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CAPITOLO 1
L’EFFICIENZA ENERGETICA: DEFINIZIONE, OBIETTIVI, MISURE
1.1. COS’È L’EFFICIENZA ENERGETICA
Il problema economico fondamentale è la scarsità, termine con il quale si intende
il fatto che le risorse a disposizione non sono mai sufficienti a soddisfare tutti i
bisogni di tutti gli agenti economici, siano essi individui, famiglie, imprese o
nazioni. La necessità di operare con risorse scarse comporta l’esigenza di
compiere delle scelte, configurando un trade-off tra diverse alternative.
Un concetto strettamente collegato alla scarsità è quello dell’efficienza. Il termine
“efficienza” descrive generalmente la capacità di un processo di generare un
determinato output impiegando la minor quantità possibile di risorse, o la capacità
di massimizzare l'output prodotto, dato un certo ammontare di risorse.
1
Nell’economia moderna gran parte del problema della scarsità può essere
racchiuso nella disponibilità di risorse energetiche, dato che “l’energia è un fattore
indispensabile per la produzione di qualsiasi bene o servizio” (Haas e altri, 2008).
Tuttavia se si considera che dal 1973 ad oggi il consumo di energia è raddoppiato
e la maggior parte di questo aumento ha riguardato risorse non rinnovabili (IEA,
1
In termini analitici “essere efficienti” comporta la risoluzione di un problema di massimizzazione
vincolata: massimo output, sotto il vincolo di risorse date, oppure minimo utilizzo di risorse sotto
il vincolo di un dato risultato.
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2010, pagg. 28-29) – quindi, limitate per definizione – è evidente che il problema
della scarsità di risorse energetiche assumerà un rilievo sempre maggiore e
dunque sarà sempre più necessario essere efficienti nell’utilizzo dell’energia.
Riprendendo il concetto espresso sopra, il termine “efficienza energetica” indica
la capacità di un sistema energetico di garantire lo svolgimento di un determinato
processo produttivo o l’erogazione di un servizio attraverso l’utilizzo della minor
quantità di energia possibile (Fondazione CRUI e Ministero dello Sviluppo
Economico, 2008).
1.1.1. L’energia ed i servizi energetici
Molti autori, tra cui Haas (2008) fanno riferimento ai servizi energetici perché,
nonostante l’energia sia l’input fondamentale per la produzione di tutti i beni e
servizi in un sistema economico, quello di cui gli individui hanno bisogno e di cui
usufruiscono non è l’energia in sé, bensì il servizio energetico prodotto dal
sistema energetico, il quale converte le fonti e i flussi energetici disponibili in
natura in servizi commerciabili.
Esistono due tipologie di servizi energetici, diretti ed indiretti. I primi sono quelli
forniti combinando diversi input (energia, tecnologia, capitale fisico e capitale
umano), ma nei quali la parte energetica resta ben “visibile” al consumatore
finale. Esempi sono i trasporti, l’illuminazione, il riscaldamento, la refrigerazione.
I servizi energetici indiretti sono invece quelli prodotti utilizzando energia in
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maniera “non visibile”, come ad esempio nella produzione di cibo, abbigliamento,
veicoli, mobili, carta e qualsiasi altra tipologia di bene, come anche nella
comunicazione o nello scambio di informazioni.
La capacità di fornire i suddetti servizi dipende principalmente da due input. Il
primo è rappresentato dalle fonti energetiche, poiché come già detto sopra, non
esiste alcun bene o servizio che possa essere prodotto senza l’utilizzo diretto od
indiretto di energia primaria. Tuttavia sulla possibilità di utilizzo di questo input
incidono profondamente sia i problemi di approvvigionamento energetico,
soprattutto degli idrocarburi, visto l’incremento esponenziale della domanda
mondiale di combustibili fossili, sia i crescenti vincoli ambientali che stanno
profondamente trasformando il settore energetico.
Il secondo input determinante è la tecnologia, in quanto i progressi in campo
scientifico possono contribuire ad aumentare l’efficienza tecnica di un processo o
di un apparecchio, riducendo il relativo consumo di energia. Le innovazioni
tecnologiche, fornendo servizi energetici in modo più efficiente o facilitando una
maggiore differenziazione delle fonti utilizzate, attraverso un maggior ricorso alle
fonti rinnovabili, riuscirebbero a limitare sia il problema dell’approvvigionamento
energetico che quello delle emissioni di carbonio. Tuttavia anche l’impiego di
tecnologia è assoggettato a numerosi vincoli: know-how, disponibilità di capitale
umano, fisico e naturale ed investimenti in R&S.
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Proprio a causa di queste stringenti limitazioni che gravano sull’impiego di
tecnologia si è verificata una pesante distorsione nella combinazione d’uso dei
due input sopra descritti per la fornitura di servizi energetici: un eccessivo ricorso
alle fonti energetiche ed un insufficiente impiego di tecnologie efficienti.
1.1.2. Come aumentare l’efficienza energetica
I fattori che possono contribuire ad aumentare l’efficienza energetica sono di due
ordini: tecnologici e non tecnologici. Il progresso tecnologico ha permesso un
significativo incremento dell’efficienza nei processi di conversione energetica
finale, riducendo le perdite di energia termica e gli scarti. Esso ha inoltre
permesso di aumentare vertiginosamente il numero di nuove tecnologie di
conversione, sia per l’esplorazione di fonti energetiche che per la trasformazione
dell’energia in servizi energetici fruibili dall’utilizzatore finale (ad esempio
numero di apparecchi elettrici, sistemi di riscaldamento centralizzati, lampadine,
frigoriferi, televisori, computer, apparecchi elettronici di intrattenimento, mezzi di
trasporto, ecc.). Infine, gli avanzamenti in campo scientifico hanno permesso un
notevole miglioramento delle tecnologie infrastrutturali, quali edifici, ferrovie,
strade, linee di trasmissione elettrica.
Tuttavia, gli aumenti di efficienza ottenuti grazie al progresso tecnologico sono
soggetti a due importanti limitazioni: innanzitutto in una prima fase dotarsi di
queste tecnologie efficienti può richiedere un investimento eccessivamente
7
oneroso, tale da ostacolarne la diffusione. Inoltre, qualora riescano a raggiungere
una commercializzazione di massa, determinano una riduzione del prezzo dei
servizi energetici (attenzione, non dell’energia), che nel lungo periodo conduce
comunemente ad un aumento della domanda di servizi e ad un conseguente
aumento della domanda finale di energia
2
.
Dalle limitazioni espresse sopra risulta chiaro che investire solo sul progresso
tecnologico non è sufficiente per aumentare l’efficienza energetica. Occorre
perciò implementare anche i fattori non tecnologici: una migliore organizzazione
e gestione manageriale delle imprese o la mutazione dei comportamenti dei
consumatori. I fattori non tecnologici attengono principalmente all’eliminazione
degli sprechi e alla scelta dell’attrezzatura più appropriata, sia in ambito
produttivo che domestico, in modo da ridurre il consumo di energia senza
diminuire il benessere degli individui.
Assumere costante il benessere individuale è un’ipotesi fondamentale nelle teorie
relative all’efficienza energetica. Esistono infatti alcuni fattori che sicuramente
permettono una riduzione dei consumi di energia, ma che non possono essere
associati ad un aumento dell’efficienza energetica in quanto costringono i
consumatori a ridurre i servizi energetici dei quali usufruiscono, riducendo il loro
benessere. Un esempio è costituito dagli elevati prezzi dell’energia, a causa dei
2
Questo fenomeno è noto come “effetto rebound”, letteralmente “effetto rimbalzo”. Per un
approfondimento sul tema si rimanda al Capitolo 3.
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quali gli individui devono limitare oltremisura la temperatura interna delle
abitazioni, o il chilometraggio delle autovetture.
Soprattutto nella fase iniziale, l’implementazione delle misure per incrementare
l’efficienza energetica richiede l’intervento dei governi. Gli obiettivi prioritari
della politica energetica dovrebbero consistere nel ridurre il rischio, stimolare la
diffusione, e diminuire i costi delle nuove tecnologie altamente efficienti,
attraverso la concessione di sussidi mirati, agevolazioni fiscali, campagne
d’informazione (IEA, 2010, pag. 7).
1.2. GLI OBIETTIVI DELL’EFFICIENZA ENERGETICA
Un punto fondamentale da chiarire subito è che “il miglioramento dell’efficienza
energetica è un mezzo e non uno scopo” (Bardi, 2009).
La riduzione dei consumi di energia non è un obiettivo da perseguire di per sé, ma
è uno degli strumenti che può permettere la soluzione di alcuni dei problemi
prioritari del mondo attuale e fungere così da traino per la realizzazione di
un’economia sostenibile.
I miglioramenti di efficienza energetica esplicano direttamente i suoi effetti in tre
diverse aree: ambientale, geo-politica, economica. Di seguito si propone
un’analisi dettagliata di ognuna.
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1.2.1. La riduzione delle emissioni di CO
2
Una maggiore efficienza energetica permette di ridurre il livello delle emissioni di
gas ad effetto serra, che contribuiscono al surriscaldamento globale. Nell’ultimo
trentennio si è assistito ad un continuo incremento delle emissioni di CO
2
nell’atmosfera, a livello globale (+ 60%). Ciò è dovuto sicuramente all’importante
crescita economica a cui si è assistito in questo periodo, che ha causato una
crescita esponenziale della domanda di servizi energetici e di conseguenza dei
consumi di energia.
Tuttavia, come ci mostra la Figura 1, quei Paesi, o gruppi di Paesi, che hanno
attuato delle politiche a sostegno dell’ambiente, puntando anche ad aumentare
l’efficienza energetica, sono riusciti a contenere l’aumento delle emissioni.
L’esempio più virtuoso è l’Unione Europea, che è l’unica area a mostrare una
riduzione delle emissioni di CO
2
del 3% dal 1990 al 2007 (i dati relativi al periodo
1980-1990 non sono disponibili per l’UE); i Paesi del vecchio continente
producono complessivamente il 13,5% del carbonio globale, pari a circa 3900 Mt
(milioni di tonnellate). Gli Stati Uniti, nonostante siano il secondo Paese al mondo
per livello di emissioni di carbonio (5769 Mt), sono stati molto attivi in materia di
politica ambientale, riuscendo a contenere l’aumento delle emissioni stesse (+
23% nel trentennio considerato); anche il Giappone mostra una performance
piuttosto positiva, con un incremento di CO
2
rilasciata nell’atmosfera del 40%.
10
Figura 1.Variazione delle emissioni totali di CO
2
, 1980-2007
Fonte: Elaborazione propria dati OECD iLibrary
L’Asia e il Medio Oriente, comprendenti principalmente Paesi in via di sviluppo
od in rapida industrializzazione, sono le aree che hanno mostrato un incremento
esponenziale delle emissioni di CO
2
, soprattutto a partire dagli anni Novanta.
L’esempio più evidente è la Cina, che è il primo Paese al mondo per livello di
emissioni (6071 Mt) e da sola emette il doppio del carbonio prodotto dall’intero
continente asiatico. Molto elevate sono anche le emissioni dell’India, che è
responsabile della metà delle emissioni di tutta l’Asia. Questi Paesi hanno una
struttura produttiva basata principalmente sull’industria, fanno ricorso
essenzialmente ai combustibili fossili, soprattutto il carbone (la Cina è il primo
-50%
0%
50%
100%
150%
200%
250%
300%
350%
1980
1982
1984
1986
1988
1990
1992
1994
1996
1998
2000
2002
2004
2006
UE-27
Mondo
Medio Oriente
Ex URSS
Asia (escl. Cina)
Cina (incl. Hong-Kong)
Giappone
Stati Uniti
11
produttore al mondo e soddisfa il 50% della domanda totale di carbone) e la loro
disponibilità di apparecchiature efficienti è limitata.
Ne consegue che l’abbattimento delle emissioni di CO
2
deve essere un obiettivo
prioritario sia per i Paesi avanzati, che per quelli in via di sviluppo e per
raggiungerlo è necessario uno sforzo coordinato su scala globale, o comunque di
più ampio respiro possibile (si veda il Protocollo di Kyoto
3
). Infatti l’atmosfera è
un bene comune e se, da un lato, i benefici dovuti alla riduzione delle emissioni
sono gli stessi per ogni abitante, dall’altro i costi di abbattimento devono essere
ripartiti tra tutti i Paesi.
Questo fa però sorgere un problema di equità. Innanzitutto esiste una questione di
“equità verticale”, un principio solitamente utilizzato per disegnare i sistemi di
tassazione, secondo il quale chi dispone di un reddito maggiore, paga una quota
maggiore. Secondo molti studiosi questo principio dovrebbe essere utilizzato
anche per ripartire i costi di abbattimento delle emissioni di carbonio tra Paesi ad
alto reddito e Paesi a basso reddito, facendo pagare ad ogni Paese una quota
proporzionale al proprio PIL pro-capite. Tanto più che i Paesi avanzati hanno
contribuito, e contribuiscono tuttora, a causare la maggior parte delle emissioni di
CO
2
: basti considerare che i Paesi OECD sono attualmente responsabili del 43%
delle emissioni totali. Dunque i Paesi sviluppati dovrebbero dividersi una quota
maggiore dei costi di abbattimento delle emissioni. Infine, una terza questione
3
Si veda il Capitolo 3.
12
riguarda “l’uguaglianza di opportunità”, ovvero ai Paesi in via di sviluppo devono
essere garantite le stesse possibilità di raggiungere un buon livello di
industrializzazione, come i Paesi avanzati in passato. Ciò comporta che ai Paesi in
via di sviluppo siano imposti controlli meno stringenti riguardo ai danni
ambientali dovuti all’industrializzazione.
Un risultato simile, ovvero la necessità di attribuire una quota minore di costi per
l’abbattimento delle emissioni ai Paesi in via di sviluppo, si ottiene se si considera
il problema non dal punto di vista dell’equità, ma dal punto di vista dell’efficienza
economica. Infatti il costo marginale di abbattimento delle emissioni non è uguale
per tutti i Paesi, in quanto esso è correlato al tenore di vita della popolazione
(l’abbattimento delle emissioni richiede in una certa misura un sacrificio nello
standard di vita) e i Paesi hanno diversi standard di vita. Considerando il costo
marginale di abbattimento in unità di benessere (PIL pro capite, anche se non è la
misura più corretta di benessere), risulta che un Paese povero, che valuta molto
importante un incremento di benessere, deve avere un costo marginale inferiore a
quello di un Paese avanzato.
Pertanto, per attuare il proposito di riduzione delle emissioni di gas serra occorre
tener conto degli standard di vita di ogni Paese e porre ad ognuno di essi un
obiettivo adeguato al proprio grado di sviluppo. Tutto ciò in modo da favorire la
cooperazione internazionale, che in materia ambientale risulta fondamentale.