Introduzione
METODOLOGIE E PROPOSITI
DI RICERCA.
Prospettive d’analisi nello studio del teatro latino:
scorcio sui contributi degli ultimi decenni e
problematiche affrontate nel presente lavoro.
Corti - Il critico moderno ci appare dunque
introdotto in un laboratorio arredato da un ricco
repertorio di strumenti a sua disposizione […].
Segre - Aggiungerei che il laboratorio di cui parli è
afflitto da un disordine sempre crescente, e che
agli strumenti si mescolano giochi da bambini,
caleidoscopi e occhiali rotti.
(da I metodi della critica in Italia, a c. di M. Corti - C.
Segre).
IV
Una storia letteraria che voglia avere coscienza del proprio campo di ricerca,
deve dare significato concreto agli interrogativi complementari di origine e
definizione della letteratura e porsi il problema storiografico generale
dell'esistenza stessa della letteratura
1
. Lo "spazio letterario", in passato non di
rado circoscritto dalle Storie della letteratura e considerato come una realtà
autosufficiente, è andato acquisendo, negli ultimi decenni, una significazione
più complessa, essendo calato in uno spazio ben più ampio - che è quello del
"sistema culturale" - e sgrossato dai retaggi di frammentazioni e ripartizioni
disciplinari, a tutto vantaggio dei contesti extraletterari.
Tali asserzioni sembrano ancora più pregnanti quando si parla di teatro, ove
necessariamente i rilievi contestuali incidono sull'opera letteraria. Il che è come
dire che è per lo meno sospettabile che la complessa ossatura dello spettacolo e
il testo letterario non coincidano.
In particolare, se ci fermiamo a considerare le Storie del teatro latino più in
voga – che sono poi ancora quelle del Beare e del Paratore
2
-, si avverte, pur nel
riconoscimento della loro eccellenza, la sensazione di una spaccatura indotta
tra elementi contestuali non propriamente letterari, che possiamo dire
"preletterari", ed elementi letterari. Nel primo gruppo si fanno confluire, senza
ordine preciso, elementi paraletterari ed extraletterali appartenenti ad un arco di
tempo lungo, sincronici ma "esterni", e perciò ritenuti solo "propedeutici" alla
letteratura
3
. Si tratta ovviamente di una semplificazione disciplinare, che però
sembrerebbe mascherare, dietro una questione di "origine sincronica", una
difficoltà d'approccio che si pone a qualsiasi interprete del teatro latino.
1
Cfr. N. ZORZETTI, Letteratura, religione, politica: una prospettiva interdisciplinare nello
studio del teatro latino, «QS» 4, 1978, p.121 ss.
2
W. BEARE, The Roman Stage. A Short History of Latin Drama in the Time of the Republic,
London, 1950 (trad. it. I Romani a teatro, Roma-Bari, 1986); E. PARATORE, Storia del teatro
latino, Milano, 1957.
2
W. BEARE, The Roman Stage. A Short History of Latin Drama in the Time of the Republic,
London, 1950 (trad. it. I Romani a teatro, Roma-Bari, 1986); E. PARATORE, Storia del teatro
latino, Milano, 1957.
3
Cfr. ZORZETTI, Letteratura, cit., p. 122.
V
Negli ultimi decenni, come si diceva, è venuta imponendosi una tendenza
meritoria, ma ancora agli albori, che si identifica nel riconoscimento e nella
valorizzazione del nesso che intercorre tra antropologia, storiografia e
drammaturgia. Forse il pregio maggiore può esserle riconosciuto
nell’accantonamento dell'atteggiamento diffuso di affrontare la problematica
antropologica solo per le "origini" e nel riconoscimento, anche in epoca
letteraria, della compresenza e dell'interazione dei due elementi. Infatti, se è
vero che si può parlare di un'originalità "ancestrale" della letteratura latina nei
confronti di quella greca e di un "ellenismo interno" ad essa, tanto più urge
portare a maturazione tutto un versante di problemi inerenti agli elementi
socioculturali dell'appropriazione romana dell'esperienza letteraria greca.
Sennonché di questo aspetto si sono fatti interpreti, fino ad una quarantina
d’anni fa, quasi esclusivamente letture “politiche” dei frammenti dei tragici
latini, giunte ai poco cauti tentativi di chi ha immediatamente calato la filologia
nella storia politica romana; il risultato non poteva essere che «una sostanziale
contrapposizione» tra le due tendenze (indicabili con i nomi di Bronislav
Bilinski ed Ettore Paratore) «dell'approccio ideologico e dell'approccio
propriamente filologico al teatro latino»
4
.
É toccato alla critica più recente, dunque, impegnarsi a smussare i toni di una
disputa che comporta isolamenti disciplinari, che impediscono di cogliere tutta
quella serie di mediazioni, che intercorrono tra realtà politico-sociale e sua
espressione teatrale. Già il Bossier
5
, sul finire del secolo scorso, «aveva tentato,
con grande limpidezza, di definire l'appropriazione del teatro greco da parte dei
romani come un fatto di cultura più generale»
6
, e dobbiamo a Bruno Gentili
7
la
considerazione che, nelle occasioni teatrali romane, un posto particolare deve
4
ZORZETTI, Letteratura, cit., p. 124.
5
G. BOSSIER, Le poète Attius. Etude sur la tragédie latine pendant la république, Paris 1857,
pp. 76-104.
6
ZORZETTI, Letteratura, cit., p. 125.
7
B. GENTILI, Lo spettacolo nel mondo antico. Teatro ellenistico e teatro romano arcaico, Bari,
1977.
VI
essere dedicato a confrontare la Roma repubblicana non tanto con il momento
classico del teatro greco, quanto con celebrazioni ellenistiche di feste dedicate
ad Apollo, a cominciare dai Soteria delfici. Quanto poi la spettacolarità fosse a
Roma un fattore culturale e non solo teatrale, non hanno mancato di
documentare studiosi quali F. Dupont, P. Veyne o C. Nicolet
8
, richiamando usi
e costumi in cui fosse centrale l’elemento visivo ed espressionistico e
dimostrando come, per il romano, la finzione sia arte dell’evidenza, una forma
di accentuazione della realtà che permette agli uomini di riconoscere i valori
emotivamente, non intellettivamente
9
. La qual cosa ha anche permesso, in
ultima analisi, di rivalutare il ruolo del pubblico romano, rilevando come una
definizione di pubblico, che passi attraverso il suo rapporto con il testo di
teatro, non è già più pertinente per il teatro ellenistico e diventa completamente
inoperante per il teatro latino: «ad Atene v'era una cultura del discorso e del
giudizio, a Roma una cultura della musica e della percezione immediata»
10
.
Una lunga tradizione di studi
11
ha permesso di definire meglio la stessa
questione della politicità del teatro latino e della capacità allusiva del mito, che
8
F. DUPONT, L'acteur-roi ou le théâtre dans la Rome antique, Paris, 1985 (trad. it. parz. Teatro
e società a Roma, Roma-Bari, 1991); C. NICOLET, Le métier de citoyen romain, Paris, 1976
(trad. it. Il mestiere di cittadino nell’antica Roma, Milano-Bari, 1989); P. VEYNE, Le pain et le
cirque. Sociologie d’un pluralisme politique, Paris, 1970 (trad. it. Il pane e il circo, Bologna,
1989).
Ricordiamo inoltre: R. SCHILLING, Roman Festival and their Significance, «AClass», 19,
1964, pp. 44-56 ; G. PICCALUGA, Elementi spettacolari nei rituali festivi romani, Roma 1965;
G. PETRONE, Comunicazione ludica, «Dioniso» 54, 1983 [1985], pp. 101-115; M. GRÉGORI,
Fonction de la musique dans les spectacles romains, Mémoire de Maîtrise, Université de
Provence, 1983; M. CLAVEL-LEVÊQUE, L'Empire en jeux, Paris, 1984; E. RAWSON, Theatrical
Life in Republican Rome and Italy, «PBSR» 53, 1985, pp. 97-113; G. GUASTELLA, La voce
delle dita: ritmo, lingua e metro nella versificazione degli scenici latini arcaici, «QUCC» 53,
1996, pp. 73-93; G. ARICÒ, La tragedia romana arcaica, «Lexis» 15, 1997, pp. 1-97; I. LANA,
Teatro e società in Roma antica, «Studium» 96, 2000 (2), pp. 273-286.
9
Cfr. DUPONT, Teatro e società, cit., p. 21: «a Roma regna incontestabilmente un’ideologia
dell’immediatezza e del sentimento, la quale presuppone che il Romano, salvo il caso di
perversità evidente, aderisca spontaneamente ai valori collettivi della Res Publica».
10
DUPONT, Teatro e società, cit., p. 110.
11
NICOLET, Il mestiere, cit.; VEYNE, Il pane e il Circo, cit.; G. GARBARINO, Roma e la filosofia
greca dalle origini alla fine del II sec. a. C., Torino, 1973; E. FLORES, Letteratura latina e
ideologia del III-II a. C., Napoli, 1974; I. LANZA – M. VEGETTI, L'ideologia della città, «QS»,
1, 1975 (2), pp. 1-37; ZORZETTI, Letteratura, cit., 1978, pp. 121-156; A. LA PENNA, Fra teatro,
poesia e politica romana, Torino, 1979; R. REGGIANI, Rileggendo alcuni frammenti di Ennio,
Pacuvio e Accio, «QCTC» 4-5, 1987, pp. 31-88; R. C. BEACHAM, The Roman Theater and its
VII
Cicerone testimonia in assoluto per la sua epoca: il teatro, come tutti quei
linguaggi che il Nicolet ha definito "paralleli" (funerali, trionfi, manifestazioni
e cortei, processi…), rientra in un piano di comunicazione politica soprattutto a
partire dal II secolo a. C., in concomitanza colla progressiva disgregazione del
ruolo politico comiziale. Fenomeno notevole è il richiamo dell'attenzione del
pubblico su grandi questioni nazionali valendosi dell'allusione mitica: il testo
stesso può offrire le occasioni giuste, mentre la condizione favorevole sta nel
fatto che il pubblico romano non ha il senso dell'insieme e non avverte disagio
nei confronti del bis. Infine la questione del vertere, e più in generale della cura
formale del testo
12
, ha esaurientemente raggiunto una definizione delle proprie
costanti, convergenti nella romanizzazione di contenuti e forme, sostituzione di
Realien, trasposizione e talora accentuazione dei valori religiosi ed etico-
sociali, incremento della sentenziosità, del pathos, dei valori formali,
soprattutto fonici
13
.
* * *
Tuttavia, nonostante la vasta fioritura di studi sul teatro romano, molti campi
d’indagine restano ancora appetibili e nuove questioni vengono continuamente
a galla; senza poi considerare la resistenza del testo dei tragici, che alla buona
volontà degli interpreti contrappone, in più punti, l’ambiguità derivante dalla
sua frammentarietà. È per questo che, nonostante l'attenzione sempre maggiore
riservata dai filologi alla revisione delle tradizioni manoscritte dei grammatici e
Audience, London, 1995; W. J. S. LATER, Roman Theater and Society, Ann. Arbor, Michigan,
1996; A. CAMEROTTO- R. ONIGA, La parola nella città. Studi sulla ricezione del teatro antico,
Udine, 1999.
12
J. SOUBIRAN, Recherches sul la clausule du sénaire (trimètre) latin. Les mots longs finaux,
«REL» 42, 1964, pp. 429-469 ; ID., Essai sur la versification dramatique des Romains. Sénaire
iambique et septénaire trochaïque, Paris, 1988; I. MARIOTTI, Tragédie romaine et tragédie
grecque. Accius et Euripide, «MH» 22, 1965, pp. 206-216 ; G. D’ANNA, Fabellae Latinae ad
verbum e Graecis expressae, «RCCM» 7, 1965, p. 364 ss.; A. TRAINA, Vortit barbare, Roma,
1970; ID., Le traduzioni, in AA. VV., Lo spazio letterario di Roma antica, II. La circolazione
del testo, Roma, 1989, pp. 93-123; E. FLORES, Latinità arcaica e produzione linguistica,
Napoli, 1978; A. DE ROSALIA, Funzione comunicativa e funzione emotiva nel linguaggio dei
tragici latini arcaici, «Dioniso» 54, 1983, pp. 43-57 (mi riservo di citare studi specifici sulla
lingua acciana, tra i quali gli interessanti contributi della Dangel).
13
Cfr. TRAINA, Le traduzioni, p. 103.
VIII
degli eruditi dell'antichità e la moltiplicazione di lavori, nell'ultimo decennio,
che hanno avuto per oggetto singole opere acciane o gruppi di esse, i progressi,
seppur rilevanti, procedono a fatica.
Se con le recenti edizioni di Klimek-Winter, di Courtney e di Morel
14
si ha
ancora la rassicurante sensazione di muoversi lungo la linea tracciata dalla
tradizione, l'edizione complessiva delle opere di Accio curata da J. Dangel
15
per la famosa collana parigina delle “Belles Lettres”, tenta per lo meno di
impostare su basi nuove la documentazione a nostra disposizione: la studiosa si
segnala per le 35 congetture personali e per una ricostruzione complessiva
dell'opera drammatica di Accio, che verrebbe sviluppandosi secondo un grande
ciclo narrativo di matrice epica, in cui ogni tragedia sarebbe un «élément d'un
tout» legata alle altre «sur le modèle d'une fresque pergaménienne, faite de
tableaux successifs et reliés entre eux» (p. 33). Due sarebbero i cicli narrativi in
cui si articola la produzione acciana: il primo, incentrato sul mito dei Pelopidi
(inclusi i rami relativi alla vicenda troiana cui presero parte Agamennone e
Menelao, discendenti di Pelope), comprendente 24 tragedie (e «comment ne
pas être frappé par la parfaite cohérence et par la remarquable suite
chronologique de ces 24 pièces, dont le nombre, comparable à celui des 24
chants de l'Iliade, atteint très exactement les dimensions de l'épopée de
référence?», p. 42); il secondo che, con 22 drammi, rimanderebbe al ciclo
tebano e allo schema delle genealogie riferito da Esiodo. Inoltre i rapporti
generazionali intercorrenti tra gli eroi della guerra di Tebe e quelli della guerra
di Troia farebbero sì che si possano coinvolgere in un unico grande affresco
anche i drammi di materia romana
16
.
14
R. VON KLIMEK-WINTER, Andromedatragödien (Sophokles, Euripides, Livius Andronikos,
Ennius, Accius), Text, Einleitung und Kommentar, Stuttgart, 1993 ; E. COURTNEY, Fragmenta
poetarum Latinorum, Oxford, 1993; W. MOREL, Fragmenta poetarum Latinorum, a cura di J.
Blänsdorf, Stutgardiae et Lipsiae, 1995
3
.
15
J. DANGEL, Accius, Œuvres (fragments), Paris, 1995.
16
Se infatti i Pelopidi discendono da Atlante, anche gli Arcadi ed Evandro ne derivano,
secondo la genealogia riferita da Accio. «Cette reconstruction légendaire conduit alors à relier
l'historie de Roma à celle des Atrides» (p.277). E poiché anche Enea, attraverso Dardano,
IX
Una presentazione così suggestiva parrebbe far dimenticare la scarsità del
materiale pervenutoci a proposito di Accio
17
. Certo, l'opera della Dangel ha
meriti indiscussi (tra i quali mi preme sottolineare «la scelta di pubblicare
assieme tutti i frustuli della produzione acciana, non separando la personalità
del poeta tragico dal critico e dal filologo»
18
, come si è invece fatto quasi
costantemente in tutte le edizioni, tranne che in quella del Warmington) ma
anche difetti che la critica
19
non ha tardato a mettere in evidenza.
* * *
Ma veniamo al mio lavoro. L’idea di fondo è quella di riconsiderare dati
acciani già in nostro possesso o non ancora del tutto acquisiti, situandoli
all'interno di grossi quadri che contemplino un approccio metodologico ben
preciso. Ho cercato di seguire la traccia dell’interdisciplinarità, pur conscio di
quei rischi da cui C. Segre e M. Corti
20
mettono in guardia i giovani critici,
palesandoli con una felice metafora:
Corti - Tutte le branchie del sapere si sviluppano attraverso un sempre più vivo e fecondo
processo di interdisciplinarità, dovuto alla direzione scientifica scelta concordemente anche
dalle cosiddette scienze umane. Accade allora che, seppure i metodi si differenziano e
discende da Atlante, «l'exemple des Atrides, affiliés dans le théâtre accien à ce même ancêtre,
ne manque pas d'inquiéter» (p. 376).
17
Così L. Deschamps («REA» 99, 1997, p. 231): «Les superlatifs manquent pour exprimer
l'excellence de cet œuvre! Quelle somme énorme de travail! Que d'érudition! Que de minutie!
Que de précision! Quelle sûreté dans cette édition où les conjectures personnelles de J. Dangel
(trente cinq environ) emportent la plupart du temps l'adhésion! Quelle élégance et en même
temps quelle fidélité tant à l'esprit qu'à la lettre dans la traduction! Quelle science dans le
commentaire, quelle compétence en tous les domaines qui étaient à aborder, de la grammaire et
la linguistique à l'historie et à la civilisation en passant par la métrique à laquelle est accordée
une attention scrupuleuse et qui justifie souvent le choix entre les variantes, la mythologie, la
philosophie, l'idéologie, la littérature, et que sais-je encore! Quelle intuition fallait-il! Car il ne
reste désormais d'Accius que des fragments dont nul n'ignore combien ils sont plus difficiles à
étudier qu'un texte suivi avec contexte! ».
18
R. DEGL’INNOCENTI PIERINI, Accio tra filologia e poesia, «BStudLat» 25 (2), 1995, p. 571.
19
Delle recensioni e articoli sull'opera della Dangel si vedano: F. R. CHAUMARTIN, «RPh» 69,
1995, pp. 365-366; J. HELLERGOURC'H, «REL» 73, 1995, pp. 251-253; DEGL'INNOCENTI
PIERINI, Accio, cit., pp. 570-575; P.-J. DEHON, «AC» 65, 1996, pp. 318-319; S. TIMPANARO,
Una nuova edizione di Accio, «Paideia» 51, 1996, pp. 195-218; M. ROSELLINI, Fortuna e
sfortuna di Accio negli anni novanta, «RFIC» 124, 1996, pp. 110-126; P. HAMBLENNE,
«Scriptorium» 51, 1997; L. DI SALVO, Un nuovo testo di Accio: osservazioni e proposte, in
Serta antiqua et mediaevalia, 1, Roma 1997, pp. 31-66; C. SANTINI, «GIF» 49, 1997, pp. 317-
321; L. DESCHAMPS, «REA» 99, 1997, pp. 231-232; V. J. C. HUNINK, «Mnemosyne» 51, 1998,
p. 256.
20
M. CORTI – C. SEGRE (a cura di), I metodi della critica in Italia, Torino, 1970, p. 416.
X
specializzano, rivelano cioè una natura e consistenza autonoma, essi contemporaneamente si
protendono l'uno verso l'altro e non sono affatto alieni ad integrarsi reciprocamente. Il critico
moderno ci appare dunque introdotto in un laboratorio arredato da un ricco repertorio di
strumenti a sua disposizione […].
Segre - Aggiungerei che il laboratorio di cui parli è afflitto da un disordine sempre crescente, e
che agli strumenti si mescolano giochi da bambini, caleidoscopi e occhiali rotti. La critica
continua ad elaborare e assimilare metodi proprio nel momento di maggior confusione delle
attività letterarie: rischia insomma di diventare una macchina meravigliosa ma inutile, o di
costituire l'illusorio surrogato di un'inventiva che sembra isterilirsi nella sua sede appropriata,
quella artistica.
La mia tesi consta essenzialmente di tre momenti, inerenti, molto
schematicamente, al contesto in cui operò il nostro autore, alle forme
comunicative che adottò, ai destinatari e al Fortleben.
Nel primo capitolo, Accio poeta e cittadino, verrà analizzato il contesto e
soprattutto l'interazione tra questo e il poeta. Credo fermamente che ogni opera
si inscriva in quello che Gadamer definisce «orizzonte di attesa»
21
, senza
tuttavia esaurirsi nelle "ideologie" del tempo. Credo altresì nella capacità di
un'opera di sintetizzare la visione del mondo di un'epoca e, nello stesso tempo,
nel suo «potere di smascheramento e di proposta, verificabile attraverso
l'impatto dell'opera con la società e con la coscienza contemporanea»
22
. Non
ritengo ozioso ricercare il "senso" di un'opera - una volta superato il concetto di
"morale" dell'opera - in quanto la stesura di un testo è anche un'azione
pragmatica che si propone, oltre a vantaggi immediati, effetti nelle convinzioni
e nelle azioni del suo pubblico. Oggi si tende a considerare con un velato
scetticismo qualsiasi approccio letterario di tipo sociologico (forse a causa di
certa critica militante dalle oggettive implicazioni politiche sviluppatasi nei
decenni scorsi), al punto che, nel processo di analisi del testo, si registrano
notoriamente due direzioni antitetiche: «l'una tendenzialmente oggettiva e
descrittiva, cioè tesa ad illustrare l'opera per quello che è, come elaborato e
prodotto storico, individuabile attraverso i suoi aspetti e caratteri formali; l'altra
rivolta a collegare l'attività letteraria con le spinte e le motivazioni della prassi,
21
H. G. GADAMER, Wahrheit und Methode, Tübingen 1960 (trad. it. Verità e metodo, Milano,
1983).
22
C. SEGRE, Notizie dalla crisi. Dove va la critica letteraria?, Torino, 1983, p.13.
XI
persino a giudicarla sulla base di questo rapporto»
23
. Sono convinto che queste
due tendenze, se si attengono al loro campo specifico, possano convergere
verso un identico fine e che l'interpretazione sociologica di opere del passato
possa ambire alla stessa solidità dell'interpretazione stilistica o linguistica,
purché riesca ad annotare con destrezza i rapporti tra autori ed opere da una
parte, contesto sociale dall'altra, e purché tenga presente i limiti che si pongono
alle sue possibilità interpretative.
Nel secondo capitolo, Estetica teatrale, tratterò dello stile, della lingua e del
rapporto coi modelli, puntando, più che alla descrizione dei fenomeni, già
ampiamente e meritoriamente operata da illustri studiosi, ad una giustificazione
delle scelte in un’ottica comunicativa. Un aiuto, in proposito, viene dalla
semiologia, che può offrirci l'intelaiatura nella quale si possono sistemare gli
istituti letterari (generi, stili, linguaggi settoriali ecc.), in modo da costituire
«una precisa mediazione tra il prodotto artistico e la sua epoca da una parte, il
prodotto e i suoi fruitori dall'altra». Nel primo caso (mediazione prodotto-
epoca) la semiologia contribuisce a mettere in luce la «stimolante dialettica tra
le cristallizzazioni della storia culturale e la storia culturale nella sua continuità
produttiva»; cioè «da un lato i codici simbolici e stilistici tesi ad una propria
canonizzazione letteraria, dall'altro i messaggi dei singoli scrittori che
rinnovano dall'interno o mettono in crisi i codici stessi». Nel secondo caso
(mediazione prodotto-fruitori) piega all'utilità della critica i risultati raggiunti
nell'ambito della teoria della comunicazione: «l'opera si rivela inserita in un
circuito comunicativo, che ha da un capo l'autore, dall'altro il lettore, uniti tra
di loro dalla comunanza del codice espressivo»
24
. E’ chiaro che la
comunicazione artistica è diversa da quella quotidiana, soprattutto perché
«accantona, non appena è stato perfezionato il messaggio, sia la situazione sia
il mittente»
25
. Inoltre, il poeta lascia spesso qualcosa di inespresso perché
23
CORTI – SEGRE (a c. di), I metodi della critica, cit., p. 411.
24
CORTI – SEGRE (a c. di), I metodi della critica, cit., p. 414 s.
25
SEGRE, Notizie dalla crisi, cit., p. 13.
XII
fanno parte della strategia letteraria fenomeni di ambiguità, reticenza,
impossibilità o incapacità di comunicare certi contenuti, il che non impoverisce
il testo, anzi lo rende più pregnante; «si deve dunque integrare nella teoria della
comunicazione letteraria, anche quella della non-comunicazione letteraria,
voluta o no che sia la negazione»
26
. Parleremo dunque non di comunicazione
ma di prospettiva comunicativa in cui si confrontino continuamente dati
testuali ed extratestuali. Testo ed extratesto sono in continua dialettica e la
pienezza si raggiunge solo tramite la rispettiva compenetrazione.
Infine nel terzo capitolo, Stratigrafia di un giudizio, tenterò di analizzare il
Fortleben di Accio, non disdegnando i risultati raggiunti di recente dalla teoria
della ricezione
27
. Tale teoria consiste essenzialmente nel seguire i modi in cui
l'opera letteraria del passato è stata interpretata, assimilata, imitata. Sul piano
critico si tratta di ricostruire l'orizzonte di attesa nel quale l'opera viene di volta
in volta a trovarsi, e giustificare la valutazione che ne deriva. Ogni opera, sin
dal momento della sua nascita, risponde alle attese in misura più o meno
maggiore: quanto più queste sono violate, tanto più l'opera si propone come
innovatrice.
26
SEGRE, Notizie dalla crisi, cit. p. 14.
27
In particolare si rimanda a W. ISER, The Act of Reading. A Theory of Aesthetic Response,
Baltimore-London, 1978 (trad. it. L’atto della lettura. Una teoria della risposta estetica,
Bologna, 1987). Apprezzabili le sue posizioni di cautela rispetto alle recenti teorie reader
oriented: secondo Iser l’emittente lascia nell’opera una serie di «istruzioni» che riducono per il
ricevente il pericolo della misinterpretazione, pur ammettendo un’ampia gamma di possibili
significati.