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CAPITOLO I
SUL CONCETTO DI RITMO NELLA PROSA
1.Il ritmo secondo Émile Benveniste e Henri Meschonnic
Il ritmo è un termine dal significato polivalente e d‟accezione così vasta che
fin dall‟antichità la sua definizione è stata soggetta a diverse interpretazioni:
introdotto nel pensiero occidentale dalla filosofia ionica della natura di
Eraclito e Democrito nel V e IV secolo a. C, rhythmós in lingua greca
designava inizialmente «la forma nell‟attimo in cui è assunta da ciò che si
muove, è mobile, fluido, la forma di ciò che non ha consistenza organica»
1
.
Nella teoria platonica il ritmo ha poi assunto un‟accezione diversa:
associando il ritmo alla forma del movimento che il corpo umano compie
nella danza, Platone infatti lo concepiva non come improvvisato,
modificabile e momentaneo, ma come forma determinata da una “misura” e
soggetta ad un ordine.
Il ritmo, considerato una “disposizione” nel tempo di elementi riconoscibili
e significativi, era dunque «costituito da una sequenza ordinata di
movimenti lenti e rapidi, così come la melodia risulta dall‟alternanza
dell‟acuto e del grave»
2
.
Il significato della parola ritmo, quindi, sin dalla sua comparsa nel pensiero
occidentale, racchiudeva in sé due principi in contraddizione: da una parte
stava ad indicare il concetto del movimento fluido e improvvisato (poiché si
applica a fenomeni còlti nella loro mobilità, nel loro processo di
trasformazione continua), dall‟altra il concetto di movimento soggetto ad un
ordine (inteso come regolarità e ripetizione nell‟ordine di una successione
temporale).
Tale ambivalenza di significato tra ritmo come regolarità e ripetizione e
ritmo come pura fluenza è la caratteristica fondamentale che continua ad
1
É. Benveniste, La nozione di «ritmo» nella sua espressione linguistica, in Problemi di linguistica generale,
Milano, Il Saggiatore, 1971; trad. it. di Problèmes de linguistique générale, Paris, Gallimard, 1966, p. 396.
2
Ibidem, p. 398.
4
accompagnare l‟idea di ritmo nella sterminata letteratura critica esistente in
questo campo.
A voler citare due tra gli studi più importanti che prendono come punto di
partenza le concezioni di epoca preplatonica e platonica sull‟idea del ritmo,
non si può prescindere dal saggio di Émile Benveniste La nozione di
«ritmo» nella sua espressione linguistica, così come dalla Critique du
rythme, Anthropologie historique du langage di Henri Meschonnic.
Benveniste accoglie l‟idea di Platone per cui il ritmo è una forma soggetta
ad un ordine, un movimento che non risulta fluente e spontaneo, ma
regolato da una disposizione armonica di movimenti rapidi e predefiniti,
senza continuità.
Secondo una ricca serie di citazioni, Benveniste dimostra infatti che la
parola greca rhythmòs, associata nella filosofia ionica al movimento
regolare delle onde del mare, non deriva dal verbo rhéin perché «rhéin
indica lo scorrere, ma il mare non scorre, e il verbo rhéin non si trova mai
applicato al mare».
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La nozione di ritmo costruita da Meschonnic si fonda invece sulla
definizione del ritmo di epoca preplatonica, secondo la quale il ritmo è una
forma continua e plasmabile. Partendo da questa concezione, Meschonnic
osserva che il ritmo si contrappone al segno e allo stile che caratterizzano il
discorso, perché «il ritmo è il modo di pensare il continuo che il discontinuo
del segno non ha e lo stile è la nozione che il segno produce per mascherare
questa mancanza»
4
.
Il fatto che il ritmo non sia un segno dimostra quindi che non esistono
soltanto i segni a caratterizzare l‟universo del discorso, ma che anche le
azioni, le creazioni, le relazioni fra i corpi, il mostrato-nascosto
dell‟inconscio concorrano, creando ritmo, ad organizzare il senso.
Meschonnic introduce quindi il concetto di antisemiotica del ritmo,
osservando che il ritmo è «il movimento della parola attraverso il
linguaggio»
5
, proprio perché il linguaggio passa attraverso i segni di cui la
prosa e la poesia sono linguisticamente costituite. Affermando che non
esiste una semiotica del ritmo, Meschonnic fonda così una nuova poetica
3
E. Mattioli, Ritmo e traduzione, Modena, Mucchi Editore, 2001, p. 11.
4
H. Meschonnic, Critique du rythme, Anthropologie historique du langage, Lagrasse, Verdier, 1982, p. 72.
5
E.Mattioli, Ritmo e traduzione, cit., p. 16.
5
che «studierà la storia del soggetto e la vita della società nel seno del
linguaggio»
6
e che influenzerà gli studi sul ritmo anche in altri campi del
sapere umano.
Meschonnic indaga infatti anche come il ritmo agisce nel campo dell‟arte e,
riscontrando la consapevolezza del ritmo nella pittura di Pierre Soulages nel
saggio Le rythme et la lumière avec Pierre Soulages
7
, ha chiarito tale
nozione specificando che «il ritmo è l‟organizzazione di una forma e di una
forza di vita in forma di linguaggio, se questa organizzazione diventa
linguaggio, ed è l‟organizzazione di una forma e di una forza di vita
attraverso gli occhi o le mani, se questa organizzazione diventa una pittura o
una scultura»
8
. La rappresentazione pittorica, come l‟opera letteraria,
diventa quindi l‟unica maniera per fermare il movimento discontinuo e
irreversibile che, secondo la concezione ionica di Eraclito, è proprio del
ritmo.
L‟idea di ritmo, comprendendo aspetti differenti, è quindi adattabile e
utilizzabile in molti campi del sapere umano: nel corso dei secoli
musicologi, studiosi di estetica, critici letterari, linguisti e filologi hanno
infatti impiegato questa nozione con implicazioni concettuali diverse.
Il ritmo ha così assunto talora un significato strettamente musicale, e molti
critici letterari hanno parlato di musica o melodia per la prosa come per la
poesia; in altri campi è stato invece messo in risalto il valore antropologico
proprio di tale concetto: essendo presente in ogni gesto e movimento del
parlante, esso è sentito infatti come un modo di percepire il mondo grazie al
quale l‟individuo ricostruisce le proprie impressioni.
Il ritmo quindi, come «qualità che sta, che dimora connaturata nelle parole
pronunciate e che conferisce caratteri distintivi al discorso, in modo che
questo venga individualmente percepito e rammentato»
9
si troverebbe,
prima ancora che nei testi letterari, nei gesti e nei discorsi dei parlanti.
Infine, nonostante la poetica di Meschonnic dimostri che non esista una
semiotica del ritmo, e che per sua natura questo concetto non possa essere
assolutamente accostato al segno, anche nel campo della semiotica il ritmo
6
H. Meschonnic, Critique du rythme, Antropologie historique du langage, cit., p. 35.
7
H. Meschonnic, Le rythme e la lumière avec Pierre Soulages
, Paris, Editions Odile Jacob, 2000.
8
Ibidem, p. 171.
9
S. Colangelo , Come si legge una poesia, Roma, Carocci, 2003, pp. 18-19.
6
ha assunto specifici significati. Producendo una struttura dinamica
all‟interno di un testo, il ritmo costituisce infatti «un modo per ingenerare
aspettative nel lettore che dipendono dal riconoscimento di termini
percettivi basati su una competenza che si costruisce all‟interno del testo e
che cessa la sua funzione quando dal testo si esce»
10
.
Ma tutte queste accezioni, benché esatte, risultano essere soltanto parziali e
non danno una descrizione esauriente del concetto di ritmo; riuscire a
considerare e a racchiudere in una singola definizione tutte le diverse
sfaccettature che caratterizzano l‟universo del ritmo è infatti un‟impresa
alquanto ardua, se non addirittura impossibile.
In questa trattazione, ai fini dell‟analisi del racconto Casa d‟altri di Silvio
D‟Arzo, sarà presa in esame soltanto una delle possibili accezioni che il
ritmo può assumere: il ritmo come realizzazione del senso nel discorso
narrativo.
2. Il ritmo come realizzazione del senso nel discorso narrativo
Secondo alcuni orientamenti della linguistica, l‟universo nel quale si
produce il senso è il discorso, «un orizzonte di dialogicità, di continua
innovazione e di costruzione del nuovo a partire dal dato»
11
.
Nel discorso, infatti, il senso continua a rinnovarsi: quando si prende la
parola, per scrivere o per parlare, non si possono percorrere le vie del senso
già conosciute, ma si deve tentare piuttosto di percorrere sentieri inesplorati,
senza ripetere le caratteristiche del contesto in cui il senso si attua.
L‟unico modo per fissare il senso nuovo che di volta in volta si costruisce
nel discorso è la scrittura che, con i materiali che la lingua fornisce,
stabilisce dei tracciati ripetibili in cui il senso si può rinnovare e ricombinare
incessantemente.
La semantica, ovvero lo studio del farsi del senso, ha individuato due
identità proprie del discorso: un‟identità storica e una soggettiva. La prima
riconosce il fatto che «il discorso vive della storia e nella storia e nasce
10
D. Barbieri, Nel corso del testo. Una teoria della tensione e del ritmo, Milano, Bompiani, 2004, p. 38.
11
F. Frasnedi, Leggere per scrivere, Roma, Editori Riuniti, 1992, p. 27.
7
sempre in un qui ed ora, non esistendo se non nella storia»
12
. La seconda
identità fa invece riferimento al fatto che il discorso, essendo l‟iniziativa di
qualcuno, porta sempre le tracce di chi lo produce ed è legato intimamente
all‟individuo che dialoga con altri.
Queste due identità sono caratterizzate da ben precise marche linguistiche,
le quali, collaborando alla realizzazione del senso all‟interno del discorso,
costituiscono il suo ritmo.
Il ritmo, secondo questo punto di vista, non si identifica quindi con lo stile
di un discorso o di un testo letterario: esso, come ha spiegato Henri
Meschonnic, «ingloba la prosodia e [...] organizzando insieme la
significanza e la significazione del discorso, è l‟organizzazione stessa del
senso nel discorso»
13
.
Il senso che si fa nella trama del testo è quindi il portato finale del suo
ritmo: attraverso la fisionomia ritmica delle parole, che nelle movenze sottili
della sintassi costruiscono nuovi mondi di senso con l‟energia del proprio
esserci, si può provare a riconoscere il segreto di una scrittura.
Il lettore infatti avverte l‟efficacia della scrittura attraverso l‟impressione del
suo compimento, ma non può definire con chiarezza ciò che determina
questa efficacia e spiegare perché una scrittura “funziona” di più rispetto a
un'altra. Egli percepisce soltanto un‟architettura che sta dietro l‟energia che
regola l‟effetto che avverte nella scrittura, “una regia dell‟illusione” che dà
vita al senso del testo, e riconduce l‟effetto che produce la scrittura alla sua
compiutezza ritmica.
Nel ritmo quindi rientrano tutti gli effetti linguistici e espressivi della
scrittura, sicchè tutto quello che la riguarda, come il dosaggio dei suoni,
l‟intreccio degli effetti semantici e delle intonazioni, entra a far parte del
gioco delle cadenze ritmiche caratterizzanti la prosa.
In particolare, la componente fondamentale che articola ritmicamente il
testo è la sintassi che «attraverso la creazione di molecole, (o gruppi o
sintagmi) destinate a connettersi fra loro, ad allacciarsi in domini e ad
articolarsi in funzioni nell‟ambito del dominio di cui fanno parte»
14
,
12
Ibidem, p. 25.
13
H. Meschonnic, Critique du rythme, Anthropologie historique du langage, cit., pp. 216- 7.
14
F. Frasnedi, La voce e il senso in Phoné semantiké, numero monografico de «Il Verri», nn. 1-2, marzo-
giugno 1993, p. 55.