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Premessa
Oggetto della presente tesi è la valutazione sull’opportunità d’introdurre il
Piano Esecutivo di Gestione (P.E.G.) nei comuni di minori dimensioni (vale
a dire quelli aventi meno di 15.000 abitanti), nei quali tale strumento è
previsto come facoltativo dalla normativa vigente, a differenza invece dei
comuni maggiori nei quali è obbligatorio.
Per poter sviluppare questa breve analisi è opportuno partire, nel capitolo 1,
ripercorrendo il percorso di riforma delle autonomie locali (iniziato dalla
Legge 142/1990 e giunta a compimento col D.Lgs. n. 267/2000) sia sotto il
profilo finanziario – contabile che su quello attinente alla distinzione
funzionale tra indirizzo – controllo e gestione.
Seguirà nel capitolo 2 un approfondimento generale sul P.E.G, che partirà
dalla sua struttura per poter argomentare piø nel dettaglio come tale
strumento si lega alla programmazione di bilancio, alla responsabilità
dirigenziale (tra l’altro recentemente profondamente novellata) ed ai
controlli di gestione e strategico.
Il terzo capitolo affronterà infine, in due paragrafi distinti, alcune
opportunità e possibili limiti riscontrabili nell’introduzione del P.E.G. nei
comuni di minori dimensioni, concludendo il lavoro con una riflessione
finale.
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Capitolo 1 - Dalla Legge 142/1990 al Decreto Legislativo 267/2000
1.1 Riforma delle autonomie locali: profili finanziario – contabili
Nell’attuale frangente storico – politico nel quale sempre piø spesso si sente
parlare di necessità di riforme, il pensiero – iniziando questa tesi di
specializzazione – va alla grande stagione delle riforme strutturali degli
anni ’90 del secolo scorso operate in Italia come, e forse piø, anche in altri
Paesi europei.
Ai fini del presente lavoro, tra queste riforme merita menzione soprattutto
l’intervento legislativo di riordino generale del sistema delle autonomie
locali, realizzato attraverso la Legge n. 142/1990.
Il precedente sistema presentava, infatti, diversi problemi soprattutto perchØ
concentrava in capo al consiglio comunale eccessive funzioni che, con una
classe politica priva spesso delle necessarie competenze amministrative,
rendevano sovente palesi limiti nella capacità gestionale che venivano in
molti casi surrogati dall’intervento sostitutivo della giunta comunale; ciò
determinava, però, un pericoloso vulnus nell’equilibrio tra i poteri, in quanto
rappresentava spesso di fatto un esautoramento delle funzioni consiliari.
Alle citate difficoltà del consiglio di esercitare le funzioni previste si
aggiungeva inoltre una certa marginalità dell’apparato burocratico, il quale
risultava compresso dal fatto che sia l’attività di indirizzo che di adozione
dell’atto erano di competenza dell’organo politico (assessore o sindaco) e
svolgeva spesso una funzione meramente istruttoria all’adozione dei
provvedimenti
1
.
Questo aspetto, tutt’altro che marginale nel complesso fenomeno di
“tangentopoli”, fu oggetto di una profonda revisione che, come vedremo,
nella distinzione di funzioni successivamente delineata diede un ruolo
meglio definito alla burocrazia locale.
In un senso piø ampio, la Legge 8 giugno 1990, n. 142 rappresentò una
risposta alle istanze di riconduzione a sistema dell’ordinamento degli enti
1
Laura Amaranto, Il processo di distinzione tra competenze di indirizzo e gestione amministrativa, in Comuni d’Italia,
n.6, Maggioli, 2003, pagine 53 e seguenti.
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locali (che si presentava come frammentario e disomogeneo in quanto frutto
di singoli interventi legislativi) specialmente laddove, all’art. 1 venne
previsto che nessun intervento legislativo successivo poteva derogare ai
principi contenuti nella legge stessa se non attraverso modifiche espresse.
La L. n. 142/1990 definì una nuova distribuzione delle competenze tra
giunta e consiglio, stabilendo per il secondo solo le competenze previste
dalla legge mentre la giunta fu investita di una competenza residuale sulle
materie non riservate al consiglio ed – inoltre – formalizzò il principio di
distinzione tra il potere d’indirizzo consiliare e le funzioni di attuazione
dell’indirizzo stesso di competenza della giunta.
Un lungo processo riformatore – che passò attraverso la Legge n. 59/1997
con cui il Governo fu delegato ad approvare decreti legislativi che
conferissero funzioni alle regioni e agli enti locali, destinatari di maggiore
autonomia e decentramento delle funzioni amministrative – portò infine il
legislatore statale ad intervenire attraverso lo strumento organico del Testo
Unico per coordinare le disposizioni legislative in materia di ordinamento
dei comuni e delle province e delle loro forme associative: si arrivò quindi al
Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267, il Testo Unico sull’ordinamento
degli Enti Locali (noto con l’acronimo di T.U.E.L.).
Il processo di complessiva riforma istituzionale ebbe quindi
nell’ammodernamento del sistema della Pubblica Amministrazione e nella
sua maggiore apertura ed avvicinamento alla cittadinanza alcuni dei suoi
capisaldi.
Tra le tappe di questo vasto percorso s’inserisce a pieno titolo il D. Lgs. n.
77/1995 Ordinamento finanziario e contabile degli Enti Locali, il quale
rinnovò il sistema delle previsioni di bilancio.
La riforma della finanza locale (ottenuta attraverso i principi del nuovo
sistema di bilancio, della programmazione finanziaria e della revisione
economico-finanziaria) introdotta dal D. Lgs. n.77/1995 e dalle successive
5
modificazioni ed integrazioni
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, confluì poi quasi interamente nella parte II
del Testo Unico sugli Enti Locali (T.U.E.L.), il quale effettuò la raccolta e la
sistemazione organica delle disposizioni vigenti in materia di ordinamento
finanziario e contabilità
3
.
Tra le disposizioni generali introdotte dal T.U.E.L. vanno citati i “principi in
materia di ordinamento finanziario e contabile, rivolti a delineare l’ambito
di competenza normativa dello Stato e l’ambito riservato all’autonomia
regolamentare degli enti locali”
4
.
In conclusione, la riforma dell’ordinamento finanziario e contabile si può
pertanto vedere come collegamento e sviluppo della riforma delle autonomie
locali che trovò poi il punto di congiunzione proprio nel T.U.E.L..
1.2 Strumenti del sistema di bilancio e distinzione tra funzioni
d’indirizzo e controllo e funzioni gestionali
Nel complessivo panorama di rinnovamento della Pubblica
Amministrazione attraverso i concetti di efficienza, efficacia, economicità,
trasparenza e responsabilizzazione dell’azione amministrativa, la L.n.
142/1990 sancì, inoltre, per la prima volta il principio di distinzione tra
funzione di indirizzo politico e funzione di gestione; successivamente il D.
Lgs. n. 29/1993 (che estese il principio a tutte le amministrazioni,
affermando che spettano agli organi politici le funzioni di indirizzo e
controllo sui risultati, mentre ai dirigenti era riservata la gestione tecnica,
finanziaria e amministrativa) e la L. n. 81/1993 sull’elezione diretta di
sindaco e presidente della Provincia proseguirono nell’enunciazione di tale
principio, che venne definitivamente affermato dalla L. n. 127/1997, per poi
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Si citano: D. Lgs. n. 336/1996, L. n. 30/1997, L. n. 127/1997, D. Lgs. n. 342/1997, L. n. 449/1997, L. n. 191/1998, D.
Lgs. n. 410/1998, L. n. 448/1998, L. n. 28/1999, L. n. 265/1999 e L. n. 488/1999.
3
Mario Collevecchio, Ordinamento finanziario e contabile, Maggioli, Rimini 2003.
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Mario Collevecchio, Ordinamento finanziario e contabile, Maggioli, Rimini 2003 : particolare rilievo assume l’art.
152, comma 4 del T.U.E.L. che effettua una distinzione tra norme della parte seconda (cioè sull’ordinamento
economico e finanziario) da considerarsi quali principi generali con valore di limite inderogabile e norme da non
applicarsi qualora il regolamento di contabilità dell’ente disciplini diversamente.
6
essere recepito integralmente dall’art. 4 del D. Lgs. n. 165/2001
Ordinamento del lavoro alle dipendenze delle P.A. oltre che essendo la base
del T.U.E.L. stesso.
Tale distinzione ha un’importanza davvero fondamentale in quanto la
separazione tra l’indirizzo politico e la gestione ed, in particolare, la
differenziazione tra funzioni di direzione politica e funzioni di direzione
amministrativa sugli atti incidono profondamente sugli strumenti del sistema
di bilancio degli enti locali.
Esso si compone di quattro documenti:
- la relazione previsionale e programmatica, che è un documento di
programmazione di medio periodo (copre un periodo pari a quello del
bilancio pluriennale);
- il bilancio pluriennale, che ha funzioni sia di programmazione che di
autorizzazione e si riferisce ad almeno un triennio;
- il bilancio di previsione annuale, che corrisponde al primo anno del
bilancio pluriennale e ha funzione autorizzatoria di limite alla spesa;
- il piano esecutivo di gestione (d’ora in poi anche P.E.G.).
L’approvazione dei primi tre documenti è di competenza del consiglio
comunale, mentre il P.E.G. è approvato dalla giunta comunale; tali strumenti
sono tra loro funzionalmente collegati secondo modalità che verranno
affrontate nel prosieguo della trattazione.
Vedremo meglio nel prossimo capitolo cos’è il P.E.G., in questa sede è
necessario evidenziare l’importanza e centralità della programmazione di
bilancio
5
e le interrelazioni esistenti tra i quattro documenti.
Al riguardo merita citazione un documento dell’Osservatorio per la finanza
e la contabilità degli enti locali, altamente esemplificativo, che postula la
programmazione come precondizione del rispetto dei principi del bilancio in
quanto “ … non vi può essere attività, non vi può essere gestione, non vi
può essere controllo, se non vi è programmazione. L’approccio con il quale
5
Delineato per la prima volta per gli enti locali con il D.P.R. n. 421/1979 (successivamente abrogato dal citato D. Lgs.
n. 77/1995).
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vengono affrontati i procedimenti di formazione dei documenti contabili
dell’ente locale deve necessariamente partire dalla programmazione
attraverso la relazione previsionale e programmatica ed il bilancio
pluriennale; solo nel prosieguo può darsi conto alla previsione, attraverso
la predisposizione del bilancio di previsione annuale e quindi, poi,
dell’eventuale piano esecutivo di gestione”
6
.
Al fine di ottenere un processo ordinato di decisione, organizzazione,
gestione e controllo serve un ciclo virtuoso di programmazione di bilancio
basata s’una scansione temporale determinata dalla successione cronologica:
relazione previsionale e programmatica – bilancio pluriennale – bilancio
annuale.
La prima è il documento generale di piano dell’ente, esplicita gli indirizzi
politico – amministrativi indicati dal consiglio e ne individua gli obiettivi
fornendo altresì le linee guida per gli altri strumenti programmatori
7
.
Il bilancio pluriennale, oltre a prevedere il quadro dei mezzi finanziari
disponibili nel medio periodo per il finanziamento delle spese occorrenti alla
realizzazione degli obiettivi prefissi, opera due importanti verifiche: una
sulla credibilità e concretezza delle scelte indicate nella relazione
previsionale e programmatica, l’altra sulla coerenza dei macro-obiettivi
programmati e delle risorse necessarie per il loro finanziamento con quanto
disponibile.
Il bilancio annuale, che costituisce la prima annualità del bilancio
pluriennale, è un documento fondamentale di autorizzazione della gestione,
la quale deve poi indirizzarsi nel perseguimento dei macro-obiettivi indicati,
secondo le risorse ed i mezzi dati.
In questo solco s’introduce il Piano Esecutivo di Gestione (P.E.G.)
8
,
strumento con il quale la giunta – sulla base dei dati del bilancio di
previsione approvato dal consiglio – delinea in maniera piø approfondita un
6
Quaderno n. 1 dell’Osservatorio per la finanza e la contabilità degli enti locali Potere regolamentare degli enti locali,
ottobre 1999, citato in Mario Collevecchio, Ordinamento finanziario e contabile, Maggioli, Rimini 2003.
7
Mario Collevecchio, Ordinamento finanziario e contabile, Maggioli, Rimini 2003.
8
Bixio L. - Mastrogiuseppe P., “Il Piano Esecutivo di Gestione degli Enti Locali”, Il Sole 24Ore S.p.A.,
Milano, 1996 e Damilano C., Budget, p.e.g., controllo di gestione, in Finanza Locale, n. 3/1998.