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Introduzione
Negli ultimi decenni il ruolo dell‟impresa nella società civile è profondamente mutato. In
particolare sono cambiate le modalità per raggiungere il profitto. Nei decenni scorsi la corsa al
guadagno non teneva conto delle necessità di una pluralità di portatori d‟interesse, ora, invece,
il soddisfacimento delle esigenze di questi stakeholder diviene di importanza strategica.
Questo cambiamento, concepito e realizzato in primis dalle grandi imprese con investimenti
mirati nel settore ambientale e sociale, ha nel corso degli anni influenzato anche le aziende di
minori dimensioni.
L‟obbiettivo del presente lavoro è riscontrare quanto questo processo si sia effettivamente
diffuso nelle realtà produttive minori, le microimprese. Esse sono aziende meno toccate da
questo mutamento poiché sono le imprese che hanno meno risorse da investire in questa
trasformazione. Inoltre anche gli studi connessi allo sviluppo di pratiche di stampo sociale e
ambientale nelle aziende di minori dimensioni sono piuttosto limitati, ecco il perché di questo
approfondimento.
Gli obbiettivi del presente elaborato riguardano la valutazione della propensione delle
microimprese abbiatensi ad adottare comportamenti e pratiche socialmente responsabili.
Infine, studiando questa realtà, si cercherà di comprendere quali strumenti siano più adatti per
sviluppare percorsi di sostenibilità ed etica nel territorio abbiatense.
La metodologia di lavoro seguita consiste in uno studio preliminare delle tematiche e degli
strumenti inerenti alla Responsabilità Sociale d‟I mpresa e un raffronto tra lo sviluppo di
queste buone prassi nelle grandi imprese e nelle piccole imprese. Dopo una prima analisi
bibliografica è seguita una fase di elaborazione in cui sono state sviluppate domande utili ai
fini della ricerca, che è sfociata in ultima fase nella somministrazione di un questionario ai
commercianti abbiatensi. L‟obbiettivo della somministrazione del questionario riguarda il
9
raccoglimento di dati utili che possano fornire un ulteriore tassello allo sviluppo degli studi in
materia di Responsabilità Sociale d‟I mpresa. Il territorio in questione, l‟abbiatense, che
interessa 17 comuni, è caratterizzato da una numerosa presenza di esercizi commerciali di
dimensioni ridotte. Ad una porzione di queste aziende, 50 su un totale di oltre 500 associati ad
Ascom Abbiategrasso, è stato somministrato un questionario che pone enfasi sullo sviluppo di
buone prassi nel loro ambiente di lavoro. I dati elaborati saranno successivamente utilizzati
dall‟A ssociazione dei Commercianti di Abbiategrasso e Circondario per sviluppare strategie
incentrate all‟etica ed alla sostenibilità ambientale nel suddetto territorio.
Questa indagine è stata svolta nel territorio abbiatense grazie alla collaborazione con
l‟A ssociazione dei Commercianti di Abbiategrasso e Circondario(ASCOM). Il contatto con la
succitata associazione è avvenuto a seguito di un periodo di stage formativo che ho affrontato
tra marzo e settembre 2009. Il periodo di formazione è avvenuto presso gli uffici di B&M
Service Center S.r.l, società di servizi che opera a stretto contatto con i commercianti
abbiatensi e con Ascom Abbiategrasso.
Durante il periodo di formazione sono entrato a conoscenza di Parconaviglio.com, un portale
internet che incarna l‟idea di Parco Commerciale Naturale. Il sito punta a promuovere il
commercio abbiatense valorizzando il territorio in cui gli esercizi commerciali sono inseriti.
Quello a cui Ascom ambisce è migliorare l‟immagine del commercio abbiatense attraverso
l‟implementazione dell‟etica, della responsabilità e della sostenibilità ambientale negli
esercizi commerciali dei propri associati. Questa mission è motivata dal fatto che
nell‟economia mondiale il modo di fare impresa è notevolmente cambiato. La collaborazione
con Ascom Abbiategrasso nasce grazie ad un periodo di stage formativo che ho affrontato
presso questa struttura. La formazione sul campo mi ha permesso di conoscere la situazione
del commercio abbiatense e la volontà dell‟A ssociazione di sviluppare un percorso che possa
portare a considerare l‟ abbiatense un parco commerciale naturale.
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Questo elaborato è composto da quattro differenti sezioni. La prima presenta, attraverso
l‟utilizzo di parametri quantitativi e qualitativi, le caratteristiche principali delle
microimprese, allo scopo di fornire quadro generale riguardo a questa tipologia d‟azienda. La
seconda parte è focalizzata sulla presentazione delle principali definizioni che caratterizzano
la Responsabilità Sociale d‟I mpresa e i relativi strumenti di attuazione. Saranno presentati i
principali paradigmi teorici utili a classificare le iniziative di CSR e principali organi
internazionali promotori di dichiarazioni inerenti alla Responsabilità Sociale d‟I mpresa. Infine
saranno esposti gli strumenti più utilizzati dalle aziende per sviluppare politiche di CSR. Le
sezioni successive, la terza e la quarta parte, invece, pongono enfasi su casi aziendali concreti
in cui sono state sviluppate pratiche legate all‟etica e alla sostenibilità ambientale. La terza
sezione sarà incentrata sulla presentazione di iniziative e studi legati allo sviluppo di pratiche
di CSR all‟ interno delle imprese italiane. Dopo una presentazione di carattere generale,
l‟attenzione sarà focalizzata sulle imprese di minori dimensioni che saranno rapportate a
quelle di maggiori dimensioni. In questa sezione si lavorerà principalmente sui dati proposti
da ALTIS e ISVI. Inoltre, sempre nella terza sezione, saranno esposti alcuni casi concerti in
cui alcune imprese italiane di dimensioni ridotte si sono distinte per l‟impegno profuso in
ambito CSR.
Infine, la quarta sezione sarà incentrata sulla presentazione di un‟indagine che mira a
comprendere quanto le microimprese di Abbiategrasso conoscono circa il tema della
Responsabilità Sociale d‟I mpresa. L‟indagine sarà descritta mediante la proposizione dei dati
rilevati dalla somministrazione di un questionario a 50 esercenti abbiatensi.
11
PARTE I
Introduzione alle microimprese
1.1 Le caratteristiche delle Microimprese
Le Microimprese costituiscono un substrato economico nel contesto italiano di assoluta
rilevanza. Il primo documento ufficiale che le ha inquadrate, rapportandole alle altre
categorie di imprese, è stata la Raccomandazione della Commissione Europea del 6
Maggio 2003 (2003/361/EC) che, per gli aspetti quantitativi, ovvero circa il numero di
addetti e il fatturato annuale, si è così espressa:
Grandi Imprese: numero addetti uguale o maggiore di 250 unità;
Medie Imprese: numero addetti compreso tra 50 e 249 unità e fatturato che non
superi i 50 milioni di euro (il bilancio annuo non deve superare i 43 milioni di
euro);
Piccole Imprese: numero addetti compreso tra 10 e 49 unità e fatturato o
bilancio che non superino i 10 milioni di euro;
Micro Imprese: numero addetti inferiore a 10 unità e fatturato o bilancio che non
superino i 2 milioni di euro.
Per semplicità, spesso, le Piccole e le Medie Imprese sono racchiuse nello stesso insieme
riconducibile alla sigla PMI e costituiscono dunque una categoria comprendente un
numero di lavoratori che varia dai 1 ai 249.
Per rendere il discorso articolato ed esaustivo è tuttavia necessaria una classificazione
qualitativa. Secondo il punto di vista di Antoldi e Seassaro (2008), si possono sottolineare
quattro caratteristiche, tipiche e molto frequenti nell‟universo delle imprese di minori
dimensioni, che mettono in evidenza le peculiarità gestionali e strategiche delle PMI (in
questo caso sono comprese anche le microimprese).
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Il primo carattere è indubbiamente l‟imprenditorialità, l‟attività decisionale e di analisi
per il governo dell‟azienda è svolta da un‟unica figura (il singolo imprenditore
1
) o
comunque da un vertice ristretto di persone.
Un altro elemento che caratterizza l‟attività delle PMI è la presenza, molto diffusa, di un
assetto organizzativo semplice e di norma non troppo formalizzato, dove la divisione del
lavoro è impartita dal “capo” e di frequente esula da organigrammi e mansionari. Anche
la specializzazione del lavoro presenta aspetti dinamici: molto spesso i dipendenti sono
chiamati a svolgere mansioni diverse, questo permette alle PMI una maggiore flessibilità
e modifiche più rapide rispetto alle grandi organizzazioni.
Il terzo carattere è rappresentato da strategie competitive peculiari. L‟insieme delle
strategie competitive di successo delle PMI non corrisponde con quello delle imprese di
maggiori dimensioni. A differenza delle grandi imprese, le piccole hanno ambiti
competitivi meno ampi soprattutto riguardo alla clientela e ai settori geografici, inoltre
tendono a focalizzare le strategie per specifici segmenti di clientela.
Infine, l’assetto proprietario di tipo familiare è il quarto carattere. Proprietà e governo
sono nelle mani dei membri di una o più famiglie. In tutte le PMI a conduzione familiare
si riscontra un carattere comune: l‟impresa è in parte sovrapposta alla famiglia (Corbetta
1993). Ovviamente si fa riferimento alle famiglie che detengono il capitale dell‟impresa.
Questa sovrapposizione può essere totale (la totalità di risorse umane e finanziarie di cui
l‟impresa necessita sono fornite dalla o dalle famiglie proprietarie) oppure parziale (i
proprietari forniscono le risorse imprenditoriali, manageriali e di capitali).
1
Secondo Art.2082 del Codice civile, Titolo II del Libro V "Del lavoro", è imprenditore: “chi esercita
professionalmente un‟attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di
servizi.”
13
Descritte le caratteristiche quantitative e qualitative, rimane ora da definire una
componente, la tipologia d‟imprenditore, che influisce nell‟attività dell‟ impresa.
L‟organizzazione del lavoro differisce in base alle varie figure imprenditoriali, che sono:
Lavoratore Autonomo: svolge tutti i compiti e utilizza i famigliari come forza
lavoro poiché non dispone (o solo scarsamente) di dipendenti a tempo
indeterminato. L'attività d'impresa coincide con l'offerta delle capacità e
competenze dell'imprenditore, il quale non possiede, e non si avvale, di
competenze manageriali.
Imprenditore artigiano: organizza il lavoro dei collaboratori, ma lavora al loro
fianco come "uno del gruppo". Emergono capacità basilari di gestione, ma
l'organizzazione è elementare e frutto di un progressivo mutuo aggiustamento tra
le persone. L'interazione diretta tra "capo" e dipendenti fa sì che la selezione del
personale avvenga per affinità. L'imprenditore funge da esempio e attraverso
questo detta le regole. Quando la complessità rimane bassa il sistema di
coordinamento rimane efficace.
Imprenditore in senso stretto: il proprietario-gestore, centrale nel processo
decisionale, controlla l'azienda attraverso istituzioni e programmi e trasmette
energia. Sfrutta la sua personalità. Si manifesta però il problema della delega e
dell'inserimento di competenze esterne.
( Goffee e Scase, 1995 )
1.2 Le microimprese nel contesto italiano
Dopo aver illustrato le caratteristiche delle microimprese, si può procedere ad una
descrizione statistica della presenza delle stesse nel contesto italiano. Per chiarire meglio
il discorso si procederà fornendo un confronto tra imprese di minori dimensioni e aziende
di dimensioni maggiori.
14
Analizzando la situazione italiana, il primo elemento di specificità è la assoluta
predominanza di aziende medie, piccole e micro. Secondo i dati riportati dall‟I STAT
2
nel
2006, sono oltre 4,4 milioni le imprese attive nell‟industria e nei servizi occupando
complessivamente circa 17,1 milioni di addetti. Il sistema produttivo, nel suo complesso,
e formato in prevalenza da microimprese; il numero di imprese con meno di 10 addetti,
oltre 4 milioni, ne offre una valida testimonianza.
Le microimprese rappresentano il 95% del totale ed occupano il 47% degli addetti. Nelle
piccole imprese (da 10 a 49 addetti), invece, è impiegato il 21% degli addetti, pari a oltre
3,5 milioni, mentre la quota rilevata nelle imprese di media dimensione (da 50 a 249
addetti) è il 12,6%, pari ad oltre 2 milioni di addetti. Per quanto concerne le 3.542 grandi
industrie (0,08%), oltre 3,4 milioni di persone svolgono le loro mansioni in questa fascia,
una cifra pari al 20% dell‟occupazione complessiva.
Se si considera il tipo di attività svolta, prevale il settore del terziario (commercio,
alberghi e altri servizi), in termini sia di imprese (3,3 milioni) sia di addetti (10,5 milioni,
pari al 62% del totale), mentre l‟industria in senso stretto, pur rappresentando appena
l‟11,8% del totale delle imprese, utilizza il 27,6% dell‟occupazione totale.
Per una maggiore completezza è riportata di seguito una tavola con il numero esatto di
imprese italiane, nelle varie classi dimensionali, e il relativo numero di addetti.
2
I dati sono presenti al seguente sito:
www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20080724_00/testointegrale20080724.pdf. In questa
pubblicazione sono escluse dal campo di osservazione le attività economiche relative a: agricoltura, caccia e
silvicoltura (sezione A della classificazione NACE Rev.1.1); pesca, piscicoltura e servizi annessi (sezione B);
amministrazione pubblica (sezione L); attività di organizzazioni associative (divisione 91); attività svolte da
famiglie e convivenze (sezione P); organizzazioni ed organismi extraterritoriali
(sezione Q); le unità classificate come istituzioni pubbliche e istituzioni private non profit.
15
Tavola 1 – Imprese e addetti per classi di addetti e settore economico
Fonte: ISTAT
Osservando i dati riportati nella Tavola 1 si nota che il peso dell‟industria (nella sua
accezione più stretta) è minimo nelle imprese più piccole (6,9%) e cresce con l‟ aumentare
delle dimensioni delle aziende.
Il settore del terziario registra invece una presenza più massiccia delle microimprese, nei
settori del Commercio e degli altri servizi la loro presenza è preponderante, il 76,2% delle
microimprese è legato a questi settori.
Una rappresentazione grafica permette di chiarire ancora meglio la situazione delle
imprese italiane nella loro complessità.
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Grafico 1.0 Numero di addetti suddivisi per attività economica e classi di addetti
Fonte: ISTAT
Parlando di microimprese non ci si può esimere dal considerare quelle imprese
(individuali) i cui i dipendenti sono rappresentati dalla sola figura del titolare
dell‟impresa o, allargando la sfera dei dipendenti, a quelle che raggiungono un massimo
di tre persone. Queste ammontano a circa 2 mln e 923 mila (66,3% del totale delle
imprese attive). Di queste, 2 mln 471 hanno un solo indipendente, 362 mila hanno 2
indipendenti e poco più di 90 mila hanno 3 indipendenti e oltre.
Una cospicua presenza di imprese senza dipendenti, ben oltre la media nazionale, si
riscontra nei settori dei Servizi alle imprese (80,9%) e del Commercio e riparazioni
(71,9%). Di contro, la percentuale più bassa si ha nei settori della fabbricazione di coke,
raffinerie di petrolio e fabbricazione di prodotti chimici (24,9%), dell‟estrazione di
minerali (25,7%) e della fabbricazione di mezzi di trasporto (32,0%).
La situazione è descritta nel dettaglio nel grafico sottostante.
17
Grafico 1.1 Imprese prive di dipendenti suddivise per attività economica
Fonte ISTAT
Come si evince dai dati presentati nelle pagine precedenti, la platea di aziende piccole e
piccolissime è fortemente differenziata a seconda che tali aziende si rivolgano
direttamente ad un cliente finale (BtC) oppure ad altre aziende (BtB) ed a seconda delle
filiere produttive di appartenenza (settori esposti alla concorrenza internazionale, settori
più protetti), del livello tecnologico utilizzato e delle aree geografiche del paese. È quindi
quasi impossibile pensare che tale platea possa essere considerata in modo uniforme, se
non che per alcuni generalissimi criteri.
18
PARTE II
Capitolo 2
IL CONCETTO DI CORPORATE SOCIAL RESPONSIBILITY E I
RELATIVI STRUMENTI DI ATTUAZIONE
2.1 Evoluzione del Ruolo di Impresa e CSR
Il ruolo delle imprese nella società, a partire dal secondo dopoguerra, è profondamente
mutato. Il modello di stampo fordista, che fece la fortuna delle grandi compagnie, entrò
ben presto in crisi portando con sé disoccupazione, disagio e necessità di cambiamento.
A partire dagli anni ‟60 del secolo scorso, si sviluppò negli Stati Uniti una corrente di
pensiero relativa alle sfere economico-sociali definita “neoliberismo”. Questo termine
(neoliberismo) deriva dal fatto che Friedman, attraverso le sue opere, rivalutò il pensiero
liberista classico di Adam Smith e attaccò la visione Keynesiana dell‟economia che
dimostrava l‟incapacità di autoregolazione del mercato.
Le convinzioni di Friedman, relative alla mission delle aziende, furono ben presto
superate. Partendo da ciò che enunciò nel 1962, relativamente al vero dovere sociale
dell'Impresa, si evince che lo scopo dell'attività di impresa è quello di ottenere i più
elevati profitti. Ovviamente Friedman non tralasciò il rispetto delle regole: pose infatti
come clausola quella di far parte di mercato aperto, corretto e competitivo, ma focalizzò
la sua attenzione sulla produzione efficiente di ricchezza e lavoro, lasciando in disparte
gli aspetti etici e morali dell'attività imprenditoriale. La visione “profitto-centrica” del
massimo teorico neoliberista non si esaurì con la semplice descrizione degli obbiettivi
dell‟impresa, si articolò esplicando ciò che l‟impresa non avrebbe dovuto assolutamente
fare: destinare fondi ad attività caritative e al finanziamento di progetti di ricerca
universitari. Questa convinzione è fortemente incentrata sulla figura dell‟ azionista che,
subendo passivamente le scelte aziendali relative alla destinazione di fondi ad iniziative
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senza un immediato ritorno economico, non potrebbe così decidere di sua libera scelta
sull‟impiego dei propri fondi.
L'attività di ricerca e gli studi connessi in campo economico-sociale e ambientale
misero però in crisi quanto esposto da Friedman. Si giunse così, a soli venticinque anni
di distanza, in Italia, alla definizione di Coda che integrò, e in parte cancellò, le
convinzioni di Friedman che vedeva nella massimizzazione del profitto il solo fine
perseguibile dall'azienda. Stando all'enunciato di Coda avere successo non significa
semplicemente conseguire un profitto, significa anche: salvaguardare la vitalità
dell'Impresa assicurandone cosi la funzionalità economica duratura. A tal fine è
necessario perseguire la dominanza del mercato e la coesione con gli interlocutori
sociali" (Coda 1988).
Dunque Coda, nel 1988, anticipò quello che sarà l'obbiettivo delle aziende a partire
dagli anni novanta e durante il nuovo millennio, ovvero proseguire la propria attività
rispettando le regole, considerando gli aspetti etici propri del rapporto Produttore-
Consumatore e infine, grazie a queste attenzioni, produrre ricchezza.
È in questo periodo, precisamente a partire dal 1984, che si sviluppa la Stakeholder Theory ad
opera di Freeman. Il teorico degli stakeholder fornirà, a più riprese, un quadro significativo
sull‟importanza degli stakeholder per l‟impresa. Gli approcci di Freemam allo studio degli
stakeholder sono tre:
il primo (1984) si focalizza sulla ridefinizione del ruolo dell‟ impresa e sulla sua
necessità di creare valore per tutti gli stakeholder;
il secondo (1988) si basa sul principio Kantiano del rispetto della persona. Il
teorico afferma che ciascuno stakeholder dovrebbe partecipare al processo
decisionale e che il manager ha il dovere fiduciario nei confronti di tutti gli
stakeholder;
20
il terzo (1990/‟94) si basa sul principio di contrattazione equa che prevede che le
regole del gioco siano cambiate in base ad un consenso unanime.
Nel corso degli studi, non solo quelli di Freeman, sono stati individuati criteri diversi
per il riconoscimento degli stakeholder da parte delle imprese. L‟individuazione degli
stakeholder si può basare su tre criteri principali: potere (risorse dello stakeholder che
possono influenzare il comportamento dell‟impresa), legittimità (strutture e
comportamenti accettati socialmente) ed urgenza (basato sulla sensibilità temporale e
sulle criticità delle rivendicazioni dello stakeholder).
Gli studi sugli stakeholder e sul comportamento delle imprese continuarono e si arrivò
così, nel 2000, all'esplicazione del concetto di RSI (Responsabilità Sociale d'Impresa) o
CSR (Corporate Social Responsibility) che racchiuse i concetti fin qui esposti. Secondo
quanto riportato dal Libro Bianco UE 2000 la Responsabilità Sociale d'Impresa è:
“l'integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle
loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate” (Libro Bianco
UE, 2000). Ciò che maggiormente risalta, in questa definizione, è il concetto di
Volontarietà. L'Europa, infatti, non pone rigidi sistemi di controllo riguardo le pratiche
di RSI da adottare, ma è chiaro che attraverso l'implementazione di queste pratiche, si
raggiungono vantaggi cruciali per la competitività e la futura presenza sul mercato
dell‟azienda.