5
INTRODUZIONE
Duolsi il Lanzi di non esser ben nota finora la scuola siciliana, e sull‟autorità dell‟Hacker appoggia il suo
detto. Desidera egli che le notizie de‟ pittori siculi fossero raccolte e donate al pubblico. Possa il suo voto non
andar fallito, possa alcun valoroso siciliano accingersi alla difficile e nobile impresa! Nell‟oblio che chiude i
nomi di tanti valentuomini fra gli angusti limiti della Sicilia, i quali per nostro peccato e non natural cosa il
mare varcato non hanno, giacesi pure quello di Pietro Paolo Vasta pittore di Acireale, che per difetto di
biografi e d‟incisori de‟ suoi dipinti, non ha rinomanza oltre l‟isola
1
.
Queste parole, tratte dal brano del letterato acese dell‟Ottocento Lionardo Vigo,
valgono meglio di altre a introdurre il senso del mio lavoro, cioè, quello di fare conoscere
la figura e l‟opera del pittore di Acireale Pietro Paolo Vasta, supplendo, in parte, alla
lacuna di cui si duole il Lanzi e che purtroppo, a quasi due secoli dalla sua scomparsa,
non è stata del tutto riempita.
Mossa dal desiderio di tributare un omaggio al Vasta e di potergli dare la fama
finora negatagli, ho inteso approfondire sia gli aspetti relativi al contesto biografico, sia la
produzione stessa dell‟artista sotto il profilo eminentemente critico.
In questo lavoro ho cercato di assumere un criterio di obiettività che mi
consentisse di non enfatizzare le sue opere e il suo stile, bensì di metterne in luce le
peculiarità, come il carattere narrativo, l‟impaginazione, i colori brillanti e le
caratteristiche psicologiche che i volti dei suoi personaggi tradiscono.
Il presente contributo di ricerca si articola in un indagine ad ampio spettro sulle
fonti biografiche e sulla letteratura critica disponibile su Pietro Paolo Vasta, nel tentativo
di delineare un quadro quanto più esaustivo della sua opera e delle matrici culturali e
stilistiche a essa sottese, anche in considerazione delle notevoli lacune e discrasie
rinvenibili in gran parte delle fonti bibliografiche da me analizzate. Tale sforzo di
ricostruzione storica si propone di tracciare, infatti, la fisionomia di una delle personalità
più significative ed eclettiche del panorama artistico siciliano, inserendo la biografia
artistica dell‟autore (desunta nel dettaglio da una notevole quantità di dati notarili)
all‟interno di un disegno storico più organico e completo, tale cioè da contemperare i
dati relativi al contesto culturale nel quale l‟autore visse, agli ambienti di formazione e
1
L. VIGO, Memorie storiche di Pietro Paolo Vasta pittore di Acireale, Palermo, 1827.
6
alle fonti stilistiche che maggiormente contraddistinsero, o ispirarono, la sua feconda
produzione pittorica. Riservando una particolareggiata attenzione alle componenti
iconografiche relative alle tele, agli affreschi, ai ritratti e ai temi figurativi in essi
predominanti o ricorrenti, ho esteso la mia indagine a un approfondimento comparativo
sulla base delle fonti d‟archivio contenute nelle pinacoteche e nelle biblioteche locali.
L‟analisi si è altresì ancorata al corredo di rilievi critici sull‟opera e sulla vita del Vasta,
così come fornito da testi e manoscritti di indubbio valore storico, per lo più redatti da
figure di rilievo del panorama della critica d‟arte acese (in ordine al periodo storico
compreso tra l‟800 e il „900), quali Lionardo Vigo, Vincenzo Raciti Romeo, Mario
Blanco, Giuseppe Contarino e Citti Siracusano. In merito a questi testi da me consultati,
occorre segnalare le differenti prospettive interpretative sull‟autore, intrise ora di
apprezzamenti ed elogi, ora di eccessi trionfalistici volti a enfatizzarne oltre misura il
contributo artistico, nel tentativo di rivendicare una cultura locale per lungo tempo
deliberatamente sottovalutata o deprezzata sia in campo nazionale che internazionale.
Ho voluto inoltre arricchire l‟analisi delle fonti documentarie con una personale
lettura delle opere del Vasta, effettuata sia sotto un profilo squisitamente iconografico
(con relative osservazioni, notazioni e commenti sui caratteri stilistici e formali
emergenti), sia sulla rilevazione di documenti e opere inedite o prevalentemente
trascurate dalla critica contemporanea. È il caso, ad esempio, del quadro raffigurante
l‟Assunta tra angeli e serafini, recentemente acquisito come opera del Vasta dal catalogo
della Pinacoteca Zelantea in Acireale e conservato presso i medesimi locali, la cui analisi
dei tratti stilistici e delle componenti figurative mi ha permesso non soltanto di intuire
alcune analogie e affinità con un‟altra opera celebre dell‟artista acese, L’Immacolata
Concezione, ma di convalidarne successivamente (e per certi versi, inaspettatamente)
l‟assunto, sulla base delle informazioni contenute in un recente studio critico di Luisa
Paladino.
Le immagini che corredano il presente contributo di ricerca, contano inoltre di
alcune foto ritraenti produzioni ragguardevoli del repertorio pittorico del Vasta, alcune
delle quali peraltro sconosciute al grande pubblico (come nel caso della Cena in Emmaus,
7
che ho potuto direttamente fotografare dalla collezione privata di un‟estimatrice
catanese).
Nel conciliare l‟approfondimento biografico a una ricostruzione e a un‟analisi
dell‟opera non esente di apporti interpretativi, emerge che l‟architettura contenutistica su
cui si impernia l‟excursus storico-critico del mio lavoro tenta, in ultima analisi, di
mantenere aperta una certa tensione conoscitiva ed esplorativa sulla produzione artistica
di Pietro Paolo Vasta, che certamente merita di essere ulteriormente scandagliata,
soprattutto in ordine ad alcuni aspetti pressoché sconosciuti della vita culturale del
pittore siciliano. Mi riferisco in particolare a quel lungo periodo di permanenza
dell‟artista nella Capitale di cui – pur fornendo indicazioni storico-biografiche attendibili
(tra cui la collaborazione con il pittore e restauratore Carlo Roncalli, corroborata per di
più dagli studi di Katia Trovato) – non posso fare a meno di riscontrare la scarsità di dati
relativi all‟eventuale esistenza di opere dell‟autore, realizzate per committenti romani
dell‟epoca e magari conservate ancora oggi presso collezioni private.
Al di là di questi limiti, pressoché invalicabili sotto il profilo storico-documentario e
metodologico, ritengo di poter iscrivere questo mio contributo nel più ampio novero
degli studi tesi a valorizzare il patrimonio artistico siciliano evidenziandone, per quanto
possibile, i caratteri più originali e significativi.
8
PIETRO PAOLO VASTA
UN PITTORE DEL SETTECENTO SICILIANO
9
10
CAPITOLO I
la vita
11
I.1. IL CONTESTO STORICO ACESE
Mentre Acireale andava avvicinandosi al Settecento, due disastrosi eventi naturali
misero a dura prova le sue strutture di governo e la sua vita quotidiana. Infatti, nel 1669
una grande eruzione nel territorio sudorientale dell‟Etna distrusse una dozzina di borghi
posti in una zona di terreni particolarmente fertili, fino a lambire la città stessa.
Ma fu soprattutto il terribile terremoto dell‟11 gennaio 1693 l‟evento che, per la
gravità delle sue conseguenze, sconvolse buona parte della Sicilia orientale, provocando
anche ad Acireale circa ottocento morti e gravissimi danni all‟edilizia cittadina e alle
strutture di ogni genere.
La ripresa della vita quotidiana fu lenta e travagliata e la restaurazione dei danni
richiese decenni e l‟impiego di ingentissime risorse economiche. Però, come vedremo,
Acireale seppe reagire alla calamità con grande forza e coraggio. Ancora una volta,
infatti, la cittadinanza e le autorità locali diedero conferma di quello spirito di sacrificio e
di laboriosa iniziativa che, ad esempio, aveva aiutato la città a sopportare i disagi e il peso
della infeudazione baronale, in attesa di ottenere l‟agognato trasferimento al Regio
Demanio
2
.
Questo traguardo – sul quale vale la pena soffermarsi brevemente per le
conseguenze positive che produsse, anche a lungo termine, riverberando i propri effetti
fino all‟epoca che ci occupa – era stato finalmente raggiunto il 3 agosto 1531, dopo che
«per volontà ed esposizione personale dei singoli cittadini»
3
il territorio di Aci e il suo
2
Nel sistema feudale introdotto in Sicilia dai Normanni era prevista la concessione di ampi territori a vescovi, “milites”
(nobili) e baroni (città e “terre” feudali e baronali). Tale sistema era affiancato al regime delle città e terre demaniali, che
facevano cioè parte del Regio Demanio. Il passaggio dall‟uno all‟altro regime (in virtù del quale le “città” godevano di diritti
e privilegi differenti) veniva concesso dietro esborso di una somma di denaro, detta “donativo”. (L. GENUARDI, Il Comune
nel Medioevo in Sicilia, Palermo, 1921; M. GAUDIOSO, La questione demaniale in Catania e nei casali del Bosco Etneo – II vescovo-
barone, Catania, 1971; M.C. GRAVAGNO, Aci nei secoli XVI e XVII, Accademia di Scienze, Lettere e Belle Arti degli Zelanti
e dei Dafnici, Acireale, 1986).
3
G. GRAVAGNO, Storia di Aci, Acireale, 1992, pag. 61.
12
castello erano stati riscattati alla Corona a fronte di un “donativo” di 72.000 fiorini
4
.
L‟ingente somma era stata pagata soprattutto dalle classi medio-alte della città, le quali si
erano così apprestate ad aggiungere al proprio potere economico la possibilità di
ottenere la direzione politica, il controllo dell‟Università, delle magistrature e delle
istituzioni amministrative locali
5
.
La ricaduta positiva determinata dalla “svolta” tenacemente impressa dagli Acesi
alle sorti del proprio territorio aveva riguardato l‟intero quadro dell‟economia della città,
avendone ogni settore ricavato vantaggi più o meno consistenti, a cominciare
dall‟agricoltura. Questa aveva conosciuto il notevole sviluppo di alcune tipiche colture
locali (agrumi, vite, ulivo), soprattutto come conseguenza delle innovazioni strutturali in
materia di derivazione e conduzione delle acque irrigue, che permettevano di sfruttare al
meglio le sorgenti e i pozzi assai abbondanti nelle colline prossime alla città, indiscusso
fattore strategico dello sviluppo e della ricchezza del territorio.
Un vero pilastro portante dell‟economia acese fu costituito dalla coltura, molto
diffusa, del lino e della canapa, che si avvalsero delle cospicue risorse irrigue cui si è
appena accennato. Completavano questo quadro la coltivazione del cotone e
l‟allevamento del baco da seta, che furono a lungo molto remunerativi.
Non bisogna trascurare le attività legate alla vicinissima zona costiera (pesca,
cabotaggio di ogni tipo, depositi di merci in arrivo e in partenza) e le piccole imprese
artigiane, la cui consistenza numerica, economica e sociale può essere facilmente desunta
dall‟elenco degli iscritti ai vari “consolati”
6
.
Naturalmente l‟espansione economica di Aci aveva favorito anche l‟alta borghesia,
l‟aristocrazia e il clero (quest‟ultimo onnipresente ed economicamente potente ad Aci):
tutte classi sociali che sarebbero state pronte a investire i loro cospicui capitali
nell‟imponente programma della ricostruzione edilizia, sia pubblica che privata, nel quale
la città si impegnò a seguito, appunto, dei gravissimi eventi naturali che l‟avevano per
4
Ibidem.
5
S. CORRENTI, Storia di Sicilia come storia del popolo siciliano, Milano, 1973, pag. 120. L‟Autore ci precisa anche che il termine
medioevale “Università” indicava le ripartizioni amministrative del Regno).
6
G. GRAVAGNO, op. cit., pag. 272.
13
gran parte distrutta.
Queste erano le condizioni di Acireale alle soglie del Settecento, condizioni che,
per un favorevole concorso di fattori, permisero ai suoi abitanti di risolvere i gravi
problemi della ricostruzione urbana senza inficiare il buon andamento dell‟economia
cittadina. In tal modo, una piccola città di quindicimila abitanti avrebbe continuato a
essere un efficace modello di aggregazione pressoché inimitabile, almeno in ambito
siciliano. Al suo prestigio concorse infatti soprattutto quel rinnovamento urbanistico e
architettonico che tendeva ad adeguare Acireale ai maggiori centri dell‟Isola
7
.
Lo sforzo di ricostruzione, invero, sia per la committenza pubblica che quella privata […]
fu decisamente rilevante: il riassetto viario, il ripristino degli edifici, in parte o del tutto danneggiati,
la ricostruzione delle carceri, della Casa di Città, della monumentale Chiesa di San Sebastiano e di
centinaia di altri edifici, che sarebbe lungo elencare, danno la misura, oltre che dell‟onere finanziario
sostenuto, dell‟impegno, dell‟intelligenza e dell‟abilità di quanti operarono, con l‟ansia di creare il
meglio, per la grandiosa impresa della ricostruzione della città segnata dal rovinoso terremoto del
1693
8
.
Alla frenetica ricostruzione dell‟edilizia pubblica e privata si accompagnò il
ripristino del patrimonio edilizio ecclesiastico di Acireale a opera del clero, il quale
godeva di contributi e di agevolazioni di vario genere e, tutt‟altro che retrogrado e
oscurantista, contribuì all‟immagine di «una Chiesa che ha dato, pur nell‟intento di
perseguire finalità spirituali, un validissimo contributo allo sviluppo delle arti»
9
,
svincolandosi dall‟apparato politico-amministrativo cittadino e realizzando edifici di
grandi dimensioni e di grande livello artistico. Se a ciò aggiungiamo che Acireale contava
all‟epoca un patrimonio di circa quaranta chiese e di un buon numero di edifici religiosi
di altro genere (monasteri, conventi, reclusori etc.), ne risultano un quadro e
un‟atmosfera che sembrano congeniali, appunto, a quello sviluppo delle arti cui la Chiesa
acese contribuì e al quale abbiamo appena accennato.
Alla luce delle superiori considerazioni non stupisce certo che proprio la
ricostruzione, per la straordinaria vastità delle opere progettate e i tempi lunghi della loro
7
G. GRAVAGNO, op. cit., pagg. 280-281.
8
Ivi, pag. 281.
9
G. CONTARINO, Paolo Vasta e le sue tele, pag. 129, in G. CONTARINO, A. SCIACCA, A. SCACCIANOCE, C.
NICOLOSI, Omaggio a Paolo Vasta nel terzo centenario della nascita, Acireale, 1999.
14
realizzazione, costituisca il fatto storico che occupò la prima metà del secolo, essendo
riuscita a donare ad Acireale, sulle rovine del sisma del 1693, un nuovo aspetto
urbanistico che avrebbe colpito per la magnificenza degli edifici, volta a conferire a quelli
religiosi un aspetto di devota grandiosità e a quelli civili funzioni di rappresentanza,
elevandoli a concreti simboli di prestigio sociale. Costruzione di nuovi edifici, ripristino,
restauro, rifinimento e abbellimento del patrimonio esistente impegnarono in fervide
attività le maestranze locali e richiamarono altresì numerosi artisti venuti da fuori, in
particolare statuari, decoratori, argentieri, scultori.
«Ma colui che dominò incontrastato la scena artistica del tempo fu Pietro Paolo
Vasta, il quale per le non comuni doti unanimamente riconosciute, non lasciò spazio e
possibilità di concorrenza a pittori concittadini e forestieri»
10
.
Possiamo, dunque, affermare che fu proprio, e paradossalmente, “grazie” alla
ricostruzione imposta dal terribile sisma del 1693 che Pietro Paolo Vasta poté trovare –
ponendo fine, come vedremo, al proprio soggiorno romano – nella sua città natale le
condizioni ottimali per vivervi con la sua numerosa famiglia e, soprattutto, per diventarvi
un caposcuola nell‟ambito della pittura siciliana del Settecento.
Né si è mai interrotto, per la città e i suoi abitanti, il legame – strettissimo, quasi
una sovrapposizione – tra la figura e l‟opera dell‟artista e gli eventi della ricostruzione, se
così si è espresso, ad esempio, Alfonso Sciacca, in occasione delle celebrazioni per il
trecentenario della nascita del Vasta:
Nato quattro anni dopo la catastrofe del tremendo terremoto del 1693 […] [il Vasta] si diede ad offrire senza
limite alcuno la sua collaborazione ai concittadini impegnati nella difficile opera della ricostruzione della città
dalle macerie del sisma. Non credo che gli acesi sarebbero riusciti nel loro intento senza il prezioso contributo
del concittadino […]
Ecco, allora, la prima ragione per il trecentenario: celebrare, con il Vasta, la ricostruzione dopo il 1693
11
.
10
G. GRAVAGNO, op. cit., p. 281.
11
A. SCIACCA, 1697-1997: i trecento anni di Paolo Vasta, «Lògos», 3, 1995, pag. 18.
15
I.2. LA FANCIULLEZZA
I principali e più antichi biografi del Vasta sono i concittadini Lionardo Vigo
12
,
Candido Carpinato
13
e Mariano Leonardi
14
.
Appassionati cultori di storia patria, essi dedicarono al loro concittadino pagine
appassionate e ricche di calorosi apprezzamenti ed elogi, „costretti‟ forse a toni sovente
trionfalistici e campanilistici dall‟incuria e dalla disaffezione per la cosa pubblica e per la
propria terra che hanno tristemente caratterizzato per secoli la storia siciliana. I toni,
insomma, „naturalmente esagerati‟ della vox clamans in deserto.
Essi utilizzarono per lo più fonti orali (seppure il lavoro del Vigo sia sostenuto da una accurata e
scrupolosa ricerca presso gli archivi notarili e quello del Carpinato scaturisca da informazioni di
prima mano), talché nell’insieme il quadro della vita del Vasta che emerge appare
contraddistinto da più o meno aperte contraddizioni e divergenze. Per uno visse sin da fanciullo
sereno e agiato, mentre un altro lo indica perennemente in lotta contro avversità e ristrettezze;
uno è certo che ebbe a maestri questo e quel pittore acese e poi romano, un altro dinanzi al
quesito allarga impotente le braccia…
Per fortuna, tuttavia, disponiamo di una nutrita serie di fonti di archivio, atti
notarili, documenti ecclesiastici ecc. – portati alla luce nel corso del Novecento da alcuni
studiosi del Vasta, dei quali farò man mano menzione – che vale senz‟altro ad
assottigliare lo spazio nebuloso ovvero confliggente delle vicende vastesche ed epurarle
di quelle componenti romanzate ovvero „mitizzate‟ dalla memoria popolare, che a mio
avviso sono appunto responsabili di tali e tante discrepanze.
Dei punti fermi dunque li abbiamo. E tuttavia non possiamo certo prescindere tout
12
Lionardo Vigo (1799-1879), illustre poeta e letterato acese, scrisse le Memorie storiche di Pietro Paolo Vasta pittore di Acireale,
stampato a Palermo nel 1827.
13
Candido Carpinato (1700-1760), storico, autore di agiografie, drammi e biografie di uomini illustri e dei manoscritti Notizie
storiche di Acireale (1752) e Notizie sui pittori acesi (1758), custoditi presso la Biblioteca Zelantea di Acireale.
14
Mariano Leonardi (1707-1745), frate domenicano di vastissima cultura umanistica e scientifica, redasse, tra l‟altro, i
manoscritti Notizie sugli artisti di Aci e le Lettere varie.
16
court, a causa delle inesattezze e discrasie che esse contengono, dalle opere biografiche
dedicate al Vasta, per ragioni sin troppo ovvie.
Ci muoveremo, pertanto, lungo un excursus cronologico a tratti assodato, a tratti
ipotetico o ipotizzato, puntualizzando sempre la natura delle informazioni che riferiremo
alla luce, appunto, delle fonti e dei documenti a nostra disposizione.
Pietro Paolo nacque ad Acireale il 31 luglio del 1697
15
, da Michele e da Caterina
Pennisi, in una casa situata nel quartiere della Chiesa di San Rocco, di proprietà della
madre
16
, da genitori benestanti e legati agli ambienti religiosi, presso i quali contavano
numerosi parenti. Fra questi gli zii Benedetto e Bernardo, sacerdoti che rivestivano
incarichi di procuratori in chiese e conventi e si occupavano di pitture e di arredi nelle
maggiori celebrazioni cittadine
17
.
I Vasta erano comunque alquanto agiati e socialmente ben inseriti. Dediti per lo
più al commercio, alcuni di essi rivestivano anche cariche pubbliche. Lo zio Pietro Paolo
senior era tesoriere dell‟Università di Aci e allacciò vincoli di parentela con la ricca e
influente famiglia Riggio, circostanza che certamente non poté essere priva di effetti per
l‟intero parentado
18
.
15
Archivio della Cattedrale di Acireale (d‟ora innanzi A.C.A.), Registro Battesimi, vol. 10 (1687-1714), c. 393 r. L‟artista fu in
verità battezzato con i nomi di Pietro, Paolo, Ignazio, Venerando e Benedetto (cfr., a proposito, M. CORTEGIANI, S.
REITANO, F. SCIONTI, L. SORRENTINO, Una ricerca critico-biografica su Pietro Paolo Vasta, in “Zetesis”, 1, gennaio –
giugno 1987, pag. 154).
16
Archivio di Stato di Catania (d‟ora innanzi A.S.C.), notarile 1 versamento, notaio S. Gulli, Registro 1433, c. 367 r. e
seguenti: ...29 luglio 1690 «[...] domorum constituta in tribus stanzis con sua cisterna, cortile ante et largo a latere sito e
posito in questa predetta città e quartiere Chiesa San Rocco confinante con casa di Giuseppe Cavallaro, con casa di
Domenico Sciacca e con casa di Francesco Castorina et altri confini, tutta integra.»
17
A. GRASSO, L’uomo e l’artista, fra committenze e intemperanze, in L. CERVESATO, A. GRASSO, K. TROVATO, A.
VASTANO, Un artista del Settecento. Pietro Paolo Vasta, Palermo, 1999, pag. 29. Confronta inoltre Archivio Storico del
Comune di Acireale (d‟ora innanzi A.S.C.A.), Materie Diverse, vol. 133 (1760-66), c. 265 del 1699. Curare gli addobbi nelle
chiese è un incarico svolto da tutti i Vasta; nel tempo rileviamo infatti: «a Filippo Vasta per l‟esposizione del quarant‟ore
onza 1.15 il 15 – 4 – 1699» (Mandati 1698 – 99 c. 31 v.); «a Filippo Vasta per aver sistemato la Chiesa Maggiore e loggie
onze 14 il 26 – 7 – 1684» (Mandati 1683 – 84 c. 62 r.); «a Filippo Vasta per la festa della Santa il 26 – 7 – 1685» (Mandati
1684-85 c. 39 r. e v.); «a Benedetto Vasta per pitture per l‟esposizione del SS. Sacramento nella Collegiata Chiesa Maggiore
onza 1.24 il 20 – 3 – 1705» (Mandati 1704-10 c. 33 v.); ed ancora Mandati 1690-91 c. 66 r.; ibidem c. 74 v.; Mandati 1691-92
c. 34, vol. 1693 – 94 c. 8 v.; 1695 – 96 c. 59, 1696 – 97 c. 30 r., 1697 – 98 c. 57 r. (I documenti sono riportati da A.
GRASSO, op. cit., nota 1, pag. 54).
18
Ibidem.
17
Seppure Michele e Caterina avessero costituito un nucleo alquanto numeroso
(Pietro Paolo nacque quarto di cinque figli
19
), la loro famiglia doveva vivere
agiatamente
20
. Michele svolgeva l‟attività di commerciante, ma si occupava anche della
gestione delle proprietà della moglie, immobiliari e terriere, affittando le prime e
rivendendo i frutti delle seconde
21
.
E tuttavia, proprio la morte precoce di Michele, dopo un breve periodo di
malattia
22
; sconvolse le sorti e gli equilibri della famiglia: non è infatti difficile immaginare
quante e quali preoccupazioni dovettero affliggere Caterina, rimasta giovanissima vedova
e madre di cinque figli, due dei quali ancora in fasce, costretta a occuparsi della prole e
delle numerose attività provenienti dai lasciti del marito oltre che dei propri beni
23
.
Orfano di padre a nemmeno tre anni, Pietro Paolo visse in una casa gestita da
tutori e amministratori, alcuni dei quali estranei, dove non dovette trascorrere un‟infanzia
del tutto serena e spensierata
24
.
Caterina affidò i propri figli maschi alle cure del maestro di scuola sacerdote don
Giuseppe Grasso
25
, il quale verosimilmente avviò Pietro Paolo all‟amore per la letteratura
e le arti in generale, di cui ci parla Lionardo Vigo.
Secondo il letterato acese, infatti, il Vasta
Vivace nel conversare spruzzava di sali i suoi favellari, e aggradevole facevasi a chi l‟ascoltava. Le lettere
gli cresceano brio e maturità di giudizi; e appo gli altri benevolenza e stima. Conosceva i poeti, ed era anche egli
19
Nel 1691 era nato Rosario, che poi sarà sacerdote; nel 1693 Ignazio, che entrerà nell‟ordine dei Padri Cappuccini; nel 1695
Teresa, che prenderà i voti come suora terziaria dell‟ordine di San Benedetto; nel 1697 Pietro Paolo; e nel 1699 Anna Maria
(cfr. K. TROVATO, Notizie biografiche con regesti documentari, in L. CERVESATO, A. GRASSO, K. TROVATO, A.
VASTANO, Un artista del Settecento. Pietro Paolo Vasta, Palermo, 1999, pag. 5.
20
Dall‟inventario dei beni di Michele Vasta (A.S.C. Notarile I versamento, notaio D. Gambino, Minuta 14003, atto n. 60),
rileviamo che egli possedeva diversi fabbricati, terreni coltivati a frutteti, vigne e uliveti, oltre a un palmento, delle grossi
botti ecc. Alcuni di detti terreni erano «concessi a censo bullare» a terzi, dietro corrispettivo annuo (cfr. ivi, pagg. 17 – 20).
21
Ivi, p. 5.
22
A.C.A., Registro Defunti, vol. 42 (1678-1704), c. 5 r., del 27-1-1700, cit. ibidem.
23
A.S.C., Notarile 1 versamento, not. D. Gambino, Minuta 14003, atto n. 60, cit. ibidem.
24
A. GRASSO, op. cit., pag. 39.
25
A.S.C., Notarile 1 versamento, not. G. Marano. Minuta 7268, c. 331 e segg, cit. ivi, pag. 6.
18
poeta
26
.
Nella nota apposta dal Vigo in coda al brano appena citato, si legge inoltre: «Pochi
versi ne sopravanzano del Vasta: i suoi manoscritti ebbero il fato delle sue bozze
pittoriche. Dietro una carta custodita dal Cav. Greco e sparsa di puttini, di suo pugno si
legge la seguente ottava»
27
.
Riporto, a mia volta, il testo in vernacolo, condividendo il giudizio del Vigo,
secondo il quale «Invero non è questa un‟ottava bellissima; ma […] per la sua semplicità
e per la finezza del motto non è spregevole» e ritenendo che si tratti di una comunque
interessante „curiosità‟, che vale da sola, linguisticamente, ad accreditare quanto riferito
dal biografo del Vasta circa la sua familiarità con le lettere:
Cori crudili inclinatu a lu mali, [Cuore crudele incline al male]
Labirintu d‟affanni e di duluri; [Labirinto d‟affanni e di dolori]
Fora megghiu pri mia non sicutari [Sarebbe meglio per me non perseverare]
Pri cui mi duna basca tutti l‟uri. [Con chi mi cagiona continua sofferenza.]
Vasta, misiru tia chi speri fari? [Vasta, misero te, che speri fare?]
Si pazzu, e non t‟adduni di l‟erruri, [Sei pazzo e non t‟accorgi dell‟errore,]
Tu sai lu mottu, e s‟un lu sai lu ‟mpari; [Conosci il detto e, se non lo conosci, imparalo;]
Megghiu servu di mori ca d‟amuri
28
. [Meglio servo dei Mori che d‟Amore]
Assai controversa è, invece, la questione circa i maestri che insegnarono al Vasta
fanciullo l‟arte pittorica.
Ancora il Vigo sostiene che «Il di lui padre lo affidò a Giacinto Platania
29
onde
nella pittura educarlo», incorrendo – la sottolineatura è mia – in un palese anacronismo:
come abbiamo già visto, infatti, quando Michele morì Pietro Paolo aveva soltanto tre
anni!
26
L. VIGO, op. cit., pag. 580.
27
Ivi, nota n. 41, pag. 610.
28
Ibidem. (La traduzione è mia).
29
Artista del Seicento, indicato come l‟esponente maggiormente significativo della pittura acese pre-vastesca (cfr. C.
NICOLOSI, Introduzione a Omaggio a Paolo Vasta nel centenario della nascita, Accademia di Scienze Lettere e Belle Arti degli
Zelanti e dei Dafnici di Acireale, Acireale, 1999, pagg. 16 – 17).
19
Ma l‟affermazione del Vigo, seppure a lungo accolta da taluni storici
30
, contiene un
altro, fatale anacronismo: il Platania morì il 10 luglio del 1691, cioè sei anni prima della
nascita di Pietro Paolo
31
.
Il fatto è, comunque, che non possediamo notizie certe su questo importante
capitolo della biografia vastesca e che gli studiosi si muovono pertanto, al riguardo, nel
campo delle ipotesi.
A Katia Trovato
32
, ad esempio, «piace pensare», per esprimerci nei suoi stessi
termini, che il primo maestro di Pietro Paolo sia stato Baldassarre Grasso, pittore
«timido e discreto e dalla pittura semplice»
33
, in affari col nonno del Vasta e abitante
«forse» vicino alla casa dello stesso. Sicché la Trovato ipotizza che «Pietro Paolo ancora
bambino, dotato di un talento naturale, restasse affascinato da colori, pennelli, gessi,
disegni ed altro e frequentasse la bottega di Baldassarre»
34
.
La studiosa aggiunge un particolare a mio parere non trascurabile: la partenza del
Vasta per Roma coincide con la morte di Baldassarre, nel 1714
35
. Il che certamente
avvalora la sua congettura. Ma del viaggio del Vasta alla volta della Capitale torneremo a
occuparci tra poco.
Il Carpinato, che fu coevo e anzi personale amico di Pietro Paolo, vuole che egli si
sia formato presso i Filocamo
36
.
Invero, i due fratelli Antonio e Paolo Filocamo, pittori messinesi formatisi
37
alla
30
La riferisce, ad esempio, anche Vincenzo Raciti Romeo, che verosimilmente trae la notizia proprio dall‟opera del Vigo
(confronta V. RACITI ROMEO, Acireale e dintorni guida storico-monumentale, Acireale, 1897, pag. 75).
31
Cfr. C. NICOLOSI, op. cit., pagg. 16 – 17. Il Nicolosi indica l‟anno della morte del Platania nel 1962, ma ritengo si tratti di
un errore di stampa: infatti, egli sostiene che essa avvenne sei anni prima della nascita del Vasta (1697) e non cinque. Inoltre,
il 1691 viene indicato anche da Vincenzo Raciti Romeo, op. cit., pag. 72.
32
Op. cit., pag. 6.
33
P. PENNISI LEONARDI, Memorie su’ pittori acitani, ms. A69, fasc. XIV, Biblioteca Zelantea, Acireale, cit. ivi. Poche sono
le opere del Grasso rimaste in Acireale: alcune andarono distrutte con il terremoto del 1693; molte altre furono vendute
dagli esecutori testamentari del figlio di Baldassare, il clerico Michelangelo, deceduto giovanissimo; altre furono acquistate da
don Giuseppe Minorca (cfr. A.S.C., Notarile 1 versamento, not. S. Gulli, Registro 5929, c. 1 r. e segg.).
34
K. TROVATO, op. cit., pag. 6.
35
Ibidem.
36
C. CARPINATO, ms. cit., f. 120.
37
L. SARULLO, Dizionario degli artisti siciliani, Palermo, 1993, vol. II, pagg. 203 – 206.