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Introduzione
Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un aumento dei casi di devianza
minorile, che si è manifestata soprattutto con fenomeni di bullismo. Al
telegiornale, spesso, sentiamo notizie di adolescenti che commettono atti
devianti, il più delle volte in gruppo, nei confronti dei loro coetanei che sono
percepiti da loro diversi. Di casi, accaduti nel corso degli ultimi anni, se ne
possono citare diversi: a Gela nel 2006 due studenti dell‟istituto professionale
sono stati aggrediti e picchiati selvaggiamente da un gruppo di sei ragazzi
della stessa scuola, armati di spranghe di ferro; ancora più eclatante è stato il
caso accaduto in una scuola di Torino,sempre nel 2006, dove un ragazzo
down ha subito delle umiliazioni da alcuni ragazzi della stessa scuola che
hanno ripreso tutto, facendo poi circolare il video su internet; nella stessa
scuola, nel 2009, uno studente viene aggredito da due compagni coetanei che
lo marchiano a fuoco, causandogli un ustione di secondo grado; recentemente,
febbraio 2010, a Sofora un adolescente di tredici anni prende in giro un
compagno con problemi motori, fuori la scuola gli ruba il cappellino e lo
infastidisce, facendolo cadere violentemente sul marciapiede.
Ma non occorre andare così lontano nel tempo e nello spazio per trovarci di
fronte a certi comportamenti devianti, proprio Fabriano, una piccola realtà
provinciale nella quale risiedo, ne è uno scenario. Il protagonista di queste
vicende è un gruppo composto da una decina di ragazzi, sia immigrati che di
nazionalità italiana, frequentanti le scuole medie inferiori. Tra i vari
comportamenti devianti, due sono davvero clamorosi: il primo ha visto come
bersaglio un ragazzo indiano della stessa età, che ha subito maltrattamenti e
insulti; il secondo, risalente a pochi giorni fa, ha invece avuto come vittime
due bidelle e una professoressa di una delle scuole medie inferiori, le quali,
cercando di fermare questi ragazzi che, nel pomeriggio si erano introdotti
nella scuola, sono state lapidate riportando delle lesioni.
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È chiaro come ciò sia un evidente segno di un malfunzionamento della nostra
società che se pur ha raggiunto altissimi livelli nel campo tecnologico e
scientifico, non ha fatto lo stesso in ambito umano e sociale. La società del
ventunesimo secolo, in cui viviamo, ha tralasciato i valori su cui si basa una
società equa, come ad esempio il valore della fratellanza, della tolleranza,
dell‟amore per il prossimo, etc.; tutto ciò per privilegiare una cultura del
consumismo e dell‟apparire, secondo cui “avere” è più importante che
“essere”.
Siamo bombardati continuamente dai mass media, da pubblicità che ci
invitano e ci invogliano ad avere sempre di più. Ovviamente gli adolescenti,
ma anche i bambini, sono quelli che più ne risentono e che più ne sono colpiti.
Non avere l‟oggetto o il vestito che è di moda in quel periodo significa essere
diversi ed esclusi dal gruppo. L‟omologazione tra i ragazzi è cosa
fondamentale, per loro essere diversi significa non essere accettati, e questo li
può portare a compiere anche atti illeciti e immorali per ottenere
quell‟accessorio o quell‟oggetto di tendenza, se non possono permetterselo
economicamente. Alcuni si dedicano a piccoli furti, altri a spaccio di droghe e
tra le ragazze si sta diffondendo un tipo di prostituzione riservata ai compagni
di scuola e al gruppo di pari, addirittura si scambiano piccole prestazioni
sessuali per una ricarica del telefonino o, per una partita di droga. Sono
soprattutto ragazzi che assistono ad una disgregazione del loro nucleo
familiare o in condizione di grave miseria, anche se ultimamente sta
aumentando il numero di molti atteggiamenti antisociali prodotti da ragazzi
provenienti dalla società “bene”.
Il raggiungimento con ogni mezzo del possesso materiale è ciò a cui la società
invita, come strumento più agevole per l‟autorealizzazione, del
conseguimento del benessere e del senso di soddisfazione. Per citare Fromm,
domina nel mondo la modalità esistenziale dell‟avere, incentrata sulla brama
di possesso di oggetti e di potere, sull‟egoismo, lo spreco, l‟avidità e la
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violenza; opposta alla modalità dell‟essere, basata sull‟amore, la gioia di
condivisione, l‟attività autenticamente produttiva e creativa.
Il compito di educare i giovani rimane affidato principalmente alla famiglia;
secondariamente allo Stato e alle comunità in cui viviamo, scuola, enti locali,
organizzazioni civili e religiose, che costituiscono quel Sistema Educativo
Integrato dal quale non è possibile prescindere per la formazione integrale
della persona.
La famiglia, comunque, rappresenta un‟istituzione educativa primaria per lo
sviluppo e la formazione dell‟uomo; anche se superato il ventesimo secolo,
sembra essere attraversata da una profonda crisi. Le trasformazioni, che
attraversano la nostra società, condizionano necessariamente l‟evolversi
dell‟istituzione familiare con ripercussioni importanti sulle condizioni di vita
dei bambini e dei loro genitori. Lo sviluppo economico e sociale che stava
avvenendo da anni sembra essersi arrestato con la conseguenza dell‟aumento
dell‟inflazione e dell‟aumento della disoccupazione. Anche dal punto di vista
socio-demografico sono avvenuti profondi cambiamenti tra cui un
significativo calo delle nascite, l‟emergere del senso di precarietà, il
cambiamento del ruolo femminile nel lavoro e nella famiglia e una
diminuzione dei matrimoni tradizionali.
Le famiglie in questo contesto si trovano disorientate; la bassa natalità e la
media di un figlio per famiglia, ne sono la dimostrazione; anche perché il
ruolo genitoriale è vissuto sempre più nell‟isolamento sociale.
Di fronte a questo quadro non molto motivante, muovendoci nella prospettiva
dell‟educazione familiare, credo sia di fondamentale importanza un sostegno
alla genitorialità, partendo dal presupposto che la generatività non coincide
con la genitorialità e che tutte le famiglie, nel ciclo della loro vita, presentano
dei bisogni educativi specifici. È importante perciò che la coppia trovandosi a
ricoprire il ruolo genitoriale si possa confrontare con esperti e con altri
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genitori, acquisendo così competenze da utilizzare al meglio, ricordando però
che ogni rapporto è sempre caratterizzato dall‟unicità.
I genitori debbono essere supportati dal punto di vista educativo affinché lo
sviluppo dei loro figli sia il più positivo possibile, per il bene loro e dell‟intera
comunità; i bambini di oggi sono gli uomini di domani, perciò il futuro. Un
passo della poesia di Kalhil Gibran “Sui figli” recita rivolgendosi ai genitori:
“voi siete gli archi da cui i figli, come frecce vive, sono scoccate in avanti”;
questa metafora esprime magnificamente il senso di questo lavoro. Più l‟arco
sarà fermo e tirato, più la freccia avrà un lungo e diritto viaggio; se l‟arco sarà
tremolante e poco teso, il viaggio della freccia sarà breve e tortuoso.
Nello specifico del lavoro che presento nel primo capitolo, ho analizzato il
fenomeno della devianza, cercando di presentare le varie definizioni, per poi
scegliere quella che oggi meglio si adatta alla nostra società. Dalla ricerca,
infatti, è emerso che la devianza è sempre rapportata a un determinato
ordinamento sociale, in quanto la definizione più adeguata sembra quella che
la identifica con lo scostamento dalla norma, considerando sia la norma
giuridica, sia la norma etico-morale, sia la norma morale-individuale. Ho poi
ritenuto opportuno analizzare i diversi contributi che le varie discipline hanno
apportato alla spiegazione del fenomeno della devianza, per poi soffermarmi
sull‟aspetto pedagogico e i trattamenti che nel tempo la pedagogia ha
riservato alla devianza. Nella parte finale del capitolo ho focalizzato il
discorso sulla devianza minorile, ripercorrendo i miti dell‟infanzia presenti
nella storia della pedagogia, chiarendo poi la differenza tra disagio, devianza
e delinquenza, sottolineando che per arrivare alla devianza occorre prima
passare per il disagio mentre per arrivare alla delinquenza non si può non
attraversare prima il disagio e poi la devianza. Ho concluso questo capitolo
cominciando ad analizzare i possibili fattori di rischio della devianza,
mettendo in risalto il disadattamento familiare.
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Avendo individuato nella famiglia uno dei principali fattori di rischio della
devianza dei minori, nel secondo capitolo , ho proseguito la mia ricerca con
l‟analisi dell‟istituzione familiare, evidenziandone le più importanti
trasformazioni avvenute negli ultimi anni, il cambiamento delle sue funzioni
anche educative, per definirla un‟istituzione in evoluzione. Tra le varie
funzioni mi sono incentrata poi su quella educativa, presentando, la famiglia,
un carattere formativo della persona. A questo punto ho approfondito
l‟educazione implicita presente, consciamente o inconsciamente,
nell‟educazione che i genitori scelgono per i loro figli , e gli stili educativi da
evitare, quello autoritario e quello permissivo, e quello, invece, de prediligere,
quello autorevole. La teoria della resilenza, definita come la capacità di vivere
e svilupparsi positivamente in maniera socialmente accettabile, nonostante lo
stress e le avversità, o malgrado le condizioni difficili; risulta particolarmente
interessante se inserita nel contesto familiare. La famiglia resiliente è, infatti,
in grado di mettere in atto, attraverso una riorganizzazione delle relazioni, dei
ruoli e delle funzioni al suo interno, la capacità di far fronte alle situazioni
complesse e potenzialmente devastanti che la attraversano. Mi è sembrato
naturale concludere questo capitolo con la considerazione di un necessario
sostegno alla genitorialità, per un sereno sviluppo del bambino e della
famiglia stessa.
Nel terzo capitolo ho analizzato la situazione del territorio fabrianese, per
verificare se fossero presenti esperienze di sostegno alla genitorialità per poi
analizzarle. Ho potuto constatare che in questa realtà provinciale è presente
un‟associazione “Genitori in crescita” che si occupa già da molti anni di
promuovere l‟esperienza delle scuole per genitori. Inoltre è stata promossa
un‟attività di ricerca sulle famiglie del territorio, per cercare di comprendere
meglio i bisogni delle famiglie, per poter poi agire in modo più mirato alla
soddisfazione di questi e prevenire i fenomeni di disagio e di devianza, anche
attraverso la formazione dei genitori.
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I capitolo
“LA DEVIANZA MINORILE”
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1.1 Il concetto di devianza
La devianza, che spesso erroneamente viene equiparata alla delinquenza, è un
meccanismo comportamentale complesso da comprendere. Per dirigersi verso
una maggiore chiarezza è utile partire da un significato semplice del termine
devianza: prendiamo in esame il verbo “deviare”, questo richiama l‟idea di
deviazione, allontanamento e trasversalità rispetto a un luogo e a un agire
invece non devianti, vicini, non trasversali. Nel linguaggio comune lo si
utilizza soprattutto in riferimento a comportamenti che tendono a violare,
allontanandosene in tono oppositorio, a un insieme costituito di norme. Viene
definito devianza un “ comportamento che si discosta dalla norma, creando al
soggetto difficoltà di inserimento nell‟ambiente in cui vive o dal gruppo
dominante”
1
; deviante è infatti colui che “ non si adatta alle norme
comportamentali ed etiche dell‟ambiente in cui vive o del gruppo
dominante”
2
.
Il concetto di devianza nasce negli Stati Uniti per la necessità di definire e
comprendere in modo unitario quelle serie di fenomeni, prima analizzati
separatamente, che venivano indicati come i “problemi della società”. Il
termine devianza ha, almeno apparentemente, una connotazione di neutralità,
oggettività che i termini precedenti come anormale, immorale, cattivo ecc.
non avevano. Ha poi la caratteristica di coprire i fenomeni più vari e diversi,
associandoli sulla base non solo di definizioni che variano a seconda delle
teorie ma anche, nell‟uso comune, sulla base di ciò che ognuno considera
ovvio oppure “strano”. Perciò tradizionalmente il campo di studio della
devianza comprende non solo gli atti e i comportamenti repressi attivamente
dal sistema sociale, e che in generale si configurano come “crimini” o
“malattie mentali”, ma anche tutti quei comportamenti “diversi”, pure tra loro
eterogenei, quali certi stili di vita giovanili, l‟uso di droghe, ecc. Fino agli
anni ‟70 la tendenza era di interpretare tutti questi fenomeni privilegiandone
1
Cf. «devianza» in, N. Zingarelli (a cura di), Lo Zingarelli 2007 – vocabolario della lingua italiana, Zanichelli,
2
Cf. «deviante» in, N. Zingarelli (a cura di), Lo Zingarelli 2007…cit, p
14
l‟aspetto criminologico e patologico, poi ci si è orientati ad estendere anche a
questi aspetti l‟ottica della “diversità”, dell‟espressione dell‟alternatività
culturale.
3
1.1.1 Definizioni di devianza
Pitch distingue tre definizioni tipo di devianza
4
:
a) Devianza come anormalità statistica. Devianza è il comportamento che
diverge dalla media dei comportamenti standardizzati. Secondo questa
definizione dovrebbe essere possibile rilevare come sia deviante ogni atto
che si scosta da una normalità descritta come media dei comportamenti in
una certa società, quindi, la devianza non è più vista come semplice fatto
soggettivo, cioè, come una caratteristica del deviante. Questa definizione
però, trascura alcuni aspetti del fenomeno devianza, risultando poco
descrittiva: la devianza, infatti, non può essere interpretata solo come
eccezione statistica perché ha in sé una connotazione di “meno buono”,
“meno desiderabile”, di “pericoloso” e “nocivo”.
b) Devianza come violazione di norme normative. Devianza è il
comportamento che viola le norma regolative, le intenzioni o le attese dei
sistemi sociali ed è quindi connotato negativamente dalla maggioranza dei
membri di quei sistemi sociali. Devianza in questo senso è il non-rispetto
di norme considerate valide perché universalmente condivise oppure
perché accettate per imposizione di gruppi dominanti. Non esistono la
devianza e la non-devianza in sé, ma esistono atti conformi o non-
conformi alle norme. Questa definizione si differenzia dalla prima per
aver introdotto un termine di riferimento, che è la norma, ed un
atteggiamento valutativo. Delle due aggiunte, l‟una si riferisce ad una
rilevazione oggettiva, l‟altra chiama in causa una rilevazione soggettiva. Si
vuole intendere che non è deviante tutto il comportamento che si scosta
3
Cf. T. PITCH. La devianza, La Nuova Italia Editrice, Firenze 1977, pp.23-29
4
Ibidem
15
dalle norme, ma quello che è connotato negativamente, giudicato
pericoloso e nocivo. Il problema di questa definizione viene alla luce
quando si vuole determinare più specificatamente quali regole, perché, e a
quale tipo di sistema si riferiscono.
c) Devianza come mera attribuzione della qualifica di deviante. È la
definizione più ampia e la più diffusa delle tre, ma anche quella che ha più
di tutte un significato vago e incerto. “Ogni atto deviante importa la
violazione di regole sociali che disciplinano il comportamento dei
partecipanti in un sistema sociale. Esso consiste in una transazione
comportamentale in cui l‟attore viola i diritti della vittima quali sono
definiti dal sistema di aspettazioni sociali legittime di cui fa parte il
comportamento di ruolo della vittima stessa. La caratteristica principale di
un atto deviante è data dal fatto che esso non corrisponde al
comportamento che la vittima è portata ad aspettarsi dagli altri in base alla
propria posizione sociale”
5
. La deviazione, disfunzionale al sistema in cui
si verifica, in questo caso consisterebbe nell‟abbandono e nella
contestazione del proprio ruolo. Questa definizione, perciò, tiene conto
non dei comportamenti ma dei processi sociali per cui vengono dichiarati
devianti.
Le definizioni precedentemente esposte sono state criticate perché
conferiscono all‟atto o alla persona che agisce caratteristiche intrinsecamente
devianti, non tenendo conto dei processi per cui si arriva a definire un
comportamento deviante in una certa situazione. Secondo Erikson “la
devianza non è una proprietà inerente a qualche particolare forma di
comportamento; è una proprietà conferita a quel comportamento della gente
che viene a contatto diretto o indiretto con esso”
6
.
5
Cf. Cloward e Ohlin, in T. PITCH, La devianza,…cit, p. 29
6
T. PITCH. La devianza,…cit, p. 31