Prefazione: L’importanza dell’aspetto culturale nella
traduzione della Bibbia
Questa tesi verte sull’importanza dell’aspetto culturale nella traduzione, in particolare in
due settori in cui la molteplicità e la varietà delle culture implicano la presenza di
innumerevoli realia e di termini difficilmente traducibili senza l’ausilio di apparati
metatestuali: il settore religioso (traduzione delle Sacre Scritture) e il settore giuridico
(raffronto tra ordinamenti di civil law e ordinamenti di common law).
La tesi consiste nella traduzione integrale dell’articolo di Robert Bascom «The Role of
Culture in Translation» («Il Ruolo della Cultura nella Traduzione»): nella prima parte di
questo articolo, Bascom ripercorre le teorie principali emerse nel corso dell’annoso
dibattito sul nesso tra cultura e traduzione, concentrandosi in particolare sul testo del
1999 di Katan Translating Cultures e sul testo del 1987 di Lakoff Women, Fire, and
Dangerous Things; dal piano teorico passa quindi a esempi pratici di parole di uso
quotidiano (tra gli altri, le parole inglesi night e key) per dimostrare come gli esseri
umani classifichino la realtà in categorie che differiscono da una cultura all’altra, con
implicazioni sulla lingua e di conseguenza sulla traduzione interlinguistica. Tale
concetto si rifà agli studi di Benjamin Lee Whorf, da cui si evince che già il pensiero, a
seconda della lingua madre della persona che lo formula, è diverso e che il linguaggio lo
esprime di conseguenza.. «Perciò l’esistenza delle parole a cui siamo abituati, che a
prima vista sono un modo “ovvio” e “naturale” di suddividere il mondo in categorie,
influisce in realtà sul nostro modo di pensare» (Osimo 2004: 30).
Nella seconda parte dell’articolo, l’attenzione si concentra su alcuni concetti biblici,
suddivisi in tre categorie fondamentali: la reciprocità (tsedeq/tsedaqah,
‘emet/’emunah/he’emin, go’el, hesed), la creazione di frame e confini (santità e
profanazione, rispettivamente come conservazione e violazione dei confini religiosi-
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culturali, tempo, spazio, creazione, numeri simbolici, stato, corpo umano, leggi sul cibo,
sacrificio di animali), infine la malattia e la guarigione nel Nuovo Testamento. Da
questi esempi concreti si evince la forte culturospecificità delle Sacre Scritture,
profondamente calate nel contesto della società tradizionale dell’antico Israele.
La trasposizione delle Scritture ha dovuto adattarsi a un concetto di “fedeltà”
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all’originale che è cambiato nel tempo a seconda del contesto culturale.
Per esempio, Carlo Buzzetti (16-17) riporta la leggenda che circonda la prima
traduzione greca della Bibbia, la cosiddetta «Septuaginta» o «Settanta», cominciata nel
III secolo a.C. e conclusa due secoli dopo. Tale traduzione è nata dall’esigenza della
diaspora, dalla particolare condizione di quegli ebrei immigrati che nel giro di alcune
generazioni hanno perso la lingua di origine, acquisendo invece l’uso della lingua che li
ospita. In particolare nel Mediterraneo, dopo il III secolo a.C., abbiamo un ampio uso
del greco. Gli ebrei sono numerosi in particolare ad Alessandria d’Egitto, dove si
sviluppa il progetto di una traduzione greca. Buzzetti (36) narra la leggenda secondo cui
il re d’Egitto Tolomeo Filadelfo chiede al sommo sacerdote di Gerusalemme che gli
siano messi a disposizione 72 esperti (sei per ogni tribù d’Israele) in grado di tradurre i
libri degli ebrei. Le 72 traduzioni, ispirate direttamente da Dio e scritte sotto dettato
dell’ispirazione divina, risultano alla fine identiche, sebbene ciascun traduttore avesse
lavorato in isolamento e indipendentemente dagli altri. La «Settanta» diventa la Bibbia
per eccellenza, diventando una fonte per le traduzioni successive, contrariamente ai
targumim, traduzione o parafrasi-commento in aramaico delle Sacre Scritture, che si
accostarono al testo ebraico e si limitarono a fare da supporto ad esso. Entrambi questi
esempi denotano l’intento di superare una barriera linguistica, nel primo caso portando i
fedeli ebrei della diaspora, che non comprendevano più l’ebraico, verso l’originale, nel
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Qui si usa la parola «fedeltà» che però nel dibattito contemporaneo è totalmente in disuso a causa
dell’impossibilità di considerarla «termine» dal punto di vista scientifico. La si usa dunque al solo scopo
di riferire il processo diacronico del dibattito. In effetti, forse l’unico uso che se ne può fare è in àmbito
religioso, dove fa riferimento al concetto di «fede».
secondo caso facendo superare al testo la barriera e portandolo verso il ricevente,
rappresentando l’originale nell’ambiente di destinazione.
L’altra grande impresa di traduzione della Bibbia implica un’idea di “fedeltà” alquanto
diversa: si tratta della traduzione che San Gerolamo redige nel IV secolo su incarico di
Papa Damaso per mettere ordine tra le diverse versioni latine, e che prende il nome di
«Vulgata». L’opera di Gerolamo fu aspramente criticata in quanto la nuova versione
stabiliva il primato della chiarezza sulla filologia: Sant’Agostino, per esempio,
sosteneva l’importanza dell’oscurità delle Sacre Scritture (Nergaard: 30). Anche per
rispondere a tali critiche, Gerolamo scrive la lettera a Pammachio, che costituisce un
vero e proprio manifesto programmatico di teoria della traduzione:
È assai difficile quando si segue il pensiero di un autore non
allontanarsene mai; è arduo addirittura conservare nella traduzione
tutta l’eleganza e la bellezza dell’originale […]. Se traduco alla lettera,
genero delle assurdità, se costretto dalla necessità, altero in qualche
cosa l’ordine, lo stile, mi si dirà che manco al mio dovere d’interprete
[…] (San Gerolamo, in Nergaard: 66).
Gerolamo adotta dunque un’idea di fedeltà del tutto diversa rispetto alla tradizione della
«Settanta», riconoscendo l’inevitabile frattura con il prototesto e richiamandosi a una
sorta di riscrittura che è un ripensamento profondo del testo (Arduini-Stecconi: 78).
Un altro concetto di “fedeltà” sottende alla grande traduzione dell’Antico e del Nuovo
Testamento realizzata da Lutero tra il 1522 e il 1534: l’intento di Lutero è rendere le
Sacre Scritture comprensibili a tutti, conformemente al principio della Riforma secondo
cui il rapporto diretto con la Bibbia è fondamentale per la fede. Un brano
particolarmente controverso è un passo dell’Epistola di San Paolo ai Romani, in cui il
testo «arbitramur hominem iustificari ex fide sine operibus» è tradotto con «Wir halten
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dass der Mensch gerecht werde, ohne des Gesetzes Werk, allein durch den Glauben»
(«Noi riteniamo che l’uomo sia giustificato senza le opere della legge, soltanto per
fede»). L’aggiunta di «allein», «solamente», che presenta serie conseguenze teologiche,
si basa su una precisa interpretazione del pensiero di san Paolo, secondo cui l’Apostolo
tratta in questo passo il punto principale della dottrina cristiana, ossia la nostra
giustificazione mediante la fede in Cristo, escludendo che perfino le opere della legge
(per quanto legge e parola di Dio) possano aiutare a conseguire la giustizia.
«La strategia adottata da Lutero nella sua celebre traduzione si spiega quindi come la
convergenza di due fattori: da una parte un richiamo alla fedeltà alla lingua in cui si
traduce e al senso originale, dall’altra la rivendicazione di una interpretazione
innovativa» (Arduini-Stecconi: 80).
Anche in tempi moderni si è posto il problema di rendere le Sacre Scritture accessibili a
una società non più tradizionale: «[...] spesso sensazioni, idee e concetti della Bibbia
non ci sono più familiari: ad esempio, l’importanza della pastorizia o il valore della luce
quando la notte era buio pesto... Grosso modo, chi traduce dovrebbe operare una scelta
fra tradurre letteralmente parola per parola (con la necessità di spiegare in nota certe
immagini lontane alla nostra sensibilità) o tradurre in modo più libero, utilizzando una
frase moderna equivalente per significato a quella antica. Un esempio chiarirà tutto:
letteralmente san Paolo in Romani 12,20 dice “[...] se il tuo nemico ha fame, dagli da
mangiare; [...] facendo questo, infatti, ammasserai carboni ardenti sopra il suo capo”.
Ma ai tempi di Paolo l'ultima parte della frase significava semplicemente “lo farai
arrossire di vergogna”» (Basello).
La stessa costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II Dei Verbum (1965) sostiene
che «poiché la parola di Dio deve essere a disposizione di tutti in ogni tempo, la Chiesa
cura con materna sollecitudine che si facciano traduzioni appropriate e corrette nelle
varie lingue, a preferenza dai testi originali dei sacri libri. [...] Inoltre, siano preparate
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edizioni della sacra Scrittura, fornite di idonee annotazioni, ad uso anche dei non-
cristiani e adattate alla loro situazione» (Dei Verbum: 22-25).
Proprio il Concilio Vaticano II, dichiarando lingua liturgica il volgare (cioè l’italiano) e
non più il latino, rende impellente la necessità di una versione ufficiale della Bibbia,
approvata dalla chiesa italiana e adatta all’uso liturgico. Per questioni di tempo, si
decise di non tradurre ex novo, ma di rivedere e correggere la già diffusa traduzione
delle edizioni UTET, che aveva il pregio di essere molto omogenea essendo opera di tre
soli traduttori. Nel 1971 esce la prima versione ufficiale della Conferenza Episcopale
Italiana (CEI), leggermente corretta nel 1974. Nel 1997 è stata presentata la revisione
del Nuovo Testamento, con interventi pesanti volti soprattutto a rimediare omissioni di
termini presenti invece nei testi originali, a migliorarne la coerenza interna (cioè cercare
di tradurre sempre nello stesso modo medesime espressioni del testo originale) e a
aggiornarla con le recenti conquiste degli studi. Anche in Italia, come già da tempo nel
mondo protestante, si sente la necessità di aggiornare e migliorare sempre la traduzione
dei sacri libri, tanto che attualmente esistono numerose altre traduzioni oltre a quella
ufficiale CEI.
Riferimenti bibliografici
ARDUINI, Stefano, STECCONI, Ubaldo, Manuale di traduzione, Roma, Carocci,
2007.
BASELLO, Gian Pietro, «Le traduzioni della Bibbia in lingua italiana», san Giovanni in
Persiceto, 2000, disponibile in internet all’indirizzo
http://digilander.libero.it/elam/bibbia/tradurre.htm, consultato nel mese di ottobre 2007.
BUZZETTI, Carlo, La Bibbia e la sua traduzione, Torino, Elle Di Ci, 1993.
CASSESE, S., Cultura e politica del diritto amministrativo, Bologna, Il Mulino, 1971.
DE FRANCHIS, Francesco, Dizionario giuridico Inglese-Italiano, Milano, Giuffrè,
1984.
NERGAARD, Siri (a cura di), La teoria della traduzione nella storia, Milano,
Bompiani, 1993.
OSIMO, Bruno, Manuale del traduttore, Milano, Ulrico Hoepli, 2004.
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OSIMO, Bruno, Traduzione giuridica e scienza della traduzione, in corso di
pubblicazione.
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