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Introduzione
La ricerca è nata dalla volontà di approfondire l’ambito in cui ho la fortuna di
collaborare da ormai tre anni, ovvero il giornalismo locale vercellese, per sondare il tipo
di prodotto proposto sul mercato, dagli editori della Bassa, e verificare l’attendibilità di
quanto sostenuto dai detrattori del settore: che il giornalismo di provincia sia di serie B.
Scarsa professionalità, poche inchieste e rari servizi di valore sono i punti critici per chi
esecra il piccolo giornalismo.
E’ doveroso osservare che la letteratura sul giornalismo di provincia sia molto
carente, perchØ evidentemente il mestiere, in Italia, non ha mai meritato un’approfondita
riflessione culturale; se sul mondo dei grandi quotidiani abbondano volumi di ogni
sorta, al contrario il lavoro di chi opera nelle redazioni periferiche passa quasi in
sordina. Per fortuna la rivista “Problemi dell’Informazione”, di Angelo Agostini, è
venuta in soccorso dedicando piø numeri al tema dell’editoria locale.
Un paradosso in una società dove alla domanda sempre crescente di notizie a vasto
raggio, ce n’è anche una per quanto succede sotto casa.
Prima di addentrarci nell’argomento è doveroso fare una precisazione; i pochi libri
recuperatati sul tema scandagliano la realtà delle pubblicazioni quotidiane, mentre la
nostra tesi verte sul mercato delle pubblicazioni settimanali e bisettimanali. E’ chiaro
però che questi mondi, per quanto agli antipodi, siano accomunati da una stessa
strategia editoriale: dare attenzione al territorio, agli attori e agli eventi che ospita.
Prima di focalizzarci sul caso made in Vercelli, è stato indispensabile
contestualizzare storicamente la nascita di un’editoria interessata alla copertura
particolareggiata del territorio. Così il primo capitolo, “Dal nazionale al locale: le
notizie di prossimità attirano nuovi editori”, è stato riservato alla genesi storica del
fenomeno e alle opportunità che hanno permesso a tanti editori di promuovere nuove
redazioni. Sinergie e tanti collaboratori a costo quasi zero sono i segreti del fortunoso
percorso nel locale.
Non sono mancati riferimenti ai settimanali cattolici, colonna portante delle
pubblicazioni locali al Nord Italia, che in molti casi hanno saputo affermarsi come
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leader di informazione per la varietà dei contenuti proposti: non solo clericalismo, ma
anche politica, cronaca bianca, approfondimenti, cultura e sport.
Un ultimo paragrafo è stato rivolto alla Regione Piemonte che contro quanti, troppo
semplicisticamente, la definiscono a “monoinformazione” -per la presenza di una sola
testata a cadenza quotidiana- ha saputo, con i secoli, coltivarsi un vivaio di giornali
locali vera punta di diamante del suo entroterra.
Con il secondo capitolo, dal titolo “Viaggio a 360° tra la stampa di provincia in
Italia e all’estero”, abbiamo tentato di fotografare il fenomeno dell’editoria locale, in
molte delle sue sfaccettature. Innanzitutto soffermandoci sulle strategie redazionali in
uso per selezionare i contenuti da offrire al lettore.
Una carrellata dei criteri di notiziabilità, utili a filtrare il materiale che ogni giorno si
riversa sui computer delle redazioni, è stata indispensabile per inquadrare il mestiere.
Un mestiere che non tratta le grandi notizie, gli affari di Berlusconi, Fini, Belen e
Veronica Lario, ma nonni alle prese con pensioni modeste, borse di studio e sagre di
paese. Insomma, un mondo di piccole cose ed eventi.
La territorialità, ai fini del nostro lavoro, è stato un tema di trattazione privilegiato,
per la sua capacità di migliorare il rapporto di interazione del lettore/cittadino col suo
ambiente di riferimento, che può apprendere la pericolosità di un incrocio, conoscere le
iniziative ospitate nel suo environment, approfondire le scelte politiche soggiacenti ai
processi amministrativi in atto nel quartiere.
Distinguere il comportamento dei giornali virtuosi, che pur alle prese con risorse
limitate non rinunciano a fare informazione, da quelli che invece prediligono il
sensazionalismo a tutti i costi, è stato un passo obbligato per poi sondare come i giornali
vercellesi si pongano in merito.
Ma fin da subito abbiamo assunto consapevolezza dei tasti dolenti di un mestiere
dove si è piø esposti, la conoscenza personale delle fonti, come gli addetti stampa di
comuni, enti e aziende, porta alla coltivazione di relazioni comode e sforna giornali
cassa di risonanza di notizie impacchettate al di fuori del loro percorso informativo.
Nell’ottica di realizzare un prodotto accessibile e a misura d’uomo, i giornali locali
hanno ampliato le maglie della copertura informativa, dando spazio a una vasta gamma
di temi in cui l’orientamento al pubblico è prioritario. Porre il lettore al centro di un
3
ideale percorso informativo ha fatto sì che le pagine si riempissero di tanta gente
comune alle prese con i loro problemi.
Non è mancato il desiderio di conoscere meglio il profilo del lettore che
prioritariamente cerca soddisfazione alle sue esigenze informative sui giornali cittadini,
anche se l’unica ricerca a disposizione è un’indagine ISEGI del 1989, recuperata tra le
pagine di un saggio di Giovanni Bechelloni e Milly Buonanno.
Abbiamo sondato la ragione per cui il giornalismo di provincia troppo spesso venga
tacciato di bassa professionalità. E’ emerso che è il mondo di giovani corrispondenti
alle prime armi a giustificare questo luogo comune. Ma è proprio grazie a questi inviati
se nelle realtà di provincia si riesce a praticare un giornalismo vecchio stile, dove è
ancora possibile andare a caccia della notizia.
Nell’intento di essere duttili e di non focalizzarsi solo sul mondo dei giornali, ci
siamo riferiti al grande network dove si sta muovendo una zona grigia a metà strada tra
giornalismo e comunicazione. La rete sta diventato ricettacolo di informazione locale; il
mondo delle tre W, espressione piø completa di una globalizzazione informativa che
non conosce confini, si riempie di testate locali, portali, blog e reti civiche che hanno il
merito di offrire uno sguardo preferenziale su piccoli angoli di mondo.
La rete non ha scoperto nulla. All’estero non sono pochi gli editori che hanno
investito su strategie multi prodotto, come nel caso del Chicago Tribune, che alla fine
degli anni’90 ha inaugurato “chicagotribune.com”. E i numeri confermano la bontà
dell’iniziativa, 20 milioni di utenti al mese.
Il terzo capitolo, intitolato “Il giornalismo locale, oltreoceano e oltremanica”, è stato
riservato all’editoria locale statunitense e britannica. Per il primo argomento si è rivelato
illuminante il libro di un vero guru della professione, Jock Lauterer, professore di
Community Journalism alla Penn State University, che ha evidenziato come il mestiere
goda di un grande rispetto negli Stati Uniti, dove il 71% dei giornali stampano meno di
25.000 copie a numero e solo il 15% dei quotidiani possono definirsi big dailies.
Rivalorizzare i legami comunitari laddove in grandi conurbazioni i rapporti di
vicinato sono a rischio è uno dei propositi dei community paper, così abbiamo verificato
come un rappresentante della categoria, The “Centre Daily Times”, si comportasse in
merito.
4
In chiusura del capitolo ci siamo affacciati al panorama inglese, per ripercorrere gli
ultimi 50 anni di storia del giornalismo in cui proprio i giornali provinciali e regionali
hanno avuto una grande illuminazione: promuovere scuole e istituti per formare
professionisti del mestiere.
Vicino a entusiasti sostenitori del locale, non mancano le cassandre. Il quarto
capitolo, “I detrattori del giornalismo locale”, cerca di mettere in luce le debolezze di
questo panorama informativo. Un intellettuale e sociologo come Carlo Sorrentino è
deluso delle sinergie a oltranza che hanno stampato giornali fotocopia. Non solo. In
molti casi i fogli, privi di un’adeguata pianificazione sul prodotto da vendere, si
riducono a un assemblaggio di articoli molto frammentati, in cui a farne le spese è la
qualità. E poi c’è la condizione di artigianato in cui versano numerose testate, timorose
di investire sul mercato della notizia.
In merito anche Lorenzo Fabbri, giornalista del gruppo l’Espresso, cita le sfide che
questo giornalismo non ha ancora saputo affrontare: rendere piø capillare la rete di
distribuzione, promuovere iniziative multimediali e rinunciare alla completezza
informativa per una maggiore dedizione al territorio.
Al coro si aggiunge Sisto Capra, firma per molti anni de “La Stampa” e poi de “La
Provincia Pavese” che si indigna di fronte a un giornalismo incapace di servizi di valore
e di ergersi ad avvocato del cittadino.
A questo punto si disponeva di un preambolo forte per verificare come la situazione
vercellese si confrontasse con l’editoria locale. Era nostro interesse sviscerare
l’attenzione riservata alla terra delle risaie, il ruolo assunto dal lettore nel
confezionamento delle notizie e gli argomenti trattati. Dal quinto capitolo, “Come le
testate vercellesi si occupano del locale”, si inaugura la parte creativa della ricerca.
Trattandosi di una tesi di laurea in linguaggio giornalistico, siamo partiti da
un’analisi di lessico, scelte stilistiche, grafiche e di impaginazione dei quattro fogli
vercellesi; abbiamo esaminato un numero de “La Sesia”, di “Notizia Oggi”, di
“VercelliOggi” e in ultimo del “Corriere Eusebiano”. A introdurre ogni testata non sono
mancati riferimenti storici e indicazioni sulla proprietà, informazioni preziose ottenute
dalle interviste a cui si sono prestati, molto gentilmente, i direttori dei quattro giornali,
ovvero Remo Bassini, Daniele Gandolfi, Guido Gabotto e Luca Sogno.
5
A conclusione del nostro lavoro, abbiamo cercato di rispondere a un quesito. I
giornali vercellesi sono combattivi o concilianti?. Insomma ci chiedevamo se l’essere
piccoli pregiudicasse la capacità di fare buon giornalismo. Il sesto capitolo,
“Ombudsman ovvero paladini del cittadino”, è occupato dalla rassegna di tutti gli
articoli, usciti nelle settimane dal 1° novembre al 4 dicembre, che attestano la vocazione
di giornali, avvocati del cittadino. Ma non per tutti i fogli vercellesi questa
categorizzazione risulta adeguata.
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1. DAL NAZIONALE AL LOCALE: LE NOTIZIE DI
PROSSIMITA’ ATTIRANO NUOVI EDITORI
1.1 LA PROLIFERAZIONE DELLA STAMPA LOCALE
Il nostro giornalismo, dai tempi dell’Unità d’Italia, si è distinto per la centralità
assunta dalla politica e la tendenza a privilegiare un’informazione di carattere nazionale,
al fine di rafforzare un’identità di stato ancora gracile in un paese diviso per lingua,
potenzialità economiche e tradizioni civiche.
Il tipo di testata che predomina per piø di un secolo è il giornale regionale, a cadenza
quotidiana, che riassume in sØ le seguenti caratteristiche: forte connotazione politica;
incursioni nella cronaca nera al fine di evidenziare le anomalie rispetto al normale
scorrere dell’esistenza e, al contempo, soddisfare ristrette esigenze informative dalle
realtà di provincia; amalgama di scrittura colta, tipica degli elzeviri
1
, con quella piø
mediocre, propria della cronaca, e infine un intento pedagogico evidente nel commento
e nell’opinione. Inoltre l’impostazione elitaria nella trattazione dei contenuti impedisce
la formazione di una vera opinione pubblica
2
.
E’ facile desumere che questo panorama non sia d’incoraggiamento alla
proliferazione di una stampa che trae dal contesto territoriale la sua principale funzione
informativa e commerciale. A ciò bisogna aggiungere che la lettura del giornale resterà,
per molto tempo, un atto culturale impegnativo e quindi difficilmente abbordabile per
un lettore ancorato al suo fazzoletto di terra.
A compromettere ulteriormente le prospettive di una stampa “di provincia” sono i
processi di urbanizzazione: a partire dagli anni Cinquanta le città si allargano a
dismisura, gli abitanti delle campagne e dei paesi del Meridione, abbandonate le loro
terre d’origine, confluiscono in quella che si delinea come la prima classe operaia,
1
L’elzeviro è l’articolo di apertura della terza pagina. Prendeva il nome dal carattere elegante in cui
veniva normalmente composto, coniato dagli stampatori olandesi Elzevier
2
Carlo Sorrentino, Riflessioni intorno ad un giornalismo mai nato, in “Problemi dell’Informazione”, a.
XXVII, n.4, dicembre 2002, pag.505
7
l’intraprendenza del ceto medio inaugura una rete commerciale destinata a investire
strade e quartieri.
Ma le trasformazioni sociali e culturali, come nota Carlo Sorrentino, determinano il
superamento della dimensione comunitaria e quindi la stampa, dal canto suo, preferisce
lavorare per macro aree trascurando gli impulsi che giungono dalle piccole realtà
urbane
3
.
A ricoprire un ruolo ulteriormente scoraggiante è il successo dell’ascolto televisivo e
la nascita, negli anni Settanta, delle televisioni private. AnzichØ essere di sprono per una
dimensione comunicativa locale, le televisioni emergenti non sono all’altezza del
compito.
Ad avere la peggio in questo clima statico, è l’utenza dei giornali che, diversamente
rispetto ad altri paesi piø lungimiranti, non ha potuto disporre di una stampa popolare, e
dunque piø a misura d’uomo, che sapesse andare a braccetto con quella d’èlite,
tradizionalmente radicata nel Bel Paese.
PerchØ negli anni’80 questa situazione è destinata a cambiare drasticamente e a
favorire un successo imprevisto del “locale”?. Come mai gli ostacoli, che fino a ieri
impedivano la nascita di una stampa di provincia, possono essere facilmente elusi?.
In un giornalismo a vocazione nazionale, la copertura del territorio si assesta come
arena importante di competitività. Il modello di sviluppo basato sul decentramento
territoriale fa scorgere la vivacità dei piccoli contesti urbani e favorisce un
atteggiamento differente nei confronti delle tradizioni sociali e culturali, che hanno
saputo adeguarsi, in modo inaspettato, alle logiche della modernizzazione. Infatti, negli
anni del boom editoriale, è ormai alle spalle quella semplificazione distorta, molto
radicata in passato, in base alla quale modernità e tradizione sono inconciliabili. Il
permanere di quest’ultima non è piø un ostacolo allo sviluppo, così come l’avanzamento
del moderno non impone piø un’abdicazione dei valori tradizionali
4
.
Prima di procedere nelle argomentazioni è doveroso fare una precisazione. Quando
si parla di proliferazione del giornalismo locale, la letteratura fa riferimento soprattutto
a pubblicazioni quotidiane, mentre il nucleo della nostra tesi verte sul giornalismo
3
Carlo Sorrentino, Il quotidiano locale nuovo protagonista del modello italiano, in Quotidiani in
mutazione. Trasformazioni del campo giornalistico italiano, a cura di Giovanni Bechelloni e Milly
Buonanno, Fondazione Adriano Olivetti, Roma, 1993, pag.60
4
Ibidem pag. 61
8
vercellese, composto da settimanali e bisettimanali. Ma, ai fini del nostro discorso, il
giornalismo di piccole realtà può essere tranquillamente accostato a quello delle grandi
città, nel suo obiettivo di identificarsi con un certo territorio e di raccontarlo attraverso il
dispiegarsi delle attività ed eventi che ospita.
In contesti a cui dava voce, spesso in modo approssimativo, un giornale “omnibus”,
vecchio stile, la mappa giornalistica, negli anni ’80, si fa finalmente vivace e plurale.
Però perchØ questo accada in modo completo è necessario che ci siano progetti
editoriali, editori coraggiosi e imprese disposte a un investimento in aree marginali.
Tra i “temerari” Mario Isnenghi ricorda Carlo Caracciolo, editore de “la
Repubblica”, che sonda piccole realtà per individuare nuovi segmenti di mercato,
sfruttando la loro vitalità economica e contando sulla presenza di giornalisti disposti ad
a essere componente viva di questa avventura.
Esemplificativo è il caso del Veneto, e in particolare di Padova che, stanca di non
vedersi rappresentata dal “Gazzettino” nella sua dinamicità economica, commerciale e
culturale -la città ospita un’università fondata nel 1222- vuole avere a disposizione un
canale informativo esclusivo. Da tempo Padova si pensa come alternativa alla città delle
lagune, addirittura come una “Milano di terraferma”.
Ecco perchØ alcuni imprenditori, riconosciute le energie che il Veneto è in grado di
sprigionare, ne approfittano per inaugurare un’avventura editoriale: Caracciolo fonderà
“Il Mattino di Padova” mentre Rizzoli, che non resta a guardare, gli contrapporrà
“L’Eco di Padova”
5
.
Angelo Agostini, direttore della rivista “Problemi dell’informazione”, in un numero
dedicato all’editoria locale, celebra la figura di Mario Lenzi che proprio in questi anni è
lo stratega del suo sviluppo. Il giornalista ha trascorso gran parte della sua vita
professionale al gruppo l’Espresso, che sul finire degli anni’70 promuove una stagione
fortunosa di acquisti: nel 1979 compra la “Provincia Pavese”, nel 1980 la “Nuova
Sardegna”, i quotidiani veneti e le gazzette emiliane
6
.
Come rimarca Lenzi, quello che ha fatto il gruppo per cui lui lavorava è stato di
<<mettersi nel solco dell’Italia dei comuni…>> ovvero di cambiare la news angle con
5
cfr Mario Isnenghi, La stampa quotidiana locale, in La stampa italiana nell’età della TV. Dagli anni
Settanta a oggi, a cura di Valerio Castronovo e Nicola Tranfaglia, Roma, Laterza, 1994
6
cfr Angelo Agostini, L’Italia dei comuni tra politica e giornali. Identità locali, globalizzazione e
racconto giornalistico, in “Problemi dell’informazione”, a. XXVII, n.4, dicembre 2002, pp. 431-440
9
cui si facevano i giornali. E aggiunge <<…le abitudini, i modi di vivere la città, o il
modo di intendere i rapporti tra uomini e donne non sono gli stessi a Bolzano, Firenze e
Catanzaro>>. Il locale ha quindi approfittato di queste diversità e ha imparato a
fotografare il diverso perimetro in cui si radica ogni testata, per offrire un prodotto su
misura alla clientela.
I giornali che si stagliano all’orizzonte hanno caratteristiche comuni: non nascono
come inserti in costa all’edizione nazionale, ma già nel nome della testata evocano la
volontà di identificarsi con un certo territorio.
Prima, l’eccedenza informativa e il raggio d’azione delle notizie illimitato
producevano nel lettore una sorta di straniamento, che ora viene superato di fronte a
un’impostazione lavorativa ispirata alla lettura in chiave localistica della realtà. E
questo aspetto trova conferma anche nell’impaginazione cha antepone la cronaca locale
a quella nazionale
7
.
Alla fine degli anni ’80 sono 40 le province italiane sprovviste di quotidiani locali,
16 al nord, 13 al centro, 21 al sud. In questi quotidiani colpisce la quantità di notizie di
cronaca che vengono sfornate
8
.
Però, un’effervescenza territoriale, che si dispiega in nuovi canali comunicativi,
necessita anche di un mercato pubblicitario a cui rivolgesi per sponsorizzare le attività
che insistono sul suo contesto. All’inizio, di fronte al successo coevo del sistema radio-
televisivo, si ritiene che i terminali piø adeguati per la raccolta pubblicitaria possano
essere radio e televisioni locali.
Ben presto, però, l’affermazione del duopolio RAI-Fininvest intimidisce le piccole
emittenti, fallimentari nell’elaborare nuove strategie comunicative in grado di fare da
contraltare all’informazione nazionale, e di conseguenza altrettanto fallimentari nel
diventare ricettacolo di inserzioni a pagamento. E’ a questo punto che le testate locali
traggono profitto dalla vivacità culturale ed economica delle realtà di provincia, di
fronte a un sistema radiotelevisivo miope e ingessato.
Da questo momento l’informazione locale viene trattata in modo autonomo e
nell’ottica di non dispiacere al pubblico dei lettori, e di fornire un prodotto esaustivo,
alcune delle nuove testate non disdegnano di offrire qualche notizia nazionale ed estera.
7
cfr Carlo Sorrentino, I percorsi della notizia. La stampa quotidiana italiana tra politica e mercato,
Baskerville, Bologna, 1995 pag. 121
8
ibidem pag. 119
10
Il cambiamento in atto, però, non si può solo spiegare riferendosi al dinamismo
territoriale e alla volontà di vederlo raccontato sui giornali, perchØ omettere la
modernizzazione redazionale significherebbe occultare parte della storia.
Sono questi gli anni fortunosi dell’introduzione delle nuove tecnologie, del trionfale
ingresso dell’elaboratore in redazione e dell’adozione di sofisticate tecniche di stampa,
che hanno il vantaggio di abbattere i tempi di produzione e soprattutto i costi. Non da
ultimo, molti giornali si affidano a un’agenzia di servizi che è in grado di rifornirli di
notizie con un risparmio notevole.
Non è però tutto oro ciò che luccica. Infatti, se all’inizio le innovazioni tecnologiche
sembrano finalmente garantire numerosi miglioramenti, in una seconda fase alcuni
editori ne approfittano per moltiplicare le sinergie, che sì consentono lo sfoltimento del
personale, ma rischiano di far pubblicare giornali fotocopia, in cui la disponibilità di
molti pezzi “prefabbricati” riduce la voglia dei giornalisti di indagare e di sporcarsi le
mani in provincia. Si crea così un paradosso: pezzi adeguati a un certo territorio
vengono riciclati in altri giornali della stessa catena
9
.
E’ interessante il ritratto del lettore proposto da un giovane Vittorio Feltri, ai tempi
in cui, nel 1982, abbandona la redazione dell’“Eco di Bergamo”. <<L’uomo
bergamasco se ne infischia di Reagan, Mitterand e di Pertini. Pertanto salta di netto la
prima pagina …e va direttamente alla pagina dei morti…crede che l’Eco sia lo
specchio dell’universo>>. Una descrizione che ben fotografa il profilo del lettore di
questa stampa di provincia, prioritariamente interessato a conoscere quel che succede a
casa sua prima di spingere lo sguardo piø in là.
Altrettanto significative sono le parole che il giornalista spende per il suo ex giornale
<<…pubblica i morti, i comunicati dell’amministrazione provinciale, della pro loco,
della polisportiva, della comunità montana. E poi ci trovi gli incidenti stradali, i
promossi delle scuole, l’inaugurazione del monumento degli alpini, la gita dei donatori
di sangue, il calendario del mese mariano. E così via>>
10
. L’informazione locale è tutto
questo: informazione di servizio ma anche una sorta di palcoscenico di cui servirsi per
raccontare la vivacità della cittadina.
Di fronte a un bisogno crescente di informazioni direttamente dal luogo in cui si
vive, la nuova stampa ha risposte convincenti. La cronaca, che sui quotidiani ha sempre
9
cfr Carlo Sorrentino (1993), op.cit. pag 133
10
cfr Vittorio Bruno, Inchiesta sui giornali di Provincia in Italia, Gutemberg, Torino 1984, pag.15
11
avuto il difetto di essere partorita da giornalisti spesso ignari della realtà su cui
andavano a indagare, tanto da sbagliare i nomi di vie, delle persone, dello stesso sindaco
e del questore, con grave danno per la credibilità della testata, ora si presenta in abiti
rinnovati. Le informazioni fornite dalla stampa di periferia, invece, sono, in linea di
massima, piø attendibili e utili per interagire con un certo contesto.
Le zone piø defilate, quelle che non sono mai state all’altezza del mercato della
notizia, ricevono copertura perchØ il giornale vuole ampliare il raggio della propria
influenza e accrescere il numero dei lettori. L’ottica soggiacente è che piø un prodotto è
completo, piø sarà apprezzato, il che si traduce in maggiori vendite e piø spazi
pubblicitari alienati.
Per far fronte a questi obiettivi, è indispensabile una forza lavoro dispiegata sul
territorio; ad aiutare i redattori ci sono decine di giovani aspiranti giornalisti, i cui
compiti sono la costante osservazione del territorio, capacità di controllo delle fonti e
efficace scrittura cronachistica.
A offrire una carta di identità dettagliata dei giornalisti che in questo frangente
ingrossano gli staff dei giornali è Milly Buonanno
11
. Il giornalista pubblicista, quasi
sempre collaboratore esterno o specialista, che di solito svolge come lavoro principale
un’attività altra dal giornalismo, negli anni ’80 diventa “professionista surrogato”,
ovvero arruolato in redazione. Questa trasformazione di ruolo ha determinato un
cambiamento nella popolazione giornalistica che così si è trovata a svolgere una
professione senza doversi sottoporre a esami di preparazione e di idoneità.
Si conta che, dal 1978 al 2002, i giornalisti pubblicisti siano piø che triplicati (dai
14.926 del 1978, si è passati ai 32.642 del 1990, dai 44.669 del 1996 si è toccato la
quota 50.233 nel 2002), un’impennata dovuta proprio al proliferare dalla stampa locale.
E’ in questo frangente temporale che le redazioni vengono popolate dai “figli deviati
delle classi dirigenti”, come li definisce Pierre Bordeu, ovvero persone di estrazione
medio-alta che non avendo i requisiti per abbracciare le carriere dei loro genitori, o
semplicemente perchØ le considerano non rispondenti alle loro aspirazioni, preferiscono
puntare su un professione che è ancora una sorta di “paracadute contro i rischi della
mobilità sociale discendente”
12
. Il giornalismo attira anche i figli “aspirazionali” delle
11
Milly Buonanno, L’identità incerta dei giornalisti italiani, ovvero una professione senza frontiere, in Il
giornalismo in Italia, a cura di Carlo Sorrentino, Carocci Editore, Roma, 2008, pp. 60-61
12
Ibidem pag.63
12
classi medio-inferiori; ovvero individui esclusi da posizioni professionali consolidate,
per mancanza di titoli scolastici idonei, che non rinunciano a un mestiere in grado di
offrire un’escalation sociale.
Nella prima metà degli anni’80 la ricerca di Buonanno evidenziava che su circa 600
giornalisti di 16 testate, c’era una prevalenza della prima categoria di soggetti
13
. Invece
negli anni’90 la situazione si è capovolta e il giornalismo è stato calamita per coloro che
desideravano una promozione sociale.
Tra le conseguenze di questo boom dell’informazione locale si attesta, non solo un
mutamento per quel che riguarda la conformazione degli organici, ma anche a livello di
contenuti. La cronaca, mai centrale nella tradizione giornalistica italiana, diventa un
punto di forza perchØ a livello locale sono tanti i piccoli accadimenti di cui scrivere, e le
maglie del filtro giornalistico, piø larghe, volentieri fanno incetta di questo genere
giornalistico.
Una delle ragioni decisive di questo nascente interesse per il locale viene individuata
da Lorenzo Fabbri nella disaffezione del cittadino alla copertura politica.
Un’informazione rinnovata è una reazione a una crescente omologazione culturale ma
anche alle inefficienze della burocrazia statale, all’allarmante livello del debito
pubblico, all’incapacità dello stato di intervenire per sanare i problemi
14
.
Non da ultimo è interessante notare come lo sviluppo di questa stampa ha prodotto
una modifica delle relazioni sociali. Come osserva Carlo Sorrentino, nelle piccole
cittadine, la circolazione della notizie avveniva in due modi: con la chiacchiera dei “si
dice” e del “pettegolezzo”, poi filtrata dai leader di opinione, e nei luoghi di
socializzazione come parrocchie, oratori, bar, circoli partitici. Il sociologo non vuole
asserire che queste modalità siano venute meno, ma che ogni testata svolge già
un’importante compito di gerarchizzazione degli argomenti di discorso, contribuendo
così alla costruzione dell’agenda pubblica
15
.
13
cfr Milly Buonanno, L’èlite senza sapere, Liguori, Napoli, 1986
14
cfr. Lorenzo Fabbri, Locale, locale, locale. Gli editori risoprono le news locali, ma quella dimensione
non è ancora percepita come business. Quali strategie per lo sviluppo editoriale?, in “Problemi
dell’informazione”, a. XXIX, n.1, marzo 2004, pag. 88
15
cfr Carlo Sorrentino (1995), op.cit, pag. 122