6
Capitolo I
Moda e design: quale il rapporto?
7
I. Moda e design: quale il rapporto?
1.1 Moda e design: all’origine di un bisogno
La parola latina habitus
1
è radice tanto di «abito», quanto di «abitazione»:
il primo avente il senso di uno spazio proprio entro cui stare comodamente,
fatto su misura, e per tanto luogo deputato prevalentemente alla cura di sé, ed il
secondo avente il senso di uno spazio da condividere con altri, e per tanto luogo
dove esercitarsi nella pratica della cura per l'altro.
Stessa radice anche per l'habituare, che indica tanto un modo di essere quanto un
modo di fare, acquisito appunto mediante abituazione, è cioè una propensione
dell'animo e del fisico, una costituzione del corpo per inclinazione e
disposizione, ma è anche vestimento nel senso di tutto ciò che siamo soliti avere
con noi, che ci portiamo dietro continuamente.
Come ci suggerisce l‟etimologia della parola, «abito» e «abitare» sono quindi
strettamente connesse tra loro come attitudini congenite dell‟uomo,
consuetudini primordiali, costanti antropologiche che rivelano la natura
dell‟essere umano nella sua ambivalenza tra necessità di appartenenza e
distinzione dal gruppo.
In effetti l‟essere umano è per natura un essere sociale, la sua natura socievole è
determinata dal fatto di vivere in azione reciproca con gli altri, come sostiene
Georg Simmel (1858-1918), l‟uomo ha con la società un rapporto di coesistenza
per la quale “l‟io” è conoscibile solo grazie alla conoscenza “dell‟altro”.
All‟interno dell‟agire umano vi è quindi la compresenza di due dimensioni
contrastanti: quella individuale e quella sociale. Tutta l‟esistenza umana si
1
Habitus: Vestimento, foggia, e modo di vestíre; Habitare: Lo star ne' luoghi, che l' huom s'
elegge per domicilio. Dal Lat. “Habitus” in www.dizionariodellacrusca.it.
8
risolverebbe quindi, nella dualità “dell‟essere per sé” e “dell‟essere per gli
altri”
2
.
Dopotutto, come ci spiega l‟antropologia, l‟uomo è un organismo bio-culturale,
biologicamente predisposto alla trasmissione del patrimonio culturale al suo
simile, tramite linguaggio e pensiero che, anche se presenti nell‟animale, non
sono “aperti”
3
, ovvero non sono in grado di veicolare nuovi significati alle
esperienze, e quindi di accrescere il proprio bagaglio di conoscenza. Non che gli
animali non apprendano, ma la misura con la quale l‟uomo dipende
dall‟apprendimento attraverso il suo simile costituisce una differenza
sostanziale. A differenza degli animali ciò che l‟uomo potrebbe fare per istinto
non sarebbe sufficiente a permettergli di adattarsi all‟ambiente, ecco che infatti
la natura lo ha dotato di caratteristiche che gli permettono di comunicare
affinché egli possa sopravvivere.
È ormai dimostrato
4
che l‟uomo ha sentito prima ancora dell‟esigenza di
coprirsi e proteggersi quella di ornarsi, questo ci viene spiegato dalla teoria del
“corpo incompiuto” di B. Rudofsky
5
, secondo la quale l‟abito sarebbe una
sovrastruttura compenso-comunicativa che ripaga il corpo che da solo non
sarebbe in grado di comunicare, ma avrebbe bisogno del supporto di altri mezzi
espressivi e linguistici: gli indumenti e gli ornamenti. La moda è in questa
chiave, una manifestazione del bisogno umano di ornarsi, per parlare al suo
simile.
A questo riguardo Simmel aggiunge che il bisogno umano di ornarsi è
necessario in quanto suscita nell‟altro sentimenti contrastanti di invidia,
riluttanza, riconoscimento e attrazione. La persona ornata prova un senso di
accrescimento ed estensione in quanto l‟ornamento amplia l‟impressione della
personalità.
Nella moda coesistono infatti “l‟essere per se” e “l‟essere per gli altri”,
ovvero da un lato vi è la tendenza psicologica all‟imitazione dell‟altro, che dà
2
Squicciarino N., Il profondo della superficie, Roma, Armando, 1999.
3
Shultz E. A., Lavanda R. H., Antropologia culturale, Milano, Zanichelli, 1999.
4
Un esempio sono gli “scheletri di Menton” risalenti al Paleolitico sup., in cui sono stati
ritrovati monili e copricapo sul corpo nudo.
5
Giorgetti C., Manuale di storia del costume e della moda, Firenze, Cantini, 1999.
9
all‟individuo la sicurezza dell‟appartenenza ad un gruppo, del non essere
isolato nel suo agire, permettendogli di trasferire agli altri la responsabilità delle
proprie azioni; dall‟altra vi è la volontà di distinzione dalla massa, di emergere
per attirare l‟attenzione solo su di se.
R. Barthes
6
precisa, a questo proposito, che si può distinguere tra il costume,
ovvero la realtà del vestiario istituzionale, indipendente dall'individuo, e
l‟abbigliamento che costituisce la realtà individuale. L'insieme di costume e
abbigliamento produce il vestiario, che rappresenta così ciò che scegliamo di
indossare, attraverso un continuo controbilanciarsi di queste due parti.
J. C. Flügel
7
, partendo dalle teorie di S. Freud, interpreta il ruolo dell‟ornamento
come un feticcio, che permetterebbe all‟uomo di far ricadere l‟attenzione, in
maniera inconsapevole e sublimata, sugli organi sessuali. L‟ornamento si rivela
quindi una necessità sociale che ha radici primordiali e istintuali di natura
sessuale che l‟inconscio celerebbe mediante forme socialmente accettabili.
Il carattere imitativo e distintivo dell‟uomo, è legato ai comportamenti di
differenti strati sociali: per il sociologo e psicologo H. Spencer, le categorie
inferiori cercano di accedere ai significati di status di quelle superiori,
modificando il carattere dell'imitazione da reverenziale a emulativo, a questo T.
Veblen, economista e sociologo statunitense, integra la reazione delle classi
agiate a questi comportamenti imitativi, che fanno ricorso alla distinzione,
riproponendo la caratterizzazione classista del vestire
8
.
Queste teorizzazioni, centrate sulle distinzioni verticali fra ceti, entrano in crisi
nel secondo dopoguerra di fronte al pieno dispiegarsi della società dei consumi
di massa, che sostituisce alle differenze di ceto quelle orizzontali di età e di
genere, inserendo come target privilegiati della moda, i giovani e le donne.
6
Barthes R., Il senso della moda. Forme e significati dell’abbigliamento, a cura di Gianfranco
Marrone, Torino, Einaudi, 2006.
7
Flügel J. C. Psicologia dell’abbigliamento, Milano, Franco Angeli, 2003.
8
D. Roche, Il linguaggio della moda. Alle origini dell'industria dell'abbigliamento, Einaudi, Torino
1991.
10
2. Abito/Dimora di Lucy Orta
11
Il sistema moda raffigura quindi la modalità con cui la società si rappresenta
per logiche antropologiche e socio-culturali: la moda, consentendo di
rappresentare i cambiamenti dell‟individuo anche nel rapporto con la società,
permette al soggetto di esprimere la propria identità che può essere
quotidianamente mutevole. Rispetto a questa definizione il fenomeno del
cambiamento può essere descritto come fenomeno ciclico in cui si riscontrano
alcune fasi sequenziali ricorrenti. L‟attuale velocità di cambiamento dei gusti e
delle modalità espressive della società porta alla definizione di più stili e fa sì
che gli strumenti utili alla loro rappresentazione abbiano il compito di
cristallizzare i contenuti emersi in un dato momento. La capacità della moda di
prefigurare le tendenze, non rappresenta una capacità di previsione
dell‟avvenire, quanto piuttosto una lettura del futuro in chiave presente, una
fotografia che interpreta e influenza a sua volta il mondo reale.
Possiamo concludere che l‟ornare il corpo e il decorare lo spazio in cui
viviamo siano pratiche analoghe, aventi la stessa valenza simbolica, lo stesso
fine di appartenenza e distinzione dal gruppo. Come già ci suggeriva la comune
radice etimologica, ornamenti o suppellettili sono espressione di una stessa
necessità sociale e sessuale congenita dell‟uomo. La casa, l‟automobile così
come l‟abito non sono altro che un‟urgenza di estensione del proprio io e
riflettono lo stesso bisogno sociale, che rivela che qualsiasi cosa scegliamo di
metterci addosso o di inserire entro la nostra dimora viene scelta
contemporaneamente “per noi” e “per gli altri”, per esaltare la propria
personalità ma non tanto da isolarci dal gruppo.
Gli artefatti umani risultano quindi utili per l‟indagine della capacità di
descrivere una determinata realtà, non si tratta di una rappresentazione
assolutamente oggettiva ma contenente un valore interpretativo.
Ricollegandoci a ciò che sosteneva Simmel, ovvero che noi conosciamo
noi stessi solo attraverso il confronto con l‟altro, il tessuto si inserisce in questo
rapporto come il medium attraverso il quale noi percepiamo gli oggetti, gli altri
individui e quindi conosciamo l‟intera realtà.
12
3. Decorare il proprio corpo o l'ambiente che ci
circonda hanno la stessa valenza simbolica.
Noi interpretiamo il mondo che ci
circonda attraverso i sensi, questa
acquisizione di sapere deve
necessariamente passare attraverso
l‟involucro delle cose, che
costituisce l‟immediato con cui
siamo in contatto e quindi un filtro
molto importante della percezione,
e di conseguenza, della
conoscenza.
Il rapporto di informazione tra
soggetto e oggetto è concentrato in
quest‟ottica sul tessuto, sulla
superficie con cui l‟uomo si
rapporta, che diviene in questo
senso comunicativa, perché rappresenta il mediatore privilegiato tra la
dialettica interno ed esterno.
1.2 Un legame tutt’altro che scontato.
Dopo quanto è stato detto sembrerebbe facilmente deducibile la
collaborazione tra chi produce moda e chi design ma non è così. Fino a qualche
anno fa, designers e stilisti si guardavano con reciproca diffidenza, gli uni non
condividevano i meccanismi creativi degli altri.
Si cercherà ora di sottolineare quegli aspetti che creavano rottura tra i due
settori, in maniera da spiegare come questi aspetti di distinzione si stiano
smussando e caratteristiche dell‟uno stiano diventando proprie dell‟altro e
viceversa.
13
Il termine moda deriva dal latino modus, i , che significa maniera, norma,
regola, tempo, melodia, ritmo e compare per la prima volta, nel suo significato
attuale, né “La carrozza da nolo, ovvero del vestire alla moda”, dell'abate Agostino
Lampugnani pubblicato nel 1645, per indicare il modo comune del vestire.
Nel corso degli ultimi secoli la moda, di più antica e controversa cultura
rispetto al disegno industriale, è stata fatta oggetto di riflessioni contrastanti da
parte di molti protagonisti storici.
Di essa sono state date definizioni più o meno neutre, è il caso di S. R.
Steinmetz
9
che sostiene che «la moda è un cambiamento periodico di stile,
considerato più o meno obbligatorio». Per G. Darwin
10
anche la moda, come
l‟uomo, è soggetta alle leggi dell'evoluzione: «l'abito è sottoposto alla legge del
progresso e le mode si susseguono con una continuità quasi perfetta. In
entrambi i casi a una forma ne viene sostituita un'altra che risulta meglio
adattarsi alle condizioni ambientali del momento»
11
. Per Baudelaire «la moda è
un sintomo del gusto dell'ideale, un tentativo di riformare esteticamente la
natura» e «tutte le mode sono seducenti ma seducenti in modo relativo, giacché
ciascuna rappresenta uno sforzo nuovo, più o meno felice, verso il bello, una
qualche approssimazione verso un ideale il cui desiderio solletica senza sosta lo
spirito umano non soddisfatto»
12
.
Tuttavia, più frequentemente ci si imbatte in definizioni che tendono a
presentare la moda in maniera negativa, che rispecchiano le ostilità, ancora
attuali, tendenti a sminuire il fenomeno, ci si lamenta per esempio, per il suo
“tirannico impero sul sesso gentile”
13
o lo si presenta come espressione di
frivolezza e capriccio, di mutevolezza e stravaganza. A dimostrazione di ciò
sono ancora presenti nella lingua italiana proverbi come “il diavolo è sempre
vestito alla moda”, o anche “la moda priva di cervello per il nuovo butta il
bello”. Oscar Wilde data la sua fama di dandy, in uno dei suoi aforismi lanciò
9
Padre della sociologia olandese, Sebald Rudolph Steinmetz (1862-1940).
10
George Howard Darwin (1845-1912), figlio del più famoso Charles.
11
George H. Darwin, L’evolution dans l’habillement, in Revue de l‟Université de Bruxelles, marzo
1900, pp. 6-37.
12
Charles Baudelaire, Il pittore della vita moderna, in Scritti sull‟arte, Einaudi, Torino 1992, p.
307.
13
L. T. Belgrano, Della vita privata dei genovesi, Genova, 1875, p. 232.
14
una provocazione e disse “La moda è così insopportabilmente brutta che va
cambiata due volte l‟anno”. Ad un
personaggio di una sua celebre opera
teatrale Shakespeare fa dire che la
moda è “un ladro deforme”
14
e ancora
nel Settecento Ferdinando Galliani
scriveva che «l‟imperio della moda è
tutto sul bello e niente sull‟utile»
15
.
La moda fu persino oggetto di
limitazioni da parte delle istituzioni
con le numerose leggi suntuarie che si
susseguirono nel corso dei secoli,
sempre disattese poiché riguardavano
i nobili, che trovavano tuttavia, il
modo di ovviare ai divieti, facendo
mostra di altri capi o accessori non
interdetti in quel dato momento.
Ad aver compreso la portata
del fenomeno moda per l‟essere umano troviamo personaggi storici altrettanto
illustri, come Anatole France
16
che scrive: «Se mi fosse concesso di scegliere tra
la moltitudine di libri che saranno pubblicati cent‟anni dopo la mia morte,
sapete quale chiederei? No, non è un romanzo eletto di questa futura
biblioteca, né un libro di storia che, se ha qualche interesse, è ancora un
romanzo. Semplicemente, amico mio, domanderei una rivista di moda, per
vedere come vestiranno le donne un secolo dopo la mia dipartita. E quei veli
saprebbero dirmi sull‟umanità futura più che tutti i filosofi, i romanzieri, i
14
Shakespeare W., Molto rumore per nulla, il personaggio che pronuncia la frase è Borraccio.
15
Ferdinando Galliani, economista letterato, ( Chieti 1728 - Napoli 1787 ) citazione in
Ferdinando Galliani, Della moneta, in Scrittori classici italiani di economia politica, III parte
moderna, Milano, 1803, p. 84.
16
Anatole France (1844 –1924), scrittore francese, Premio Nobel per la letteratura nell'anno
1921 in www.daimon.org.
4. Oscar Wilde (1854-1900) è stato scrittore, poeta
e drammaturgo.
15
predicatori, i sapienti». Del resto, come ha affermato Ennio Flaiano
17
nel suo
Diario notturno «la moda è l‟autoritratto di una società e l‟oroscopo che essa
stessa fa del suo destino». Il più celebre coiffeur del primo Novecento, Stéphane
scrisse
18
:
[…] Secondo un celebre proverbio “i folli inventano le mode e i saggi le seguono”. Ma il
proverbio ha torto. Le mode sono utili e necessarie al commercio delle nazioni. Anche se
le arti del lusso, rendono fiacchi e corrompono qualche ozioso, esse però sono sorelle dei
costumi e le fonti dell‟agiatezza di un popolo industrioso. Inoltre, è cosa ottima che esse
mutino, poiché creano attorno a noi, quanto meno nell‟aspetto una vita costantemente
rinnovata. La moda infrange i pregiudizi, rompe la monotonia dei giorni, distrae dalle
preoccupazioni stancanti, crea un‟atmosfera più amabile, più divertente. Essa,
moralmente e materialmente, ci aiuta a vivere.
La parola “design” viene normalmente utilizzata come abbreviazione del
termine anglosassone industrial design, letteralmente “progettazione
industriale”, nell‟accezione italiana: disegno industriale. Definisce l‟insieme
delle attività di ricerca e progettazione finalizzate alla realizzazione di un
qualsiasi prodotto di consumo, sia esso materiale (come una sedia o
un‟automobile) che immateriale (come un software), attraverso la scelta e la
combinazione di materiali, dispositivi di funzionamento, ed adeguati processi
industriali per la produzione e la distribuzione sul mercato. Si è soliti, infatti,
comprendere con il termine design tutte quelle attività che si riferiscono alla
progettazione e definizione formale di un prodotto/oggetto.
Nel corso del tempo il concetto di industrial design si è articolato nei vari
settori industriali e produttivi in cui ha trovato applicazione fino ad arrivare al
recentissimo mondo del web, dove si parla, appunto, di web design. Il disegno
industriale in sostanza organizza, inventa e collabora alla realizzazione di
prodotti per vivere ed abitare.
Per comprendere il punto di vista del design è fondamentale il pensiero
di Bruno Munari (Milano, 1907-1998), artista eclettico e scrittore, ha dato un
enorme contributo e un insegnamento fondamentale al design in Italia e nel
17
Ennio Flaiano (1910 – 1972) scrittore, sceneggiatore e giornalista italiano, in
www.wikiquote.org/wiki/Ennio_Flaiano
18
Stéphane, L‟art de la coiffure fèminine. Son histoire à travers les siècles, La coiffuere de Paris,
Paris, 1931, p. XIII.