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Capitolo primo
Pantalone, da “Uomo di mondo” a “Uomo prudente”
Carlo Goldoni. Una vita per il Teatro
Mondo e Teatro, realtà e arte, da qui dobbiamo partire per comprendere
e apprezzare l‟opera e l‟attività di un autore che fu sicuramente il
borghese più tipico dei decenni attorno alla metà del XVIII secolo in
Italia. Questi, i due termini inscindibili caratterizzanti la sua produzione,
e possiamo dire la sua vita. Una vita, la sua, povera di eventi sui quali
meriti di soffermarsi a prescindere dalla produzione teatrale, e che ha
senso solo in rapporto al lento manifestarsi d‟una prepotente, originaria
vocazione ad essere scrittore di commedie. Il Mondo è davvero, per
Goldoni, il primo “maestro”, necessario in ogni tempo alla vitalità della
commedia… (Prefazione). Il suo teatro altro non vuol essere che
trascrizione del contemporaneo, e di un contemporaneo nazionale;
trascrizione critica (e non satirica, chiarirà ne Il Teatro comico,
manifesto della sua ideologia poetica) di una realtà e di un ambiente,
quello veneziano mediosettecentesco, del quale egli fa parte e del quale
egli si fa interprete e ritrattista fedele. E i colori, gli strumenti necessari
alla sua “rappresentazione” del Mondo gli sono offerti dal Teatro, l‟altro
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suo “maestro” di vita. La simultanea attenzione alla realtà mondana e al
pubblico, ai suoi gusti e interessi, che deve riconoscerla e approvarla, è
una prima, importante rottura con ogni forma di classicismo, sia pure di
quello rielaborato dal razionalismo degli Arcadi. Dall‟esigenza e dalla
necessità di interagire col pubblico, il suo pubblico, termine fisso di
riferimento, protagonista di tutte le sue Prefazioni, nasce il
fondamentale problema linguistico per Goldoni, vale a dire quello della
comunicazione diretta e orale. Problema complicato dal fatto che tale
pubblico comprendeva diversi strati sociali, nobili, borghesi e popolani;
di conseguenza la sua commedia diventa un luogo dialettico dove si
instaura un rapporto specifico fra classi diverse, ognuna
ideologicamente rappresentata nella sua specificità. Goldoni porta sulla
scena la realtà sociale e mondana, lo spettacolo del Mondo, colto nella
sua varietà di caratteri, di passioni, di gusti, di avvenimenti curiosi, di
correnti costumi: dei “vizi e dei difetti che sono più comuni del nostro
secolo e della nostra nazione”; e anche dei “mezzi con cui qualche
persona virtuosa resiste a questa corruttela” (Prefazione). Il suo vuol
essere e si propone come un teatro artistico realistico, con la morale
come appendice polemica. D‟altra parte se la cultura era la principale
interferenza operante nel sistema politico – economico veneziano della
prima metà del „700, all‟interno di questa un ruolo importante deve
essere attribuito al teatro. Molte manifestazioni della crisi sociale –
economico – politica in atto a Venezia a partire dalla metà del „700 ben
si colgono anche nel dettagliato affresco del vivere sociale offerto da
quelle commedie che hanno fatto di Goldoni lo scrittore veneziano per
antonomasia, astraendolo a torto, dallo specifico contesto settecentesco.
Generalmente oggi l‟opera del Goldoni appare meglio capita nel suo
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valore poetico, ma anche più staccata dalla cultura e dalla vita del suo
tempo; anzi, all‟interno di questa, si tende a isolare la “poesia” di alcune
commedie, siano pur le migliori, dalla “non poesia” di una produzione
ventennale (1740-1762) che fu naturalmente soggetta a pause e a
involuzioni, ma che resta, nel suo insieme, l‟unica concreta materia su
cui fondare una “storia” del Goldoni, e ci offre un notevole esempio di
attiva solidarietà ideologica tra un autore e il suo ambiente, di cultura
moderna assunta lucidamente, e vissuta ben al di là di quella
superficiale disposizione alla “commedia pura” senza “alcun
interessamento né di pensiero né di scoperta psicologica o altro”che
starebbe, secondo qualche critico, al centro della personalità e dell‟arte
goldoniana
1
. Le commedie del biennio 1760-62 furono le ultime battute
di una discussione che da vent‟anni il Goldoni andava conducendo coi
suoi spettatori. Discussione risolta sempre più spontaneamente e
felicemente nei modi di un linguaggio teatrale, del quale i comici
dell‟arte avevano potuto fornirgli soltanto certi schemi grammaticali.
Oggi una migliore conoscenza storica del Settecento veneto, fondata su
rigorose analisi (cfr. Petrocchi e Berengo) ci permette di apprezzare la
sensibilità con cui il commediografo intuì il movimento e la
trasformazione della società veneziana, la lucidità con cui cercò di
fissare, in seno alla plebe, la fisionomia e i compiti del gruppo borghese
al quale egli apparteneva. La riforma goldoniana, intesa come ritorno
alla riconoscibile realtà della vita sociale, come superamento da un lato
della volgarità fine a se stessa della popolare Commedia dell‟Arte,
1
Oltre al noto E. Rho, La missione teatrale di Carlo Goldoni. Storia del teatro goldoniano, Laterza,
Bari, 1936, si vedano ad esempio le caratteristiche formule di M. Bontempelli su Goldoni autore di
“commedie pure” per eccellenza, senza “alcun interessamento né di pensiero né di scoperta
psicologica o altro” (L’avventura novecentista, Firenze 1938, pp. 60,383,441).
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dall‟altro lato delle astrazioni del teatro aristocratico, venne esattamente
recepita dai più diretti interessati dei suoi contemporanei, come
tentativo di fondazione di un nuovo teatro borghese, ispirato agli ideali,
alla mentalità e agli interessi di quella nuova classe media che in
Venezia si era già costituita, in anticipo sul calendario europeo, come
classe egemone. Le implicazioni morali e sociali della riforma erano al
suo tempo sotto gli occhi di tutti e lo testimoniano le forti polemiche e
le pesanti accuse di rivoluzionario e di sovvertitore lanciategli da suoi
colleghi e intellettuali contemporanei. In verità, una lettura sociologica
del teatro goldoniano serve a rifiutare l‟immagine di un Goldoni
indifferente e “superficiale”
2
, come l‟altra, opposta, di un Goldoni
pregiacobino e cosciente apostolo della rivoluzione. Il Goldoni è stato
così infilato nelle pantofole del buon papà, e la sua lettura della realtà
giudicata superficiale e banalmente edificante: specchio della sua
personalità, naturalmente portata a un‟ottimistica e bonaria visione delle
cose. Il problema sta nel capire e costatare, sulla pagina e sul
palcoscenico, se la realtà che il Goldoni osserva e trascrive è
rispecchiata in tutta la sua dialettalità e varietà di atteggiamenti, o se il
suo privato e personale ottimismo l‟ha portato a dimenticare o a
camuffare quegli aspetti della realtà che con l‟ottimismo non
concordano. E‟ necessario anzitutto liberarsi dal ritratto superficiale e
abusato di un Goldoni frivolo e scettico, curioso osservatore sorridente
2
Tra i critici che hanno parlato, in termini più o meno recisi, della “superficialità” del Goldoni, è
significativo, e non solo per l’autorità dello studioso, il caso di A. Momigliano che, nei vari scritti sul
teatro goldoniano, fusi più tardi nel capitolo sul Goldoni della Storia della letteratura italiana
(Principato, Milano-Messina 1953, pp. 328-42), descrive e analizza finemente le commedie “come
pure opere letterarie”; senza cioè vederle, anche quando parla di scene e di quadri, o quando insiste
su categorie critiche di dubbia utilità (commedie d’intreccio, d’ambiente, di carattere), nel loro
rapporto con un pubblico storicamente e geograficamente determinato. Così, dalle sue pagine,
sorge in definitiva l’immagine di un Goldoni “ilare spettatore della superficie del secolo”, che fissa
sulla carta le invenzioni della sua fantasia per il mero piacere estetico suo e dei futuri lettori.
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di una realtà che lo interessa solo come materia di ridicolo. Il borghese e
avvocato Goldoni, figlio di medico, in rapporto con musicisti, ricercato
da stranieri e in consuetudine con molti nobili, scrittore di teatro, “uomo
di Mondo”, fu attento osservatore della realtà umana, che coglie e
rappresenta fedelmente nelle sue mille sfaccettature e ombre, con
naturalezza e insieme con una fantasia attiva e inventiva, puntando sul
caratteristico e sul tipico. I suoi mercanti, contadini, pescatori, sono ben
saldi nella difesa dei loro diritti, e le sue serve e contadine hanno sangue
e carne di serve e contadine. Non ci sono cerimonie pubbliche o feste di
piazza; non è la vita rappresentativa quella che interessa il Goldoni, ma
la vita privata inserita nella città: di pubblico c‟è qualche campiello o
calle o riva, qualche osteria, qualche caffè. E questa fisionomia della
sua realtà risponde a un bisogno di “naturalezza” e “verosimiglianza”;
ed egli la cerca non dove la vita è pompa, ma dove è più comune e
semplice. La stessa moda e il cicisbeismo non li comicizza in astratto o
sulla piazza come Gasparo Gozzi e i poeti satirici veneziani del tempo,
ma in un porsi concreto entro una vicenda familiare. Il carattere di
naturalezza e antiretorica implicita nella fisionomia del reale che il
Goldoni fa oggetto della propria osservazione si sposa con la sua innata
e istintiva vena artistica e teatrale che colora tale quadro, arrivando ad
ottenere una tipizzazione caratterizzata del reale. Goldoni da
“osservator attentissimo delle Commedie, che sui vari Teatri d‟Italia da
diciotto o venti anni in qua rappresentavansi” (Prefazione), si rende ben
conto che lo spettacolo vivente ha oramai superato lo spettacolo
inventato e cristallizzato in forme immobili. All‟inizio del Settecento il
melodramma e le opere in musica prevalgono sullo spettacolo comico,
ridotto alle forme stereotipe della Commedia dell‟Arte. E‟ un tardo
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sopravvivere del costume seicentesco che gli impresari patrizi lasciano
continuare, fino a quando l‟opera di Goldoni, educando e raffinando un
pubblico borghese predisposto, per conformazione sociale, ad un nuovo
gusto, farà emergere la consuetudine sociale del teatro di prosa.
Commedia dell‟Arte, melodramma e anche certi antiquati drammi
spagnoli rivelano del resto un duplice atteggiamento di conservazione
che riguarda tanto la corporazione dei professionisti dello spettacolo,
quanto le abitudini del pubblico. Occorreva un bagno di realtà e di
concretezza, e chi meglio di lui, dotato di pronto spirito d‟osservazione
e di fantasia, poteva assumersi tale compito nei riguardi del pubblico e
dello spettatore non solo veneziano, ma nazionale. Una vera e propria
“missione sociale”, quella del Goldoni, in nome della civiltà moderna e
della rinascita della letteratura. “La sua riforma era in fondo… la
restituzione della letteratura nel suo posto e nella sua importanza, la
nuova letteratura”; … “il protagonista è l‟uomo, con le sue virtù e le sue
debolezze”
3
: questa la seconda faccia, quella positiva, lasciata nel
dimenticatoio, del giudizio su Goldoni del De Sanctis. Ma più
dell‟uomo in sé, dell‟uomo come singolo individuo, il Goldoni
s‟interessa dell‟incontro quotidiano degli uomini, delle relazioni umane
e sociali, degli effetti di questo incontro, della variabilità che esso
conferisce al carattere; e delle incidenze che, in questi incontri, ha sui
caratteri il mondo esterno. I contrasti sociali affiorano così dalla varietà
dl discorso quotidiano, che rinvia ad essi con un ritmo di necessità: il
Goldoni li registra, li fa riconoscere nell‟apparente banalità di un
3
F. De Sanctis, Storia della letteratura italiana, a cura di B. Croce, Bari 1912, II, pp. 355. La riserva
del De Sanctis sulla “poesia” goldoniana fu condivisa dal Croce. Per la critica goldoniana si rinvia
all’organico Profilo storico della critica goldoniana, pubblicato nella “Rassegna della letteratura
italiana” da F. Zampieri, 1953.
7
dialogo che si rinnova di scena in scena. Il teatro comico di Goldoni,
come giustamente nota Mario Baratto
4
, non è perciò commedia del
quotidiano, ritrascrizione della realtà di tutti i giorni; è piuttosto, dato il
rilievo scenico che in esso assume il quotidiano, coscienza del
quotidiano, della sua ricchezza non casuale, ma esemplarmente tipica.
Addentrandosi nel Mondo di Goldoni, uno dei suoi lettori più acuti,
Gianfranco Folena, ha osservato che la vita vi circola “come in
un‟ariosa casa veneziana del „700, con la riva sul canale, il mezzà e il
piano nobile”
5
. Meglio ancora, Franco Fido
6
nota come l‟opera del
commediografo veneziano potrebbe essere paragonata a una città,
estesa, piena di animazione e di contrasti, coi suoi quartieri signorili e i
suoi sobborghi popolari. La geografia e la storia a cui bisogna fare
riferimento per comprendere la sua opera, rinviano soprattutto ad un
unico centro: Venezia, in particolare il mondo culturale, civile e politico
della Serenissima nei primi tre quarti del Settecento. Le ragioni di
quella complessa civitas torneranno spesso ad incidere sulla personalità
del nostro autore e sulla su scrittura: egli inserì la propria attività di
“poeta comico” nella vita morale e intellettuale della Venezia
settecentesca, appagando e al tempo stesso, dialetticamente, orientando,
le esigenze di un pubblico nuovo che si andava affacciando sui palchi
veneti nella seconda metà del „700. Il processo storico della crisi
economico-politica, che colpì Venezia a partire dalla seconda metà del
Settecento, determinando la fine di quel periodo di “ottimismo
4
“Mondo” e “Teatro” nella poetica del Goldoni, in “Tre saggi sul teatro”, Venezia, 1964.
5
G. Folena, L’esperienza linguistica di Carlo Goldoni (1958), in “Studi goldoniani”, Atti del Convegno
internazionale (Venezia 1957), a cura di V. Branca e N. Mangini, Venezia-Roma 1960, I 161. Questo
insieme ad altri saggi (Il linguaggio del Goldoni:dall’improvviso al concertato), sono ora raccolti in G.
Folena, L’italiano in Europa. Esperienze linguistiche del Settecento, Einaudi, Torino 1983.
6
F. Fido, Nuova guida a Goldoni, Teatro e società nel Settecento, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino,
2000.
8
culturale” che l‟aveva condotta ad acquisire gran parte del pensiero
innovatore italiano e europeo, con una forte modificazione della
coscienza individuale di ampi strati intellettuali e artistici, anche se è
bene precisare che si trattò piuttosto di “un‟intensa curiosità di gusto per
cui le opere dei filosofi si lessero, si discussero, e anche si amarono, ma
ben di rado se ne assorbì la sostanza”
7
, e che aveva aperto la porta al
tradizionalismo e al pronunciamento reazionario, trova proprio sui
palcoscenici il luogo della sua più vistosa manifestazione, anche per lo
straordinario rilievo che gli spettacoli teatrali occupavano nella vita
cittadina: un numero notevole di teatri e un‟altissima frequenza di
rappresentazioni animavano l‟ambiente veneziano. Inoltre, mentre in
altri centri italiani, il teatro frequentato dall‟elite aristocratica era
nettamente separato dai teatri popolari, a Venezia, l‟attività teatrale, pur
nella varietà di generi messi in scena, rifletteva i gusti dell‟intera
società, interessando e raggiungendo il più vasto pubblico possibile
8
.
Esisteva insomma un mercato teatrale cittadino sostanzialmente
unitario, la cui nascita risaliva almeno al secondo e terzo decennio del
Seicento, e se nella prima metà del „700 i palchi erano ancora esclusivo
privilegio dei nobili (ma la parte più vivace e attenta del pubblico era
ospitata dalla platea che spettava al pubblico di tutte le classi), nella
seconda metà, anche le più ricche famiglie borghesi otterranno il diritto
di affittarli o acquistarli. Venezia dunque, la sua tanto amata “patria”
veneziana, con la sua vita sociale, le sue genti e le sue storie sullo
sfondo, diventa il centro focale della sua produzione artistica, la sua
7
M. Berengo, La società veneta alla fine del Settecento, Firenze 1956, cit., pp.13-134.
8
Si veda sulla situazione teatrale a Venezia nel Settecento, L. Zorzi, Venezia: la Repubblica a Teatro,
in “Il teatro e la città. Saggi sulla scena italiana”, Einaudi, Torino 1977, pp. 235-91; e, N. Mangini, I
teatri di Venezia, Mursia, Milano 1974.
9
musa ispiratrice: anche se, va ricordato, la “base” veneziana è solo il
momento di partenza per un‟avventura letteraria cui Goldoni vorrà dare
un respiro “nazionale”, e sarà poi modificata, nel periodo del soggiorno
finale a Parigi, da condizioni culturali e politiche parzialmente diverse.
A Goldoni piacque molto viaggiare; e viaggiò molto per l‟Italia, in
modo particolare durante la chiusura estiva dei teatri della Dominante
9
,
entrando in contatto con gli ambienti più disparati; ma il suo cuore
rimaneva sempre a Venezia, la sua casa; ricordando il suo ritorno a
Venezia nel 1734, dopo i viaggi e le esperienze diplomatiche al servizio
del Residente Veneto di Milano, Goldoni scrive:
“Era un‟ora di notte, quando colà arrivammo: sortii di casa
immediatamente; e andai a fare una corsa per la città… Che bel
piacere in tempo di notte trovare le strade illuminate, e le botteghe
aperte, e un‟affluenza di popolo come di giorno…! Che allegria, che
vivacità in quel minuto Popolo! Cantano i Venditori spacciando le
merci o le frutta loro: cantano i Garzoni ritornando dalle botteghe alle
loro case: cantano i Gondolieri aspettando i Padroni: cantasi per terra
e per acqua, e cantasi non per vanità, ma per gioia”.
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Passo questo caratteristico dell‟attenzione e della memoria del Goldoni,
rivolte sempre ai suoni e ai colori della vita sociale della sua città, ai
costumi e alle abitudini della sua gente, agli aspetti dell‟utile comune,
9
Come è noto, la stagione teatrale d’autunno cominciava di solito a Venezia il I° lunedi’ d’Ottobre e
finiva il 15 Dicembre; quella di Carnevale si apriva la sera di Santo Stefano (26 Dicembre) e durava
fino al mercoledi’ delle Ceneri.
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Prefazione al tomo XIII delle Commedie edite a Venezia da G. B. Pasquali (1761-78).
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più che alle situazioni idilliche e ai paesaggi. Se si va a cercare nei
Mémoires anche un solo accenno dedicato a descrizioni di paesaggi, di
luoghi solitari e suggestivi, non se ne troverà neppure uno. Il ricordo
della vita notturna di Venezia ritorna con le stesse immagini anche nei
Mémoires, in quelle pagine in cui egli descrive ancora una volta la sua
città, lo spettacolo “charmant” delle strade illuminate, con le sue
botteghe ancora aperte durante la notte, con la piazza e i caffè pieni di
gente (uomini e donne di ogni classe), di una folla lieta e desiderosa di
divertimento e di conversazione, di espressione corale del proprio
animo vitale e sereno. Nelle sue Prefazioni autobiografiche possiamo
leggere le descrizioni pittoresche di Chioggia, della Maremma e
soprattutto di Feltre: “In questa Città non vi sono ricchezze, ma non vi è
miseria: il terreno è fertile, la gente è laboriosa….Vi è molta nobiltà,
antica e colta. Vi si fanno delle bellissime villeggiature” (Prefazione al
tomo IX dell‟ed. Pasquali cit.); e si badi che Goldoni, in queste
prefazioni, “ha intrapreso a scrivere la sua vita niente per altro che per
fare la storia del suo teatro” (Prefaz. al tomo XII). L‟evocazione
affettuosa del ritrovato ambiente veneziano si traduce nel mito
illuministico della cité parfaite, nella quale si trovano in ottimistico
rapporto casuale l‟operosità e la gioia di vivere dei cittadini. Nel
trasportare questo mondo, questo “paesaggio umano” nelle sue
commedie, poiché non si tratta più di descrivere diligentemente gli
uomini e i loro costumi, ma di farli agire e vivere sulla scena in un vero
e proprio spettacolo vivente, tanto più calda si fa la simpatia del
Goldoni, tanto più scoperto e ingenuo il suo impegno. Allora, dietro la
generica disposizione illuministica, affiora in piena luce la
partecipazione del commediografo agli interessi e agli ideali della