C APITOLO PRIMO La Reggia di Caserta: l'Appartamento settecentesco La pittura napoletana del Settecento: lineamenti generali Nella cultura figurativa della prima metà del XVIII secolo persistono, e anzi, vengono
ulteriormente sviluppati, i tratti caratteristici della espressività seicentesca, basati sulla
linea ondulata, sul violento contrasto tra luce e ombra, sulle superfici curve, ricche di
sporgenze e cavità, sulla luce come protagonista principale dell’opera. Si assiste
dunque al trionfo del rococò, termine che deriva dal francese rocaille , indicante una
particolare decorazione a conchiglia. Molti sono gli aspetti omogenei tra barocco e
rococò, soprattutto lo stesso atteggiamento di privilegiare una decorazione ridondante;
ma vi è una grande differenza: il diverso peso che la Chiesa ha sulla società del tempo.
Il Settecento è un secolo del tutto laico rispetto al precedente, ed anche l’arte riflette
questo suo aspetto, contrariamente a quanto avveniva in epoca barocca, quando la
ricchezza della decorazione doveva soddisfare le esigenze della corte papale.
Nella seconda metà del secolo, invece, si afferma con potenza la borghesia, che si
ribella all’aristocrazia largamente privilegiata. Ecco allora che in arte si rifiutano sia il
barocco che il rococò, proprio in quanto espressioni della corte assolutistica, e
vengono formulate teorie sull’arte come scienza del bello. Cominciano ad essere
recuperati i principi classici poiché rappresentano l’espressione di rigore morale,
purezza di forme e rifiuto di ogni decoratività superflua, che potessero liberare dalle
sregolatezze barocche 1
.
Mentre, quindi, in tutta Europa si va affermando il movimento neoclassico, a Napoli la
situazione è diversa. Qui infatti la figura di maggiore spicco nel panorama della cultura
figurativa napoletana fu Francesco Solimena, il cui linguaggio artistico condizionò
profondamente gli artisti del suo tempo.
Considerato uno degli artisti che meglio incarnarono la cultura tardo-barocca in Italia,
Solimena dopo una prima formazione presso la bottega del padre Angelo, resosi
1 E. Zanetti (a cur a di), Storia dell'arte: linguaggi e percorsi, Milano 1995, pp. 8-9.
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autonomo nello stile, cominciò a guardare con interesse alla pittura scenografica e
fantasiosa di Luca Giordano e a quella tenebrista di Mattia Preti. A tal proposito
Bernardo De Dominici, in un passo della sua opera sulle biografie degli artisti
napoletani, scriveva: «E' la maniera di Solimena fondata sul buon disegno del Cavalier
Lanfranco, e del Cavalier Calabrese, da cui più che da tutti ha osservato il
perfettissimo chiaroscuro, e nel bel colorito del gran Luca Giordano; e nelle belle idee,
e piegature de' panni ha osservato il celebre Carlo Maratta» 2
.
Le opere eseguite a partire dal 1680 mostrano un'adesione verso il gusto barocco
romano misto alla tradizione pittorica napoletana.
Dal primo decennio del Settecento Solimena ricercò uno stile pittorico nuovo, che
mirava alla nobilitazione della forma e ad un maggiore equilibrio compositivo; si
assiste a una vera e propria svolta arcadica. Questa ricerca culmina con la Cacciata di
Eliodoro dal tempio nella chiesa del Gesù Nuovo di Napoli. Negli anni 1734-1735 si
assiste invece ad un importante cambiamento nei modi di dipingere del maestro che si
avvicina di più ai suoi lavori giovanili; « il Solimena tornò a voltarsi ancora una volta e
si diede a risciogliere la secchezza di una formula che egli stesso aveva escogitato e
sostenuto per più di un trentennio, svolgendola in una nuova libertà di tocco e di
colore, intenzionalmente neo-barocca » 3
. Realizzò così molti dipinti destinati ai
Borbone come Carlo alla battaglia di Gaeta del 1734, Allegoria delle parti del mondo
del 1738, entrambi nel Palazzo Reale di Napoli e il Trionfo di Carlo di Borbone alla
battaglia di Velletri nel 1744 per la Reggia di Caserta.
Per la realizzazione di affreschi e tele, i suoi discepoli Francesco De Mura, Giuseppe
Bonito, Pietro Bardellino, Domenico Mondo, Fedele Fischetti, maestri di grande
tecnica e grazia decorativa, ma incapaci di comprendere le novità che si respiravano a
Roma, nell'ambiente antiquario di Winckelmann e Mengs, seguirono i suoi
insegnamenti 4
. Così la stessa produzione di chi, come il Bonito o soprattutto il De
Mura, seppe affermarsi con qualche autonomia dagli esempi dell'anziano Maestro, per
poi assumere il ruolo di convinto sostenitore dei valori distintivi della tradizione
2 B. De Dominici, V ite de' pittori, scultori ed architetti napoletani, non mai date alla luce da Autore alcuno.
Scritte da Bernardo De Dominici napoletano, vol. III, Napoli 1742-1745, p. 263.
3 F. Bologna, Le ar ti figurative, in Settecento Napoletano, Torino 1962, p. 60.
4 R. Cioffi, Al di là di Luigi Vanvitelli. Storia e storia dell'arte nella Reggia di Caserta, in Caserta. La storia,
Napoli 2000, p. 86.
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figurativa locale, difficilmente riuscì a sottrarsi alle conseguenze della lezione di
metodo critico e di prassi pittorica che Francesco Solimena aveva imposto a tutto
l'ambiente a partire almeno dalla metà del secondo decennio del Settecento 5
.
Certamente sia il Bonito che il De Mura svilupparono uno stile autonomo dal maestro;
il primo, dopo un'iniziale sperimentazione delle tarde soluzioni pittoricistiche e neo-
barocche del Solimena, passò ad un fiacco ed equivoco tentativo di contemperamento
delle esperienze passate con le diverse tendenze classicistiche del Conca, del Batoni o
addirittura del Mengs. Francesco de Mura, invece, inizialmente aderì agli esempi del
Solimena antibarocco e moderatamente razionalista del secondo e terzo decennio del
secolo. « La rigorosa fedeltà del De Mura alla formula del Solimena anti-barocco era
così chiara, che il Solimena stesso diceva: "vedi come fa bene Franceschiello; vedi
come mi ha saputo bene imitare anche nello svoltare il pennello nelle pieghe de' panni
come fo' io, cose che questi altri non hanno fatto ". E condusse tutto questo tanto
innanzi, per forza di consumata perizia e di pura didattica disegnativa, che alla fine
mise capo ad una cattedra nell'Accademia napoletana, fondata poco dopo, in epoca
carolina. Ma ci fu un momento in cui anche il De Mura seppe liberare la sua fecondia
in una lattea bellezza d'atmosfera » 6
, proponendo una formula pittorica, tra Arcadia e
Classicismo, fatta di levità roicalles e di misurate eleganze formali, di preziosità
cromatiche e di ragionato ordine compositivo.
La forza e l'importanza della tradizione secentesca e la mancanza tra gli allievi di
Solimena di personalità non solo di grande talento ma soprattutto di spessore culturale
anche filosofico, furono tra i principali motivi del ritardo con cui il neoclassicismo si
diffuse tra gli artisti napoletani. Wilhelm Tischbein ci ha lasciato scritto nelle sue
Memorie che al suo arrivo a Napoli trovò in Accademia un clima disastroso.
Gli allievi, senza nessuna guida (De Mura e Bonito, direttori precedenti, erano stati
troppo impegnati a dirigere i propri atelier, dove confezionavano opere certo meglio
retribuite rispetto a quanto percepivano come direttori dell'Accademia) continuavano
meccanicamente a fare schizzi “alla solimenesca” 7
.
5 N. Spinosa, Pittu ra napoletana del Settecento dal Rococò al Classicismo, Napoli 1993, p. 10.
6 F. Bologna 1962, op. cit., p. 76.
7 R. Cioffi, Dall'A rcadia di Solimena all'Accademia di Tischbein, in Roma il tempio del vero gusto: la pittura
del Settecento romano e la sua diffusione a Venezia e a Napoli, Atti del Convegno internazionale di studi
(Salerno- Ravello 26-27 giugno 1997), Firenze 2001, p. 301.
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Nuovi orientamenti stilistici ed esigenze della corte A partire dall'arrivo di Carlo di Borbone a Napoli (1734) fino agli ultimi anni del
Settecento, la Corte napoletana promosse numerosi interventi a favore delle arti,
impegnando la maggior parte delle risorse economiche nella costruzione delle nuove
residenze per i sovrani; pochi furono, però, gli incarichi affidati a pittori e scultori.
Agli scultori venivano assegnati, per lo più, incarichi ristretti all'arredo o alla
decorazione di parchi e giardini; ai pittori erano richiesti, dalla Corte e da vari
committenti dell'aristocrazia locale, interventi esclusivamente mirati alla decorazione,
caratterizzata da eleganza formale e una chiara evidenza compositiva, di volte e pareti
dei nuovi appartamenti reali o delle rinnovate residenze urbane o extraurbane con i
temi tradizionali e convenzionali della iconografia celebrativa e della illustrazione
allegorica delle virtù regie, dei meriti del principe o del sovrano. Esigenze di chiara
esaltazione dei valori dinastici, che nei primi anni del regno del giovane Carlo si erano
concretizzate a vantaggio dei maggiori esponenti della tradizione pittorica locale, dal
Solimena al De Mura, da Nicola Maria Rossi a Domenico Antonio Vaccaro, tutti
impegnati al servizio del giovane sovrano napoletano con incarichi differenti.
Ma tali esigenze – mentre per la nuova Reggia di Portici furono soddisfatte con il
ricorso alle qualità di abile prospettico di Vincenzo Re, affiancato da Crescenzo
Gamba, dal Bonito e da vari illustratori di scene campestri e di marine – avrebbero
richiesto ben altri impegni e diverse soluzioni decorative, quando, mutati gusti e
tendenze della Corte e della committenza patrizia, si sarebbe dovuto intervenire dopo
la metà del secolo nei nuovi e imponenti edifici, ultimati nell'ambito del vasto
programma di adeguamento della città e delle sue strutture residenziali alle necessità
della Corona, della nobiltà, di un clero mondanizzato e sempre più potente e di una
capitale con ambizioni europee 8
. Necessità che difficilmente avrebbero potuto trovare
esiti soddisfacenti nel ricorso, per la parte della decorazione pittorica con finalità
allegoriche e celebrative, ad artisti locali orientati sull'esempio recente del Solimena
verso soluzioni di rinnovato rigore barocco, anticonvenzionale e anticlassico. Queste
esigenze furono spinte a tali estremi da far apparire, in qualche caso,
8 N. Spinosa 1993, op. cit., pp. 12-13.
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anticonvenzionale e anticonformista, comunque non in linea con le recenti tendenze di
gusto, addirittura lo stesso De Mura, che restò a lungo escluso, almeno fino agli anni
Sessanta, da incarichi di Corte di grande prestigio, pur essendo riconosciuto in tutta
Europa come l'esponente di maggior rilievo della locale scuola pittorica e uno degli
interpreti più attenti delle istanze di grazia e decoro espresse dalle correnti tradizionali
del classicismo internazionale.
Questa la situazione della cultura figurativa napoletana almeno fin dopo la metà del
secolo, quando mutate più radicalmente le tendenze di gusto di vari settori della
società napoletana, anche i pittori affermatisi negli anni Quaranta e Cinquanta nella
linea della ripresa anticlassicista e neo-barocca del Solimena, dovettero ripiegare quasi
di necessità, verso soluzioni accomodanti di temperato classicismo, tra il De Mura e il
Batoni, o volgersi alla ricerca di passati formulari del purismo solimenesco.
Ormai la Corte era fortemente disinteressata agli aspetti della cultura figurativa locale,
per cui nel campo delle arti finirono lentamente per prevalere, proprio per
sollecitazioni o col consenso della Corte, quelle tendenze di controllata eleganza
formale e di studiata chiarezza compositiva che meglio apparivano espresse da vari
esempi del classicismo romano piuttosto che dal repertorio della recente tradizione
locale 9
.
E' per questo motivo che un pittore pur di età avanzata e attardato culturalmente, come
Sebastiano Conca, ebbe grande successo a Corte. Orientamento classicista in chiave
accademizzante, quello espresso dal Conca, ed esigenze di regolarità e chiarezza
percettiva delle immagini, quelle della Corte, che del resto si erano già manifestate
proprio agli inizi degli anni Cinquanta nelle scelte operate da Carlo e Maria Amalia nel
campo dell'architettura applicata all'edilizia ufficiale, attraverso il conferimento di
importanti e prestigiosi incarichi a due personalità come Luigi Vanvitelli e Ferdinando
Fuga, preferiti ad altri, non meno validi architetti napoletani, che evidentemente
avevano il solo limite di essere legati a tendenze e caratteri ereditati dalla locale
tradizione barocca. Infatti i lavori condotti e realizzati nei primi quindici anni del
Regno di Carlo e di Maria Amalia di Sassonia, finirono il più delle volte per risultare
improvvisati, disorganici e comunque non funzionali a una moderna concezione
9 Ivi, pp. 17, 20 .
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unitaria del fatto artistico e ad una visione integrata ed omogenea dei diversi interventi
di arredo e decorazione.
La situazione cominciò a mutare profondamente proprio con la presenza a Napoli di
Luigi Vanvitelli. Una presenza che, insieme a quella di poco successiva di Ferdinando
Fuga e, più tardi, verso la fine del secolo, di Philipp Hackert, fu per l'ambiente artistico
napoletano condizionante e decisiva per le nuove tendenze e per le scelte maturate di lì
a poco in ogni settore di applicazione delle varie arti dell'arredo e della decorazione 10
.
E' noto che Vanvitelli aveva avuto una prima formazione ed esercitato un'iniziale
attività proprio come pittore, muovendosi nel solco delle recenti tendenze classiciste
dell'ambiente romano dominato dagli esempi di Carlo Maratta. Queste sue preferenze
in senso classicista, che da un lato riflettevano le passate istanze neoumanistiche e
neocinquecentesche, già espresse tra fine Sei e inizio Settecento anche dall'Arcadia
letteraria e poetica, dall'altro coincidevano, come espressione civile e culturale di
nuovi bisogni di moderazione e di contenuta razionalità, con più recenti e diffuse
esigenze estetiche e di gusto per soluzioni di rinnovato decoro, di chiara visibilità
compositiva e di sostenuta eleganza formale 11
.
Tali preferenze lo avrebbero inizialmente messo in contrasto con parte dell'ambiente
aristocratico locale, sulle cui tendenze in chiave tardobarocca e prerococò, scrivendo al
fratello Urbano nel febbraio del '59, osservava con disprezzo che « qua non stimano
che Luca Giordano e Solimena, dei quali non curo avere quadri... » 12
.
Ma erano anche scelte che rispecchiavano le nuove esigenze di gusto e d'immagine
della corte napoletana, trovando i favori e il consenso soprattutto di Maria Amalia, che
non a caso aveva imposto, tra i primi pittori da invitare per i lavori a Caserta, proprio
l'anziano Sebastiano Conca, sul cui esempio il giovane Vanvitelli s'era formato, e il più
giovane Anton Raphael Mengs, riconosciuto in quegli anni come uno dei più
qualificati esponenti delle nuove tendenze classiciste.
Un'ulteriore conferma delle preferenze del Vanvitelli in pittura e delle scelte operate,
d'intesa ovviamente con la corte, tra i pittori contemporanei per la decorazione della
10 N. Spinosa, Luigi Vanvitelli e le arti a Napoli alla metà del Settecento, in Luigi Vanvitelli e la sua cerchia,
catalogo della mostra (Caserta 2000-2001), a cura di C. De Seta , Napoli 2000, pp. 91-92.
11 Cfr. R. Lattuada, La pittura napoletana nei suoi rapporti con Luigi Vanvitelli e la corte di Caserta, in Casa
di Re. Un secolo di storia alla Reggia di Caserta, 1752-1860, catalogo della mostra (Caserta 2004-2005), a
cura di R. Cioffi, Milano 2004, pp. 85-119.
12 L. Vanvitelli, c itato in N. Spinosa 2000, op. cit., p. 96.
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