Introduzione In questo studio verranno analizzati e presentati i principali approcci metodologici utilizzati
per elaborare alcuni indici di sostenibilità della produzione e del consumo di rilevanza
internazionale.
Nel primo capitolo presenteremo l'evoluzione storica della disciplina, dal primo indice pubblicato
nel 1973 da Nordhaus e Tobin, fino alle più recenti evoluzioni. Il secondo capitolo sarà invece
dedicato all'analisi del Rapporto Stiglitz-Sen-Fitoussi, che costituisce una pietra miliare nell'analisi
critica degli indici di sostenibilità; infine, il terzo capitolo è interamente dedicato ad un'esperienza
italiana di rilievo, l'indice FEEM-SI curato dalla Fondazione Enrico Mattei (FEEM), di cui
metteremo in risalto i numerosi aspetti positivi, non mancando di sottolinearne eventuali limiti.
Una breve premessa storica e istituzionale L'evoluzione dello studio scientifico sulla sostenibilità della produzione e del consumo è l'oggetto di
questo studio. A tal fine, riteniamo che alcuni cenni storico-istituzionali possano risultare utili.
Quando W. Nordhaus e J. Tobin, nel 1973, pubblicarono “Is The Growth Obsolete?” certamente non
immaginavano che il filone di ricerca che stavano inaugurando sarebbe stato alle origini di un vasto
movimento scientifico e politico sul cambiamento climatico. Gli autori all'epoca erano più
concentrati sui problemi di carattere sociale, sui costi dell'urbanizzazione, sulla misura del
benessere reale offuscato dal sempreverde indicatore della produzione nazionale. All'epoca, si
cominciava appena a parlare di sfida ambientalista. Il petrolio, dopo aver subito il suo primo shock,
costava poco più che 40 dollari al barile.
Negli anni successivi il tema divenne via via di dominio pubblico e iniziò a interessare i governi e le
istituzioni. In particolare, a partire dagli anni '90 presero forma una serie di iniziative di carattere
internazionale volte a garantire all'Umanità un futuro all'insegna dello sviluppo sostenibile, della
lotta alla povertà e del rispetto per l'ambiente.
L'interesse istituzionale seguì in parallelo l'evoluzione della ricerca scientifica. Di quest'ultima,
delle sue evoluzioni e dei suoi limiti parleremo diffusamente nel corso dell'elaborato; forniamo a
margine di questa introduzione un quadro temporale sommario per ricordare al lettore il percorso
istituzionale compiuto in parallelo alla ricerca scientifica sulla sostenibilità.
Se quest'ultima nasce “ufficialmente” negli anni '70, per poter incontrare i primi veri appuntamenti
globali sul tema è necessario attendere quasi un ventennio. Nella seconda metà degli anni '80 le
Nazioni Unite si dedicano, grazie alla Commissione sull'Ambiente e lo Sviluppo, alla creazione di
una sensibilità internazionale sul tema, fase preparatoria che vede il proprio culmine nella
pubblicazione del famoso “Rapporto Burtland” (Our common future )
1
. Questo rapporto,
proponendo la prima definizione ufficiale di sviluppo sostenibile, contribuì in maniera sostanziale
alla creazione di un clima internazionale adatto ad affrontare il problema.
È nel 1992 infatti che si tiene la famosa Conferenza di Rio (United Nations Conference on
Environment and Development) che si occupò per la prima volta del problema dello sviluppo
sostenibile a livello internazionale.
La conferenza di Rio ebbe numerosi seguiti, sia sul versante ambientale dello sviluppo sostenibile
che su quello socio-economico. Alcuni importanti documenti vennero approvati, come il trattato
internazionale noto come Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici e
Agenda 21, che si occupa di definire gli obiettivi di sviluppo sostenibile per il ventunesimo secolo.
Alla ratificazione completa della Convenzione, avvenuta nel 1994, seguirono altri appuntamenti. In
primo luogo iniziarono immediatamente le Conferenze delle Parti, incontri periodici tra i Paesi
firmatari della Convenzione per implementarne i principi; l'incontro del 1997 a Kyoto portò
1
Brundtland, H.(1987) Our Common Future , Oxford University Press, Oxford.
5
all'approvazione del Protocollo di Kyoto sul riscaldamento globale. Nel 2000, sempre su iniziativa
delle Nazioni Unite, vennero approvati gli Obiettivi del Millennio, che oltre alla riduzione della
povertà, della fame e della mortalità poneva tra i propri obiettivi anche una crescita economica equa
e compatibile con la preservazione dell'ambiente. A distanza di 10 anni dalla conferenza di Rio si
tenne il Summit Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile ( World Summit on Sustainable Development )
di Johannesburg, e tra il 2004 e il 2009, anno del Summit di Copenhagen sul Cambiamento
Climatico, si tennero ben 4 incontri della Conferenza delle Parti; allo stesso tempo, istituzioni di
carattere più propriamente politico come l'Unione Europea hanno fatto propri gli obiettivi di
sviluppo sostenibile portati avanti dalle Nazioni Unite, battendosi nelle sedi internazionali quanto al
proprio interno per ottenere accordi vincolanti.
Motivazioni In questo primo triennio di studio e approfondimento universitario, grazie alla particolare posizione
interdisciplinare che caratterizza lo studente di Scienze Politiche, sono rimasto particolarmente
colpito da alcune grandi forze di cambiamento in atto. Se si limita l'osservazione anche solo al
campo economico o sociale, è difficile non notare le conseguenze nefaste che può avere
l'invecchiamento costante della popolazione in gran parte dell'Europa sulla tenuta del welfare state ,
e le probabili tensioni sociali che ne scaturiranno, e d'altra parte la pressione sulle risorse alimentari
derivata dalla crescita esponenziale della popolazione mondiale sta diventando incontenibile.
Ancora, il livello massiccio del debito pubblico di molti Paesi “ricchi”, considerato di concerto con
le grandi differenze tra i costi globali del lavoro e i conseguenti squilibri nelle bilance commerciali,
è prossimo a trasformare i più esposti tra gli stati debitori in incubatori del conflitto sociale. E quali
cambiamenti possono derivare dal previsto accesso di centinaia di milioni di persone al consumo di
massa, o l'esaurimento progressivo delle materie prime chiave per i nostri paradigmi di produzione
non è ancora dato immaginare. Il numero di questi elementi critici è talmente vasto che la sfida
ambientale non è che uno dei tanti elementi di preoccupazione del nostro tempo.
Non si sta proponendo una semplice lista dei problemi del mondo: molte grandi ingiustizie
persistono, ma restano ad un livello stazionario e il loro trend evolutivo, laddove crescente, non
sembra poter stravolgere le consolidate modalità del vivere contemporaneo. Invece ciascuno degli
elementi presentati (e senza dubbio molti altri non citati) ha raggiunto negli ultimi anni un livello
prossimo alla soglia critica oltre la quale le variabili da esso determinate possono potenzialmente
impazzire. Inoltre, non è la più o meno vasta ampiezza di ciascuno di questi squilibri quello che
stupisce lo studente di Scienze Politiche, quanto la loro concomitanza. Se uno squilibrio in uno di
questi settori può forse alterare un particolare aspetto o fase della nostra vita, la presenza
contemporanea di tutti questi fattori può indurre cambiamenti sostanziali. Infine, colpisce anche la
prossimità più o meno attesa nel manifestarsi delle conseguenze di questi squilibri. Se una società
può credibilmente adattarsi, evolvendo essa stessa, al progressivo mutamento (preso
individualmente) di ciascuno di questi fattori, appare meno probabile che resista senza traumi a
molte, profonde e forzate alterazioni nei suoi modi di essere e di vivere concentrate in un periodo
di tempo relativamente ristretto.
Questo studio nasce per rispondere ad alcuni quesiti. In particolare, mi sono chiesto se non si stia
per entrare in quella che definirei epoca di soglia, ovvero un periodo di tempo limitato dove la
concomitanza di un elevato numero di fattori di cambiamento determini una profonda variazione
nei modi di vivere di determinate popolazioni. In secondo luogo, ci domandiamo se sia possibile,
studiando la sostenibilità in tutte le sue forme, trarre conclusioni rispetto ai costi in termini di
coesione e conflitto sociale del vivere in un tale periodo di tempo.
Avendo animato e condotto lo studio universitario e l'approfondimento personale in questi anni, la
risposta a questi due quesiti accompagnerà lo svolgimento e l'analisi dei risultati di questa tesi.
6
CAPITOLO PRIMO CRESCITA SOSTENIBILE E CONTABILITA' NAZIONALE Analisi dei principali approcci presenti in letteratura 7
CAPITOLO I
1) Antefatti alle teorie della crescita sostenibile.
1.1) I limiti tradizionali imputati al PIL.
La ricerca macroeconomica volta a riconsiderare i modelli tradizionali di crescita al fine di
aggiornarli grazie a criteri che tendano conto della sua sostenibilità è (relativamente) recente. Solo
dagli anni '70 infatti, grazie all'apporto di W. Nordhaus e J. Tobin che approfondiremo a breve, si è
cominciato a ragionare in modo scientifico ed organizzato sulla limitata capacità dell'indicatore
tradizionale della produzione economica, il PIL, e dei suoi derivati, come il prodotto pro-capite, di
esprimere correttamente la sostenibilità intertemporale della produzione e del consumo di beni.
Chiaramente, il PIL (e i suoi derivati) misurano la produzione, non altri fattori. I limiti del PIL
davanti alla sfida della misura della sostenibilità sono quindi di duplice natura: esso non è uno
strumento adeguato a misurare la produzione effettivamente sostenibile da parte di un'economia, e
in oltre la misura della sostenibilità non può essere calcolata esclusivamente avendo come referenza
i fenomeni produttivi.
Il padre comune a tutti gli studi recenti sulla sostenibilità della produzione è in ogni caso John
Hicks, che grazie ad un'inconsueta capacità di anticipare i tempi elaborò nel 1946 il concetto di
“reddito di Hicks” 1
, ovvero la porzione di reddito che ciascuno può consumare senza pregiudicare le
sue capacità produttive future. La sua analisi portò alla creazione dell'indicatore Net National
Product (esaminato più avanti) che tiene conto della quantità di capitale che è necessario rinnovare
al fine di mantenere invariata la capacità produttiva 2
.
È importante notare che le critiche alla capacità del PIL di rendere conto della sostenibilità della
produzione non sono le sole rivolte all'indicatore in questione. Sebbene non sia scopo di questa tesi
portare avanti un'analisi approfondita di tutti i limiti del PIL e degli indicatori da esso derivati (ci
concentreremo esclusivamente sulla sostenibilità di consumi e produzione), resta tuttavia
interessante tracciare uno schema sommario delle altre critiche poiché proprio da esse sono partiti i
primi ricercatori che hanno approfondito la sostenibilità (prima sociale e poi ambientale) delle
economie moderne.
É chiaro, come sottolineato da J. Stiglitz, A. Sen J.P. Fitoussi, autori del R apport de la Commission
sur la mesure des performances économiques et du progrès social (le cui conclusioni saranno
oggetto del secondo capitolo di questa tesi) nella parte dedicata alle “ questions classiques relatives
au pib ” 3
, che:
1
Hicks, J.R. (1946). Value and Capital: An Inquiry into Some Fundamental Principles of Economic
Theory . Oxford: Clarendon Press. Pag. 172. crf. Massetti E. "Dal Prodotto Interno Lordo allo sviluppo
umano sostenibile," in E. Chiappero-Martinetti and S. Pareglio, Eds, Qualità della vita e sviluppo umano
sostenibile , Carocci, in stampa, pag. 5
2
Massetti E. "Dal Prodotto Interno Lordo allo sviluppo umano sostenibile," in E. Chiappero-Martinetti and
S. Pareglio, Eds, Qualità della vita e sviluppo umano sostenibile , Carocci, in stampa, pag. 5
3
Stiglitz, J., Fitoussi, J.P. And A. Sen, (2009) Rapport de la Commission sur la mesure des
performances economiques et du progrès social , Paris. p. 93. in tutto l'elaborato ci si riferisce all'edizione
francese 9
“é mettre de trop nombreuses hypotèses risque de saper l'utilité d'un indice, mais ignorer ces
eléments peut également compromettre leur pertinence” 4
Appare evidente che parte del successo e della diffusione del PIL come mezzo principale di
valutazione della produzione di un Paese deriva proprio dalla sua semplicità e dalla facilità con cui
può diventare uno strumento di comunicazione; Allo stesso tempo, tuttavia, la facilità con cui
(anche a causa della sua immediatezza comunicativa) si utilizza l'indicatore della produzione
nazionale come indicatore anche del benessere di un Paese ha portato numerosi autori a formulare
le seguenti precisazioni, riassunte nel primo capitolo della seconda parte del Rapport de la
Commission già citato, di cui riporto la sintesi 5
:
- Il PIL non tiene conto delle esternalità negative della produzione che, per ragioni d'ordine
sociale, istituzionale o produttivo non hanno un impatto sui prezzi relativi. È il caso dei danni
ambientali derivati dalla realizzazione di determinati beni, i quali non sono calcolati nel PIL ma
sicuramente hanno un impatto sulla qualità della vita delle persone.
- L'evoluzione dei prezzi (mediante i quali viene calcolato il PIL) nel tempo può talvolta non
tener conto dei miglioramenti qualitativi che sono avvenuti in beni e servizi, i quali possono
avere invece un grande impatto sul benessere delle popolazioni. È il caso per esempio di certi
servizi educativi o sanitari.
- Inoltre, in quei mercati in situazione di concorrenza imperfetta o tendenti al monopolio, gli
aumenti di prezzo (che hanno l'effetto di alzare il PIL) hanno come conseguenza una
diminuzione del surplus del consumatore, il cui benessere è in realtà diminuito.
- Infine,è necessario valutare il ruolo delle imputazioni. L'imputazione è il processo attraverso il
quale i sistemi di contabilità nazionale attribuiscono un valore monetario a beni e servizi che
non sono oggetto di scambi sui mercati, ma che di fatto hanno un ruolo nell'economia delle
nazioni contemporanee, e di conseguenza una loro omissione falserebbe le stime di benessere
economico di determinati Paesi. Alcune di queste imputazioni sono inserite nel calcolo del PIL,
mentre altre ne restano escluse; è chiaro però che una loro corretta valutazione è necessaria al
fine di stimare il livello di benessere delle popolazioni. Se da un lato affidarsi esclusivamente al
PIL (e ai suoi derivati, come il reddito pro-capite) può essere un'operazione rischiosa, in quanto
esso non tiene conto del valore dei servizi e dei beni non oggetto di transazioni e quindi tende a
sottostimare il reale livello di benessere, d'altra parte conferire il corretto valore economico a
quantità di beni e servizi non commerciati è un'operazione difficile che può scadere
nell'arbitrarietà, mettendo a repentaglio l'utilità effettiva delle imputazioni.
1.2) la misura della sostenibilità attraverso batterie di indicatori.
Gli elementi volti ad agire sul PIL sono stati sommariamente esposti nel precedente paragrafo;
vengono ora introdotti invece gli elementi tesi ad andare oltre la produzione/consumo di beni, a
lavorare dunque attorno al PIL. In questa direzione, i primi tentativi di misurare la sostenibilità
delle economie hanno luogo già nel decennio 1960-1970 e prendono la forma di vaste tabelle di
dati, contenenti decine di indici, presentate nel Rapporto Stiglitz-Sen-Fitoussi sotto il nome di
“batterie di indicatori”.
Ciascuna di queste batterie utilizza un principio in qualche modo inverso rispetto a quello del PIL.
Laddove esso è obbligato a conferire un valore monetario ad ogni bene o servizio preso in
considerazione al fine di renderlo omogeneo e poterlo addizionare, la logica della batteria di
indicatori è creare una lista di differenti indici, ognuno dei quali si occupa di della valutazione di un
4
Stiglitz, J., Fitoussi, J.P. And A. Sen, [2009. cfr nota 3], ibidem.
5
Stiglitz, J., Fitoussi, J.P. And A. Sen, [2009, crf nota 3] pp. 94-97
10
determinato aspetto della sostenibilità senza l'imperativo dell'omogeneità, poiché non v'è
l'ambizione di racchiudere tutti i valori in un unico indicatore, ma si preferisce mantenere distinti i
parametri.
Nel momento in cui apparvero, queste liste di indicatori si occupavano prevalentemente della
misura del progresso sociale, che all'epoca era considerato tema assai più sensibile e importante.
Solo in un secondo tempo, in particolare dopo il successo del summit delle Nazioni Unite di Rio de
Janeiro dedicato alla crescita sostenibile, si incominciò ad inserire nelle batterie di indicatori anche
indici legati alla sostenibilità ambientale dell'economia.
Sebbene quindi la svolta “sostenibile” di questi indicatori avvenga solo in un secondo tempo, è
importante prendere atto della loro esistenza già dagli anni '60 poiché costituiscono l'unico
importante tentativo scientifico di prendere in considerazione indicatori alternativi alla produzione
per valutare il benessere delle nazioni, e di conseguenza la loro esistenza è senza dubbio uno dei
fattori che ha contribuito allo sviluppo di vere e proprie teorie della crescita sostenibile.
2) Gli albori della ricerca : l'approccio di Nordhaus e Tobin 2.1) Il contesto Nel 1973 due economisti americani, William Nordhaus e James Tobin, pubblicarono una ricerca
destinata a fare storia. In un articolo dal titolo “ Is Growth Obsolete? ” 6
i due autori proposero
quell'indirizzo metodologico per la ricerca scientifica sulla sostenibilità della crescita che era
mancato fino ad allora. Da tempo infatti si parlava in termini più o meno generali della “crescita
sostenibile” e dei danni ambientali che un utilizzo sconsiderato delle risorse e dei fattori produttivi
poteva (o meno) causare all'ambiente e alle persone. In larga parte però coloro che si confrontavano
sull'argomento erano privi di supporto scientifico condiviso, rappresentando le avanguardie in
campo economico del confronto ideologico tra capitalismo e altri filoni di pensiero che caratterizzò
la seconda parte del ventesimo secolo.
“ Is Growth Obsolete? ” del 1973 rappresenta il primo rilevante punto di svolta rispetto all'i mpasse
che si era venuta a creare tra i contendenti. Per la prima volta si proponeva infatti una metodologia
per valutare la reale quota sostenibile della crescita e dei consumi (accontentando i più ragionevoli
tra i critici del capitalismo) senza scadere nella banale condanna generale degli stili di vita
occidentali. Sebbene dunque la critica e le elaborazioni successive abbiano messo in luce i limiti
dell'approccio proposto dai due americani, il loro contributo (che andiamo ora ad approfondire) è
diffusamente considerato come il passaggio fondante di una nuova area di ricerca scientifica 7
.
2.2) L'impianto teorico Il punto di partenza risente per ovvie ragioni dello spirito dei tempi. Introducendo la trattazione
riguardo il loro Measure of Economic Welfare (MEW ), scrivono i due autori:
“ A major question raised by critics of economic growth is whether we have be growing at
all in any meaningful sense. Gross National Product statistics cannot give the answers, for GNP is not a measure of economic welfare. [...] An obvious shortcoming of GNP is that is
an index of production, not consumption. The goal of economic activity, after all, is
consumption” 8
.
6
Nordhaus W. and Tobin J. (1973), “Is Growth Obsolete?” in: The Measurement of Economic and Social
Performance, Studies in Income and Wealth, National Bureau of Economic Research, vol.38.
7
Stiglitz, J., Fitoussi, J.P. And A. Sen [2009, crf nota 3] p. 264
8
Nordhaus W. and Tobin J. (1973), “Is Growth Obsolete?” in: The Measurement of Economic and Social
Performance, Studies in Income and Wealth, National Bureau of Economic Research, vol.38., p. 512
11
Per calcolare dunque la reale portata del benessere economico, è necessario avere come punto di
partenza un indice del consumo e non della produzione, come è il PIL. A partire da questa premessa
il contributo di Nordhaus e Tobin si sviluppa in una duplice direzione: la prima scompone e
ricompone le voci del PIL nel MEW, l'indice creato dai due autori per la misura del benessere
economico , la seconda che trasforma lo MEW in S-MEW, la versione sostenibile dello stesso indice.
Il primo passo in questa direzione consiste nel calcolare il MEW , ottenibile mediante una vasta re-
organizzazione delle voci della Contabilità Nazionale, aggiungendo o sottraendo voci a seconda
della contribuzione al benessere economico. Il MEW si configura dunque come un indicatore
dedotto dal PIL (del quale vengono considerate solo determinate voci) attraverso una serie di
aggiunte di segno positivo o negativo a seconda dei casi. Sono presenti 3 tipologie di modifica:
sottrazione del costo delle esternalità negative della produzione, l'esclusione delle spese strumentali
e intermedie e l'addizione di determinate voci non commerciali tradizionalmente escluse dalla
contabilità nazionale.
- Riclassificazione delle voci del PIL in tre categorie : - Consumo, Investimento, prodotti
intermedi ed esclusione di determinati capitoli di spesa.
La riclassificazione dei capitoli tradizionali della contabilità nazionale ha il fine di prendere in
considerazione e quindi “valorizzare” nella giusta misura il consumo di quei beni e servizi che
contribuiscono in maniera positiva o negativa al benessere economico della popolazione.
In primo luogo si è proceduto riclassificando le voci di spesa pubbliche e private che
contribuiscono in qualche misura al benessere economico in tre categorie: consumo e
investimento (che hanno le caratteristiche tradizionali) e prodotti intermedi 9
.
Le spese volte a rimpiazzare o sostituire il capitale fisico ed usurato costituiscono una voce
importante nella riclassificazione dei capitoli di spesa da “ final expenditures” a “ intermediate
expenditures .”
Riguardo al degrado del capitale fisico, il punto di riferimento è l'indicatore NNP (Net Nationl
Product)
Il concetto espresso da questo indicatore è che:
“ part of the output included in GNP will be used to repair and replace existing stock of
capital goods. This portion of output is classified as the capital consumption allowance. [...]
NNP tells us how much current income or production can be consumed consistent with the
maintenance of productive capacity or income potential 10
.”
Tuttavia, nel misurare il deterioramento del capitale fisico e la sostenibilità della produzione ,
l 'NNP presenta alcuni problemi. Per esempio, una parte dei beni durevoli viene infatti
considerata come investimento in capitale e conteggiata come output finale, mentre in realtà essi
costituiscono prodotti intermedi; l'approccio preferito dagli autori per calcolare il
deprezzamento del capitale è quindi quello di partire dai valori indicati dall' NNP , ai quali vanno
aggiunte successive imputazioni 11
.
Gli autori hanno poi proceduto definendo le “ i nstrumental expenditures” e riclassificandole
9
Per prodotti intermedi gli autori considerano tutti quei beni o servizi il cui contributo al benessere del
consumatore è già interamente preso in conto dal valore di altri beni o servizi. Affinché che il benessere
finale non sia sovrastimato, è necessario evitare un doppio conteggio di determinati beni. Nordhaus W.
and Tobin J. [1973, cfr nota 6] p 513
10
tewart K. (1974), “National Income Accounting and Economic Welfare: the concepts of GNP and MEW”
in Review, Federal Reserve Bank of Saint Louis, aprile 1974, p. 21
11
Nordhaus W. and Tobin J. [1973, cfr nota 6] p 514; table 1 p. 518
12
all'interno di quei beni intermedi il cui plusvalore è già contenuto in altri beni.
Essi intendono, con instrumental expenditures , “activites that are evidently not directly source
of utility themeself but are regrettably necessary inputs to activities that may yeld utility 12
.” Vi sono una serie di consumi che, sebbene necessari a mettere le persone nelle condizioni di
produrre e consumare beni che contribuiscono direttamente al benessere economico, non sono
essi stessi origine di tale benessere, e quindi devono essere esclusi dal calcolo del MEW . Fanno
parte di queste voci anche spese private (come il costo del tragitto per giungere sul luogo di
lavoro), e tuttavia sono principalmente le spese statali ad essere prese in considerazione qui.
Capitoli di spesa come i servizi di Difesa e polizia, i servizi sanitari e il mantenimento delle
strade sono esclusi dal conto perché hanno un ruolo puramente strumentale; il plusvalore da loro
prodotto in termini di benessere economico, come per il capitale di rimpiazzo, è già conteggiato
in altri beni finali.
- Imputazioni per il capitale detenuto, il valore delle attività non commerciali e del tempo libero.
Vi sono una serie di attività economiche che non sono prese in considerazione all'interno delle
voci della contabilità nazionale a causa del fatto che non sono oggetto di transazione tra soggetti
economici.
In primo luogo è necessario stimare il patrimonio detenuto da privati cittadini e dallo stato, che
è una quota importante della ricchezza; esso viene stimato e aggiunto al conto del benessere
economico.
Inoltre, come sottolineato dagli autori, in realtà il benessere economico può aumentare anche nel
caso in cui l' NNP diminuisca, come effetto della scelta volontaria delle persone di essere pagati
per lavorare un periodo inferiore.
In realtà, come è deducibile dalla tabella 1.2 riportata più avanti, le imputazioni costituiscono la
voce di maggior peso nel calcolo del MEW . In questo caso, l'ipotesi è la valorizzazione dell'ora
di tempo libero (o attività lavorativa non commerciale) attraverso il costo-opportunità di restare
a casa per dedicarsi a queste attività invece di percepire un salario da lavoro remunerato.
Inoltre, gli autori hanno elaborato tre differenti ipotesi (A B e C nella tabella) in cui determinano
l'impatto dell'inflazione e del progresso tecnologico sul valore del tempo libero e del lavoro
domestico. Gli autori considerano che l'opzione B, in cui il valore del tempo libero (che non
essendo un'attività produttiva, deve essere depurato dall'inflazione e dal cambiamento
tecnologico, che non possono alterane nel tempo il valore) è deflazionato attraverso il tasso
d'aumento dei salari, mentre il valore delle attività lavorative non commerciali è deflazionato
attraverso il deflattore del consumo, che tiene invece conto del progresso tecnologico in queste
attività.
- Imputazioni per il rapporto costi/benefici dell'urbanizzazione.
L'ultima serie di imputazioni riguarda le esternalità positive e negative dei processi di
urbanizzazione. É corretto -sostengono gli autori- affermare che senza l'occupazione di massa e
la rivoluzione residenziale, che ha portato milioni di persone a trasferirsi nelle città, sarebbero
venute a mancare le condizioni necessarie allo sfruttamento industriale del progresso
tecnologico. È anche vero però che parte dei guadagni supplementari che gli individui
percepiscono negli ambienti urbani rispetto agli ambienti rurali si configura in realtà come mero
“risarcimento” e compensazione per gli svantaggi della vita e del lavoro urbano.
Gli autori hanno quindi stimato i differenziali nel costo della vita tra aree a differenti densità
abitative, e sottratto la cifra ottenuta dal computo del MEW.
12
Nordhaus W. and Tobin J. [1973, cfr nota 6] p 515
13