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INTRODUZIONE
La presente attività prende in esame diverse tematiche, l’analisi di una particolare
connettorizzazione di fibre ottiche, specialmente adatta per sensoristica inglobata in
materiali compositi, una tipologia di sensori rimuovibili ed una soluzione alternativa per
una struttura di supporto detector dell’esperimento CMS al CERN di Ginevra. Le attività
discusse nel corso del presente lavoro sono stati condotte su strutture in materiale
composito tradizionale o con sensoristica in fibra ottica inglobata.
Lo studio di connettorizzazione “embedded”, cioè inglobata, per strutture in materiale
composito o per la realizzazione di smart patch è il frutto di un’evoluzione di successive
soluzioni nell’ambito della connettorizzazione per fibra ottica; la ricerca di una alternativa
alle attuali soluzioni commerciali nasce dall’avere sensori e connettori ottici perfettamente
inseriti nelle strutture da monitorare, in grado di assicurare una corretta giunzione ottica
della fibra e, allo stesso tempo, non perturbare il componente in cui sono montate. Il lavoro
presenta un’idea in grado di dare soluzione a questo aspetto, l’obbiettivo ultimo è quello di
avere componenti intelligenti (smart structures), in grado di eseguire autodiagnostiche
durante la fase operativa, con sensoristica e connessione in fibra ottica perfettamente
inserite nella struttura. L’attuale stato dell’arte nell’ambito delle giunzioni ottiche ha, infatti,
come problemi quello di essere di grandi ingombri, talvolta superiori a quelli del
componente in cui in connettore si va ad inserire e il non permettere di lavorare il materiale
composito dopo l’introduzione dei giunti ottici. Il connettore magnetico, che si va a
introdurre nel corso del presente elaborato, sembra essere la soluzione a questi problemi,
le sue ridotte dimensioni e la possibilità di lavorare il composito anche nelle zone
immediatamente a ridosso dello stesso sono aspetti innovativi e di interesse tecnologico
caratterizzanti questi giunti.
La sensoristica FBG applicata su un supporto rimuovibile nasce dall’idea di avere un
sistema di monitoraggio particolarmente indicato per componentistica in pressione a
sezione costante (tubi, condutture o serbatoi cilindrici). Il vantaggio di avere questa
tipologia di sensori rispetto ai tradizionali è legato da un lato dalla possibilità di poter
recuperare il sensore al termine del monitoraggio, dall’altro a ridurre ulteriormente la
perturbazione del componente monitorato. Gli svantaggi sono, invece, legati alla non
solidarietà del sensore con la struttura a cui è fissato. Lo scopo che il presente lavoro si
prefigge, è quello di dimostrare come il sensore riesca ad eseguire correttamente le
misure anche se posto su un supporto rimuovibile. I test eseguiti hanno, infatti, messo a
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confronto diretto due diversi metodologie di misura, basata su comparazione laser, ha
dimostrato come non ci siano sensibili variazioni nelle due rilevazioni. L’analisi riportata
dimostra quindi la funzionalità del sensore rimovibile sia per sollecitazioni di tipo statico
che per carichi dinamici.
La realizzazione del frame di supporto per l’esperimento CMS nasce dall’esigenza di
dover potenziare i suoi detector, le RPC (Resistive Plate Chambers), in vista di un
possibile upgrade dell’acceleratore. Il presente layout permette di alloggiare una doppia
GAP, il nuovo design, invece, avrà spazio per due GAP aggiuntive raddoppiando, di fatto,
l’efficienza del rivelatore. L’aumento della brillantezza dell’LHC, la “macchina” potenziata si
chiamerà “sLHC”, permetterà di avere un numero maggiore di protoni al secondo in circolo
nel “ring” dell’acceleratore con conseguentemente un aumento del numero di collisioni tra
gli stessi (i cosiddetti “eventi”). Un sistema di rivelazione che rimanga negli stessi ingombri
del precedente, ma con un potere di rilevazione circa doppio, rappresenterebbe un passo
avanti per lo studio degli eventi intercorrenti tra le particelle cariche e quindi la
comprensione di quello che è successo durante il Big Bang.
Negli esperimenti che militano nel campo della fisica delle alte energie, è importante avere
della componentistica con basso peso specifico nella zona d’interazione delle particelle
per limitare le interferenze con le stesse. Si cerca, inoltre, una buona rigidezza della
struttura poiché destinata a supportare rivelatori di tracking di particelle ad alta precisione
da tenere in posizione fissa onde evitare di limitare la loro sensibilità con l’introduzione di
indeterminazioni sulla loro collocazione. I due aspetti considerati sono, per l’attuale stato
dell’arte, difficilmente conciliabili: è noto che un’elevata rigidezza è tipica di strutture
massive caratterizzate da una ridotta trasparenza alle radiazioni. Ai due elementi sopra
citati si aggiunge la necessità di realizzare strutture che non interagiscano con le particelle
e che non generano campi magnetici, ovvero strutture amagnetiche. Questi tre aspetti tra
loro contrastanti, sono alla base del dimensionamento strutturale del frame per
l’esperimento CMS (Compact Muon Solenoid).
Il modus operandi delle problematiche prese in esame è stato il valutare in via preliminare
il comportamento del sistema esaminato al calcolatore, mediante l’impiego di programmi di
calcolo strutturale basati sulla metodologia FEA (Finite Element Analysis), quindi il
passare ad una fase di test che ha permesso la validazione dei modelli virtuali. La prima
fase dell’attività, ha permesso di avere simulazioni al calcolatore da cui trarre stime
previsionali sui test successivi, si è potuto avere, di fatto, una riduzione nel numero dei test
eseguiti e nel numero di campioni realizzati mantenendo la stessa confidenza del risultato
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finale. La fase sperimentale, eseguita nel corso del terzo anno, ha fornito i riscontri
sperimentali necessari per validare le previsioni dei codici di calcolo impiegati.
L’attività di dottorato è stata svolta in collaborazione con il dipartimento di Ingegneria
Chimica dei Materiali e Ambiente dell’ Università “Sapienza” di Roma, i test tecnologici
sono stati eseguiti presso i laboratori del suddetto dipartimento e presso i laboratori ENEA
di Frascati. Hanno collaborato al presente lavoro il Dott. Michele Arturo Caponero
dell’ENEA di Frascati, il Dott. Ing. Andrea Brotzu, tecnologo dell’Università “Sapienza” e,
soprattutto, il chiarissimo Prof. Ferdinando Felli, docente guida della presente attività.
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1 LE FIBRE OTTICHE E LA SENSORISTICA FBG
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L’andare nella direzione dell’ottimizzazione di soluzioni meccaniche specie nell’ambito di
nuove tecnologie e materiali, passa attraverso il monitoraggio delle stesse, l’ottimizzazione
può, infatti, essere ulteriormente spinta se si riesce ad avere un controllo maggiore (on
time, in situ) delle unità costituenti specie nelle zone in cui la struttura ha maggior
sollecitazione. Per avere un ulteriore aumento di efficienza ed affidabilità si rende quindi
necessario un controllo costante del componente, da questo principio è scaturita la
realizzazione di “smart structures”: sistemi in grado di dare in tempo reale informazioni
sulle modalità con cui stanno operando.
Ad oggi suscita grande interesse lo sviluppo di apparati capaci di rilevare sollecitazioni e
deformazioni con elevata precisione, che siano facilmente montabili (e smontabili) sui
sistemi da monitorare, o, in alternativa, possano essere inglobati all’interno degli stessi. Un
aspetto di ulteriore importanza è che tali dispositivi di rilevazione devono poter lavorare in
ambienti ostili caratterizzati da campi elettromagnetici, alte temperature o agenti chimici
corrosivi.
Le tecniche tradizionalmente utilizzate impiegano sensoristica elettrica (che basano il loro
funzionamento sul principio del ponte di Wheatstone), il forte limite di tali sensori è dato
dalla perdita di attendibilità negli ambienti con forti campi elettromagnetici e dal
deterioramento delle resistenze elettriche nel tempo. L’alternativa proposta in questa sede
è la sensoristica ottica, non sensibile all’elettromagnetismo o fenomeni di tipo cosmico
(essendo il sistema alimentato da fasci di luce coerente), stabile nel tempo e non
attaccabile da agenti corrosivi o deterioranti. Inoltre i classici sensori elettrici presentano
l’inconveniente di essere incollati sulla superficie del materiale, e, pertanto, danno
informazioni solamente se la deformazione è presente anche in superficie, non danno
invece conto di eventuali micro-deformazioni o stress che possano coinvolgere l’interno
della struttura.
Secondo l’attuale stato dell’arte, i sensori in fibra ottica stanno avendo un sempre maggior
consenso specie in settori in cui le tecniche estensimetriche non sono riuscite ad essere
applicate efficacemente, laddove sono presenti disturbi elettromagnetici, agenti chimici o
deterioranti, su monitoraggi di lunga durata o dove lo stress si concentra maggiormente
nella parte interna della struttura. In ambiti specifici, come ad esempio nel campo
aeronautico, invece, le attuali normative rendono non applicabile la fibra ottica.
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In virtù di questa larga diffusione della sensoristica ottica, apparati per la registrazione dei
dati e stoccaggio, giunti per il trasferimento del segnale dai sensori ai dispositivi di
registrazione, stanno assumendo sempre maggior importanza.
Il presente lavoro analizza una particolare tipologia di connettorizzazione di nuova
invenzione particolarmente indicata per sensoristica “embedded” (ovvero inglobata nella
struttura). I sensori embedded devono avere un impatto minimo su tutte le performance
meccaniche del pezzo monitorato e contemporaneamente devono riflettere accuratamente
la reale distribuzione della deformazione in una struttura sotto carico, la facilità di
realizzazione anche su scala industriale è un ulteriore vantaggio di questo tipo di
connettore. I disturbi causati localmente nella struttura composita da parte di tali sensori (e
dai relativi connettori che li interfacciano con l’esterno), sono causa loro stessi di
perturbazioni nel campo delle deformazioni interne al materiale. Questi effetti devono
essere previsti analiticamente così come i segnali dai sensori devono essere interpretati in
maniera significativa. Inoltre devono essere accuratamente separati gli effetti sulla risposta
del sensore dovuti alla deformazione e quelli dovuti alla temperatura.
1.1 GENERALITÀ E PRINCIPIO DI FUNZIONAMENTO
Dalla necessità di avere strumenti che permettano la sorveglianza automatica e
permanente delle strutture e che forniscano risultati di grande precisione e ottima
risoluzione spaziale, poco invasivi in termini di ingombro per il sistema monitorato nasce
l’idea di smart structures automonitorate. Il concetto quindi di sistema intelligente trova
particolare applicazione nello studio dei materiali compositi e in quei ambiti in cui è
possibile introdurre direttamente nella struttura il sensore. Provvedendo questi componenti
di una rete interna di sensori in fibra ottica per sorvegliare i parametri critici per la
sicurezza, quali, appunto, deformazioni, temperatura, pressione è possibile realizzare un
costante controllo limitando l’alterazione e quindi l’efficienza dello stesso. L’utilizzo delle
fibre ottiche come “sensing elements” è alla base della nuova tecnologia di sensori,
utilizzati per il monitoraggio delle deformazioni strutturali, dovute a strain termico o
meccanico o combinato. Naturalmente questa nuova generazione deve affrontare la
competizione con i classici sistemi di sensing, che in genere sono contraddistinti da bassi
costi e adeguate caratteristiche performanti.
Un sensore in fibra ottica è un dispositivo nel quale la grandezza da monitorare induce
una modulazione delle caratteristiche ottiche del fascio luminoso che si propaga al suo
interno: fase, stato di polarizzazione, lunghezza d’onda o intensità. Il sistema “sensore”
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quindi è costituito dall’elemento sensibile collegato a un’unità elettro-ottica in cui ci sono
diversi componenti: la sorgente ottica, i rivelatori, l’alimentazione e i sistemi di controllo.
Affinché il sistema possa essere messo in uso, si ricorre ad una sorgente ottica, che
fornisce il fascio luminoso che si propaga in fibra. La sorgente può essere di diversi tipi:
lampade, Led, laser o diodi laser [1]. Lampade e laser, tuttavia hanno bisogno di elementi
ottici per focalizzarne il fascio e di supporti per l’allineamento della fibra ottica in direzione
del suddetto fascio. Led [1] e diodi laser invece offrono un sistema di illuminazione più
compatto, disponibili in diverse lunghezze d’onda, e possono essere facilmente alloggiati e
accoppiati alla fibra mediante connettori di tipo commerciale. I diodi laser offrono inoltre
un’elevata potenza di emissione e costi e volumi minori rispetto ai laser.
I rilevatori sono generalmente fotodiodi (PIN) [1], spesso dotati di filtri per ottenere
un’opportuna risposta spettrale.
L’unità elettro-ottica inoltre è responsabile della modulazione della sorgente e
dell’amplificazione del segnale rivelato, da analizzare. Può essere presente un’interfaccia
analogico digitale per collegamenti a personal computer, per meglio gestire l’intero
sistema, soprattutto nel caso di misurazioni prolungate nel tempo.
Il collegamento a fibra ottica guida il segnale dalla sorgente all’elemento sensibile,
riportando il segnale modulato dalla variazione della grandezza di interesse, al rivelatore.
Questo collegamento può essere a singola fibra o a fascio di fibre ottiche: il collegamento
a singola fibra naturalmente offre la compattezza necessaria alla riduzione delle
dimensioni del sistema sensibile. Deve essere presente un dispositivo che separi il canale
di illuminazione da quello di rivelazione: questo separatore è caratterizzato da perdite e
diafonia che possono mascherare il segnale. Spesso quindi si utilizzano fasci di fibre
biforcati, in cui sorgente e rivelatore sono connessi a due rami del fascio, mentre la
terminazione comune è collegata all’elemento sensibile.
1.1.1 TIPI DI SENSORI: INTRINSECI ED ESTRINSECI
La configurazione che caratterizza un sensore come intrinseco, è quella in cui l’elemento
sensibile è la fibra stessa o parte di essa, con la possibilità di un mantello modificato per
amplificarne la sensibilità, come estrinseco invece, è quella in cui la fibra è solo la guida di
luce passiva tra l’unità di alimentazione e controllo e un trasduttore, che funge da
elemento sensibile alle variazioni della grandezza di interesse. I sensori in fibra ottica
offrono la possibilità di effettuare delle misurazioni localizzate, in un determinato punto.
Tradizionalmente queste misure vengono realizzate con l’utilizzo di sensori classici come
le sonde per misure di pressione, termistori, accelerometri, che hanno in generale le
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stesse capacità dei sensori in fibra ottica, che però offrono anche altre possibilità
d’impiego. I sensori in fibra, infatti, possono estendersi su tutta la lunghezza della fibra,
con un unico elemento sensibile, oppure ottenere una misura nello spazio in diversi punti,
per cui avremo un sistema a sensori semi-distribuiti in cui la fibra ha un elemento sensibile
solo in determinati punti (Figura 1–1) [2].
Figura 1–1 - Elementi sensibili distribuiti lungo la fibra
1.2 I SENSORI FBG
I classici metodi di diagnostica delle strutture in esercizio sono spesso accompagnati da
costi e tempi di utilizzo non indifferenti. Così si è arrivati allo studio di una categoria di
sensori in fibra a modulazione di lunghezza d’onda, quali i sensori in fibra ottica con reticoli
di Bragg (Fiber Bragg Grating, FBG) che hanno il vantaggio di lavorare su lunghezze
d’onda e non su intensità, come nel caso della sensoristica ottica classica e di poter
essere utilizzati in fase di esercizio, come monitoraggio dinamico (ad esempio gli RX
valutano lo stato complessivo di una struttura in un determinato momento, gli FBG
possono valutarne lo stato in ogni istante di esercizio). Sono inoltre dotati di un’intrinseca
stabilità ottica che conferisce loro un’alta affidabilità. Questi sensori possono essere
utilizzati anche in presenza di grandi deformazioni strutturali che riguardano modifiche
geometriche, come, ad esempio, su ponti in cemento armato che possono incurvarsi o su
edifici soggetti a carichi sismici, dighe etc. Gli FBG, infatti, hanno il grande vantaggio di
poter essere annegati nelle strutture da monitorare, al momento della fabbricazione. Sono
essenzialmente delle fibre foto-incise localmente, che sfruttano la fotosensibilità delle fibre
ottiche, conseguente anche ai cosiddetti difetti delle fibre: vengono ottenuti mediante
processi che impiegano tecniche foto rifrattive [2].
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1.1.2 FOTORIFRATTIVITÀ E FOTOSENSIBILITÀ DELLE FIBRE
La fotorifrattività è una caratteristica propria dei materiali cristallini, che subiscono una
modifica del proprio indice di rifrazione, qualora sottoposti ad irraggiamento con un
particolare tipo di fascio luminoso.
La fotosensibilità consente una modifica di tipo permanente dell’indice di rifrazione o
dell’opacità, determinata mediante l’esposizione della fibra a luce ultravioletta.
Vediamo in dettaglio la relazione tra indice di rifrazione e rifrattività dei materiali.
Applicando un campo elettrico ad un materiale si notano effetti di variazione fisica per
effetto della polarizzazione, legati alla rifrattività. Il campo di polarizzazione P così indotto
nel materiale è:
E D P
0
ε − = (Equazione 1-1)
dove troviamo lo spostamento elettrico D, il campo elettrico applicato E, la costante
dielettrica del vuoto
0
ε . Per un materiale con polarizzazione non lineare, questa può
essere espressa in funzione della potenza del campo elettrico applicato:
()( ) ( )
NL L
P P E E E P + = + + = ) (
3 3 2 2 1
0
χ χ χ ε (Equazione 1-2)
e quindi nel caso di linearità
()
E P
1
0
χ ε = ⇒ E D
r
ε ε
0
= (Equazione 1-3)
Definiamo
( ) 1
1 χ ε + =
r
Come costante dielettrica non lineare, mentre
( ) 2
χ è il primo termine della capacità non
lineare e
() 3
χ rappresenta la non linearità di terzo ordine, diversa da zero in tutti i materiali
(suscettività di secondo e terzo ordine).
Quindi possiamo ricavare la variazione della costante dielettrica per effetto del campo
applicato, considerando il contributo della non linearità alla polarizzazione:
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ε ε ε
ε
= Δ + =
r
E
D
0
(Equazione 1-4)
E considerando poi il legame con l’indice di rifrazione n:
() n n n n n n Δ + ≈ Δ + = =
0
2
0
2
0
2
2 ε (con
0
n parte lineare dell’indice di rifrazione)
(Equazione 1-5)
ricaviamo direttamente il valore della variazione indotta nell’indice:
() ()
ε χ χ Δ = + + = Δ
0
2 3 2
0
2
1
...) (
2
1
n
E E
n
n (Equazione 1-6)
Possiamo quindi parlare di effetto elettrottico, che consiste nella variazione dell’indice di
rifrazione di un mezzo, quando viene applicato un campo elettrico esterno, responsabile di
variazioni dell’ordine di
5
10
−
. Si può avere un effetto elettrottico lineare, se l’indice varia
linearmente con il campo applicato (effetto Pockels), oppure quadratico, se l’indice varia
con il quadrato del campo applicato (effetto Kerr). In quest’ultimo caso, il campo elettrico è
generato dalla radiazione che attraversa il materiale e avremo:
( ) ( )
) (
3 3 1
0
E E P χ χ ε + =
( )
I n n E n
r
+ =
⎭
⎬
⎫
⎩
⎨
⎧
+ =
0
2
0
3
2
1
1
ε
χ
ε
()
⎪
⎪
⎩
⎪
⎪
⎨
⎧
=
=
0
2
0
3
0
0
2
2 n
n
E I
r
ε
χ
μ
ε ε
(Equazione 1-7)
con I intensità della luce.
In generale possiamo affermare che all’interno dei materiali si crea una carica, un campo,
prodotto dagli elettroni liberi, di conduzione, eccitati dal campo elettrico applicato: questi
portatori, spostandosi all’interno del materiale si ricombinano e danno luogo ad una
distribuzione non uniforme di carica che genera un campo elettrico locale, responsabile
quindi di una modifica locale dell’indice di rifrazione.
La fotosensibilità consente la modifica, che può essere indotta nell’indice di rifrazione del
core della fibra, mediante esposizione a luce UV. Per aumentare questa capacità del
materiale si fa ricorso all’uso di idrogeno e ci sono diversi metodi di diffusione: