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La scuola è un organo “costituzionale”.
Ha la sua posizione, la sua importanza
al centro di quel complesso di organi che formano la Costituzione
CAPITOLO PRIMO
LA SCUOLA IN EPOCA PRE-FASCISTA
1.1 La situazione sociale durante l’Unità d’Italia e la Legge Casati
Nel 1860 l‟Italia iniziò il proprio cammino scolastico ereditando dagli Stati
preunitari una popolazione con il 78% di analfabeti, in gran parte donne ed anziani
residenti nel Centro e nel Meridione del Paese, dove si raggiungevano punte di
analfabetismo pari al 90%. L‟impegno dello Stato volto ad estirpare la piaga
dell‟analfabetismo non interessò solo il mondo dell‟infanzia ma anche quello degli
adulti; questi ultimi infatti versavano in condizioni di grave analfabetismo, miseria e
isolamento e a nulla erano valse le misure fino ad allora adottate per rendere
formalmente obbligatoria l‟istruzione dei fanciulli.
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La dimensione istituzionale
dell‟analfabetismo coincideva con l‟arretratezza e i disagi della società di allora, che
avevano un peso notevole sul fenomeno della scolarizzazione già rallentato, peraltro, da
una politica scolastica non sempre favorevole alla crescita culturale del popolo e da una
resistenza governata dalle esigenze precarie di sopravvivenza. La risoluzione dei
problemi sociali era strettamente legata alla necessità di una istruzione pubblica,
strumento che avrebbe permesso una maggiore e più consapevole partecipazione alla
vita politica e sociale.
Il primo provvedimento legislativo sulla scuola italiana fu il regio decreto del 13
novembre 1859 n. 3725 del Regno di Sardegna, conosciuto come “Legge Casati” dal
nome del Ministro della Pubblica Istruzione dell‟epoca; entrato in vigore nel 1860 e
successivamente esteso, dopo l‟unificazione, a tutta l‟Italia, la legge Casati, che seguì le
“leggi Boncompagni” del 1848
2
e la “legge Lanza” del 1857
3
, riformò in modo
1
Cfr. A. MARCIANO, Alfabeto ed educazione: i libri di testo nell’Italia post-risorgimentale, Franco
Angeli, Milano, 2004, p.69 ss.
2
Sulle “leggi Boncompagni” M.C. MORANDINI, Scuola e nazione: maestri e istruzione popolare nella
costruzione dello stato unitario (1848-1861), Vita e Pensiero, Milano, 2003, p.64 ss. Il Regno Sabaudo
emanò nel 1848 le prime leggi organiche di riforma degli studi superiori di indirizzo centralistico e
laicistico, dette appunto “Leggi Boncompagni”. I provvedimenti prevedevano un controllo governativo
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organico l'intero ordinamento scolastico. L'intero apparato amministrativo,
l'articolazione per ordini e gradi e le materie di insegnamento furono l„oggetto di una
consistente riforma a conferma della volontà dello Stato di farsi carico del diritto-dovere
di intervenire in materia scolastica a fianco e in sostituzione della Chiesa cattolica che
da secoli deteneva il monopolio dell'istruzione. La legge si propose di conciliare diversi
principi: il riconoscimento dell'autorità paterna, l'intervento statale e l'iniziativa privata.
In questo senso, venne fissato il ruolo normativo generale dello Stato e la gestione
diretta delle scuole statali, così come la libertà dei privati di aprirne e gestirne di
proprie, pur riservando alla scuola pubblica la possibilità di rilasciare diplomi e licenze.
L‟approvazione da parte del governo piemontese della legge Casati avvenne senza
passare attraverso il voto parlamentare, a causa delle tumultuose vicende legate alla
seconda guerra d‟indipendenza. La Destra storica, di fronte ai gravissimi problemi del
nuovo stato, scelse di mantenere la legge Casati, abbandonando l'idea di una nuova
riforma scolastica. Solo in seguito furono apportate delle modifiche alla legge che,
tuttavia, rimase in vigore fino al 1923, ossia fino alla riforma Gentile.
La legge Casati era costituita da numerosi articoli ordinati in cinque titoli:
Il Titolo I, “Dell‟Ordinamento della Pubblica Istruzione”, stabiliva
l‟organizzazione della scuola a livello centrale e locale nonché le attribuzioni di
ogni organo, istituendo inoltre a livello centrale il Consiglio superiore della
Pubblica istruzione;
Il Titolo II, “Dell‟Istruzione Superiore”, dettava norme in materia di studi
universitari ed accademici;
Il Titolo III, “Dell‟Istruzione Secondaria Classica”, istituiva e regolava il
ginnasio ed il liceo;
Il Titolo IV, “Dell‟Istruzione Tecnica”, istituiva e regolava le scuole tecniche e
gli istituti tecnici;
Il Titolo V, “Dell‟Istruzione Elementare”, istituiva e regolava le scuole
elementari.
La legge era ispirata ad una concezione dell'educazione essenzialmente “elitaria”, nella
quale veniva dato ampio spazio all'istruzione secondaria e superiore (universitaria) ma
delle scuole di ogni ordine e grado attraverso il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, da cui
dipendevano gli ordinamenti degli studi, i piani didattici, l‟approvazione dei programmi dei corsi e dei
libri e dei trattati adottati. Si elimina altresì il nulla osta vescovile per la nomina dei professori.
3
Sulla “Legge Lanza” S. SANTAMAITA, Storia della scuola: dalla scuola al sistema formativo,
Mondadori, Milano, 1999, p.7 ss. La Legge Lanza del 1857 presupponeva l‟insegnamento della religione
cattolica come fondamento e coronamento dell‟istruzione cattolica, posto che quella era la religione di
Stato. In essa inoltre si accentuava un accentramento dell‟amministrazione scolastica e un appesantimento
burocratico.
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scarso risalto a quella primaria. Tracciava inoltre una netta separazione tra la
formazione tecnica, volta a formare la classe operaia specializzata, da quella classica di
stampo umanistico, volta a formare le classi dirigenti. D'altro canto, riconosceva una
certa parità fra i due sessi riguardo alle esigenze dell'educazione. L'istruzione
elementare, a carico dei comuni, era articolata in due cicli: un ciclo inferiore biennale,
obbligatorio e gratuito, istituito nei luoghi dove ci fossero almeno 50 alunni in età di
frequenza, e un ciclo superiore, anch'esso biennale, presente solo nei comuni sede di
istituti secondari o con popolazione superiore a 4.000 abitanti. L'istruzione secondaria
classica, l'unica che consentiva l'accesso a tutte le facoltà universitarie, era articolata nel
Ginnasio, di cinque anni, a carico dei comuni, seguito dal Liceo, di tre anni, a carico
dello Stato, entrambi presenti in ogni capoluogo di provincia. L'istruzione secondaria
tecnica era invece articolata nella scuola tecnica, di tre anni, gratuita ed a carico dei
comuni, seguita dall'istituto tecnico, di tre anni, a carico dello Stato; l'istituto tecnico era
diviso in sezioni una delle quali, la sezione fisico-matematica, consentiva l'iscrizione
alla facoltà di scienze matematiche, fisiche e naturali.
Quanto all'università, alle tre facoltà di origine medioevale - teologia (soppressa
nel 1873), giurisprudenza, medicina - se ne aggiunsero due nuove: lettere e filosofia e
scienze fisiche, matematiche e naturali; a quest'ultima venne annessa la scuola di
applicazione per la formazione degli ingegneri, della durata di tre anni, alla quale si
accedeva dove aver frequentato il biennio della facoltà
4
. Tra le materie era prevista la
“dottrina religiosa” il cui insegnamento era affidato nelle scuole elementari al maestro
sotto la direzione del parroco, nelle scuole secondarie tecniche e classiche ad un
direttore spirituale nominato dal vescovo (figura poi abolita nel 1877); nelle “scuole
normali”, dove costituiva materia d'esame, l‟insegnamento della “dottrina religiosa” era
affidato ad un docente titolare di cattedra (norme poi abrogate nel 1880): fu però data
alle famiglie la possibilità di chiederne l'esonero.
Per la formazione dei maestri elementari furono istituite le “scuole normali” di
durata triennale, alle quali si accedeva a 15 anni per le femmine e a 16 per i maschi. Il
reclutamento dei maestri elementari, delegato a comuni spesso privi di adeguate risorse
finanziarie e destinatari di disposizioni di legge che la stessa non sanzionava, risultò
uno dei punti deboli in sede di attuazione della legge tanto che, sovente, la preparazione
degli insegnanti lasciava a desiderare. Anche per questo motivo, oltre che per una
mentalità che le portava a mantenere le distanze dalle altre classi sociali, le famiglie
4
Si veda al riguardo: A. ASCENZI, Tra educazione etico civile e costruzione dell’identità nazionale:
l’insegnamento della storia nelle scuola italiane dell’Ottocento, Vita e Pensiero, Milano, 2004.
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delle classi più agiate disdegnarono la scuola elementare, preferendo istruire
privatamente i loro figli come, del resto, la legge consentiva (era la cosiddetta “scuola
paterna”: l'insegnamento era impartito dagli stessi genitori o dal precettore incaricato
dalla famiglia; l'allievo doveva poi sostenere un esame di stato).
5
1.2 Dalla Legge Coppino alla Legge Daneo-Credaro
Dopo l‟avvento, con la suddetta legge Casati, di una “primitiva”
regolamentazione del sistema di istruzione elementare, fu il ministro Mamiani, nel
1860, ad approvarne i corrispondenti programmi d‟insegnamento. Fortemente normativi
ed abbastanza impegnativi nei contenuti, tali programmi comprendevano comunque un
regolamento di esecuzione che, tenendo conto delle enormi difficoltà di alfabetizzazione
in scuole estremamente numerose, permise di scindere il primo anno in una “prima
inferiore” ed una “prima superiore”. Gli anni complessivi della scuola elementare
salirono così da quattro a cinque
5
. Questa suddivisione in due periodi corrispondeva alle
modalità che i maestri adottavano per l‟apprendimento della scrittura. Nella prima
classe, della durata di due anni come accennato, le lezioni si incentravano sullo studio
dell‟alfabeto e gli scolari, passivamente, copiavano sillabe e parole solo con l‟uso della
lavagna e di cartelloni. Nella seconda classe (terzo anno del percorso scolastico) gli
allievi utilizzavano invece il libro predisposto per la lettura vera e propria. Fino a questo
punto quindi il programma si limitava all‟insegnamento della religione, della lingua
italiana e dell‟aritmetica. Naturalmente altre materie erano oggetto di insegnamento,
essendo di fatti comprese nel libro di lettura che conteneva, ad esempio, nozioni
letterarie, storiche, geografiche e scientifiche. Nel corso superiore ossia la terza e la
quarta classe (quarto e quinto anno in sostanza), gli allievi venivano istruiti su materie
quali la storia, la geografia, alcune nozioni scientifiche e la geometria; i programmi
dovevano altresì concludersi nell‟anno scolastico previsto dalla regolamentazione di
riferimento. Anche la religione cattolica faceva stabilmente parte dei programmi
d‟insegnamento, nonostante fosse stata cancellata per un breve periodo per poi essere
riproposta soltanto grazie alle disposizioni della riforma datata 1923 (cosiddetta
“riforma Gentile”)
6
. Sotto questo profilo non va taciuto che un aspetto rilevante della
revisione del sistema scolastico dell‟epoca fu la frenetica modifica dei programmi
attuata fin dal 1867, con le Istruzioni dettate dal Mamiani, da cui è lecito intuire la crisi
dei rapporti fra lo Stato e la Chiesa: cominciò infatti ad attenuarsi lo spazio dedicato alla
religione a favore dell‟educazione civica. Altra caratteristica dei programmi del 1867 fu
la distribuzione dei relativi contenuti nel sistema delle diverse classi. I primi due anni,
prima inferiore e prima superiore, erano stati concepiti come propedeutici alle
successive fasi d‟apprendimento e dunque utili all‟affinamento dei primi strumenti di
5
Cfr. U. AVALLE- E. CASSOLA- M. MARANZANA , Cultura pedagogica: la storia, Paravia, Milano, 2000,
p. 559-560.
6
Cfr. G. GUZZO, Scuola elementare addio, Rubbettino, Catanzaro, 2003, p.32-33.
6
conoscenza. Il fulcro dell‟apprendimento perciò era rappresentato dal terzo e dal quarto
anno: il quinto era l‟anno delle ripetizioni, delle replicazioni e della riflessione su
quanto si era studiato negli anni precedenti. In definitiva i programmi sia del 1860 che
del 1867 si fondavano sul principio secondo cui l‟esposizione ai più semplici elementi
del sapere assumeva un‟importanza fondamentale per l‟unificazione delle varie
popolazioni di cui era composto il nuovo Regno d‟Italia. Si puntò sulla diffusione dei
linguaggi fondamentali, dell‟istruzione religiosa, dell‟insegnamento della lettura, della
scrittura e dell‟aritmetica.
Con l‟ascesa al potere della Sinistra liberale, la prima realizzazione del
programma politico di Agostino Depretis riguardò proprio la scuola elementare. Il 15
luglio del 1877 venne emanata infatti la “Legge Coppino”, che prese il nome dall‟allora
ministro della Pubblica Istruzione Michele Coppino. Tale legge rafforzò la laicità
dell‟educazione, introdusse il sistema metrico decimale nella scuola e innalzò l‟obbligo
scolastico dai sei ai nove anni, quindi per i primi tre anni di scuola elementare. Il corso
elementare completo venne definitivamente portato a cinque anni, secondo il modulo
3+2 già attuato nel 1860 con lo sdoppiamento del primo anno. La legge Coppino rese
inoltre gratuita l‟istruzione elementare e stabilì sanzioni per i Comuni che
disattendevano le disposizioni in materia. Le spese per il mantenimento delle scuole
rimasero, però, a carico dei singoli comuni, i quali, nella maggior parte dei casi, non
erano in grado di sostenerle a discapito di una piena attuazione della legge.
Nel frattempo, all‟indomani dell‟unificazione, mutò profondamente il quadro
culturale dell‟Italia. Con la Sinistra al potere lo Spiritualismo romantico cedette il posto
al Positivismo. In questo nuovo contesto, dopo altri dieci anni, la Sinistra liberale
completò il suo programma scolastico approvando, nel 1888, i nuovi programmi per la
scuola elementare, legati al nome di Aristide Gabelli, estensore delle Istruzioni e della
relazione al ministro Boselli. I programmi del 1888 presentavano dunque una forte
influenza del pensiero positivistico, incentrato sul principio dell‟oggettività del sapere e
della scientificità della ricerca sperimentale: insistevano infatti su prescrizioni di
carattere metodologico che prevedevano la centralità dell‟esperienza dell‟alunno, del
passaggio dal particolare al generale attraverso l‟osservazione e la sperimentazione. Il
maestro, al quale si richiedeva anche una conoscenza psicologica dell‟alunno, doveva
farsi “mediatore” di quest‟esperienza, avendo cura di provvedere all‟educazione sociale
e morale del futuro uomo e cittadino e di fornirgli un‟ampia istruzione. Per quanto
riguarda l‟educazione morale, Gabelli partì dalla sostanziale convinzione che occorreva
7
soprattutto “formar teste”, perché “chi pensa bene fa bene”
7
; tutto questo doveva essere
attuato nel quadro di un‟educazione laica, dove le nozioni dei doveri dell‟uomo e del
cittadino, previste dalla legge del 1877, sostituiscono di fatto l‟educazione religiosa.
Le resistenze alle innovazioni del 1888 produssero nel 1894 nuovi
provvedimenti di modifica, a firma del ministro Guido Baccelli. Mentre si
confermarono le Istruzioni premesse ai programmi del 1888, venne profondamente
rielaborata la parte concernente i contenuti. Si operò un notevole alleggerimento per
quanto riguarda le materie dei programmi e le prove di esame, le quali vennero ridotte a
quel minimo di cognizioni utili che ogni fanciullo deve gradualmente acquistare dalla
scuola elementare
8
. I programmi introdussero la proposta di una nuova pedagogia del
lavoro, con nozioni di agricoltura, di lavoro manuale educativo, di “lavori donneschi”,
di igiene e di economia domestica. Venne nuovamente allargato lo spazio
dell‟educazione religiosa a scapito delle scienze, che godevano di ampie possibilità nei
programmi precedenti.
A partire dal 1901 il tasso dell‟analfabetismo scese finalmente al di sotto del
50%, pur mantenendo quelle forti differenze presenti nel 1860. Nel 1904, anno dei
grandi scioperi e dell‟inizio dell‟esperienza politica nota come “età giolittiana”, la
scuola elementare conobbe una nuova modificazione dei programmi. La borghesia
cercò di garantire la formazione di una cultura di base più vasta alla popolazione di un
Paese che cominciava una nuova attività politica, anche sul piano internazionale. I nuovi
programmi, firmati dal ministro Vittorio Emanuele Orlando, portarono l‟obbligo
scolastico a dodici anni e ampliarono la scuola elementare, con un esame di “maturità”
dopo la quarta classe e una quinta e una sesta classe riservate a coloro che non
continuavano gli studi. Vennero inoltre istituite le scuole serali e festive per il recupero
dei semianalfabeti e venne ribadito il principio della laicità nella scuola popolare. Il
nuovo testo fu predisposto dalla commissione presieduta da Francesco Orestano (autore
delle Istruzioni), e si segnalò per la considerevole presenza di prescrizioni
metodologiche, mentre i contenuti furono nuovamente ampliati in maniera quasi
enciclopedica. Seguendo la tipica istanza positivistica, venne segnalata l‟esigenza di
unificazione del sapere scientifico, attraverso il collegamento delle materie: si trattò
della prima comparsa della prospettiva interdisciplinare nei programmi della scuola
italiana.
7
Cfr. U. AVALLE, E. CASSOLA, M. MARANZANA , Cultura pedagogica: la storia, Paravia, Milano, 2000, p.
560-561.
8
Cfr. R. SANI, Maestri e istruzione popolare in Italia tra Otto e Novecento: interpretazioni, prospettive di
ricerca, esperienze in Sardegna, Vita e Pensiero, Milano, 2003, p.176.
8
Sarà solamente nel 1911 che, attraverso un provvedimento legislativo legato
anche al nome dell‟herbartiano Luigi Credaro, lo Stato provvedette ad assumersi
direttamente l‟organizzazione e la spesa per la scuola elementare dei Comuni più
piccoli. A ciò si accompagnarono alcuni provvedimenti per i salari dei maestri e per
l‟edilizia scolastica, per la creazione di patronati scolastici, biblioteche, scuole estive e
festive per l‟istruzione degli adulti analfabeti. Nel 1914 si assistette ad un‟ultima
riforma scolastica dell‟età giolittiana, con la promulgazione, sempre su iniziativa del
ministro per la Pubblica Istruzione Credaro, delle “Istruzioni, programmi e orari per gli
asili infantili e i giardini d’infanzia”. Iniziò da qui, dal punto di vista giuridico, la storia
degli interventi organici dello Stato italiano in materia di scuole infantili. I lodevoli
intendimenti della legge si scontrarono, tuttavia, con numerose difficoltà pratiche e con
l‟ostilità di coloro che temevano sia la laicizzazione che la burocratizzazione della
scuola pubblica. Lo scoppio del conflitto mondiale rappresentò un‟ulteriore battuta
d‟arresto, aprendo un periodo di instabilità politica e sociale dal quale emergerà il
fascismo, sostenitore di una nuova e diversa riforma dell‟istruzione.
9
1.3 L’avvento del fascismo e la sua influenza sulla “questione” educativa e
scolastica
La scuola italiana, alla vigilia della riforma Gentile, necessitava indubbiamente
di un riordino: occorreva restituire prestigio agli insegnanti migliorandone la
preparazione culturale e professionale nonché il reclutamento e la retribuzione;
occorreva adeguare le strutture all‟incremento della popolazione scolastica, rinunciando
al ricorso di sovraffollate classi aggiunte; l‟insegnamento primario doveva essere
potenziato per sconfiggere l‟analfabetismo
9
. Il ministero della Pubblica Istruzione non
aveva preso tutti i provvedimenti e le sanzioni previste nei confronti dei genitori che
evadevano l‟obbligo scolastico dei figli; questa passività nascondeva spesso l‟effettiva
incapacità dell‟autorità centrale e delle amministrazioni locali di soddisfare una
scolarizzazione che la stessa popolazione sentiva come un bisogno.
Il fascismo raggiunse il potere nel 1922 con la Marcia su Roma e si costituì in
dittatura nel 1925. A partire dal delitto Matteotti (1924) il fascismo avvertì l‟opportunità
di assicurarsi, oltre al potere coercitivo, un consenso molto vasto tra le masse,
condizionando la stampa e l‟opinione pubblica. Una delle vie attraverso le quali tentò di
raggiungere tale scopo fu il totale controllo dell‟educazione e dell‟insegnamento
scolastico. La stampa, in particolare, fu sottoposta ad un controllo sempre maggiore fino
a subire la completa “fascistizzazione” a partire dagli anni Trenta. In questo processo
acquisì un‟importanza sempre più decisiva l‟Ufficio Stampa del Presidente del
Consiglio (poi Capo del Governo) : si trattava di un organo che controllava e distribuiva
le notizie da pubblicare
10
. Il Duce in persona esaminava i comunicati dello Stato ed
emetteva le disposizioni per la stampa che si estendevano fino a comprendere direttive
sulle fotografie, sullo stile, sui caratteri e sull‟impaginazione. Il controllo sulla stampa
non era però soddisfacente, poiché l‟Italia era un paese in cui i giornali erano poco
diffusi e non raggiungevano le grandi masse. Il regime allora si occupò anche della
propaganda, del cinema, del teatro, del turismo e del tempo libero. Ma l‟idea principale
era incentrata sulla necessità che chiunque dovesse apprendere i valori fondamentali per
il fascismo sin dai primi anni di vita
11
. Attraverso le associazioni giovanili e la scuola lo
Stato totalitario, esercitando un severo controllo, svolgeva una colossale opera di
9
K. COLOMBO, La pedagogia filosofica di Giovanni Gentile, Franco Angeli, Milano, 2004, p.156.
10
M. FORNO, La stampa del ventennio: strutture e trasformazioni nello stato totalitario, Rubbettino,
Milano, 2005.
11
C. SCURATI , Profili nell’educazione: ideali e modelli pedagogici nel pensiero contemporaneo, Vita e
Pensiero, Milano, 1991.