Introduzione
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Introduzione.
Questo lavoro nasce essenzialmente da un desiderio: il desiderio di
“partenza”. E nasce dalla curiosità di esplorare territori che,
probabilmente, a non pochi di noi, sembrano lontani anni luce non solo
geograficamente ma anche per via di uno stile di vita assai differente da
quello che connota la popolazione italiana.
Questo lavoro nasce da un desiderio di “avventura” che ad una
ragazza di 24 anni è concesso. Perché tutto è concesso ad una ragazza
di 24 anni, con una valigia piena di sogni e di energie. E forse anche di
ambizione. Una persona che pretende tanto da se stessa decide
inevitabilmente di sfidarsi. E con la voglia di mettersi alla prova si arriva
in Danimarca.
Perché la Danimarca. Innanzitutto la conoscenza che la maggior
parte degli italiani ha della Scandinavia è limitata alle informazioni che
si possono ricavare da una vacanza o da svariate letture. E, “Quando la
scarsa informazione si accompagna alla lontananza geografica, storica e
culturale, nasce il mito” [Amoroso,1980]. È innegabile che paesi come la
Danimarca siano ammantati da quel velo di fascino che intriga un
viaggiatore curioso. “Tra i miti fortemente critici di queste realtà rientra
l’attribuzione a questi paesi di vizi come quello del suicidio,
dell’alcoolismo, del grigiore culturale e politico. Ma si tratta di miti,
perché non fondati su alcun dato storico-empirico, e che malamente
nascondono il tentativo, di chi li ha costruiti e diffusi, di esorcizzarli”
[Ibidem]. Ci sono poi i “miti apologetici, quelli che portano a vedere nella
Scandinavia l’incarnazione dell’efficienza, del benessere, della
democrazia” [Ibidem].
Introduzione
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La presente tesi non si propone di evidenziare vizi e virtù né del
popolo danese e nemmeno di quello italiano. E non si intende screditare
un modello a vantaggio dell’altro.
L’elaborato fornisce un’analisi comparata di alcuni tra i più dibattuti
aspetti che riguardano i sistemi previdenziali italiano e danese, in
rapporto alle dinamiche di evoluzione dell’andamento demografico.
La prima parte del lavoro ha come incipit l’allungamento
dell’aspettativa di vita. Dapprima ci si incentrerà su un’analisi
demografica. Saranno illustrate le tecniche di elaborazione dei dati
indispensabili ai fini della presente trattazione, con particolare
riferimento agli indici di vecchiaia dei due Paesi in oggetto e,
successivamente, all’incidenza della popolazione anziana sulla
numerosità degli occupati.
Di particolare interesse risulta il ruolo che l’andamento demografico
svolge come fattore di impatto e di condizionamento del sistema
previdenziale nelle due realtà. Un dato significativo è rappresentato
dalla concentrazione di anziani (di età pari o superiore ai 65 anni) sulla
popolazione totale, attestatasi nel 2008 al 20% in Italia e al 15,6% in
Danimarca.
La seconda parte è orientata ad illustrare brevemente il
funzionamento dei sistemi pensionistici italiano e danese. Più
precisamente, il sistema previdenziale italiano ha conosciuto una
significativa riorganizzazione solo negli anni Novanta. La riforma Amato,
ispirata allo scopo di stabilizzare il rapporto tra spesa previdenziale e
Prodotto Interno Lordo (PIL) è il primo intervento teso ad apportare
modifiche radicali. Con il D.Lgs. n. 503 del 30/12/1992 si registra
un’inversione di tendenza: viene riformato il sistema previdenziale
obbligatorio, quello del cosiddetto “primo pilastro”, attraverso il
passaggio dal sistema di calcolo retributivo a quello contributivo.
Introduzione
Tesi di Francesca Pasimena 9
Inoltre, di fronte alle prospettive demografiche e ad una congiuntura
economica che avrebbero compromesso la sostenibilità finanziaria e
sociale della previdenza pubblica, si è reso necessario optare, per la
prima volta in Italia, per un sistema parallelo di previdenza
complementare e integrativa (privata e su base volontaria).
Tuttavia, anche la Danimarca ha conosciuto un processo riformistico
in materia di previdenza alquanto interessante, che, per certi aspetti,
l’ha differenziata dalle altre realtà scandinave. Se, infatti, il “Paese della
Sirenetta” originariamente vantava un sistema pensionistico afferente
alla “Famiglia Nordica”, nel corso dell'ultimo decennio ha attraversato
un periodo di grandi riforme. Il risultato è stato la costituzione di un
sistema multi-pilastro: il pilastro pubblico, quello obbligatorio e
funzionante secondo il metodo della ripartizione, rappresenta solo parte
del sistema pensionistico. La previdenza integrativa è talmente diffusa
da non essere ritenuta discrezionale.
Questi due aspetti “innovativi” (sistema di calcolo contributivo e
previdenza integrativa) hanno generato un dibattito sia tra gli addetti ai
lavori che tra i comuni cittadini, ciascuno dei quali può criticamente
definirsi più o meno beneficiario del nuovo sistema. Svariate sono le
opinioni che si prestano ora al confronto ora allo scontro e che
campeggiano agli onori della cronaca politica.
Decisamente in primo piano c’è la questione relativa alla variazione
del tasso di sostituzione (inteso come rapporto tra la prima annualità di
pensione e l’ultimo reddito annuo da lavoro) fornito dal sistema di
previdenza pubblico obbligatorio. Ci si è chiesto in quale misura è
destinato a mutare negli anni il potere d’acquisto dei pensionati.
Quali e quante sono le modalità di finanziamento delle pensioni? È
possibile quantificare il peso contributivo dei pensionati sugli occupati?
Introduzione
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Questi sono solo alcuni degli interrogativi emersi dall’introduzione del
sistema contributivo.
Per quanto concerne, invece, l’aspetto della previdenza integrativa, ci
si chiede quali siano le implicazioni derivanti dall’introduzione di tale
meccanismo.
Molto interessante, il confronto sul terreno della previdenza
complementare che in Italia fatica a decollare per una congerie di
motivazioni che verranno debitamente approfondite nel corso della
trattazione. Basti pensare che in Danimarca il 95% della forza lavoro è
coperto da uno schema pensionistico complementare, mentre l’Italia ha
una copertura del 12%. Ed ancora, la gestione finanziaria dei Fondi
pensione è di natura privatistica in entrambi i casi, solo che in
Danimarca ogni sindacato di categoria possiede un proprio fondo: lo
Stato mantiene il ruolo di regolatore dei programmi pensionistici ma
trasferisce il ruolo di fornitore dei servizi a istituzioni private.
Quali vantaggi e quali svantaggi possono provenire dall’erogazione di
pensioni “private”? Esiste un rapporto problematico tra la previdenza
pubblica e quella privata? Sarebbe meglio o quantomeno prioritario
risanare il pilastro obbligatorio a cui è endemicamente assegnata la
finalità di perseguire l’interesse pubblico e che si pone dunque a
garanzia per l’effettivo esercizio dei diritti civili e politici? Posta la
oramai consolidata libertà di ricorso alla previdenza privata, quanta
capitalizzazione è possibile o auspicabile attendersi in Italia in relazione
all’andamento del mercato del lavoro?
In questa sede si riassumeranno le posizioni dei principali attori del
panorama italiano (posizioni reperite attraverso lo strumento
dell’intervista): da quella di Confindustria a quella delle rappresentanze
sindacali, passando per quella dell’Inps, l’Istituto Nazionale per la
Previdenza Sociale, la cui precipua attività è quella contributiva, ovvero
Introduzione
Tesi di Francesca Pasimena 11
di riscossione dei contributi e dunque di liquidazione e pagamento delle
pensioni e prestazioni previdenziali e assistenziali.
Gli stessi aspetti saranno affrontati nel sistema danese, tenendo
conto delle peculiarità che, storicamente, contraddistinguono una
società come quella scandinava. Si approfondiranno i tentativi di
riforma in Danimarca.
Anche in questo caso si reperiranno le opinioni degli addetti ai lavori,
non senza aver effettuato in terra danese un lavoro di ricerca degli
analoghi esponenti del mondo industriale, delle parti sociali e degli enti
di previdenza.
Conseguentemente, si trarranno delle riflessioni sulle scelte dei due
Paesi europei oggetto di confronto con un capitolo dedicato ad alcune
osservazioni relative ai temi trattati. Quanto lo Stato può definirsi
assistenziale? Tenuto conto dell’andamento del mercato del lavoro, quali
misure di welfare sono adottate in ambedue i Paesi per integrare il
reddito?
Infine, le considerazioni conclusive.
Francesca Pasimena
Parte Prima
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PARTE PRIMA
L’INVECCHIAMENTO DEMOGRAFICO IN ITALIA E
DANIMARCA
Parte Prima Capitolo Primo
L’Europa e l’allungamento dell’aspettativa di vita. Scenari futuri.
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Capitolo primo
L’Europa e l’allungamento dell’aspettativa di vita. Scenari
futuri.
“La soglia della vecchiaia in questi ultimi anni si è spostata di circa un
ventennio. Oggi il sessantenne è vecchio solo in senso burocratico, perché
è giunto all’età in cui generalmente ha diritto ad una pensione.
L’ottantenne, salvo eccezioni, era considerato un vecchio decrepito, di cui
non valeva la pena di occuparsi. Oggi, invece, la vecchiaia, non
burocratica ma psicologica, comincia quando ci si approssima agli
ottanta, che è poi l’età media della vita, un po’ meno per i maschi, un po’
più per le donne”.
Lo ha detto quasi profeticamente Norberto Bobbio durante la sua
celebre lectio magistralis sulla vecchiaia, benché, com’è noto, egli non
fosse un demografo.
Si potrebbe definire l’anziano come la memoria storica di ogni civiltà,
ma la presente trattazione intende concentrarsi sullo studio
dell’invecchiamento demografico e dunque dell’allungamento della
speranza di vita media (definita come il numero medio di anni che ci si
attende di vivere) e sulle ripercussioni che l’analisi demografica sortisce
nei processi sociali.
Gli argomenti sviluppati si pongono al centro di un dibattito
multidisciplinare di portata mondiale. In questa sede, ci si soffermerà
sull’ambito politico-economico, rilevando come il progressivo
invecchiamento della popolazione comporti costi crescenti per il sistema
di welfare, posta la necessità di incrementare la spesa previdenziale e
sanitaria.
Parte Prima Capitolo Primo
L’Europa e l’allungamento dell’aspettativa di vita. Scenari futuri.
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È tuttavia doveroso non trascurare un dato che, in via generale, è
possibile rintracciare nella maggior parte dei Paesi europei: i cittadini
sono in grado di condurre una vita attiva, sana e partecipativa fino in
età molto avanzata. Dunque, gli anziani possono essere ritenuti una
risorsa per l’intera società non solo perché vivono di più, ma anche
perché sovente, anche oltre gli ottant’anni, godono di buona salute.
L’Europa si prepara ad affrontare le sfide generate
dall’invecchiamento e dai bassi tassi di natalità. Gli andamenti
demografici orientano notevoli trasformazioni delle società, influendo
sulla solidarietà intergenerazionale e imponendo nuove esigenze alle
giovani generazioni. Alcuni Stati membri della UE hanno compiuto
passi avanti incoraggianti, soprattutto grazie alla riforma dei regimi
pensionistici.
Nell’aprile del 2009 la Commissione Europea ha presentato una
relazione dal titolo “Gestire l’impatto dell’invecchiamento della
popolazione nell’Unione europea” e contenente alcune proiezioni relative
agli scenari che si prefigureranno in Europa negli anni a venire. Come si
legge testualmente nel documento, “gli sviluppi demografici differiscono
in maniera significativa da paese a paese, ma grazie a un leggero
aumento del tasso di fertilità in alcuni Stati membri e a flussi migratori
più dinamici, nel 2060 l’intera popolazione dell’UE dovrebbe rimanere
immutata rispetto ad oggi, mentre nel 2006 si supponeva dovesse
diminuire col tempo”.
Le nuove proiezioni demografiche non sono sostanzialmente diverse
in termini di struttura della popolazione e confermano la probabilità
che, da qui al 2060, i bassi indici di natalità, il costante aumento della
speranza di vita e i continui afflussi di migranti mantengano quasi
immutata la popolazione totale dell’UE che sarà, però, nettamente più
anziana. Ciò significa che l’UE passerà da un rapporto di quattro