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Introduzione
Lo Stato e la Chiesa operano in ambiti distinti ed estranei tra loro, tuttavia gli
ordinamenti di cui sono portatori possono, in concreto, entrare in contatto, in
quanto diretti ad avere efficacia sulle stesse persone (cittadini - fedeli) e sullo
stesso territorio (quello nazionale). La comunanza dell‟elemento personale
(subditi legum – subditi canonum) e dell‟elemento spaziale (territorio italiano)
determina la nascita di settori e materie di interesse comune, statale e
confessionale, ossia delle così dette materie miste ( es. matrimonio, istruzione,
enti, ecc), la disciplina delle quali, interessando due ordinamenti giuridici
ugualmente primari e sovrani, non può che essere formulata su un piano
bilaterale di reciproco consenso.
La presente tesi si pone l‟obiettivo di analizzare, sia dal punto di vista strutturale
che dal punto di vista contenutistico, l‟evoluzione del regime concordatario,
dagli Accordi del 1929, con i quali, per la prima volta nella storia dell‟Italia
unita, vennero regolati in maniera bilaterale i rapporti Stato - Chiesa,
all‟Accordo di Villa Madama che ha apportato notevoli cambiamenti nel
sistema pattizio.
Il primo capitolo è dedicato all‟analisi dei Patti Lateranensi, costituiti da un
Trattato, ancora in vigore, e da un Concordato. Con il primo si risolse in maniera
definitiva la Questione Romana, sorta nel 1870; con il secondo si cercò di
regolare la condizione della religione e della Chiesa cattolica in Italia. Nella
trattazione del Concordato, particolare attenzione è rivolta a tutti quegli aspetti
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di maggiore novità rispetto alla precedente legislazione ecclesiastica, come, ad
esempio, l‟abolizione di tutti gli istituti tipici del sistema giurisdizionalista, il
riconoscimento giuridico degli enti ecclesiastici, l‟istituzione del così detto
“matrimonio concordatario”.
Il secondo capitolo affronta la questione del rapporto tra i Patti del „29 e la
Costituzione Repubblicana. Per comprendere appieno tale rapporto vengono, in
primis, esaminate le più importanti teorie, formulate in dottrina, sul valore
giuridico del richiamo fatto dall‟art. 7 della Costituzione agli Accordi
Lateranensi. Tale norma costituzionale, infatti, assicura a detti Accordi una
peculiare protezione rispetto alle comuni Convenzioni internazionali. Viene,
poi, analizzata la sentenza n. 18/1982 della Corte Costituzionale, che ha
dichiarato l‟illegittimità costituzionale di talune disposizioni concordatarie. Il
giudice costituzionale, nel periodo di vigenza del Concordato Lateranense, è
stato, più volte, chiamato a risolvere la complessa problematica delle antinomie
tra la Costituzione e le norme di derivazione concordataria. Queste, infatti, in
determinati casi, si ponevano in netto contrasto con i nuovi principi posti a
fondamento dell‟ordinamento giuridico.
L‟ultimo capitolo, dopo aver preso in considerazione le molteplici cause di
ordine storico e giuridico che hanno indotto le Parti a rivedere il Concordato
Lateranense, dedica attenzione alla delicata e controversa questione circa la
persistenza o meno della protezione costituzionale a favore del nuovo Accordo.
Infine, nella trattazione del vigente regime concordatario, vengono evidenziati
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tutti quegli aspetti, di carattere contenutistico (beni ed enti ecclesiastici,
matrimonio concordatario) e di carattere strutturale, che maggiormente si
differenziano dalla normativa bilaterale del 1929.
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1.
IL REGIME PATTIZIO DEL 1929
1. La conciliazione tra lo Stato italiano e la Santa Sede.
La così detta “Questione Romana” sorta nel 1870, quando le truppe sabaude
occuparono Roma e posero fine al potere temporale del Sommo Pontefice, trovò
una soluzione, soltanto, dopo circa sessanta anni, negli Accordi del Laterano.
La caduta dello Stato Pontificio aveva creato, per lo Stato italiano, il problema
di adottare dei rimedi al fine di garantire per l‟avvenire l‟indipendenza politica
del Pontefice e il libero esercizio dell‟autorità spirituale della Santa Sede. La
preoccupazione italiana, di fronte alla gravità di tale situazione, è dimostrata dal
discorso che il Re d‟Italia tenne davanti al Parlamento riunito per la prima volta
a Roma. Nel discorso Vittorio Emanuele II così si espresse: “Noi entrammo in
Roma in nome del diritto nazionale, in nome del patto che vincola tutti gli
italiani ad una unità di Nazione; vi rimarremo mantenendo le promesse che
abbiamo fatto solennemente a noi stessi: libertà della Chiesa, piena
indipendenza della Sede Pontificia nell‟esercizio del suo ministero religioso,
nelle sue relazioni con la cattolicità”
1
.
Il 13 maggio 1871 il legislatore italiano emanò la legge n. 214, passata alla
storia col nome di Legge delle guarentigie. Si trattava, come dichiarò il
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F. DELLA ROCCA, Appunti di storia concordataria, Giuffrè, Milano, 1977, p. 91.
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Consiglio di Stato, di una “legge di diritto pubblico interno di somma
importanza politica”
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. Quest‟atto unilaterale nasceva dal presupposto che doveva
ritenersi estinto, per debellatio, l‟antico Stato Pontificio e che il Regno italiano
aveva acquisito ipso iure, gli elementi sostanziali dell‟ex Stato (territorio e
popolazione), sostituendosi completamente alla sovranità fino ad allora
competente al Sommo Pontefice. Il contenuto della legge si riferiva a due
situazioni ben distinte; di cui la prima, “ Prerogative del Sommo Pontefice e
della Santa Sede”, conteneva un complesso di norme, che costituivano un vero e
proprio jus singulare, per la tutela dell‟ indipendenza del Papa e degli uffici
centrali della Chiesa; la seconda “Relazione dello Stato colla Chiesa”, dava
attuazione al principio fondamentale della separazione tra Stato e Chiesa, al
quale il Governo italiano aveva deciso di informare il suo operato in materia
ecclesiastica
3
.
La Chiesa, da parte sua, non accettò mai un simile atto unilaterale, considerato
un vero e proprio sopruso. Pio IX si dichiarò prigioniero in Vaticano e
nell‟Enciclica Ubi nos Arcano Dei protestò, vigorosamente, per quanto era
accaduto, definendo le garanzie che gli erano state accordate, dei “futili privilegi
e immunità che volgarmente sono detti, guarentigie, fabbricati con
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Con una nota del 19 febbraio 1978 numero 1114 il ministro degli interni, on Francesco Crispi interrogò il
Consiglio di Stato sulla fondamentalità o meno della Legge delle guarentigie. Il Consiglio di Stato rispose col
parere del 27 febbraio, adottato nell‟adunanza generale del 2 marzo 1878. A. PIOLA, La Questione Romana nella
storia e nel diritto, Cedam, Padova, 1931, p. 126.
3
G. B. VARNIER, Gli ultimi governi liberali e la questione romana, Giuffrè, Milano, 1976, p. 121.
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l‟intendimento che tenessero per lui il luogo di quel civile principato, del quale
per lunga serie di macchinazioni e con armi parricide fu spogliato”
4
.
Da qui la “Questione Romana”, alla quale, più volte, si cercò di porre fine nei
decenni che seguirono l‟unificazione e che tenne gravemente divise le coscienze
degli italiani.
I vari governi, che si erano succeduti, non erano mai stati in grado di risolvere
in maniera organica e sistematica la “Questione” e, in generale, i rapporti Stato-
Chiesa nei territori del Regno. Va rilevato che le correnti di pensiero che
dominavano la scena politica, sul finire del XIX e gli inizi del XX secolo,
avevano contribuito ad alimentare il clima di tensione – se non di vera e propria
ostilità – tra Stato italiano e Chiesa. Queste correnti consideravano, infatti, la
religione come un problema relativo alla coscienza individuale e, quindi, la
Chiesa e la sua “organizzazione” venivano considerate come un affare privato
da regolarsi secondo il diritto comune. Tale concezione non soddisfaceva – ne
aveva, in effetti, le possibilità di soddisfare – le esigenze dei cattolici, poiché
finiva per considerare la più grande “organizzazione spirituale” avente sede in
Italia e la fede della quasi totalità degli italiani alla stregua delle altre credenze
professate da gruppi di minoranza. D‟altra parte non riusciva a soddisfare
nemmeno le correnti dell‟anticlericalismo più estremo, che invocavano una
legislazione ecclesiastica che limitasse notevolmente l‟influenza della Chiesa
cattolica in Italia. Nello scontro tra le due realtà era, quindi, inevitabile che il
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F. DELLA ROCCA, Ibidem, p. 92.
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rigido principio della “separazione” subisse tutta una serie di temperamenti e di
eccezioni che, comunque, non impedirono la sopravvivenza di alcuni elementi
tipici del sistema giurisdizionalista.
La legislazione ecclesiastica postunitaria, che aveva al centro la Legge delle
guarentigie, si presentava, allora, caratterizzata da elementi diversi e opposti tra
loro: anticlericalismo, liberalismo, esigenze pratiche della fede religiosa degli
italiani e sopravvivenza di alcuni istituti del vecchio sistema giurisdizionalista.
Come sottolineò il Guardasigilli Rocco nel 1929 “poteva definirsi un sistema di
giurisdizionalismo e di separatismo insieme e di confessionalismo cattolico e di
anticlericalismo”
5
.
Era, dunque, necessario, superare questo clima di incertezza e di tensione che si
fondava, da un lato, sull‟intransigenza del Pontefice e delle alte gerarchie
ecclesiastiche, e dall‟altra, sull‟incapacità del legislatore italiano di creare un
sistema di diritto ecclesiastico, che non fosse il risultato provvisorio di un
compromesso ideologico tra tradizione antitetiche, ma che fosse in grado di dare
una soluzione stabile e definitiva ad un problema che, inevitabilmente, andava a
toccare il sentimento religioso del popolo italiano. Come sottolinea giustamente
Della Rocca la vita civile italiana è ed è stata sempre imperniata sulla fede
cattolica. “Le feste riconosciute dal calendario civile sono sempre state quelle
del culto cattolico e nessuna delle altre religioni; l‟insegnamento religioso
impartito nelle pubbliche scuole è stato sempre quello cattolico; l‟assistenza
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F. DELLA ROCCA, Ibidem, p. 82.
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religiosa data alle forze armate dello Stato è stato unicamente la cattolica; al
culto cattolico si è sempre ricorso quando lo Stato aveva bisogno di compiere
funzioni religiose; E tutto ciò anche nei tempi del più trionfante agnosticismo
liberale”
6
.
Dopo la prima guerra mondiale, le contingenze storiche e politiche favorirono il
riavvicinamento delle due Parti e crearono le basi per una conciliazione storica.
Da parte Pontificia, nel 1922 era salito sulla cattedra apostolica il cardinale
Achille Ratti, con il nome di Pio XI. Il primo atto significativo del nuovo Papa
fu la benedizione impartita dalla loggia esterna di San Pietro, rinunziando così
ad una forma di protesta usata dai suoi predecessori. Nella sua prima Enciclica
Ubi Arcano Dei consilio dichiarava: “L‟Italia nulla ha o avrà da temere dalla
Santa Sede: il Papa, chiunque esso sia, rispetterà sempre: Ego cogito
cogitationes pacis et non affictionis, ho pensieri di pace vera e per ciò stesso
non disgiunta da giustizia, sicchè possa dirsi: Justitia et pax osculatae sunt”
7
.
Per quanto riguarda il Governo italiano, è da rilevare che il regime fascista, pur
fondandosi su un‟ideologia che si contrapponeva, nettamente, ai principi della
Chiesa, aveva compreso l‟importanza che il cattolicesimo rappresentava per il
popolo italiano. Per consolidare il proprio consenso popolare, adottò, allora, una
serie di misure in materia ecclesiastiche che, in coerenza con quanto disponeva
l‟art 1 dello Statuto Albertino, ridonava alla religione cattolica un ruolo di
preminenza. Vennero riconosciute gli effetti civili alla maggior parte delle
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F. DELLA ROCCA, Ibidem, cit., p. 87.
7
A. PIOLA, Ibidem, p. 195.