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INTRODUZIONE
Ecco. Lo sto facendo. Sto realizzando concretamente un’idea facendola divenire
atto e quindi gesto. Sto esternando con l’estremità motoria del mio apparato
psichico qualcosa che prima era pensiero indefinito. Una potenza mentale che
sembra dissolversi nel divenire espressione esterna.
Lo stimolo originario che ha mosso questo mio ragionamento si sintetizza in una
semplice questione: prima dell’agire è il pensare, e prima ancora cosa c’è? Cioè,
prima della motivazione razionale del perché si compie un determinato gesto o
prima del fattore che stimola una volontaria esternazione motoria, cosa c’è? Qual
è il meccanismo che sviluppa l’idea originaria dell’agire? Questa curiosità trova
posto in me già da qualche tempo, pressappoco dal periodo successivo alla
maturità giovanile. Alcuni addirittura mi hanno stuzzicato e provocato
suggerendomi di lasciare quesiti del genere a mentalità più scientifiche!
Col tempo, ho provato a trovare delle soluzioni aiutandomi con alcune opere
letterarie, che davano ognuna in modo differente una risoluzione al quesito. Il
primo di questi è stato il saggio scritto da Henry Focillon nel 1940 Vita delle
Forme ed Elogio della mano; durante la lettura di questo piccolo testo certe
nozioni, anche poetiche, chiarivano alcune parti della ricerca. Nella seconda parte
del libro l’autore, argomentando alcuni precisi movimenti della mano, quasi
come fosse un fisioterapista, da’ un’interpretazione meccanica legata a una
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metodologia di ricerca funzionale, lontana dal metodo di analisi propostomi, ma
al tempo stesso efficiente però per creare un punto di partenza dal quale
sviluppare il centro della ricerca.
Lontano dal dare forma alla soluzione, al contrario di Focillon, ho continuato a
cercare altri testi che tentassero di dare almeno solo lo stimolo, l’input che
facesse sfociare la spiegazione. Ho preso in mano i testi di Sigmund Freud la
prima volta durante il corso triennale accademico, un po’ anche forzatamente;
non riuscivo a rendermene conto inizialmente ma rileggendo due dei suoi saggi
La psicoanalisi e poi L’interpretazione dei sogni, mi si è spalancata una porta di
nuove spiegazioni e successivi stimoli. Ovviamente il gioco non era finito lì
anche perché in questo caso la mia soddisfazione era legata solo a un fattore
progressivo, cioè era un punto che si aggiungeva alla ricerca precedente, della
forma da rendere, da visualizzare. Nel saggio L’interpretazione dei sogni Freud,
per semplificare il metodo di spiegazione, giunge a paragonare il sistema
psichico umano a una retta dove ai vertici egli poneva rispettivamente lo stimolo
sensorio da una parte e la realizzazione motoria dall’altra. Tale schema mostra
chiaramente il nostro modo di comportamento psichico relazionato con l’esterno.
Un sistema che oltretutto è collegato a una dinamica progressiva.
Col passare del tempo poi ho conosciuto il lavoro di artisti, importanti per questo
mio dilemma, che legavano il lavoro con il momento creativo precedente
l’azione, ognuno a suo modo: da Yves Klein a Gordon Matta Clark, da Wolfgang
Laib a Wic Muniz, ecc. Il campo variava da artista ad artista. E forse io in
qualche caso ho corrotto le concezioni artistiche di qualcuno di questi per mia
testardaggine. Ad ogni modo mi confortava sapere che nella storia molti
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personaggi, non solo artisti, avevano avuto a che fare con il pre-agire. Era come
un’attenuante per i quesiti che molte persone reali mi ponevano. Il pre-agire? In
che senso? Che cosa intendi? Il bello è che, per me, il concetto è più semplice e
serio di quanto l’hanno interpretato altre persone quando cercavano di venirmi
incontro con le loro idee e concezioni!
Finalmente poi tempo fa, quasi per caso, ho raggiunto una sorta di meta che
definisce chiaramente quello che cerco di spiegare: ho avuto a che fare con la
produzione letteraria di Herman Melville, in modo particolare con il suo testo
Bartleby lo scrivano (Bartleby The Scrivener). Un fantastico libro dove un
particolare scrivano a suo modo reclama il silenzio e l’ozio, contro tutti i pesanti
dettami del fare utilitaristico. Il racconto di primo acchito non sembra avere
relazione con il mio tema di ricerca, ma il fatto che questo testo sia stato poi
meditato, interpretato e tradotto da alcune importanti figure della cultura
letteraria contemporanea spiega il motivo per cui inserisco questo scritto nella
mia bibliografia. La celebre frase del protagonista del racconto «Preferirei di no»
contiene in sintesi la risoluzione alla mia questione: bloccare il processo di un
ordine stimolato e indotto astrattamente verso un gesto o un’azione materiale
motoria ed esterna, per indagare meglio i processi dinamici. Le tre parole
compongono una contraddizione semplice e lampante. Il preferire che si
contrappone al negare, il sì legato al no. Alla mia felicità di aver trovato qualcosa
che cristallizzi e espliciti chiaramente le mie sensazioni, si univa anche il fatto
che questo libro abbia sviluppato in seguito una quantità notevole di produzioni
letterarie di vario genere. Giorgio Agamben e Gilles Deleuze ad esempio nel loro
testo, Bartleby. La formula della creazione, dedicato a questo particolare
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personaggio, sviluppano la tesi che ingloba e stimola la mia ricerca dell’astratto
momento originario.
Sviluppo quindi un concetto inconsistente, che medita sulla pre-azione, che
concettualizza qualcosa che in sostanza non può essere. Metto per iscritto
l’invisibile, senza fare magie. Cerco di parlare di qualcosa che ho dentro che non
riesco a esternare facilmente, ma che con l’aiuto dei testi, degli altri artisti
interrogati e dai dibattiti, verrà fuori. Cerco di tradurlo razionalmente in qualcosa
di tangibile e voglio andare oltre la forma, rimanendo con i piedi per terra. Come
un palloncino di elio zavorrato.
Non parlo di qualcosa di vago, che non so. Piuttosto mi propongo di esternare
tramite la scrittura una sensazione che tutti hanno, ma di cui poco si parla: la pre-
azione.
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I - Il pre-agire. Caratteri e aspetti.
Pre – Agire. Sembra un ossimoro, un controsenso.
Mi viene quasi da dubitare sul problema che mi sono posto, ora mi chiedo cioè se
devo focalizzare il momento del mettere in pratica qualcosa (l’esternazione
pratica), oppure il meditare precedente all’azione, l’elaborazione mentale?
Non voglio argomentare tematiche meditabili o, seppur idee, concetti concreti
grezzi dai quali avviare un processo di raffinazione. Voglio discutere su ciò che
ho sempre sottinteso, mai visto, ma tenuto sempre ben presente nella dinamica
della mia produzione artistica.
Da qualche tempo ormai mi chiedo ripetutamente cosa sarebbe il fare se fosse
legato a un momento precedente al pensiero, all’attimo prima della coscienza,
cioè al frangente preconscio cui nessuno pensa tanto frequentemente. Mi spiego
meglio: mi sono trovato spesso nella situazione di essere in piedi di fronte a una
superficie, un foglio bianco di grandi dimensioni steso sul tavolo. Su di esso
senza pensarci troppo traccio una forma pura con un grosso pennellaccio, scura,
in contrasto con lo sfondo chiaro; mi allontano, lascio il grosso pennello ormai da
aggiornare e ritorno dopo qualche secondo a guardare con attenzione quasi
religiosa il segno. Mi vengono in mente alcuni progetti artistici moderni e
contemporanei partoriti da tematiche basate sull’immediatezza e sulla velocità
del segno tracciato o meglio ancora sgocciolato. Guardo da vicino le sfumature
cangianti del segno in espansione sulla liscia superficie del foglio. Mi piace,
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rtleby.
anche se non capisco perché. Decido allora di cambiare punti di vista e arrivo a
socchiudere gli occhi.
Dopo essermi istintivamente allontanato dal foglio per un po’ di tempo, ritorno e
mi soffermo a chiedermi diversamente qualcos’altro, più enigmatico e difficile da
spiegare. Mi distacco dalla simbologia, dall’indice dell’immagine e da tutto ciò
che si lega alla significazione. Faccio quasi il Magritte della situazione. Mi sorge
una domanda: “Perché ho fatto quel segno?” Mi si risponderà con un
preoccupante sguardo sbarrato fisso che mi osserva per analizzarmi e clamorosi
“Ehh?” di contorno. No, non ho problemi mentali. Spero. Però indagando meglio
sulla domanda si percepisce che voglio porre la questione su un livello più
profondo, lontano cioè dalla solita sistematica progressione mentale secondo la
quale ragiono su ciò che devo o voglio fare e di seguito faccio. Cosa, a
prescindere dalla mia volontà cosciente, mi ha suggerito, ordinato, regolato e
trasmesso questo movimento articolato verso l’esterno? No, non si tratta
nemmeno di risolvere un problema fisico-neuronale. Può sembrare assurdo forse.
Molte persone non capiscono subito il problema. Problema mio, ma anche no:
qualche mese fa un docente dell’accademia esordì a una lezione trattando in
relazione alla tematica del suo corso il racconto di Herman Melville “Bartleby lo
scrivano”
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; avevo l’impressione di averlo già sentito o magari anche letto.
Quello che mi colpiva era l’atteggiamento verbale dello scrivano Ba
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Herman Melville, Bartleby lo scrivano, Milano, Feltrinelli, 2008;