1
I Capitolo
1.1 Problemi di definizione
«Quale voce ascoltare nella mitologia? Quale pensiero scoprirvi? È
forse un linguaggio, il primo linguaggio, quello dell’umanità ancora
balbettante? Candore dell’ignoranza o parola originaria? Canto della
terra o tragedia della natura? Il discorso di società primitive o
arcaiche su se stesse, o il fenomeno religioso superiore[…]?[…] Ed
esiste un pensiero mitico in cui tutte le forme della cultura sono per
così dire avvolte in qualche figura scaturita dal mito? E questo
pensiero, universale come lo steso spirito umano, è forse in grado di
produrre all’infinito sempre nuovi racconti[…]?È la terra natale in
cui il pensiero filosofico prende coscienza di sé man mano che
riesce ad astrarsene e a divenire concettuale, o esige piuttosto una
fede inconcussa? È selvaggio, colto, o entrambe le cose? Descrive il
soprannaturale? È fonte di legittimazione? È inconscio,
“obbligatorio”, fondamentale, sotto l’apparenza illusoria del piacere
che elargisce senza risparmio? Una ignoranza che mima la
profondità o un essenziale che si ignora?»
1
.
Dopo aver ricercato una definizione di mito tra le pagine di
innumerevoli testi appartenenti a diverse discipline, ho avuto la
sensazione che, ancor oggi, qualcosa di vagamente esoterico e misterioso
avvolga la parola mito, impedendo così di delinearne in modo limpido un
significato universale.
Mi appoggio allora alle parole di Mircea Eliade
2
, che così scrive nel
suo Mito e realtà :
1
M. Detienne, L’invenzione della mitologia, 1983 e 2000 Bollati Boringhieri editore,
Torino, pp.8-9.
2
Mircea Eliade, (Bucarest, 13 marzo 1907 –Chicago, 22 aprile 1986) è stato uno storico,
scrittore e antropologo rumeno. Uomo di cultura vastissima e di straordinaria
erudizione, grande viaggiatore, parlava e scriveva correntemente otto lingue: rumeno,
francese, tedesco, italiano, inglese, ebraico, persiano e sanscrito.
Eliade fu fenomenologo delle religioni, studioso ed espertissimo di yoga e di
sciamanesimo, filosofo e saggista.
Al centro del pensiero di Eliade c'è il concetto di mito come ierofania (apparizione /
rivelazione del sacro). Il mito è un atto di creazione dello spirito indipendente dalla
storia, ma che anzi fonda esso stesso la storia, e che nel corso della storia si ripete e
ritorna ciclicamente. La storia delle religioni è quindi storia delle ierofanie che si
ripetono nel tempo dell'uomo, riproponendovi l'alternanza sacro / profano (sia nel
tempo - con le feste - che nello spazio - con i "centri del mondo") e riattualizzando per
questa via i miti primordiali.
2
«Sarebbe difficile trovare una definizione del mito che possa essere
accettata da tutti gli studiosi e sia nello stesso tempo accessibile ai
non specialisti. D’altra parte, è possibile trovare una sola definizione
che possa includere tutti i tipi e tutte le funzioni dei miti, in tutte le
società arcaiche e tradizionali? Il mito è una realtà culturale
estremamente complessa, che può essere analizzata e interpretata in
prospettive molteplici e complementari »
3
.
Entriamo dunque in un terreno misterioso eppure denso di
significato, è un riportare alla luce un mondo, quello del mito, che parla
un linguaggio diverso dal nostro ma che, probabilmente rappresenta e dà
voce a un’umanità afflitta dalle stesse nostre ancestrali preoccupazioni,
junghianamente possiamo parlare di archetipi, idee innate e
predeterminate dell’inconscio umano che forse accomunano tutti gli
uomini da sempre.
Eliade afferma che, nelle società in cui il mito è cosa viva, « il mondo
parla all’uomo, e per comprendere questo linguaggio basta conoscere i
miti e decifrare i simboli.»
4
e così, ad esempio, attraverso i miti e i simboli
della luna l’uomo può cogliere la connessione tra nascita, morte e
risurrezione, sessualità, fertilità, vegetazione e così via. Certo la mia
intenzione non è di addentrarmi sulla valenza del simbolo all’interno del
discorso mito perché si aprirebbe una diatriba difficile da districare, basti
pensare a ciò che sostiene in Myth in Primitive Psychology (Londra,
1926) Malinowski
5
, uno studioso di prima linea che nega il carattere
3
M. Eliade, Mito e realtà,1974 Rusconi Editore, p.10
4
Ibidem, p. 161
5
Bronis ław Malinowski (Cracovia, 7 aprile 1884–New Haven 16 maggio 1942) è stato
un antropologo polacco, naturalizzato britannico, e considerato universalmente come
uno dei più importanti studiosi del ventesimo secolo. È celebre per la sua attività
pionieristica nel campo della ricerca etnografica, per gli studi sulla reciprocità e per le
acute analisi sugli usi e costumi delle popolazioni della Melanesia.
Malinowski è considerato il padre della moderna etnografia, di cui ha rivoluzionato la
metodologia e l'approccio pratico. È stato, insieme ad Alfred Radcliffe-Brown, il
maggiore esponente del funzionalismo britannico. Questa particolare scuola di pensiero
è caratterizzata da una particolare attenzione all’analisi dei fattori che contribuiscono al
mantenimento dell’equilibrio interno di una società, che appunto la teoria funzionalista
concepisce come un organismo al cui funzionamento contribuiscono le sue varie parti.
Questa visione del sistema sociale come una sorta di organismo vivente prevale
soprattutto in Radcliffe-Brown (che la riprese dalle tesi di Emile Durkheim, il padre del
funzionalismo in sociologia), il cui approccio è appunto definito antropologia sociale
3
simbolico del mito, constatando, giustamente, che esso esprime in
maniera primaria proprio ciò che in esso viene raccontato: un fatto dei
tempi primordiali. Il mito non sarebbe una spiegazione per soddisfare
una curiosità scientifica, bensì il rivivere, in forma di racconto, di una
realtà dei tempi primordiali.
Continuando con Eliade, bisogna considerare, come egli stesso ci
dice, che l’esistenza del mondo è dovuta a un atto di creazione che è
avvenuta agli inizi del tempo. «Ogni oggetto cosmico ha una sua “storia”.
Ciò vuol dire che è capace di “parlare” all’uomo. E poiché l’oggetto
“parla” di se stesso, in primo luogo della propria “origine” […], esso
diventa reale e significativo»
6
. In pratica si crea un filo che unisce
l’oggetto all’uomo, una sorta di compartecipazione che rende il mondo
intellegibile e trasparente. L’uomo è così in grado di decifrare il
linguaggio del mondo, mettendosi in connessione col mistero.
«La natura infatti svela e traveste nella stesso tempo il
“soprannaturale”, e in ciò consiste, per l’uomo arcaico, il mistero
fondamentale e irriducibile del mondo. I miti rivelano tutto ciò che
è accaduto, dalla cosmogonia fino alla fondazione delle istituzioni
socioculturali, ma queste rivelazioni non costituiscono una
“conoscenza” nel senso stretto del termine, non esauriscono
assolutamente il mistero delle realtà cosmiche e umane. E ciò
perché l’uomo, apprendendone il mito di origine, giunge a
padroneggiare diverse realtà cosmiche ma non a trasformarle in
“oggetti di conoscenza”[…]»
7
proprio per l’importanza centrale attribuita alla società. Diverso è l’approccio di
Malinowski, il quale pur mantenendo una visione funzionalista pone al centro dei studi
l’individuo e non la società.
Prima di Malinowski, gli studiosi di antropologia svolgevano lavori sul campo
esclusivamente tramite interviste strutturate, senza immergersi nella vita quotidiana dei
soggetti studiati. Malinowski ha definito i dettagli dell'osservazione partecipante,
enfatizzando l'importanza dei contatti quotidiani tra lo studioso e i propri informatori.
Al di là dei risultati ottenuti con la ricerca sul campo, e delle considerazioni
metodologiche su di essa, Malinowski ha espresso idee contrastanti con alcuni capisaldi
della psicanalisi Freudiana, come l'universalità del complesso di Edipo. Ne La vita
sessuale nella Melanesia Nord-Occidentale (1929), stimolato dalla lettura di Totem e
tabù dello stesso Freud, dimostrò concretamente l'estraneità dei modelli di società non-
occidentalizzati rispetto a tale teoria.
6
M. Eliade, op. cit., p.162
7
Ibidem, p.162-163
4
In un mondo così delineato l’uomo è dunque in grado di comunicare
con esso perché ne utilizza lo stesso linguaggio: il simbolo. Si attua una
vera e propria fusione, oggi per noi incomprensibile, tra l’uomo e il
mondo, se questo parla attraverso i suoi astri, le sue piante e i suoi
animali, i fiumi e le montagne, il primo gli risponde con i suoi sogni e la
sua vita immaginativa, con i suoi antenati e i suoi totem…
Per Eliade la funzione del mito consiste dunque nel rivelare dei
modelli e nel fornire un significato al mondo e all’esistenza umana. E
d’altra parte il suo ruolo nella costituzione dell’uomo è immenso, con
esso vengono alla luce le idee di realtà, valore e trascendenza.
«In virtù del mito, il mondo si lascia cogliere come cosmo
perfettamente articolato, intellegibile e significativo. Raccontando
come le cose sono state fatte, i miti svelano per chi e per cosa sono
state fatte e in quale circostanza. Tutte queste “rivelazioni”
impegnano più o meno direttamente l’uomo, perché costituiscono
una “storia sacra”»
8
.
Ho voluto partire colle parole di Eliade perché mi sembrano in grado
di farci calare, guidandoci, nell’atmosfera magica e velata del mito. Ma se
egli, in qualità di storico delle religioni, si riferisce alle società arcaiche,
vorrei ora richiamarmi al pensiero di Mario Untersteiner per vedere
come uno studioso classico si approccia al mito, in questo caso, greco.
Egli così esordisce magistralmente nel suo La fisiologia del mito:
«Pensiamo un istante a questo magnifico e mai più visto fenomeno,
cui si dà il nome di mitologia greca! Che cosa è dunque la mitologia
greca nel suo creativo sviluppo se non poesia?[…] chiniamo la
fronte all’arcano mistero che volle nella creazione e nella
moltiplicazione dei miti confuso l’individuale col collettivo;
chiniamo la fronte all’arcano mistero, per cui l’Epopea stessa di
Omero non riesce a distinguersi dalla voce di tutto il popolo, di tutti
gli inconsci uomini che rivestirono di mitiche forme smaglianti il
Cielo, La Terra, il Mare, diedero volti, e parole e palpiti agli inerti
oggetti della Natura. Per questo è lecito affermare che in Grecia
tutto il popolo fu in certo qual modo poeta[…]»
9
.
Anch’egli cercando di dare una risposta a che cosa si debba intendere
propriamente con la parola mito afferma che non è possibile fissarne i
8
Ibidem, p.165.
5
termini con una definizione, poiché non vi è accordo fra gli studiosi.
Untersteiner considera accettabile questa precisazione descrittiva:«Il mito
è un racconto religioso, i cui protagonisti sono dei, esseri divini ed eroi; le
loro azioni si svolgono nel più lontano passato: per gli Elleni, nell’età
anteriore all’invasione dorica»
10
.
Ecco che, attraverso questa definizione, il mito si presenta come una
parte della religione, e proprio questo punto di contatto, secondo il
nostro autore, crea difficoltà nel definire il concetto di mito. Il mito non
è propriamente religione perché si delinea attraverso la forma del
racconto che è un velo posto dai poeti sulla religione. Per Untersteiner in
origine mito e religione erano identici, la differenziazione si ebbe quando
i miti presero un fondo storico o quando assunsero un intento etico,
allegorico o eziologico.
11
Untersteiner, ripercorrendo il pensiero di Walter F. Otto e di seguito
di A. Brelich, pone l’eterna questione se il mito derivi dal culto o se il
rapporto tra i due sia invece più complesso, in tutti i casi non c’è culto
senza mito e non esiste mito genuino senza culto.
«Ogni mito, in quanto deve sostenere e giustificare una determinata
realtà, di cui l’uomo ha bisogno, è azione sacrale. Ma il rapporto fra
mito e culto non è così rigoroso. È difficile che un mito appartenga
specificamente in tutti i suoi dettagli a un dato culto»
12
.
Certo bisogna sottolineare la funzione gnoseologica del mito, esso dà
le risposte alle domande: che cosa? Perché? Di fronte al mistero che
avvolge il cosmo; naturalmente sono risposte non offerte dalla ragione
ma dalla fantasia che cerca di convertire ciò che risulta oscuro e
minaccioso in una visione accettabile per l’uomo. La concezione mitica è,
dunque, il primo stimolo all’impulso verso il sapere, è una forma poetica
9
M. Untersteiner, La fisiologia del mito,«La Nuova Italia» editrice,1969, p.1
10
Ibidem, p.2
11
Ibidem, p.3
12
Ibidem, p.4
6
del comprendere, consequenzialità e analisi logica gli sono del tutto
estranee.
A questo punto Untersteiner ci offre la definizione che ne ha data il
Brelich:
«Il mito è anzitutto un racconto… che ha determinati caratteri di
contenuto e di forma. Quanto al contenuto, il mito narra di eventi
che presenta come svoltisi in un tempo antico, anteriore
generalmente ai tempi di cui vive ancora il ricordo […] Spesso la
diversità dell’evento mitico dagli avvenimenti quotidiani consiste
[…] unicamente nel fatto che lo stesso evento, nel mito, si produce
per la prima volta, mentre nella realtà quotidiana esso avviene sul
modello o per imitazione di quel primo accadimento»
13
.
Posteriormente M. Eliade dà del mito la stessa definizione del Brelich
sostenendo, come abbiamo visto, che il mito racconti una storia sacra,
riferendosi a un avvenimento che ebbe luogo in un tempo primordiale.
In altre parole si può giungere ad affermare che il mito sia la
narrazione delle imprese di esseri soprannaturali, grazie alle quali è
venuta all’esistenza una realtà, sia essa l’intero cosmo o un frammento di
esso: un’isola, una specie vegetale, un’istituzione, un atteggiamento
umano… Il vivere i miti è dunque un’esperienza veramente religiosa, il
carattere sacro dell’essere mitico è intimamente connesso al carattere
sacro dell’origine.
Lo studioso classico G.S. Kirk ci dice, in La natura dei miti greci
(1980)
14
che l’etimologia di mito in sé non rivela molto: in greco, come
abbiamo già visto, mythos ha il senso preminente di «elocuzione», cosa
detta. Successivamente passò a significare qualcosa di detto in forma di
racconto, una storia. Questa accezione diede luogo ad altre più ristrette:
ad esempio Aristotele nella Poetica usa il termine mythos per indicare
l’intreccio di un dramma; in una diversa evoluzione semantica mythos
venne talvolta contrapposto a logos, di cui parlerò meglio più avanti.
13
A. Brelich, Eroi, pp. 25-27 passim
14
G.S.Kirk, La natura dei miti greci, Editori Laterza 1980, titolo dell’edizione originale
The Nature of Greek Myths, Penguin Books, Harmondsworth 1974,traduzione di Mario
Carpitella
7
Quest’ultima parola, che è uno degli elementi costitutivi di mythologia,
implica la valenza di «teoria», «enunciato analitico», da qui si originò il
senso esagerato di mito come «falsità», senso che, come vedremo nei
paragrafi successivi
15
, possiamo d’ora in poi dimenticare (con ciò non si
intende negare che i miti siano per lo più opere della fantasia piuttosto
che racconti di fatti). I mythoi vennero così a indicare, più che gli
«enunciati», le «storie» . I greci stessi con questo termine indicavano le
storie tradizionali degli dei e degli eroi, senza specificare riguardo alla
«falsità» o «verità» di quelle storie, ad alcune delle quali si attribuirono
importanti elementi di verità fino almeno all’età di Platone.
Naturalmente si deve puntualizzare che non tutte le storie sono miti: per
miti si intende comunemente, come abbiamo visto, storie tradizionali.
Anche in questo caso bisogna prestare attenzione perché non tutte le
storie tradizionali sono miti, ad esempio molte di esse si riferiscono a fatti
storici e a personaggi del passato che potevano assumere connotati mitici,
ma che non vengono classificate come miti. Del resto ciò non significa
che se ci troviamo di fronte a un racconto tradizionale non storico, esso
sia certamente un mito (ad esempio le favole animalesche sono racconti
tradizionali ma non sono miti)
16
.
Giungiamo quindi anche con Kirk a una definizione di mito che
possa aspirare a un senso universale:
« “I più” ritengono che i miti siano una specie particolare di
racconto tradizionale, e che le qualità che li rendono tali siano
quelle che li distinguono come profondi, fantasiosi, oltremondani,
universali o superiori alla natura umana»
17
.
Kirk dice che la conclusione a cui si arriva è che i miti «sono da una
parte storie ben riuscite, dall’altra veicoli di messaggi importanti circa la
15
Cfr. Supra, paragr. 1.3
16
rimando per un’analisi più dettagliata di quali storie tradizionali possano essere
considerate propriamente miti a G.S.Kirk, La natura dei miti greci, p. 15-22
17
G.S.Kirk, op.cit.,p.17
8
vita in generale e la vita nell’ambito della società in particolare»
18
. In
particolare in una cultura illetterata e profondamente tradizionale, i
racconti sono uno strumento importante di intrattenimento, di
comunicazione e istruzione. Ci fa notare poi come per noi, che viviamo
in un’età molto “letterata”, dominata dai «media» e dalla pubblicità, sia
difficile immaginare un’esistenza in cui le comunicazione di massa sono il
rituale e il racconto.
Dopo aver tentato di ritrovare in diversi autori una concezione di
mito affine, ritorno a sottolineare la problematicità di definire in maniera
univoca la parola mito attraverso quanto detto da F. Jesi
19
nel suo
inequivocabile Il mito.
Egli sostiene che il primo ostacolo che incontra lo studio moderno
del mito è la difficoltà di circoscrivere il suo ambito e il suo oggetto, e
questo perché la parola mito possiede oggi innumerevoli significati. Egli
dà di questa parola due alternative: o «un puro simbolo riposante in se
stesso»
20
, che fa riferimento unicamente a se stesso dove trova la propria
origine e realizzazione; o «un puro flatus vocis»
21
, che non rimanda a
nulla, nemmeno a se stesso, poiché esso è qualcosa che non è.
Tuttavia la realtà oggettiva con cui la parola mito può essere in
relazione, può consistere in un oggetto che possiede un’esistenza
autonoma da quella della parola stessa. E quindi, in questo caso lo studio
18
Ibidem, p.21
19
Furio Jesi, (Torino,1941–Genova,1980) è stato uno storico e archeologo italiano.
Dopo aver compiuto, giovanissimo, ricerche di archeologia e storia delle religioni
nell'ambito mediterraneo, pubblicando una serie di studi sul mondo dell'antico Egitto e
dell'antica Grecia, su temi mitologici e su talune forme dei culti misterici, si interessò
successivamente - in coincidenza con il radicalizzarsi del suo impegno politico intorno
al 1968 - in particolare alla sopravvivenza di miti nella cultura moderna e a problemi
antropologici, filosofici ed estetici.
Ha considerato come proprio maestro soprattutto il mitologo Karoly Kerényi, dal cui
umanesimo si è poi però distanziato. All'interesse per la "scienza del mito" e per il
funzionamento della "macchina mitologica" Jesi ha affiancato un'importante attività di
traduttore, di consulente per varie case editrici italiane e di studioso di germanistica.
Proprio alla cultura tedesca e in particolare ad autori come Rilke e Thomas Mann ha
dedicato alcuni dei suoi commenti più acuti.
20
F. Jesi, Il mito, ISEDI, 1973, p.12
9
dovrebbe rivolgersi sia verso la parola mito sia verso l’oggetto esistente e
autonomo da tale parola: oggetto che sarebbe il mito, ammesso per ipotesi
che esso esista.
1.2 “Equivocità del termine mito”
Siamo così giunti a dare un significato pressappoco universale, ma
soprattutto a carpire la complessità, l’ambiguità e l’offuscamento che
avvolgono l’espressione mito.
La parola greca μύθος nei poemi omerici possiede un incredibile
sciame di significati, è per antonomasia la “parola”, detta e ascoltata,
risuona di evocazioni, è foriera di ordinamenti e fonte di sagace
inventiva.
«Nella polisemia di μύθος si dispiega il gioco potente della “parola”,
che da una parte, genera coesione, dinamismo e conflitto sociale e,
dall’altra crea attorno a quel tessuto denso e contrastante di socialità
ulteriori scenari di azione, in cui si palesano, in forma di figure
fortemente tipizzate e gravide di simbolismo, eventi memorabili,
esperienze incancellabili per l’impronta assunta dalla storia di una
comunità»
22
.
Per rappresentare figurativamente la duttilità e l’essere multiforme
della parola mito paradigmatico è l’esempio offerto dalle storie di Pròteo,
narrate de Omero nell’Odissea (IV, 365 ss.) e riprese da Virgilio nelle
Georgiche (IV, 387 ss.).
Pròteo, divinità marina, pascolava le foche d’Anfitrite, moglie di
Poseidone e regina del mare; dimorava in un’isola vicina all’Egitto.
Menelao, reduce da Troia, lo sorprese addormentato e lo costrinse a dirgli
come avrebbe potuto tornare in patria. Questo dio marino aveva la
facoltà di assumere qualunque forma di animale, di fiamma o di vento o
di acqua.
21
Ibidem, p.12
22
G. Camuri, Enciclopedia filosofica, Bompiani, 2006, p.7492
10
Sprofondava nel sonno ogni volta che emergeva dalle acque,
simboleggiando la sconfitta che subiva la razionalità delle inesaudibili
domande umane che pretendevano di penetrare l’arcano. Pròteo non
rispondeva direttamente ad esse ma con il suo corpo, autoespressione del
mito, sprigionava una moltitudine di eventi narrativi, i quali, solo dopo
un’estenuante lotta interpretativa dell’uomo, rivelavano l’enigma di
profonde verità.
«La multiforme identità del vecchio abitatore di profondità marine
ben sintetizza la dimensione plurifunzionale della composizione
mitica, la cui narratività risponde all’esigenza ineludibile di mediare
simbolicamente esperienze radicali non altrimenti pensabili, che si
strutturano in relazione a situazioni di confine, a condizioni di
sfida, a passaggi enigmatici.»
23
Per aggiungere dati a quel senso di mistero e molteplicità che
appartiene al mito, forse introvabile, e che ha colpito tutti gli studiosi che
si sono avvicinati ad esso, ricorro all’immagine che ci riporta M. Detienne
alla fine del suo L’invenzione della mitologia. Si narra che a Siracusa,
Gerone , tiranno della città, avesse allestito un giardino magnifico, dove
amava recarsi per trattare i propri affari, un amabile rifugio dove si
poteva piacevolmente discutere, «all’ombra squisita dell’albero
dell’incenso, tra il mormorio delle acque e gli aromi confusi
dell’innocenza e della depravazione»
24
. Tale giardino aveva un nome
singolare: Mito.
Jesi, in Il mito, arriva addirittura a mettere in dubbio l’accessibilità e
persino l’essenza del mito che potrebbe contenere i miti stessi ma
potrebbe anche essere vuoto, egli utilizza l’immagine della macchina
mitologica
25
. La “scienza del mito” girerebbe intorno a un centro non
accessibile: il mito.
23
Ibidem, p.7493
24
M. Detienne, L’invenzione della mitologia, Bollati Borighieri, Torino 1983 e 2000.
(Titolo originale L’invention de la mythologie, 1981 Editions Gallimard, Paris) p.163
25
F. Jesi, op. cit., p. 105
11
Il problema è affermare o negare che il mito sia una sostanza
effettivamente localizzabile entro le pareti impenetrabili della macchina
mitologica, una sostanza conoscibile nel senso che di essa si possa dire:
“c’è”. Dunque non il prodotto della macchina mitologica vuota ma la
propagazione di un contenuto misterioso della macchina stessa.
Ma si crea un rischio alquanto dannoso: nel momento in cui la
macchina mitologica cessi di essere considerata un modello funzionale e
provvisorio, può trasformarsi in un “centro fascinatorio” e divenire un
«congegno pericoloso sul piano ideologico e politico, anziché soltanto un
modello gnoseologico provvisoriamente utile»
26
. Certo è che un modo per
affrontare il problema della “scienza del mito” o della “mitologia”, di cui
specificherò più avanti, consiste proprio nell’accettare l’esistenza della
sostanza-mito. Un’altra via, invece, sarebbe di scegliere come centro del
problema proprio l’opposto, ossia la dichiarazione dell’inesistenza di
quella sostanza.
Lo storico conclude Il Mito affermando che la sua volontà è di
indagare il funzionamento dei meccanismi della macchina mitologica più
che accertare l’esistenza o la non esistenza del suo presunto contenuto
enigmatico
27
.
Non c’è intenzione in questa ricerca di sondare maggiormente il
problema proposto dall’autore ma di mostrare l’ambiguità dei termini
della questione e di come sia problematico l’approccio all’essere o al non
essere del mito in sé e per sé.
26
Ibidem, p. 108
27
Ibidem, p. 105-109
12
1.3 “Storie vere e storie false”
È possibile dunque trovare il valore di un termine così ambiguo e
misterioso?
M. Eliade esordisce in Mito e realtà, dicendo che gli studiosi
occidentali hanno esaminato il mito in una diversa prospettiva rispetto a
quella del secolo XIX. Hanno parlato del mito non già come di “favola”,
“invenzione”, “finzione”, ma come di “storia vera” e preziosa, in quanto
sacra, esemplare e significativa. Proprio come viene inteso nelle società
arcaiche.
Tutto ciò, però, ci dà la dimensione dell’equivocità del termine mito
nel linguaggio corrente:
«Infatti, questa parola è usata oggi sia nel senso di “finzione” o di
“illusione”, sia nel senso, familiare soprattutto agli etnologi, ai
sociologi e agli storici delle religioni, di “tradizione sacra,
rivelazione primordiale, modello esemplare”»
28
.
Ed è proprio quest’ultima valenza che intendo rincorrere tra il
pensiero dei vari autori incontrati nel corso di questa ricerca.
Il mondo antico e cristiano ha rivestito il termine mito di differenti
significati. I Greci, che non possono non essere un punto di riferimento
per chi voglia avvicinarsi a questo argomento come vedremo meglio in
seguito, hanno svuotato progressivamente il mythos di ogni valore
religioso e metafisico. L’hanno opposto al logos e poi a historia,
assegnandogli il compito di indicare «tutto ciò che non può esistere
realmente».
Il mondo giudeo-cristiano riteneva «menzogna» e «Illusione» tutto
ciò che non era avvalorato e legittimato dalla Bibbia.
29
28
M. Eliade, op. cit., p.5
29
Ibidem, p.6