Premessa
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PREMESSA
Il rapido sviluppo del contesto sociale, economico e finanziario
del nostro paese e soprattutto l’incremento della criminalità
economica, capace di penetrare nelle compagini societarie per
realizzare profitti illeciti,
1
hanno sollecitato interventi nella disciplina
penale societaria per una maggiore razionalizzazione di questo sistema
e per un adeguamento dello stesso ad una realtà economica sempre più
complessa e variegata.
L’attuale linea di tendenza può essere letta nella chiave del
recupero del ruolo di extrema ratio del diritto penale, chiamato ad
intervenire laddove altri strumenti non si rivelano sufficienti o
adeguati ad assicurare un’effettiva tutela.
2
Al contempo, non si può trascurare il necessario
contemperamento di due diverse esigenze: a fronte della contrazione
dell’intervento penalistico in materia, è sentita come inevitabile la
necessità di mantenere un sistema penale societario, fonte di garanzia
ed efficienza. In questa direzione vanno le ultime proposte di riforma
(progetto Mirone e progetto Castelli
3
) e gli interventi legislativi ( l. 3
1
Basti pensare alle nuove forme di criminalità economica (white collar crime) che si
manifestano in condotte illegali pervasive nel contesto imprenditoriale, professionale e
finanziario, da soggetti di ceto elevato con riferimento alla professione esercitata. La
definizione di white collar crime è da attribuirsi a E. H. SUTHERLAND, White collar
crime, New York, 1946
2
Così G. M. FLICK, Gli obiettivi della Commissione per la riforma del diritto societario,
in “Rivista societaria”, 2000, n. 1, p. 12, afferma che “un buon diritto penale
dell’economia è tale quando fa economia del diritto penale”
3
Sull’individuazione dell’esistenza o meno di differenze tra il progetto Mirone e il
progetto Castelli in merito alla parte penalistica vedi G. ROSSI – G. PECORELLA,
Italia, paradiso off shore?, in “Micromega”, 2001, 4, p. 190
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Premessa
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ottobre 2001, n. 366 e d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61), il cui obiettivo
principale è quello di modernizzare l’ordinamento giuridico con
regole chiare e adeguate all’evoluzione del sistema economico e
finanziario internazionale.
Ricordiamo infatti, che la riforma dei reati in materia societaria
era già all’ordine del giorno nel programma di governo della
precedente legislatura, che ha proposto il Progetto Mirone, quale
risultato dei lavori di una Commissione, istituita nel 1998 dall’allora
ministro di giustizia Flick, di concerto con il ministro del tesoro
Ciampi, incaricata di redigere, entro il marzo 1999, uno Schema di
disegno di legge delega per la riforma organica del diritto societario.
Il progetto preliminare elaborato da tale commissione mirava al
recupero di una più netta e circoscritta identità della fattispecie, “sia
per evitare eccessive e imprevedibili dilatazioni della figura, sia per
ridurre le oscillazioni interpretative” – ma pur sempre “nel segno di
una netta riaffermazione dell’esigenza di un’efficace tutela penalistica
dell’obbligo di un’informazione societaria veritiera e completa”.
4
Infatti, “non ci si poteva seriamente permettere di mantenere in
vita un apparato normativo composto da più di quaranta fattispecie
incriminatrici, delle quali un buon 90% risultava inutile, o comunque
inutilizzato da parte della prassi giurisprudenziale, con la conseguenza
che tutte le istanze di tutela via via emergenti, finivano per scaricarsi
sulla fattispecie delle false comunicazioni sociali, divenuta – a causa
della obiettiva ambiguità ed indeterminatezza della sua formulazione
4
Sono parole della Relazione illustrativa dello schema di disegno di legge delega per la
riforma del diritto societario (“Progetto Mirone”), in “Rivista delle società”, 2000, p. 1
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Premessa
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normativa – una sorta di baluardo mobile contro le più varie forme di
illegalità nella gestione societaria”.
5
Il progetto presentato alle Camere il 20 giugno 2000 come
disegno di legge delega per la riforma del diritto societario, delineava
– per la prima volta dopo sessant’anni di vita del codice civile – un
dettagliato ed organico programma di riformulazione, in chiave
sintetica e selettiva, dell’intera materia penale societaria, nel cui
quadro veniva affrontato – nella consapevolezza dell’estrema
delicatezza e dell’urgente necessità dell’intervento – il problema di
una ridefinizione legislativa della disciplina penale delle false
comunicazioni sociali.
6
Come chiariva la Relazione, mirava, dunque, ad una riscrittura
dei reati societari, la quale, senza poter giungere ad una radicale
modifica sistematica, provava ad introdurre elementi di significativa
novità, intervenendo nei punti in cui l’esperienza aveva mostrato
richiedere incisivi aggiustamenti. Le esigenze che muovevano la
riforma erano dunque quelle che la prassi e la riflessione teorica
avevano segnalato, convergendo entrambe, con intonazioni certo assai
diverse, a mostrare l’inadeguatezza del diritto penale nel fronteggiare i
fenomeni della patologia societaria.
Sulla base di queste premesse il progetto Mirone prevedeva la
generica comminatoria della pena della reclusione – poi divenuta,
nella versione definitiva presentata alla Camera come disegno di legge
5
L. FOFFANI, Rilievi critici in tema di riforma del diritto penale societario, in “Diritto
penale e processo”, 2001, n. 10, p. 1193
6
Disegno di legge n. 7123, presentato alla Camera dei deputati dal Ministro della
Giustizia Fassino, e recante il titolo Delega al Governo per la riforma del diritto
societario. Il testo del progetto può leggersi, corredato dal testo integrale della relazione,
in “Rivista delle società”, 2000, p. 14
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delega, la reclusione da uno a cinque anni, come nella cornice edittale
del vecchio art. 2621 n. 1 c.c. – per il delitto di “falsità in bilancio,
nelle relazioni o in altre comunicazioni sociali, consistente nel fatto
degli amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori, i quali,
nei bilanci, nelle relazioni o in altre comunicazioni sociali dirette ai
soci o al pubblico, intenzionalmente espongono false informazioni
sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società, o
del gruppo al quale appartiene, ovvero occultano informazioni sulla
situazione medesima, al fine di conseguire, per sé o per altri, un
ingiusto profitto”. Si prescriveva inoltre al legislatore delegato di
“precisare che la condotta deve essere idonea a trarre in inganno i
destinatari sulla predetta situazione” e di “estendere la punibilità al
caso in cui le informazioni riguardino beni posseduti o amministrati
dalla società per conto di terzi”.
Le novità più significative che caratterizzavano questa prima
tappa del processo riformatore – rispetto alla base di partenza offerta
dalla vecchia formulazione codicistica – possono essere sintetizzate
nei seguenti termini:
♦ rigorosa restrizione del concetto di “comunicazione
sociale”, attraverso la definizione tassativa delle categorie dei relativi
destinatari (soci e pubblico), così da escludere dal raggio di operatività
della fattispecie le contrastate ipotesi delle comunicazioni
interorganiche e delle comunicazioni a destinatario determinato;
♦ specificazione, sul piano oggettivo, della necessaria
attitudine ingannatoria delle informazioni false od occultate;
4
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♦ sostituzione, sul piano soggettivo, dell’avverbio
“fraudolentemente”, con una combinazione di dolo intenzionale
(“intenzionalmente espongono…ovvero occultano…”) e dolo
specifico (“al fine di conseguire, per sé o per altri, un ingiusto
profitto”), destinata a caratterizzare la condotta falsificatrice degli
amministratori e degli altri potenziali soggetti attivi del reato.
Dai lavori della commissione Mirone emergeva, però, la
difficoltà di trovare una chiave sicura per ritagliare, sul piano
oggettivo, i contorni della fattispecie incriminatrice, in termini più
precisi e tassativi rispetto alla originaria formulazione codicistica,
tanto è vero che il legislatore decideva, quale soluzione, di selezionare
i comportamenti punibili essenzialmente sul piano della qualità,
intensità e direzionalità del dolo, per compensare un’indubbia carenza
di tipizzazione oggettiva del fatto. Inoltre, nonostante fosse stato
espressamente proposto da una parte della commissione, nel testo del
progetto, non compariva l’inciso diretto a prescrivere al legislatore
delegato di precisare altresì che le informazioni dovevano essere
significative e tali da alterare sensibilmente la rappresentazione della
situazione stessa. Secondo i proponenti, l’introduzione della
precisazione avrebbe consentito, senza compromettere l’incisività
della norma, di meglio definire la fattispecie, escludendo che il reato
potesse configurarsi in relazione ad informazioni di secondario rilievo,
non idonee ad alterare in modo sostanziale la rappresentazione della
situazione della società; l’emendamento avrebbe evitato, inoltre, che
la fattispecie potesse prestarsi a perseguire comportamenti
riconducibili ad altre figure di reato. Su tale proposta la Commissione
5
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non aveva peraltro raggiunto un unanime consenso, per la
preoccupazione, di “un’eccessiva restrizione applicativa della
fattispecie”.
7
In definitiva con tale progetto si cercava un compromesso, un
punto di equilibrio fra istanze tecniche e politico - criminali, un
momento d’incontro tra le varie componenti della giustizia: la
componente politica, quella degli utenti, quella degli operatori, tra cui
la dottrina e la giurisprudenza, in vista di un’utile collaborazione.
Lo schema fu trasmesso in data 26 maggio 2000 in Parlamento
per l’iter di approvazione che però non giunse al termine prima della
fine della XIII legislatura.
Si può aggiungere che la parte penalistica del progetto Mirone,
fin dalle prime battute nella discussione entro la Commissione
Ministeriale, appariva consapevole di svariati limiti: primo fra tutti,
quello che l’ipotesi riformatrice si doveva, per forza, collocare
nell’ambito di un sistema penale esistente, caratterizzato da una
vecchiezza ormai insopportabile e da una diffusa irrazionalità, pari
alla sua scarsissima efficienza. Sotto altra prospettiva, costituiva un
grave limite della riforma societaria quello di essere completamente
sganciata da una riforma del diritto penale, nella parte generale e
speciale. Era necessario, infatti, che le due discipline venissero
pensate e progettate nella piena consapevolezza delle loro reciproche
interrelazioni. Non mancarono poi le critiche, e la maggior parte di
queste facevano leva su un presunto eccessivo arretramento delle
7
Relazione illustrativa, cit. , p. 75
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difese penalistiche, sul timore di un loro depotenziamento: un caso di
rifiuto del cambiamento.
Dinnanzi a questa realtà era importante ribadire
l’indispensabilità di una razionale riforma del diritto penale societario.
I lavori sono stati ripresi dalla successiva e attuale legislatura.
Ispirato da istanze di un forte ridimensionamento dell’intervento
penale in materia di informazione societaria, il governo, dopo aver
inizialmente riproposto il medesimo contenuto del progetto Mirone,
durante la discussione nella commissione Giustizia della Camera, ha
apportato una serie di emendamenti che hanno profondamente
trasformato il contenuto di quella che sarebbe poi divenuta la legge
delega per la riforma del diritto societario (l. 3 ottobre 2001, n. 366),
tanto da essere etichettata quale vera e propria “controriforma che
scalza quella che sul piano della teoria e della prassi era la pietra
d’angolo del diritto penale societario, al punto di mettere in forse la
stabilità e la legittimazione dell’intero edificio”
8
. Vengono, infatti,
inseriti “degli elementi tipizzanti, talvolta superflui e ridondanti e
spesso addirittura incompatibili con quelli già presenti, obbligando
l’interprete ad acrobatiche letture”.
9
Tanto che si è sottolineato, vi è “l’impressione di una figura di
reato costruita per corpi aggiunti e, come tale, non del tutto armonica
nel suo insieme”
10
. Tutto ciò si è detto, “non senza un vantaggio
pratico. Da un lato, si è potuto furbescamente iscrivere la riforma in
8
C. PEDRAZZI, In memoria del falso in bilancio, in “Rivista delle società”, 2001, p.
1370
9
C. CUPELLI, I nuovi reati di false comunicazioni sociali: mostra vel prodigia?, in
“Rivista di diritto dell’impresa”, 2003, p. 56
10
Da parte di F. GIUNTA, La riforma dei reati societari ai blocchi di partenza. Prima
lettura del d. lgs. 11 aprile 2002, n. 61, in “Studium iuris”, 2002, p. 701
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una logica di continuità; dall’altro lato, dato che sterilizzare è più
facile che generare, si è recuperato il cospicuo impianto tecnico del
progetto Mirone, curando però di neutralizzare il significato politico
criminale”.
11
L’indicazione definitiva rivolta al legislatore delegato è
divenuta così quella di prevedere come reato la “falsità in bilancio,
nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali previste dalla legge,
consistente nel fatto degli amministratori, direttori generali, sindaci e
liquidatori i quali, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre
comunicazioni sociali previste dalla legge dirette ai soci o al
pubblico, espongono fatti materiali non rispondenti al vero, ancorché
oggetto di valutazioni, idonei ad indurre in errore i destinatari sulla
situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del
gruppo al quale essa appartiene, con l’intenzione di ingannare i soci
o il pubblico, ovvero omettono con la stessa intenzione informazioni
sulla situazione medesima, la cui comunicazione è imposta dalla
legge”. A tale previsione il legislatore delegante ha affiancato una
serie di dettagliate prescrizioni: “precisare che la condotta posta in
essere deve essere rivolta a conseguire per sé o per altri un ingiusto
profitto; precisare altresì che le informazioni false od omesse devono
essere rilevanti e tali da alterare sensibilmente la rappresentazione
della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o
del gruppo al quale essa appartiene, anche attraverso la previsione di
soglie quantitative; estendere la punibilità al caso in cui le
informazioni riguardino beni posseduti o amministrati dalla società
11
Così C. E. PALIERO, Nasce il sistema delle soglie quantitative: pronto l’argine alle
incriminazioni, in “Guida al diritto”, 2002, n. 16, p. 37
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Premessa
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per conto di terzi; prevedere autonome figure di reato a seconda che
la condotta posta in essere abbia o non abbia cagionato un danno
patrimoniale ai soci o ai creditori, e di conseguenza: 1.1) quando la
condotta non abbia cagionato un danno patrimoniale ai soci o ai
creditori la pena dell’arresto fino a un anno e sei mesi; 1.2) quando la
condotta abbia cagionato un danno patrimoniale ai soci o ai
creditori; 1.2.1) la pena della reclusione da sei mesi a tre anni e la
procedibilità a querela nel caso di società non soggette alle
disposizioni della parte IV, titolo III, capo II, del testo unico delle
disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al
decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58; 1.2.2) la pena della
reclusione da uno a quattro anni e la procedibilità d’ufficio nel caso
di società soggetta alle disposizioni della parte IV, titolo III, capo II,
del citato testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n.
58; regolare i rapporti della fattispecie con i delitti tributari in
materia di dichiarazione; prevedere idonei parametri per i casi di
valutazioni estimative”.
12
E’ evidente come la legge delega (n. 366, 3 ottobre 2001),
attraverso le sue dettagliatissime indicazioni, abbia circoscritto al
massimo i margini di discrezionalità del legislatore delegato che
avrebbe dovuto adottare, entro l’anno, uno o più decreti legislativi
recanti la riforma delle società di capitali e cooperative, la disciplina
degli illeciti penali e amministrativi riguardanti le società
commerciali, nonché le nuove norme sulla procedura per la
definizione dei procedimenti nelle materie di cui all’art. 12 della
12
Testo finale della legge delega, reperibile in “Le Società”, 2001, n. 11, p. 1404
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Premessa
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delega. In attuazione di ciò, il Consiglio dei ministri ha
definitivamente approvato, con modificazioni, il decreto legislativo
delegato sulla riforma dei reati societari (d. lgs. 11 aprile 2002 n. 61,
recante la “disciplina degli illeciti penali e amministrativi riguardanti
le società commerciali, a norma dell’art. 11 della legge 3 ottobre 2001
n. 366”, G. U. 15 aprile 2002, n. 88).
13
Gran parte del lavoro preparatorio si deve alla commissione
Vietti, la cui cura principale, nel procedere alla razionalizzazione della
materia penale societaria, è stata quella di rispettare le dettagliatissime
linee guida approvate dal Parlamento.
14
Con la riforma dei reati societari realizzatasi nel primo anno
della XIV legislatura – segno evidente di una priorità ad essa attribuita
nell’agenda politica governativa e parlamentare – la fattispecie
incriminatrice delle false comunicazioni sociali è andata incontro ad
una profonda e radicale trasformazione: pressoché sconosciuto ai
repertori di giurisprudenza nei suoi primi quarant’anni di vita, il
delitto di “falso in bilancio” (secondo la riduttiva denominazione
ormai invalsa nella prassi) è venuto conquistando negli ultimi lustri
uno spazio applicativo sempre più di rilievo nel campo della
criminalità economica. Per tanti anni figura centrale e dominante del
vecchio diritto penale societario (e figura tra le più significative e
rilevanti dell’intera disciplina penale dell’economia, nella sua concreta
13
Vedi Appendice 2, p. 132
14
R. BRICCHETTI – L. PISTORELLI, Punibili solo le “notizie” verso il pubblico o i
soci, in “Guida al diritto”, 2002, n. 16, p. 46, in base ai quali deve ammettersi che la
traccia elaborata dal Parlamento si sia rilevata inidonea in alcuni passaggi fondamentali a
svolgere quella funzione di effettivo indirizzo che l’art. 76 Cost. affida alla legge delega,
attribuendo al Governo ambiti di discrezionalità non del tutto compatibili con la
disciplina costituzionale
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prassi applicativa), il falso in bilancio ha giocato un ruolo da assoluto
protagonista anche nel processo riformatore appena concluso,
polarizzando su di sé non solo la fantasia creativa dei compilatori
(legislatore delegante e delegato), ma anche l’attenzione della
pubblica opinione e dei mezzi di comunicazione di massa, e
scatenando infine una vera e propria ondata di commenti da parte
della dottrina.
Sul nuovo diritto penale societario, fin dalla discussione sulla
legge delega, sono state espresse molteplici opinioni con differenze di
impostazioni e di giudizi. L’unico tratto che poteva dirsi comune era
la pressoché unanime convinzione in merito alla necessità di una
riforma. Conclusione cui non è stato difficile giungere, né accedere: è
bastato solo, convenire sia sul fatto che la normativa esistente
presentava figure con insufficiente tasso di precisione nella
descrizione del precetto tale da favorire continue erosioni della
certezza nell’individuazione delle condotte penalisticamente rilevanti,
che sull’evidente vecchiezza del testo normativo aggravata dalla
stratificazione di interventi occasionali e disparati.
Alle ragioni di insoddisfazione della legislazione si sono
aggiunte le questioni poste da mutamenti impetuosi e colossali dei
soggetti economici, dalle modalità del loro agire e dalle ricadute sulla
massa dei cittadini.
Al fine di meglio delineare il contesto nel quale si collocano i
profili applicativi della nuova legge, richiamerò dapprima, sia pure
sinteticamente, le principali novità introdotte dalla nuova disciplina in
materia di false comunicazioni sociali, poi mi soffermerò, in
11
Premessa
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particolare sui rilievi critici mossi alle soglie di punibilità nonché sui
problemi interpretativi ai quali esse danno luogo, per poi giungere alla
trattazione di un’altra problematica interpretativa relativa alla
continuità o discontinuità normativa che si verificherebbe in
applicazione della nuova disciplina delle false comunicazioni sociali.
12
Capitolo I. Il nuovo “Falso in bilancio”
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CAPITOLO I.
IL NUOVO “FALSO IN BILANCIO”
CAPITOLO I. ........................................................................................................13
I.1 LA PREVIGENTE DISCIPLINA...............................................................13
I.2 I MUTAMENTI NORMATIVI ..................................................................18
I.2.1 Il rapporto tra contravvenzione e delitto ..............................................23
I.2.2 Il regime sanzionatorio.........................................................................33
I.2.3 I soggetti attivi......................................................................................38
I.2.4 Le comunicazioni tutelate.....................................................................40
I.2.5 La condotta tipica e il profilo soggettivo..............................................45
I.1 LA PREVIGENTE DISCIPLINA
Prima della riforma, l’art. 2621, comma 1, n. 1 c.c. prevedeva la
pena della reclusione da uno a cinque anni, più la multa da lire due
milioni a venti milioni, per “i promotori, i soci fondatori, gli
amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori, i quali nelle
relazioni, nei bilanci o in altre comunicazioni sociali fraudolentemente
esponevano fatti non rispondenti al vero sulla costituzione o sulle
condizioni economiche della società o nascondevano in tutto o in
parte fatti concernenti le condizioni medesime”.
Va detto che la fattispecie di cui all’art. 2621 c.c. , nella sua
indeterminatezza, creava ampi spazi di libertà giudiziaria che
andavano dall’individuazione dell’oggettività giuridica a quella
dell’elemento soggettivo, passando per la vaghezza della nozione di
13
Capitolo I. Il nuovo “Falso in bilancio”
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“comunicazioni sociali”, oltre che della ritenuta punibilità del c.d.
falso qualitativo e, questo faceva sì che il contenuto di tale norma
venisse ristretto od allargato, a seconda dell’esigenze repressive del
momento.
Con specifico riferimento al principio di determinatezza,
occorre evidenziare come la struttura cosiddetta “aperta” della
fattispecie in tema di false comunicazioni sociali se presentava il
vantaggio di una sua facile adattabilità ai mutamenti del quadro
normativo extrapenale, creava, all’opposto, rilevanti problemi sul
piano della tassatività del tipo criminoso. In sintesi, il sistema del
contrasto ai fatti di criminalità societaria si caratterizzava per una
complessiva inadeguatezza, oscillando tra un surplus e un deficit di
tutela.
Per quanto concerne il bene giuridico, l’interpretazione
giurisprudenziale aveva ricostruito il reato in chiave plurioffensiva: da
un lato, affermando che la norma incriminatrice era posta a tutela sia
di un interesse collettivo alla veridicità e alla completezza delle
comunicazioni sociali, che di interessi individuali di natura
patrimoniale, riconducibili alla società, ai soci e ai creditori; dall’altro,
rilevando come a integrare il reato fosse sufficiente, oltre alla lesione
dell’interesse collettivo, il mero pericolo di lesione di anche uno
soltanto degli anzidetti interessi patrimoniali. Con queste modalità, “la
plurioffensività configurava un’oggettività giuridica aperta e
fungibile, prestandosi ad essere intesa come giustificazione teorica a
posteriori di qualsiasi interpretazione estensiva della fattispecie”.
15
15
CUPELLI, I nuovi reati, cit. , p. 53
14
Capitolo I. Il nuovo “Falso in bilancio”
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L’allargamento dell’oggetto di tutela non riservava al bene
giuridico la funzione di limite all’interpretazione, ma bensì quella di
strumento propulsivo rispetto ad un continuo allargamento dell’ambito
di applicabilità.
La tecnica di tutela utilizzata era, secondo l’opinione della
giurisprudenza, quella della fattispecie c.d. a pericolo astratto o
presunto.
Tra i soggetti attivi del reato erano previsti anche i promotori e i
soci fondatori in considerazione del fatto che le comunicazioni sociali
incriminabili potevano avere ad oggetto fatti concernenti la
costituzione della società.
L’oggetto materiale del reato, ben specificato nel riferimento a
relazioni e a bilanci, si dilatava nella onnicomprensiva nozione di
“comunicazioni sociali”, delle quali la giurisprudenza forniva una
definizione non affatto limitata, ritenendo tali tutte quelle compiute, in
forma scritta od orale, dai soggetti qualificati della società
nell’esercizio delle funzioni ad essi attribuite, ricomprendendosi in
tale nozione non solo quelle meramente interne, ma ogni
comunicazione anche esterna, diretta ai soci, ai creditori, presenti e
futuri ed altresì tanto, comunicazioni dirette a destinatario unico,
quanto, quelle inviate alle autorità pubbliche di controllo, sino ad
includere le comunicazioni intra ed interorganiche, e, in generale,
quelle destinate ai terzi interessati. Si trattava dunque di “un’ampia
locuzione che, da un lato si era rivelata utile per sopire vacui dibattiti
come quello sull’applicabilità della disposizione incriminatrice al
bilancio consolidato di gruppo, ma che, dall’altro, si era rivelata fonte
15