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Introduzione:
Lo scopo di questo elaborato è quello di incentivare lo sviluppo del turi-
smo culturale a Schio, famoso polo dell‟industria Alto Vicentina, utilizzando i
numerosi lasciti di archeologia industriale di cui dispone. Si è ritenuto opportuno
paragonare la città di Schio con altre realtà, italiane, britanniche e spagnole, nelle
quali si sia affermata in passato l‟industria tessile e che oggi siano state corretta-
mente recuperate per venire sfruttate dal punto di vista turistico e/o culturale.
Punto di partenza di questa ricerca è la convinzione che il patrimonio ar-
cheologico-industriale di Schio possa essere valorizzato in misura maggiore ri-
spetto a quanto accada oggi. Ciò sarebbe possibile attraverso il recupero e il man-
tenimento delle strutture oggi in disuso e la creazione e diffusione di nuovi itinera-
ri turistici che illustrino ai visitatori i beni di cui dispone la città. I turisti potrebbe-
ro così capire cos‟è stato il fenomeno della Rivoluzione industriale nella provincia
di Vicenza, i cambiamenti che questa ha portato nella vita quotidiana e nel modo
di vivere della popolazione, in che modo Schio si sia guadagnata l‟epiteto “Man-
chester d‟Italia” e l‟eredità che gli industriali del passato hanno lasciato ai piccoli
e medi impresari di oggi: uno spiccato senso imprenditoriale.
La presente tesi di laurea si articola in quattro capitoli. Il primo di questi
mira a introdurre il lettore alla disciplina dell‟archeologia industriale, illustrando
alcune importanti nozioni, il modus operandi dell‟archeologo industriale e i dibat-
titi sorti tra gli esperti del settore nel corso di varie conferenze; vengono poi citate
quelle più importanti tenutesi in Italia.
Il secondo capitolo è interamente dedicato alla storia dell'industria a Schio
e fornisce indicazioni sugli avvenimenti che hanno caratterizzato i singoli siti in-
dustriali presenti entro i confini comunali della città sia come luoghi di produzio-
ne (e infrastrutture a questi collegate) che come aree dismesse. A conclusione del
capitolo viene analizzata criticamente la situazione attuale: gli interventi che, no-
nostante l‟urgenza, non sono ancora stati attuati, i restauri in corso e quelli che so-
no ancora in progetto. Viene inoltre analizzato il tipo di proprietà delle strutture,
gli scopi per cui sono (o saranno) riutilizzate, il mantenimento delle forme origi-
narie sette-ottocentesche.
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Nel terzo capitolo si illustrano alcune realtà che rientrano nell‟ambito
dell‟industria tessile e che possono rappresentare esempi positivi di recupero dei
beni di archeologia industriale per Schio: il primo è la città britannica di Manche-
ster, motore mondiale della Rivoluzione industriale nel XVIII secolo e oggi centro
dinamico, nel quale si ambientano perfettamente sia i residenti che i turisti grazie
ad una generale rinascita dei sobborghi che furono industriali. Il secondo caso
considerato è il villaggio industriale spagnolo di Colonia Güell, sorto per volere
dell‟industriale Eusebi Güell a circa 20 km a Nord-Ovest di Barcellona, che oggi
propone interessanti percorsi turistici adatti a visitatori di tutte le età. Vengono poi
illustrati alcuni esempi italiani: la città toscana di Prato, nel cui centro storico le
fabbriche dismesse hanno lasciato posto a una serie di infrastrutture di stampo
prevalentemente sociale e culturale; la colonia industriale di San Leucio (CE),
fondata da re Ferdinando IV di Borbone per la produzione di panni di seta pregiati
e noti ancor oggi in tutto il mondo, il cui palazzo del Belvedere è stato ristruttura-
to e trasformato in museo grazie ad ingenti finanziamenti dell‟Unione Europea;
infine, il Villaggio Crespi d‟Adda (BG), fondato dalla famiglia Crespi che qui a-
veva aperto un cotonificio e divenuto patrimonio dell‟umanità UNESCO nel
1995.
L‟ultimo capitolo si focalizza nuovamente su Schio e intende offrire alcu-
ne idee per la valorizzazione turistica della città. Qui vengono presi in esame i vari
itinerari proposti da studiosi e membri di associazioni culturali locali a partire dai
primi anni ‟90 fino ad illustrare i percorsi che vengono offerti oggi alle scolare-
sche e ad altri gruppi che intendono visitare i siti di archeologia industriale scle-
densi. Dato che la maggioranza di questi itinerari sconfina nei Comuni limitrofi, si
è pensato di ideare un nuovo itinerario che non oltrepassi i confini comunali e at-
traverso il quale i turisti riescano a percepire i cambiamenti che i vari siti hanno
sperimentato nel corso del tempo. Viene quindi proposta la creazione di un museo
dell‟industria tessile all‟interno della suggestiva sede della Fabbrica Alta, che po-
trebbe integrare l‟offerta culturale che oggi si concretizza all‟interno dello Spazio
Espositivo Lanificio Conte. Per concludere, si analizzano i modelli proposti nel
terzo capitolo e ciò che di questi esempi si può riproporre anche nella città di
Schio allo scopo di accrescerne l‟offerta turistica.
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Schio, dal punto di vista del turismo, ha molto da dare ai visitatori. La po-
polazione locale, però, è sempre stata molto più propensa all‟industria. Per questo
motivo vengono qui offerte delle linee guida atte a potenziare l‟offerta turistica
grazie all‟archeologia industriale, in modo da affiancare gruppi di persone interes-
sate a questa forma di turismo culturale alle già numerose scolaresche che ogni
anno visitano la città.
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Capitolo 1 L’archeologia industriale: definizione,
metodologia e problematiche di una
scienza nuova
L‟ambito scientifico dell‟archeologia industriale nasce in epoca recente,
con modalità, scansioni temporali ed approcci diversi a seconda degli Stati coin-
volti:
Questa disciplina nacque in Inghilterra negli anni Cinquanta e nei due
decenni successivi si è affermata un po‟ dappertutto con diverse e varie sfu-
mature semantiche e di contenuto che fanno riferimento al patrimonio indu-
striale, all‟eredità industriale, all‟età dell‟industria. […] Ognuno dei tanti ap-
procci possibili risente del contesto da cui proviene e della realtà industriale a
cui essa fa riferimento (Tognarini, Nesti, 2003, p. 145).
Punto d‟origine di questa nuova scienza, come si è detto, è il Regno Unito,
già protagonista e genitore del fenomeno della Rivoluzione industriale scoppiata
tra i secoli XVIII e XIX. Esistono importanti impianti di Archeologia industriale
anche in molti altri Paesi, tra cui Francia, Germania, Svezia, Stati dell‟Est Europa,
Canada, Stati Uniti e Italia. L‟interesse per la materia nel nostro Paese nasce negli
anni Settanta del XX secolo e riguarda, in un primo momento, “la comunità sette-
centesca dei filatori di seta di San Leucio (Caserta) o il villaggio operaio di Crespi
d‟Adda nel bergamasco” (Negri, 1989, p.8). Più precisamente, usando sempre le
parole di M. Negri, “l‟evento fondativo della archeologia industriale nel nostro
paese fu probabilmente il primo convegno internazionale in materia organizzato in
Italia, e precisamente a Milano nel 1977 in occasione della mostra dedicata a San
Leucio” (Negri, 2001, p. 89).
Le varie nazioni interessate dalla nascita dell‟archeologia industriale hanno
sviluppato approcci e filosofie diverse per la conservazione dell‟eredità industria-
le: nell‟Inghilterra degli anni ‟60, il fenomeno della deindustrializzazione e
dell‟abbandono dei luoghi produttivi ha suscitato nella popolazione la necessità di
tutelare quel tipo di patrimonio storico che è testimonianza della Rivoluzione in-
dustriale. Negli USA, dove l‟industrializzazione è stata (ed è tuttora) un fenomeno
su vasta scala, l‟accento viene posto sul rapporto tra industrializzazione e situa-
zione ambientale. Nei Paesi ex-socialisti dell‟Europa dell‟Est si dà rilevanza al la-
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voro, cioè al reperto industriale come testimonianza di un modo di produzione di-
verso, e contrastante, da quello capitalistico.
Va in ogni caso ricordato che la scienza dell‟archeologia industriale non è
statica, ma è anzi in continua evoluzione, attraverso la proposta di nuove metodo-
logie sulla conservazione del patrimonio, da un lato, e il continuo dibattito tra gli
esperti, dall‟altro. Secondo Negri, si può addirittura parlare di “una „archeologia
industriale del futuro‟, volendo con questa forzatura semantica sottolineare il fatto
che la archeologia dell‟industria (ma ovviamente non solo quella) si produce sotto
i nostri occhi giorno dopo giorno e in modo particolarmente imponente in
un‟epoca caratterizzata da un mutamento tecnologico così veloce” (Ibidem, p. 91).
Nel corso degli anni si sono sviluppate diverse metodologie di indagine
del reperto industriale. La prima e più comune di queste riguarda la catalogazio-
ne, ovvero la registrazione della presenza dei beni archeologico industriali presso
Enti appositi (nel caso italiano le strutture di archeologia industriale sono schedate
presso le Soprintendenze per i Beni Ambientali e Architettonici). Bisogna sottoli-
neare, però, che catalogazione non significa necessariamente tutela: Covino, infat-
ti, avverte che “[…] la catalogazione, senza togliere nulla alla sua importanza, non
risolve affatto quel problema di „conservazione globale del patrimonio‟[…]” (Co-
vino, 2001, p. 121). Alcuni di questi beni necessitano, infatti, di interventi di re-
stauro e, talvolta, di rifunzionalizzazione per poter essere fruiti dalla popolazione.
Un passo preliminare alla catalogazione è quello dell‟analisi e classifica-
zione delle fonti di archeologia industriale. L‟archeologo industriale, nel corso
della sua ricerca, si imbatterà nei seguenti tipi di fonte:
Archeologiche, a loro volta divisibili in fonti
a) di superficie (come gli stabilimenti dismessi)
b) di scavo (come le miniere abbandonate);
Scritte, che possono essere
a) inedite (come gli archivi d‟impresa, gli archivi pubblici o privati,
ecc.)
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b) edite (ad esempio rilevazioni statistiche, censimenti, riviste perio-
diche, pubblicazioni tecniche, romanzi, pubblicazioni giubilari o
minori);
Orali, come
a) testimonianze dirette
b) testimonianze tramandate;
Visive, sia di tipo artistico che utilitaristico, che vengono ripartite in
a) iconografiche (dipinti, incisioni o disegni tecnici)
b) cartografiche (mappe topografiche o catastali, carte geografiche
tematiche, planimetrie)
c) fotografiche (foto o cartoline postali)
d) cinematografiche.
Gli esperti di archeologia industriale, nel corso degli anni, hanno presenta-
to diverse metodologie e nozioni, nonché suggerimenti per un corretto recupero
degli impianti.
Uno di questi è G. E. Rubino, che lamenta, almeno per il caso italiano, la
scarsità e l‟inadeguatezza di leggi in materia di tutela dei beni archeologico-
industriali:
[…] la politica della tutela e della valorizzazione dei beni culturali è
ormai al centro dell‟attenzione generale, ma rimane ancora un‟incognita nel
nostro Paese, dove si continua ostinatamente a perseguire un indirizzo di bas-
so profilo. Con una legge quadro ormai vecchia di mezzo secolo, senza
un‟adeguata programmazione degli interventi e con gli uffici centrali e peri-
ferici fortemente burocratizzati e spesso insufficienti a svolgere i necessari
controlli. Né mancano, soprattutto al Sud, i casi emblematici di strutture mo-
numentali sopravvissute miracolosamente all‟ingiuria dei tempi e poi mano-
messi col benestare delle soprintendenze (Rubino, 2001, p. 47).
Rubino propone una più proficua collaborazione tra pubblico e privato nel
recupero delle aree dismesse e trova nell‟Ecomuseo o museo del territorio una va-
lida ed innovativa alternativa al processo di museificazione, che in Italia sembra
avere la meglio quando si pensa alle nuove destinazioni di un bene archeologico
industriale:
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Coniato in Francia nel 1971, il termine Ecomuseo ha avuto poi largo
seguito in tutta Europa, maturando infine modelli finalizzati alla conserva-
zione del Patrimonio Industriale e del mondo del lavoro in genere; oggi è al
centro di un processo di sostanziale revisione critica che tiene conto di una
visione „nazionale‟ o semplicemente „locale‟ delle finalità istitutive. Il con-
cetto di Ecomuseo nasce dalla convinzione che i componenti di una comunità
o di un territorio dovrebbero essere soggetti attivi nel processo di identifica-
zione e promozione della propria memoria storica e non oggetto di una mis-
sione imposta da una istituzione centralizzata (Ibidem, p. 48).
Le strutture ecomuseali presenti in Italia fino al 2001 sarebbero, secondo
Rubino, l’Ecomuseo delle Montagne Pistoiesi, promosso dalla Provincia di Pi-
stoia, e l‟Ecomuseo delle Ferriere e Fonderie di Calabria, che in realtà non è mai
partito a causa del completo disinteressamento delle istituzioni locali. Il Piemonte
è stata la prima Regione italiana a dotarsi di una legge in materia di ecomusei
(L.R. n. 31/95), allo scopo di istituire una rete ecomuseale provinciale, probabil-
mente ancora in fase di progettazione al momento della redazione del saggio.
Rubino avverte però che “è anche vero che la formula del museo open air
non potrà applicarsi in ogni circostanza, né alle grandi aree urbanizzate”, pertanto
propone il modello del condominio industriale:
La nostra proposta – peraltro già avanzata nel 1997 in un convegno in
Francia e poi diffusa anche altrove – è semplice. Si tratta, in sostanza, come
abbiamo già avuto modo di scrivere, „di sollecitare l‟inserimento, nei nuovi
provvedimenti legislativi e fiscali in favore del Terzo Settore, di norme e a-
gevolazioni che consentano alle imprese di volontariato di trovare sistema-
zione all‟interno dei contenitori del Patrimonio Industriale dismesso. Ve ne
sono di tutti i tipi e di tutte le dimensioni, da abitare in solitudine o magari in
condominio, come un tempo fu fatto per le grandi dimore del patriziato urba-
no decaduto o estinto‟ (Ibidem, p.51)
1
.
Questo modello presuppone che l‟impresa non-profit debba sottostare ad
alcuni vincoli, come la pianificazione urbanistica, la presa visione dell‟inventario
completo del Patrimonio dismesso e delle norme tecniche di intervento e il rispet-
to sia degli immobili che degli oggetti al loro interno contenuti. Alcuni esempi di
condominio industriale sono riscontrabili nell‟ex Arsenale Militare di Borgo Dora
(TO), oggi sede del SER.MI.G. (Servizio Missionario Giovani), nell‟ex Macello
di Padova, dove la CLAC (Comunità delle Libere Attività Culturali) è riuscita ad
1
Rubino cita a sua volta un proprio precedente intervento all‟Euroconférence “Patrimoine indu-
striel et effets de taille” (Ecomusée Le Creusot-Montceau les Mines, Bourgogne (France), 15-16
settembre 1997), il cui testo si trova nella rivista “Patrimoine de l‟industrie”, 1 (1999), pp. 95-98 e
anticipato in G. E. Rubino, A. Marciano, Patrimonio industriale, Non-profit e nuovo Welfare, Na-
poli, 1997 (“Quaderno della Scuola di specializzazione in Disegno Industriale, Università di Napo-
li „Federico II‟”, 12).
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ottenere il vincolo monumentale, e nell‟ex Fabbrica di Concimi e Prodotti Chimici
della Campania, nel quartiere napoletano di Bagnoli, occupata e restaurata da par-
te della Fondazione IDIS e in parte diventata la “Città della Scienza”.
P. P. Poggio, altro studioso di archeologia industriale, nota che l‟interesse
verso la disciplina muta nel corso del tempo, almeno in Italia: dopo una prima fa-
se, coincidente con gli anni ‟70-‟80, in cui l‟interesse era rivolto principalmente al
patrimonio architettonico, le imprese dimostravano una certa indifferenza verso la
materia e l‟atteggiamento prevalente era di tipo conservazionista, si passa ad uno
stadio in cui il riuso a scopi non più produttivi ma culturali diventa punto
d‟incontro tra l‟archeologia industriale e le logiche di mercato. Parallelamente, le
piccole comunità in cui ha avuto origine la grande industria novecentesca iniziano
a dimostrare un certo interesse verso l‟archeologia industriale, vista come uno
strumento per riappropriarsi della propria identità e del proprio passato. È in que-
sto clima che si assiste ad un progressivo allargamento dell‟interesse dagli edifici
a ciò che contenevano e che rendeva possibile la produzione: i macchinari.
Lo spostamento del centro di attenzione, l‟ampliamento del concetto
di patrimonio archeologico-industriale, la „costruzione‟ di questo stesso pa-
trimonio attraverso operazioni di recupero, inventariazione, manutenzione,
classificazione ed ordinamento in vista di una fruizione espositiva, o didatti-
ca, o di ricerca, ci hanno consentito di entrare in contatto con una realtà im-
portante quanto poco conosciuta, quella delle imprese manifatturiere, e con
una quantità di soggetti che ruotano attorno a tale mondo: fornitori specializ-
zati, tecnici, manutentori, addetti alla sicurezza, ecc. (Poggio, 2001, p. 81).
Oggi, con l‟avvento dei microprocessori, si assiste ad un duplice effetto sui
macchinari:
[…] con l‟arrivo e il diffondersi del microprocessore finisce un‟era
nella storia delle macchine. Si ha contemporaneamente un‟intensificazione
concentrata di conoscenze formalizzate e la drastica abbreviazione dei tempi
di vita produttiva: un destino di cancellazione sembra inevitabile. Per altro,
proprio grazie alla virtualizzazione, potremo trasmettere e far rivivere proces-
si produttivi a scopo culturale, ludico, turistico (Ibidem, p. 83).
Poggio e Negri concordano sulla positività della partecipazione imprendi-
toriale al recupero del patrimonio industriale. Il primo analizza questa adesione
dal punto di vista dei contributi che gli imprenditori, giovani o meno, possono
portare nello studio della disciplina:
Il lavoro sulle macchine ci ha però consentito di trovare nuovi impor-
tanti interlocutori, precisamente nel mondo imprenditoriale, costituito in mi-
sura rilevante da industriali di origine artigiana o addirittura operaia, con una
componente di tecnici altamente qualificati, spesso di formazione universita-
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ria. Si tenga però conto di un […]forte gap, questa volta di tipo generaziona-
le, per cui gli imprenditori più giovani spesso sono maggiormente sensibili al
significato del patrimonio storico-industriale, ma non ne hanno alcuna cono-
scenza diretta (Ibidem, p. 81).
Negri, invece, osserva il rapporto tra imprenditoria e archeologia industria-
le sotto la prospettiva dell‟utilità che la disciplina può avere per l‟azienda; egli so-
stiene che sono quattro le aree in cui l‟impresa entra in contatto con le procedure
dell‟archeologia industriale allo scopo di salvaguardare la storia e l‟identità azien-
dali:
1. I beni mobili (documenti, macchine, prodotti, ecc.), che hanno fortemente
contribuito alla diffusione dei musei in tutta Europa;
2. I beni immobili (monumenti industriali), dei quali molto si sa, almeno in
Italia, sulla loro distruzione, mentre si hanno meno notizie sul loro riuso,
sia a scopo monumentale o archivistico che imprenditoriale;
3. L‟accesso all’azienda (manifestazioni speciali, programmi destinati a
scuole, tecnici, delegazioni straniere, clienti e fornitori), attraverso il quale
l‟impresa comunica le sue componenti operative e di contenuto culturale,
commerciale e di immagine;
4. I prodotti di comunicazione, che possono essere cartacei (libri, brochure,
ecc.), audiovisivi e multimediali.
Negri avverte che ci devono essere dei presupposti di ordine culturale nel
modo di essere e di porsi dell‟azienda:
Il primo è la convinzione che il patrimonio accumulato nel tempo sia
una risorsa e non necessariamente e sempre un ostacolo allo sviluppo.
Il secondo sta nell‟idea di vitalità della azienda come di un processo con un
prima e un dopo, quindi un valore che va trasmesso all‟esterno in una misura
necessariamente „storica‟, o se preferiamo, „dinamica‟ quindi pur sempre ri-
feribile a precise sequenze temporali. Anche la più banale azione di marke-
ting fondata sul „come eravamo‟ parte da questo presupposto, consciamente o
inconsciamente (Negri, 2001, pp. 90-91).
L‟archeologia industriale contribuisce inoltre a ricostruire la storia
dell‟azienda in vista di fusioni con altre imprese o di rimescolamento del top
management, allo scopo di mantenere intatta l‟identità e la cultura aziendali ac-
quisite fino al cambiamento.
Negri vede, inoltre, elementi importanti per l‟archeologia industriale anche
nel comportamento che gli operai tenevano (e tengono) in ambito lavorativo: dai
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canti che erano soliti intonare per scandire il ritmo di alcune operazioni manuali,
alla spontanea produzione di messaggi visibili nei monitor delle postazioni infor-
matiche presenti negli uffici, ecc. Ritiene inoltre che, alla luce del suo concetto di
“archeologia industriale del futuro”, siano importanti reperti perfino gli screen sa-
ver dei computer che gli impiegati utilizzano oggi: le generazioni a venire potran-
no cogliere anche attraverso questi strumenti importanti aspetti della cultura a-
ziendale.
Egli ritiene che il futuro del legame tra archeologia industriale e cultura
d‟impresa si basi su due concetti fondamentali: Leadership e Corporate Land. Del
primo dice:
Una azienda senza memoria e senza coscienza delle sue trasformazio-
ni difficilmente potrà conseguire in pieno obiettivi di miglioramento conti-
nuo, base di ogni politica di successo nelle arene della competizione. Forse
un giorno troveremo segmenti del discorso della archeologia industriale di ie-
ri, di oggi e di domani nella strumentazione adottata per il conseguimento di
posizioni di leadership all‟interno e al di fuori dell‟impresa (Ibidem, p. 91).
Così parla, invece, del Corporate Land:
Questo termine indica quegli ambienti (nel nostro linguaggio potremo
dire „siti‟) che l‟azienda allestisce per poter offrire al pubblico nel modo più
coinvolgente la conoscenza dell‟azienda e del suo prodotto. […] Qui il luogo
fisico viene progettato come manifesto della filosofia dell‟azienda, ha finalità
commerciali, ma soprattutto di comunicazione e di coinvolgimento globale
del cliente in una ottica di fidelizzazione alla marca e di conquista di una po-
sizione di leadership. […] Non sono musei, ma del museo hanno molti aspet-
ti e sicuramente la caratteristica che lo rende unico tra le istituzioni culturali:
il coinvolgimento del visitatore in una esperienza totalizzante (Ibidem, pp.
91-92).
Si può quindi dire che la visione di Negri sia quella di un‟archeologia in-
dustriale che sa proporre elementi identificativi al visitatore, il quale si basa
sull‟identità che l‟azienda si crea proprio grazie alla sua storia e che solo una
scienza come l‟archeologia industriale è in grado di ricostruire.
Come Poggio, anche Covino, analizzando il caso di studio umbro, propone
un modello di scansione temporale della storia dell‟archeologia industriale in tre
stadi. Nella prima fase, che va dal 1978 al 1981, vengono definiti il termine e le
tematiche della nuova disciplina ed è diffuso l‟allestimento di mostre
sull‟argomento. La seconda può essere divisa in due momenti: il primo, dal 1981
al 1983, in cui viene elaborato e sperimentato un modello di scheda di cataloga-
zione e il secondo, che va dal 1983 al 1997, durante il quale la Regione Umbria