1
INTRODUZIONE
In seguito alla disgregazione della Democrazia cristiana, le sue correnti interne ed i suoi
esponenti hanno dato vita a nuove formazioni politiche o sono entrati a far parte di quelle già
esistenti.
Di conseguenza, il voto cattolico, che precedentemente era prevalentemente indirizzato verso
la Dc, è costretto a mutare il suo orientamento e si scinde in diversi rivoli. L’apporto
elettorale dei cattolici che è sempre stato valutato considerevole ha perso, per la sua
dispersione in vari partiti, il suo carattere omogeneo ed è divenuto più difficilmente
predittibile.
Gli stessi cattolici sono cambiati, non solo nel loro approccio alla politica ed allo Stato, ma
anche nel loro rapporto con la Chiesa cattolica ed i suoi principi.
La Chiesa è, inoltre, divenuta assai influente sulla politica italiana soprattutto per quanto
riguarda il processo legislativo sui cosiddetti temi etici, aborto, eutanasia, coppie di fatto.
Quest’evoluzione ha determinato un crescente interesse per i cattolici soprattutto tra i politici
che considerano strategicamente importante per la vittoria il loro voto e cercano
d’intercettarlo. Anche altri attori politici e sociali, a cominciare dai media manifestano molta
attenzione nei confronti della Chiesa e dei suoi fedeli.
Considerate queste premesse, dedicarsi ad una ricerca sugli odierni cattolici che cerchi di fare
chiarezza sugli aspetti più ambigui e controversi del loro rapporto con lo Stato e la Chiesa,
come già hanno fatto e continuano a fare studiosi e ricercatori, diventa essenziale per
comprendere l’attuale contesto politico e sociale italiano ed intuirne i potenziali sviluppi.
Innanzi tutto, è essenziale discriminare tra le varie categorie di cattolici e descrivere la più
rilevante, quella dei praticanti assidui.
Questi sono gli individui che meglio incarnano il modello del cattolico consapevole e
motivato. Essi, infatti, partecipano abitualmente almeno alla messa domenicale e reputano
importante attenersi agli insegnamenti della Chiesa. L’atteggiamento dei praticanti assidui nei
confronti della politica e dell’etica e la loro rilevanza numerica sulla popolazione e sui
cattolici possono fornire molti elementi utili a capire qual è l’incidenza del cattolicesimo sulla
vita sociale e politica italiana.
Il metodo seguito per compiere quest’analisi prevede l’interpretazione di accurate indagini
statistiche. I dati esaminati provengono da fonti diverse, la principale delle quali è Itanes.
Sono stati considerati i sondaggi condotti in occasione delle tornate elettorali del 1994, 1996,
2001 e 2006. Nella quasi totalità dei casi, si è fatto riferimento ad indagini post-elettorali, ma
2
per quanto riguarda alcune domande relative ai temi etici si sono impiegati anche dati
provenienti dall’indagine precedente le elezioni del 2006. La rielaborazione dei dati forniti da
Itanes è stata il presupposto, insieme alla letteratura critica
1
ed a una certa documentazione,
del lavoro svolto. Gran parte della tesi consiste nell’elaborazione delle casistiche dei sondaggi
e nel loro commento. Le indagini Itanes sono affiancate ed integrate da sondaggi effettuati da
Swg, Demos & Pi ed altri, soprattutto nel capitolo dedicato alla connessione tra etica e
politica.
Si è proceduto, quindi, primariamente a delineare le peculiarità che distinguono i cattolici tra
loro, come età, sesso, stato civile, luogo di residenza. In seguito, si è posto l’accento sul
comportamento di voto dei cattolici e sul loro rapporto con le istituzioni, sia laiche che
religiose. Infine, si è cercato di determinare se le dichiarazioni ed il comportamento dei
cattolici corrispondono alle indicazioni date loro dalla Chiesa.
1
I testi e gli articoli cui si è fatto più spesso riferimento e che sono stati più rilevanti ai fini di questa tesi, si
ricordano:
CARTOCCI ROBERTO, Voto, valori e religione, in Caciagli M. e Corbetta P. Le ragioni dell’elettore. Perché
ha vinto il centro-destra nelle elezioni italiane del 2001, Bologna, Il Mulino, 2001
CESAREO VINCENZO, CIPRIANI ROBERTO, GARELLI FRANCO, LANZETTI CLEMENTE, ROVATI
GIANCARLO, La religiosità in Italia, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1995
DIAMANTI ILVO e CECCARINI LUIGI, Catholics and politics after the Christian Democrats: the influential
minority, Journal of Modern Italian Studies, Vol, 12 n. 1, Taylor & Francis, gennaio 2007
DIAMANTI ILVO, Gli italiani e la religione: un Dio meno relativo e una Chiesa che guarda a destra, in Gli
italiani e la religione Indagine Demos & Pi-Gfk Eurisko per La Repubblica, 2007
DIAMANTI ILVO, Alla destra del padre, in Società, Chiesa e politica in Italia, Indagine Demos & Pi per La
Repubblica, 2008
GARELLI FRANCO, The church and Catholicism in contemporary Italy, Journal of Modern Italian Studies,
Vol. 12 N. 1, Ed. Taylor & Francis, marzo 2007
ITANES, Perché ha vinto il centro-destra?, bologna, Il Mulino, 2001
LOTTI LUIGI, I partiti della Repubblica. La politica in Italia dal 1946 al 1997, Firenze, Felice Le Monnier
Editore, 1997
MARCHISIO ROBERTO e PISATI MAURIZIO, Belonging without believing: Catholics in contemporary Italy,
Journal of Modern Italian Studies, Vol. 4 N. 2, Taylor & Francis, estate 1999
SEGATTI PAOLO, Un centro instabile eppure fermo. Mutamento e continuità nel movimento elettorale, in
Parisi A. e Corbetta P. A domanda risponde. Il cambiamento del voto degli italiani nelle elezioni del 1994 e del
1996, Bologna, Il Mulino, 1997
SEGATTI PAOLO, Religione e territorio nel voto della Dc dal 1948 al 1992, n. 1 Polis, aprile 1999
SEGATTI PAOLO, Il voto dei cattolici, in (a cura di) Mannheimer R. e Natale P. L’Italia divisa in due, Milano,
Cairo Editore, 2006
SEGATTI PAOLO, Il voto tra domanda e politica dei valori, in Itanes Dov’è la vittoria? Il voto del 2006
raccontato dagli italiani, Bologna, Il Mulino, 2006
3
CAP. 1
IDENTITÀ DEI CATTOLICI
1.1 Per una definizione di “cattolico”
Per poter comprendere l’ascendente ed il credito che la Chiesa cattolica ha presso gli italiani,
nonchè il potere e l’autorità che esercita nella vita socio-politica del paese, è essenziale
misurare il consenso di cui godono la religione cattolica e le sue istituzioni.
L’entità dell’adesione degli italiani alla religione ed alla Chiesa cattoliche può essere
determinata conteggiando il numero dei cattolici.
Secondo la Chiesa sono da ritenersi di religione cattolica tutti coloro che abbiano ricevuto il
sacramento del battesimo, in Italia praticamente la quasi totalità della popolazione.
Questa definizione non risulta utile ai fini di una reale quantificazione dei cattolici italiani
poichè non tutti i battezzati sono credenti e praticanti. Normalmente il battesimo viene
somministrato ad infanti su richiesta dei genitori, come testimonianza del loro intento di
educare i figli nella fede professata o per tradizione familiare, mentre rari sono i casi di
battezzati in età adulta. Il battesimo, quindi, non rappresenta una consapevole adesione del
singolo ricevente del sacramento alla religione, ma solamente il desiderio espresso dai
genitori del bambino di crescerlo nella comunità dei fedeli. Tale appartenenza alla comunità
cristiana può essere confermata oppure più o meno radicalmente rifiutata dall’individuo
battezzato una volta raggiunta l’età adulta. Il battesimo, dunque, non può essere considerato
un valido attestato dell’adesione alla Chiesa se non avvalorato da altri elementi.
L’aver ricevuto altri sacramenti come confessione, comunione e cresima non è sufficiente a
far ritenere una persona cattolica poiché essi riguardano generalmente bambini o adolescenti,
mentre la scelta del matrimonio religioso è spesso molto condizionata dalla tradizione.
Il modo più efficace per quantificare l’adesione alla Chiesa cattolica è determinare il numero
di coloro che si professano cattolici. L’autodefinirsi cattolico presuppone, infatti, la
conoscenza del significato di questo appellativo e la piena e consapevole accettazione di ciò
che comporta in termini di identificazione personale e sociale.
La determinazione del numero dei cattolici italiani necessita, dunque, obbligatoriamente di
un’analisi statistica basata sulle risposte degli intervistati date a quesiti di sondaggio come
«dal punto di vista religioso, lei si considera cattolico, cristiano ma non cattolico, non
4
credente o appartiene a qualche altra religione?». A questa domanda, posta a differenti
campioni di persone rappresentativi della popolazione italiana in diversi anni, la quasi totalità
del campione ha risposto di reputarsi cattolica. Il numero degli italiani che si definiscono
cattolici oscilla tra l’80 ed il 90% della popolazione totale come confermato da diverse
indagini statistiche
2
, tra cui i dati Itanes riportati di seguito (Tab. 1.1).
Tabella 1.1: Percentuali di persone che si autodefiniscono cattoliche
3
Anno Percentuale valida di cattolici sul
campione
N. valido
totale
1994 79,2 2585
1996 80,5 2480
2001 93,7 3190
2006 93,4 2001
Fonte: elaborazione propria su dati Itanes 1994, 1996, 2001, 2006
Questa indicazione quasi unanime di appartenenza può essere spiegata con il lungo
monopolio della Chiesa cattolica nel panorama religioso italiano che ha portato ad
un’accettazione del suo patrimonio come parte della cultura nazionale. Attualmente,
nonostante l’esclusiva del culto in Italia non sia più appannaggio della Chiesa cattolica a
causa della presenza nel paese di vaste comunità che seguono altre confessioni religiose, la
sua posizione dominante continua a perdurare e tende a consolidarsi per il valore identitario
che anche la religione assume di fronte ad una trasformazione della società in multietnica e
multiculturale. Comunità religiose diverse da quella cattolica sono storicamente presenti sul
territorio italiano, quella ebraica e le varie chiese protestanti ne sono una testimonianza, ma,
tramite comunicazione e immigrazione, sono giunte nuove confessioni religiose.
La religione islamica, le confessioni cristiano-ortodosse, l’induismo, il buddhismo, il taoismo
sono culti molto diffusi all’interno delle comunità di immigrati, ma fanno proseliti anche tra
gli italiani, pur rimanendo nettamente minoritari. Il profilo religioso dell’Italia si è dunque
molto arricchito, ma la quasi totalità delle persone continua a sentirsi e dichiararsi cattolica.
L’ingresso di nuovi credo nel quadro religioso italiano non sembra quindi minacciare il
consenso di cui gode la Chiesa cattolica, anzi gioca un ruolo importante nell’accrescere il suo
potere d’attrazione nei confronti degli individui che, nell’odierno contesto globalizzato,
2
MARCHISIO Roberto e PISATI Maurizio, Belonging without believing: Catholics in contemporary Italy,
Journal of Modern Italian Studies, Vol. IV, N. 2 (Estate 1999). Quest’articolo riporta i risultati di alcuni
sondaggi condotti dal 1970 al 1994 che confermano queste percentuali. Una ricerca dell’Università Cattolica di
Milano nel 1994 rilevava che i cattolici corrispondevano all’84% della popolazione italiana.
3
Gli intervistati, interpellati telefonicamente da Itanes, in occasione di sondaggi per il monitoraggio
elettorale,appartengono a campioni statistici rappresentativi della popolazione italiana.
5
trovano nella religione tradizionale un rafforzamento identitario. Più che sulla dimensione
sociale dell’affiliazione religiosa il pluralismo religioso e culturale ha contribuito ad un
cambiamento dell’approccio del singolo individuo alla spiritualità ed al sacro.
La ricerca di nuove forme di religiosità e spiritualità, che non significano necessariamente
l’abbandono della religione cattolica in favore di un’altra, ma anche semplicemente fare
esperienza di modi differenti di concepire il sacro, è divenuta una pratica diffusa, largamente
accettata e spesso positivamente considerata. Questo è il contributo del pluralismo religioso a
quel processo che conduce molti fedeli alla creazione di spazi autonomi del culto, in cui un
approccio più critico alla religione ufficiale si accompagna a nuove esperienze spirituali.
1.2 Frequenza alla messa
Non esiste più, come in passato, un modo univoco e codificato di aderire al Cattolicesimo e
praticarlo. Tra coloro che si dichiarano di religione cattolica vi sono persone che credono
senza riserve ai principi evangelici ed agli insegnamenti della Chiesa, ma anche persone che
vi aderiscono con difficoltà o che si limitano, con questa asserzione, a constatare una
vicinanza culturale e tradizionale. L’appartenenza religiosa, infatti, può trovare fondamento in
una convinzione personale, derivare quasi per inerzia da una tradizione familiare o culturale
oppure essere frutto di una decisione selettiva che porta a condividere alcuni aspetti del credo
e rifiutarne o ignorarne altri per creare in modo sincretico un proprio personale credo che
includa magari aspetti mutuati da altre fedi.
Nel 1994, secondo una ricerca dell’Università Cattolica di Milano, il 57% degli italiani
sosteneva di appartenere alla comunità cattolica per convinzione personale ed il 25% per
tradizione ed educazione, mentre il 9% si diceva cattolico, ma precisava di condividere solo
parzialmente i principi del credo. Da un’indagine di Demos & Pi del 2008 risulta che il 50,1%
degli italiani si definisce cattolico perché nato in una famiglia che pratica questa religione, il
32 perché crede in questa fede, l’8,6 perché è attaccato ai valori proclamati dalla Chiesa, l’8,8
perché lo sente parte della cultura e della storia del proprio paese e lo 0,5% non sa o non
vuole rispondere alla domanda
4
. Un sondaggio Doxa somministrato ad un campione di
persone maggiorenni tra la fine del 1997 e l’inizio del 1998 rilevava che il 90% degli
intervistati si diceva di religione cattolica, ma solo il 53, 9% di questi affermava di credere
4
Società, Chiesa e politica in Italia, Indagine Demos & Pi per La Repubblica, marzo 2008. La rilevazione è
stata condotta tra il 5 e l’8 marzo 2008con metodo CATI su un campione di 1135 individui rappresentativo per
caratteri socio-demografici e distribuzione territoriale della popolazione italiana maggiorenne.
6
senza alcuna riserva agli insegnamenti della Chiesa cattolica. Questi risultati lasciano
intendere che la definizione di cattolico possa denotare una generica affiliazione e non solo e
non sempre una convinta adesione. Questa considerazione trova conferma anche in sondaggi
più recenti come quello condotto da SWG nel gennaio 2008, dopo la mancata visita di papa
Benedetto XVI all’Università La Sapienza di Roma per l’inaugurazione dell’anno accademico
e le polemiche che ha suscitato (Tab. 1.2). Il 23% degli interpellati in quell’occasione
dichiarava di condividere integralmente gli insegnamenti della Chiesa e di impostare su di
essi il proprio comportamento, mentre ben il 67% si definiva laico-cattolico, intendendo con
questo termine sottolineare la propensione a considerare altre istanze oltre a quelle religiose
ed a mediare tra di esse nello stabilire i propri valori ed il proprio agire. Questi dati segnalano
che i precetti della Chiesa non sono più considerati indiscutibili dalla maggioranza dei
cattolici e che per ritenersi tali non si crede indispensabile di dovervisi attenere.
Tabella 1.2: Indicazione del grado di autonomia dei fedeli rispetto alla Chiesa cattolica
5
Si è soliti individuare due diversi atteggiamenti tra i cattolici. Quelli definiti
come laici, cioè che tendono a mediare tra gli insegnamenti della Chiesa e altri
punti di vista, e quelli che tendono a sostenere in modo integrale gli
insegnamenti della Chiesa. Lei, personalmente, condivide maggiormente
l’atteggiamento:
Dato
medio
definito come laico-cattolico 67
basato sul sostegno integrale degli insegnamenti della Chiesa 23
nessuno dei due 10
non sa 5
non risponde 2
Fonte: dati SWG 2008
Differenze sostanziali nello spesso considerato omogeneo mondo cattolico appaiono in
diverse analisi a cominciare da quella riguardante la frequenza ai riti religiosi.
La frequenza alla messa, intesa come momento più importante di comunicazione e
socializzazione dei fedeli, è identificata come il miglior indice di partecipazione alla vita
comunitaria e questa è a sua volta considerata come il più attendibile modo per quantificare il
grado di personale adesione alla religione.
5
Indagine statistica SWG del 2008 effettuata tramite sondaggi telefonici CATI oppure on-line CAWI all’interno
di un campione di 850 individui maggiorenni con frequenza alla messa di almeno una volta l’anno, residenti sul
territorio nazionale, rappresentativi della popolazione in base ai parametri di zona, sesso ed età. Il subcampione
dei cattolici praticanti comprende 412 individui che frequentano abitualmente la messa almeno una volta la
settimana.
7
Questa prima e sommaria suddivisione dei cattolici in base alla pratica religiosa evidenzia il
differente approccio del singolo nei confronti delle regole del culto e suggerisce una varietà
d’intensità del sentimento religioso all’interno del mondo cattolico non riducibile ad una
semplice definizione tratta da vaghe asserzioni d’appartenenza. Considerata come sinonimo di
più o meno radicale e radicata adesione alla religione in termini di principi e precetti, la
partecipazione ai riti può simboleggiare il grado di vicinanza del cattolico rispetto alla Chiesa
ufficiale di cui la parrocchia è il primo luogo di manifestazione ed aggregazione a livello
locale e segnalare quanto si rende disponibile a seguire le indicazioni della comunità
ecclesiale per quanto concerne le sue scelte di vita. Secondo il già citato sondaggio Doxa del
1998, solo il 31,3% dei cattolici ed appena il 48,2% di coloro che dichiaravano di aderire
senza eccezioni ai principi della Chiesa ufficiale si recava regolarmente a messa.
Nei dati Itanes (Tab. 1.3 e Fig. 1.1) la percentuale di italiani che si recano a messa almeno una
volta a settimana si aggira tra il 20 ed il 30 %. Nel 1994 la partecipazione almeno settimanale
alle celebrazioni liturgiche coinvolgeva il 34,4% della popolazione, nel 1996 il 30,4%, nel
2001 il 25,3% e nel 2006 il 23,2%.
Tabella 1.3: Rilevazioni Itanes della frequenza alla messa degli italiani in percentuale
Anno Frequenza alla messa in percentuali valide N. valido
totale Mai Due-tre volte
l’anno
Mensilmente Almeno una
volta la
settimana
1994 8,6 25,4 31,6 34,4 2378
1996 13,3 29,3 26,9 30,4 2484
2001 17,5 28,1 29,1 25,3 3059
2006 21,3 25,9 29,6 23,2 1988
Fonte: elaborazione propria su dati Itanes 1994, 1996, 2001, 2006
Riguardo alla frequenza alla messa, i cattolici possono essere suddivisi in: praticanti assidui,
coloro che assistono al culto almeno una volta a settimana, praticanti, coloro che si recano a
messa mensilmente e i praticanti saltuari che partecipano ai riti poche volte l’anno
normalmente in corrispondenza delle maggiori feste religiose, come il Natale e la Pasqua.
8
Figura 1.1: Comparazione per anno dell’incidenza della partecipazione alla messa, in percentuali di frequenza,
sul campione
0
5
10
15
20
25
30
35
%
1994 1996 2001 2006
Anno
Distribuzione per anno della variabile frequenza alla messa nel campione
Mai Due-tre volte l'anno Mensilmente Almeno una volta a settimana
Sull’evoluzione della frequenza alle celebrazioni liturgiche ci sono pareri discordanti.
Alcuni studi sostengono che la frequenza alla messa sia rimasta pressoché costante
6
, mentre
altri che abbia subito un generale declino dagli anni cinquanta del secolo scorso ad oggi
7
.
Una diminuzione della partecipazione alla messa, ammesso venga dimostrata, potrebbe
testimoniare non solo e non tanto l’incisività del fenomeno della secolarizzazione, ma anche
un differente approccio alla religione che tende ad essere meno vincolante e pervasivo della
vita quotidiana e più aperto ad una varietà di esperienze spirituali come confermato dalla
crescita d’interesse per forme di meditazione legate al culto buddista o per movimenti new
age. Se venisse altresì provata una sostanziale continuità nella frequenza alla messa dal
dopoguerra ad oggi, si potrebbe far risalire la spiegazione di tale fenomeno al fatto che la
secolarizzazione ha prodotto effetti anche in Italia, ma più blandi che nel resto d’Europa.
In Italia rimane molto ridotto il numero di coloro che si definiscono atei e la maggioranza
delle persone continua a considerarsi cattolica. Anche la frequenza alla messa, pur ridottasi
nel tempo, si mantiene su valori più elevati rispetto agli altri paesi europei.
6
La già citata analisi statistica dell’Università Cattolica di Milano del 1994 riporta le percentuali di frequenza
regolare alla messa rilevate da vari sondaggi dal 1968 al 1994. I valori in questione si attestano, con qualche
fluttuazione, attorno al 30%.
7
Le conclusioni tratte da sondaggi condotti tra il 1956 al 1998 hanno indotto gli autori del menzionato articolo
sul Journal of Modern Italian Studies a ritenere che vi sia stato un processo di progressiva riduzione della
partecipazione alla messa. Infatti, da una percentuale di frequenza settimanale alla messa attorno al 69% rilevata
nel 1956 si passa al 41% del 1998.
9
La partecipazione alla messa appare condizionata da alcuni fattori demografici e culturali e
dalla loro combinazione. Età, genere, titolo di studio, area di residenza e regione geo-politica
possono configurarsi come fattori incentivanti o deprimenti la frequenza alla messa.
Oltre a queste classiche variabili, assumono rilevanza ai fini della partecipazione alla messa
anche lo stato civile ed il lavoro.
1.2.1 Età
L’età è il primo elemento che diversifica la frequenza alla messa.
La tendenza generale denota che al crescere dell’età corrisponde un incremento di
partecipazione alle funzioni religiose, come risulta dalla tabella 1.4.
I praticanti assidui sono relativamente pochi nelle fasce d’età 18-24 e 25-44, mentre se ne
riscontra una maggior presenza nelle coorti d’età più avanzata, soprattutto tra gli
ultrasessantacinquenni. I dati di cui siamo in possesso non permettono di stabilire con
certezza quale sia la causa di tale fenomeno. Le ipotesi che si possono formulare al riguardo
sono principalmente due: l’effetto coorte si esplicita nell’evidente tendenza degli individui
nati e cresciuti, come le generazioni più vecchie, in un contesto in cui la religione cattolica
aveva un valore formativo fondante a conservare la fede come caposaldo nel corso della vita;
l’avanzare dell’età, avvicinando la persona alla conclusione della sua parabola di vita, la
induce ad esaltare la dimensione religiosa dell’esistenza. Il dubbio potrebbe essere sciolto
solo con un’analisi che tenga conto di eventuali mutamenti nel modo d’intendere la religione
che possono intervenire durante la vita degli individui.
Gli individui compresi tra i 45 ed i 64 anni e gli ultrasessantacinquenni costituiscono le coorti
d’età maggioritarie nella popolazione italiana e, quindi, la loro coincidenza con la
maggioranza dei praticanti assidui, li rende particolarmente rilevanti ai fini dell’analisi.
Le persone con età compresa tra i 18 ed i 24 sono quelle più distaccate dalla religione, forse
anche per la psicologia contestativa dell’autorità tipica di quel periodo della vita.
Nel 1996 e nel 2001 coloro che si recano alle funzioni religiose almeno una volta a settimana
tra i 18 ed i 24 anni superano percentualmente il numero di coloro che partecipano ai riti con
la medesima frequenza tra i 25 ed i 44 anni.
Per le coorti 18-24, 25-44 e 45-64 si nota un declino nella partecipazione alle funzioni
religiose tra il 1996 ed il 2006 da cui consegue un processo di graduale riduzione delle
differenze tra di esse in rapporto alla frequenza alla messa. I praticanti assidui diminuiscono
più o meno marcatamente in tutte queste fasce d’età.
10
Una deviazione da questo andamento si rileva per i praticanti assidui ultrasessantacinquenni
che dopo aver fatto riscontrare una riduzione del loro numero nel 2001 evidenziano una
ripresa nel 2006.
Tabella 1.4: Rappresentazione dell’influsso esercitato dalla variabile età sulla frequenza alla messa
8
Relazione tra la variabile età e la frequenza alla messa
Frequenta la
messa
Età %
18-24 25-44 45-64 oltre 65
1996
Mai 14 14,9 11,4 13,4 13,3
Due-tre volte
l’anno
23,5 33,4 29,9 20,9 29,3
Mensilmente 33,5 29,3 25,1 17 26,9
Una volta la
settimana
29 22,3 33,6 48,6 30,4
Totale 100
(333)
100
(958)
100
(896)
100
(298)
100
(2485)
2001
Mai 20,1 19,8 16,3 13,9 17,5
Due-tre volte
l’anno
36,5 31,9 27,7 17,7 28,1
Mensilmente 26,1 31,1 28,8 27,5 29,1
Una volta la
settimana
17,3 17,2 27,2 40,9 25,3
Totale 100
(328)
100
(1146)
100
(938)
100
(648)
100
(3060)
2006
Mai 26 23,7 20,9 16,1 21,3
Due-tre volte
l’anno
34 31 26,8 13,4 25,9
Mensilmente 27 31,7 30,3 26,3 29,6
Una volta la
settimana
13 13,6 22 44,2 23,2
Totale 100
(180)
100
(724)
100
(631)
100
(453)
100
(1988)
Fonte: elaborazione propria su dati Itanes 1996, 2001, 2006
Come delineato dalla tabella 1.5, gli individui che hanno un’età compresa tra i 18 ed i 24 ed i
25 ed i 44 sono meno rappresentati tra i praticanti assidui rispetto alla popolazione.
Viceversa, gli ultrasessantacinquenni sono più presenti tra coloro che partecipano
abitualmente almeno alla liturgia domenicale. Considerazione particolare merita la fascia
d’età 45-64. Negli anni il divario percentuale tra le persone appartenenti a questa fascia d’età
8
L’anno 1994 non è stato preso in considerazione per l’analisi relativa alla relazione tra età e partecipazione ai
riti per l’impossibilità di rendere i dati coerenti con quelli degli altri anni in modo da configurare un’adeguata
comparazione.
Nel 2001 e nel 2006 si erifica una sottorappresentazione degli anziani.
11
e quelle di esse che frequentano almeno una volta a settimana la messa si riduce sino a
capovolgersi. Nel 1996, infatti, coloro che hanno tra i 45 ed i 64 anni sono più numerosi tra i
praticanti assidui, mentre nel 2006 risultano esserlo maggiormente nel campione totale.
Tabella 1.5: Distribuzione per età del campione di popolazione e del subcampione dei praticanti assidui
Incidenza della variabile età sulla frequenza alla messa
Età Campione totale suddiviso
per età
Cattolici praticanti assidui
ripartiti per età
1996
18-24
13,4
(333)
12,7
(96)
25-44
38,6
(958)
28,3
(214)
45-64
36
(896)
39,8
(301)
oltre 65
12
(298)
19,2
(145)
Totale 100
(2485)
100
(756)
2001
18-24
10,7
(327)
7,2
(56)
25-44
37,5
(1146)
25,5
(197)
45-64
30,6
(938)
33
(255)
oltre 65
21,2
(649)
34,3
(265)
Totale 100
(3060)
100
(773)
2006
18-24
9,1
(180)
5,2
(24)
25-44
36,4
(724)
21,3
(98)
45-64
31,7
(631)
30,1
(139)
oltre 65
22,8
(453)
43,4
(200)
Totale 100
(1988)
100
(461)
Fonte: elaborazione propria su dati Itanes 1996, 2001, 2006