:
a) una persona sola, come ad esempio l’unica donna in un ufficio di maschi, ov-
vero l’unico infermiere in un ospedale di sole infermiere;
(
6
) K. NIEDL, Mobbing/Bullying am Arbeitplast, Rainer Hampp Verlag, Monaco e Mering,
1995.
(
7
) A. PIZZOFERRATO, Molestie sessuali sul lavoro, Cedam, Padova, 2000, p. 242 ss.; M.
D’APONTE, Molestie sessuali e licenziamento: è necessaria la prova del c.d. mobbing, in
Rivista italiana di diritto del lavoro, 2000, p. 769 ss.
(
8
) H. LEYMANN, Mobbing at work and the development of Post-traumatic stress disorders,
in M o bbing and victimization at work, European Journal of work and organizational
psychology, vol. 5, 1996, p. 179 ss.
(
9
) M. BONA, P.G. MONATERI, U. OLIVA, La responsabilità civile del mobbing, Milano,
2002, p. 15 ss.
(
10
) R. SCOGNAMIGLIO, A proposito del mobbing, in Rivista italiana di diritto del lavoro, op.
cit., p. 506.
Danni da mobbing e tutela della persona - Il mobbing
15
b) una persona “strana”, ossia qualcuno che non si confonde con gli altri, ma
che è in qualche modo diverso: una persona che appartiene ad una minoranza
ha un’altissima probabilità di essere mobbizzata;
c) una persona che ha successo, cioè un soggetto che facilmente provoca la ge-
losia dei colleghi;
d) una persona nuova, che può attirare gli atteggiamenti vessatori o perché la
persona che in precedenza ricopriva il suo posto era molto popolare o perché
la persona nuova stessa ha qualcosa in più degli altri (forse è più qualificata o
semplicemente più giovane) (
11
).
Per concludere occorre ribadire il concetto che il soggetto passivo non è per sua
natura un “sottomesso”, ma molte volte è proprio la sua intraprendenza ad attirare i
propensi vessatori ed emarginanti dei colleghi o superiori; con questo volendo sotto-
lineare la vasta portata del fenomeno che non si limita a colpire soggetti, si potrebbe
dire, “biologicamente” predisposti a subire atteggiamenti persecutori. Illustre scienza
sociologica, infatti, ha sostenuto che «la vittima di molestie morali sul luogo di lavo-
ro non è necessariamente una persona dal carattere debole», «spesso è solo l’ultimo
arrivato, colpevole soltanto di aver rotto una precedente dinamica molto chiusa» (
12
).
1.2.3. I c.d. “spettatori”
Gli spettatori sono tutte quelle persone, colleghi, superiori, addetti alla gestione
del personale, che non sono coinvolti direttamente nel mobbing, ma che in qualche
modo vi partecipano, lo percepiscono, lo vivono di riflesso. L’importanza di questi
soggetti sta nel fatto che proprio l’ambiente al di fuori dei protagonisti (cioè il
mobbizzato e il mobber) svolge un ruolo cruciale in qualsiasi situazione di mobbing:
sono i colleghi non direttamente coinvolti che possono permettere o non permettere
lo sviluppo del fenomeno nel loro ufficio. In questo senso, rilevante diviene il ruolo
che i c.d. spettatori rivestono nella gerarchia aziendale: è facile comprendere come
l’indifferenza di un lavoratore assunto in prova sarà molto meno influente
sull’alimentarsi del fenomeno mobbizzante r i s p etto all’indifferenza di un capo-
(
11
) B. HUBER, Mobbing. Psychoterror am Arbeitsplatz, op. cit.
(
12
) Così, A. GIGLIOLI e R. GIGLIOLI, Cattivi capi, cattivi colleghi. Come difende rsi dal
mobbing e dal nuovo “capitalismo selvaggio”, Mondadori, Milano, 2000, p. 13 ss.
Danni da mobbing e tutela della persona - Il mobbing
16
reparto, dal quale il lavoratore mobbizzato si attenderà un atteggiamento più attento.
Alla luce di quanto detto sopra ci si è chiesti se, sostanzialmente, gli spettatori,
alimentando ed aggravando le conseguenze del mobbing a causa dal loro comporta-
mento indifferente, possano essere considerati anch’essi dei mobber, seppur in via
indiretta. In certe ipotesi, addirittura, gli spettatori assumono una rilevanza anche
diretta nel fenomeno mobbizzante, concorrendo col mobber nel compimento di atti di
discriminazione o persecuzione costituenti mobbing. In tali casi si parla comunemen-
te di “side-mobbers”, indicando con tale termine persone che possono essere imputa-
te di mobbing tanto quanto il mobber principale.
In altri casi, infine, gli spettatori possono invece attivarsi prendendo le difese del
collega mobbizzato, in questo modo ponendosi come un freno allo svilupparsi della
condotta mobbizzante.
In conclusione, e riassumendo, si può dire che i c.d. spettatori possono classifi-
carsi in tre categorie:
a) gli indifferenti, che alimentano l’emarginazione del soggetto vittima del
mobbing, ma che non contribuiscono attivamente e direttamente alle condotte
del mobber;
b) i side-mobbers, che invece partecipano alla condotta mobbizzante in maniera
diretta e attiva (e sono pertanto imputabili della responsabilità per mobbing al
pari del soggetto attivo);
c) gli oppositori, che viceversa prendono le difese del mobbizzato e che tentano
di arginare il fenomeno vessatorio (
13
).
1.3. TIPOLOGIE DI MOBBING
Il mobbing viene comunemente distinto in due tipologie, in base alla “direzione”
percorsa dall’atteggiamento vessatorio nella gerarchia dei ruoli all’interno
dell’azienda: in tal senso si distinguono un mobbing c.d. “verticale”, che riguarda
persone di livello gerarchico diverso all’interno dell’azienda – a sua volta distinto in
“discendente”, quando la vittima viene mobbizzata da un proprio superiore gerarchi-
co, e “ascendente”, quando, viceversa, è il superiore ad essere vittima di mobbing in
(
13
) H. EGE, Mobbing. Che cos’è il terrore psicologico sul posto di lavoro, op. cit.
Danni da mobbing e tutela della persona - Il mobbing
17
conseguenza della condotta di un proprio sottoposto – e un mobbing c.d. “orizzonta-
le”, che concerne le condotte vessatorie poste in essere tra colleghi di pari grado.
1.3.1. Mobbing “verticale”: discendente e ascendente; il c.d. bossing
Come accennato, il mobbing verticale si distingue nelle due categorie del mob-
bing discendente (o dall’alto) e del mobbing ascendente (o dal basso), a seconda
della disposizione gerarchica del soggetto attivo e di quello passivo della fattispecie
persecutoria.
Il mobbing dall’alto è la fattispecie che vede un singolo superiore oltrepassare i
limiti della propria superiorità gerarchica fino ad esercitare atteggiamenti particolar-
mente aggressivi e punitivi nei confronti della propria vittima. Tali atteggiamenti, di
norma, vengono poi assunti da altri dipendenti, determinando un progressivo isola-
mento della vittima (
14
). Il mobbing esercitato da un capo o superiore verso i sottopo-
sti comprende atteggiamenti ed azioni spesso riconducibili alla ben conosciuta tema-
tica dell’abuso di potere, cioè dell’uso eccessivo, arbitrario o illecito del naturale e
legittimo potere che un ruolo di direzione implica (
15
). In un primo tempo la sociolo-
gia si è posta l’interrogativo se questo tipo di mobbing non derivasse dalla gerarchia
organizzativa aziendale stessa, ossia se la struttura gerarchica dell’impresa non facili-
tasse o addirittura provocasse l’insorgere del mobbing verticale discendente, concen-
trando potere e capacità decisionali nelle mani di alcuni suoi componenti a scapito di
altri. Tuttavia alcuni studi (
16
) hanno dimostrato che snellire la gerarchia aziendale,
portandola al minimo indispensabile, porta tanti vantaggi, ma non in fatto di mob-
bing verticale. Questo preoccupante fenomeno infatti sembra insorgere ovunque,
anche nelle aziende ad organigramma piatto. In ultima analisi, insomma, pare che se
una persona fa un uso sconsiderato del suo potere professionale, per quanto esso sia
limitato, ha le potenzialità per divenire un mobber.
Il superiore gerarchico che ha posto in essere la condotta mobbizzante sarà
quindi imputabile della responsabilità da essa scaturente in virtù dell’art. 2043 c.c.,
(
14
) Sugli “spettatori indifferenti” e sui “side-mobbers”, v. supra cap. I, § 1.2.3.
(
15
) H. EGE, Mobbing. Che cos’è il terrore psicologico sul posto di lavoro, op. cit.
(
16
) Su tutti, H. EGE, Il mobbing in Italia. Introduzione al mobbing culturale, Pitagora editri-
ce, Bologna, 1997.