I
Introduzione
L’adolescenza è il periodo della vita tra la fanciullezza e l’età adulta durante il quale
l’individuo si trova a dover fronteggiare cambiamenti radicali che riguardano la
maturazione biologica, lo sviluppo cognitivo e le relazioni sociali con il compito
evolutivo di rimettere in discussione l’equilibrio psichico finora raggiunto e di acquisire
le competenze e i requisiti necessari per assumere le responsabilità di adulto
(Palmonari, 2001).
Le caratteristiche attuali della fase adolescenziale rispecchiano il periodo storico a cui
appartengono e tendono a subire ulteriori modificazioni sulla base dei cambiamenti del
contesto sociale, tra l’altro un’evoluzione storica lenta e progressiva ha portato ad una
dilatazione dei confini cronologici che delimitano l’inizio e la fine dell’adolescenza,
tanto che diversi autori hanno sentito l’esigenza di operare una distinzione tra prima,
media e tarda adolescenza. Nella prima adolescenza (12-14 anni) i ragazzi affrontano
numerosi cambiamenti corporei e cominciano a riflettere sui propri vissuti emotivi ed
affettivi; nella media adolescenza (14-16 anni) i giovani si separano psicologicamente
dalle figure parentali internalizzate e ricercano nuovi oggetti extrafamiliari; infine, nella
tarda adolescenza (16-19 anni) il compito principale consiste nella costruzione
dell’identità, nelle sue espressioni psicologiche, sociali e sessuali (Offer, Boxer, 1991).
La prospettiva psicoanalitica si basa sul postulato di poter descrivere e comprendere
l’adolescenza in quanto processo psicologico relativamente omogeneo all’interno della
stessa società. Nei Tre saggi sulla teoria sessuale (1905) S. Freud parla delle
trasformazioni della pubertà, del ruolo svolto dall’accesso alla sessualità e, per questa
via, della riorganizzazione delle pulsioni parziali sotto il primato genitale, con lo scopo
appunto di cogliere la specificità peculiare della fase adolescenziale al di là del quadro
culturale che cambia. Naturalmente non è possibile una completa sovrapposizione del
fenomeno adolescenziale con l’universale fenomeno della pubertà, sebbene ne sia
indubbiamente influenzato (Brusset, 1985) e, in secondo luogo, la teoria motivazionale
di Freud è stata, con l’avvento della teoria delle relazioni oggettuali e della psicologia
del Sé, rivisitata e ampliata nel tentativo di dare una comprensione più esaustiva della
complessa fenomenologia comportamentale a cui si assiste in adolescenza.
Storicamente l’adolescenza è stata letta come evoluzione (Blos, 1962, 1979),
enfatizzandone la continuità con il passato, o come crisi, cogliendone più la dimensione
II
di peculiarità e cambiamento sia rispetto al passato, l’infanzia, sia rispetto al futuro,
l’età adulta (A. Freud, 1957, 1966; Erikson, 1963, 1968; Kestemberg, 1962, 1980;
Laufer & Laufer, 1984). Offer, cogliendo i limiti insiti nelle teorie sull’adolescenza e
avvalendosi dei dati provenienti dalla ricerca, ha elaborato una teoria dello sviluppo
normale che differenzia percorsi di crescita negli adolescenti fondamentalmente
normali (Offer, Sabshin, 1983). In questa prospettiva è possibile una convivenza degli
assunti di continuità e discontinuità nel percorso evolutivo, senza una necessaria
contrapposizione.
Il primo capitolo di questo lavoro di tesi è stato dedicato alla trattazione degli aspetti
fase-specifici dell’adolescenza. Un primo riferimento è stato fatto ai principali aspetti
dinamici dell’adolescenza, visti alla luce dei diversi contributi teorici di stampo
psicoanalitico, con una particolare attenzione alla distinzione tra i contributi derivanti
dal modello pulsionale (Greenberg, Mitchell, 1983), che ha nella teoria del conflitto la
sua visione della psicopatologia e che sottolinea come in adolescenza le pulsioni siano
attivate dalla maturazione sessuale e come ciò metta alla prova l’organizzazione dell’Io
e le stesse istanze normative del Super-Io, piuttosto che dal modello relazionale, che ha
nel deficit evolutivo la sua visione della psicopatologia e che in adolescenza s’intreccia
inevitabilmente con l’identità e il sé, che vanno incontro ad una profonda
riorganizzazione (Erikson, 1968, 1982).
In seguito si è sentita la necessità di introdurre uno spazio dedicato alla teoria
dell’attaccamento, con una breve ricostruzione storica, partendo da Bowlby fino ai
lavori di Mary Ainsworth, sottolineando soprattutto come in adolescenza i modelli
operativi interni e parallelamente le relazioni d’attaccamento vengono sottoposti ad una
profonda revisione, proprio perché identificati con un modo infantile di percepire le
cose, fortemente mutuato dalle concezioni genitoriali.
Nell’impossibilità di spiegare il funzionamento psichico dell’adolescente solo
attraverso il sistema motivazionale dell’attaccamento, e’ stata introdotta la teoria
motivazionale di J.D. Lichtenberg (1989) che sottolinea l’alternanza dei cinque sistemi
motivazionali lungo le diverse fasi del ciclo di vita, con particolare attenzione alle
gerarchie motivazionali del periodo adolescenziale.
Una seconda parte del primo capitolo è stata dedicata alle nuove competenze cognitive
dell’adolescenza, con riferimento alla teoria cognitiva di Piaget che vede nel passaggio
III
allo stadio delle operazioni formali la possibilità di ragionamento ipotetico-deduttivo e
un cambiamento nel rapporto dell’adolescente con il mondo: il pensiero si situa tra il
possibile ed il reale, con una subordinazione del reale al possibile (Piaget, Inhelder,
1955). La comparsa del pensiero astratto fornisce nuove possibilità evolutive, inoltre
anche le capacità metacognitive e di mentalizzazione subiscono un’ulteriore sviluppo in
adolescenza risultando, in soggetti con una particolare vulnerabilità rispetto alle
capacità di autorappresentazione dei propri stati mentali e di quelli degli altri
significativi, potenzialmente traumatizzanti e potrebbero condurre all’evitamento di
rapporti interpersonali intimi e affettivamente importanti.
Recenti contributi delle neuroscienze hanno permesso una comprensione maggiore
dello sviluppo e dei cambiamenti cognitivi ed emotivi di cui troviamo manifestazione
in adolescenza. Recenti scoperte relative allo sviluppo cerebrale in adolescenza (Giedd,
2004; Steinberg, 2005) hanno permesso una diversa comprensione dei comportamenti e
delle manifestazioni adolescenziali, oltre a fornire nuove basi per una maggior
differenziazione tra sviluppo normale a atipico in questa fase di sviluppo.
L’esigenza di un riferimento ai contributi delle neuroscienze, in riferimento al problema
della normalità e della patologia in adolescenza, è nato all’interno di una più ampia
cornice teorica corrispondente alla psicopatologia evolutiva (Sameroff, Emde, 1989;
Cicchetti, Cohen, 1995). Obiettivo della Psicopatologia Evolutiva è la comprensione
dello sviluppo normale e patologico e delle loro interazioni tra continuità e
discontinuità, superando i confini tra le singole discipline e attingendo a modelli e
contributi di ricerca provenienti dalla psichiatria, dalla psicoanalisi, dalla genetica, dalla
biologia e dalla neurologia. In questa prospettiva la psicopatologia viene considerata
come espressione di un fallimento nella negoziazione dei compiti evolutivi, a cui fa
seguito un disadattamento o una distorsione (Ammaniti, 2002). La psicopatologia
evolutiva ha sottolineato l’importanza di delineare fattori di rischio o di vulnerabilità,
fattori protettivi e le loro interazioni nel favorire percorsi di sviluppo adattivi o
patologici. In questo primo capitolo si è quindi sentita l’esigenza di individuare gli
aspetti specifici della capacità di resilienza in adolescenza e aspetti di vulnerabilità
individuale ed ambientale che siano direttamente legati al periodo adolescenziale inteso
come fase di vulnerabilità specifica (Novelletto, 1986).
IV
Gli adolescenti sono particolarmente vulnerabili ai traumi e ciò per ragioni evolutive
diverse: l’accresciuta stimolazione interna che fa seguito alla pubertà deve fare i conti
con delle strutture egoiche e superegoiche indebolite, inoltre l’adolescente a differenza
del bambino può finalmente trasformare i desideri in realtà e alla luce di ciò si ha una
maggior probabilità di traumatizzazione attraverso la posteriorità d’azione della
memoria (Nachträglichkeit) (Novick & Novick, 2001). E’ stato quindi necessario un
approfondimento di cosa s’intenda per trauma attraverso un’iniziale retrospettiva
storica e una trattazione delle conseguenze dell’adattamento al trauma da un punto di
vista neurobiologico, cognitivo e di funzionamento generale del soggetto. Ciò che è
emerso dallo studio sul trauma è che il meccanismo difensivo della dissociazione
risulta profondamente coinvolto nella risposta fisiologica e psicologica del soggetto ad
eventi stressanti e/o traumatici di vita, tanto che il secondo capitolo è stato
completamento dedicato ad un’esposizione storica e scientifica del concetto di
dissociazione. Gli attuali modelli della dissociazione considerano la dissociazione un
processo psicologico normale, utilizzato dall’individuo come meccanismo di difesa di
fronte al trauma, in contrasto con il modello, risalente ai primi del 900, di Janet che
considerava la dissociazione un processo anormale provocato dallo stress nella mente
costituzionalmente debole del paziente isterico. All’interno di questo secondo capitolo
si è fatto riferimento ai contributi di F.W. Putnam (2001) nello studio della
dissociazione all’interno della psicopatologia evolutiva, oltre che ad un
approfondimento dei correlati psicologici e somatoformi della dissociazione (Janet,
1907; Nijenhuis, 2004) e al significato della dissociazione in adolescenza e del suo
legame con la psicopatologia.
Studiando la complessità dell’adattamento al trauma e facendo riferimento al concetto
di complex trauma (van der Kolk, 2005; Cook et al., 2005; Nicolais, Speranza,
Bacigalupi, Gentile, 2005) si è evidenziato come esperienze di natura stressante e/o
traumatica, soprattutto se precoci e continuative nel tempo, interferiscano inizialmente
con lo sviluppo di un attaccamento sicuro all’interno del sistema di caregivering e,
successivamente, comportino conseguenze a lungo termine in almeno sette diverse
aree: attaccamento, neurobiologia, regolazione affettiva, alterazioni di coscienza
(dissociazione), regolazione comportamentale, capacità cognitive e concetto di sé. In
questi casi la risposta del soggetto al trauma non può essere raccolta totalmente dalla
V
sindrome delle intrusioni, dell’evitamento e dell’iperreattività (Disturbo Post-
traumatico da Stress, DSM-IV), quanto piuttosto, avendo intaccato diverse domini di
competenza nell’autoregolazione, ha esiti diversi in gravità e pervasività. Parte della
letteratura sul trauma sottolinea la presenza di esperienze traumatiche nella vita dei
soggetti con disturbi alimentari, sebbene la singola esperienza traumatica non sia
sufficiente a spiegare tale esordio psicopatologico, piuttosto si evidenzia la necessità di
ulteriori fattori di mediazione che sembrano avere un ruolo cruciale nell’etiopatogenesi
del disturbo alimentare (Vanderlinden, Vandereycken, 1997).
Il terzo capitolo è stato dedicato alla trattazione dei disturbi del comportamento
alimentare, approfondendo in particolare i diversi sottotipi rappresentati dall’anoressia
nervosa, dalla bulimia nervosa e dal binge eating disorder nei loro aspetti di
individuazione storica del quadro clinico, dei criteri diagnostici dei sistemi di
classificazione psichiatrica DSM-IV (APA, 1994) e ICD-10 (WHO, 1992), delle
differenze nell’epidemiologia, nella descrizione clinica, nella comorbidità e nella
diagnosi differenziale. E’ stata approfondita l’eziopatogenesi dei disturbi alimentari,
con particolare riferimento al modello della via finale comune che vede nell’evento
patologico la via finale comune di vari possibili processi patogenetici che, a loro volta,
nascono dall’interazione di fattori diversi (Cuzzolaro, 2004). Sono stati introdotti
diversi modelli interpretativi dei disturbi alimentari, facendo riferimento ai diversi
autori che nella storia del pensiero psicoanalitico si sono occupati dei disturbi
alimentari, passando poi ai contributi di Hilde Bruch (1962) che con il concetto di
confusione enterocettiva ha fatto luce sulle difficoltà dei soggetti con disturbi
alimentari nell’elaborazione e regolazione cognitiva delle emozioni, fino ai contributi
delle teoria dell’attaccamento, delle teorie cognitive e di quelle sistemico-relazionali.
Nell’ultima parte del terzo capitolo sui disturbi del comportamento alimentare si è
indagata la complessità del legame tra esperienze traumatiche e disturbi alimentari, con
particolare attenzione alla presenza e al ruolo svolto da vissuti e sintomi dissociativi.
Nel quarto ed ultimo capitolo è stata esposto il lavoro di ricerca attorno al quale si è
enucleato questo progetto di tesi, che ha indagato le esperienze traumatiche, il
funzionamento emotivo-comportamentale, le strategie difensive e, in particolar modo, i
vissuti ed i sintomi dissociativi in un campione di adolescenti con disturbi del
comportamento alimentare. Tale ricerca prende spunto da precedenti contributi di
VI
ricerca della cattedra di Psicopatologia dell’infanzia e dell’adolescenza presieduta dal
Prof. Massimo Ammaniti, che hanno indagato nella popolazione adolescenziale la
presenza di esperienze stressanti e/o traumatiche di vita e il funzionamento emotivo-
comportamentale, oltre alla presenza di vissuti dissociativi e qualità delle strategie
difensive (Ammaniti, Cimino, Petrocchi, 2007).
Il campione clinico della presente ricerca è stato raccolto grazie alla collaborazione di
tre servizi pubblici che si occupano della diagnosi e cura dei disturbi alimentari, due dei
quali dislocati nella Regione Umbria e l’altro nella Regione Lazio. Obiettivo della
ricerca è stato quello di valutare l’impatto di situazioni stressanti e/o traumatiche di vita
nel campione clinico di adolescenti messo a confronto con un campione non referred di
adolescenti appaiati per età e sesso. In particolare si è valutato il funzionamento
emotivo-comportamentale, i vissuti e i sintomi dissociativi e le strategie difensive nelle
adolescenti con disturbo del comportamento alimentare confrontate con le adolescenti
estratte dal campione non referred. Dopo una valutazione delle esperienze stressanti e/o
traumatiche nel campione clinico abbiamo valutato la relazione tra esperienze
traumatiche pregresse e funzionamento emotivo-comportamentale. Come ultimo
obiettivo si è tentato di esplorare eventuali aspetti somatici legati a vissuti e fenomeni
dissociativi.
1
Capitolo 1
ADOLESCENZA COME FASE SPECIFICA E RISCHIO
PSICOPATOLOGICO
Introduzione
L’adolescenza (dal latino adolescere, crescere) è il periodo della vita tra la
fanciullezza e l’età adulta durante il quale l’individuo si trova a dover fronteggiare
cambiamenti radicali che riguardano la maturazione biologica, lo sviluppo cognitivo e
le relazioni sociali con il compito evolutivo di rimettere in discussione l’equilibrio
psichico finora raggiunto e di acquisire le competenze e i requisiti necessari per
assumere le responsabilità di adulto (Palmonari, 2001).
In tutti gli studi sull’adolescenza si fa riferimento a questa fase evolutiva come un
periodo della vita dominato dal tema della trasformazione. Hall (1904) parlava
dell’adolescenza come di una specie di seconda nascita nella quale le strutture della
personalità vengono completamente rinnovate. L’adolescente si trova a dover
fronteggiare numerosi cambiamenti derivanti in primo luogo dalle trasformazioni
fisiologiche della pubertà e, in secondo luogo, dallo sviluppo di nuove capacità
intellettive che porteranno ad una nuova percezione di sé e del mondo esterno, in un
gioco continuo d’identificazioni vecchie e nuove che contribuiranno alla formazione
della nuova identità di giovane adulto.
Le caratteristiche della fase adolescenziale nel periodo attuale non sono sempre
esistite, rispecchiano il periodo storico a cui appartengono e subiscono ulteriori
multivariazioni se si cambia il contesto sociale, tra l’altro un’evoluzione storica lenta
e progressiva ha portato ad una dilatazione dei confini cronologici che delimitano
l’inizio e la fine dell’adolescenza, tanto che diversi autori hanno sentito l’esigenza di
operare una distinzione tra prima, media e tarda adolescenza. Nella prima
adolescenza (12-14 anni) il ragazzo e la ragazza affrontano i cambiamenti corporei e
si rivolgono verso se stessi. Nella media adolescenza (14-16 anni) si separano dalle
figure genitoriali interiorizzate per cercare oggetti extrafamiliari in campo sociale e
affettivo. Nella tarda adolescenza (16-19 anni) il compito evolutivo principale
dell’adolescente è la costruzione dell’identità nelle sue espressioni psicologiche,
sociali e sessuali (Offer, Boxer, 1991).
2
Numerosi contributi di stampo psicoanalitico parlano dell’adolescenza come di un
periodo di sconvolgimento, di turmoil, che perdura fino al raggiungimento di un
nuovo equilibrio psichico. Anna Freud (1957) a tal riguardo parla dell’adolescenza
come di un disturbo evolutivo che rappresenta un inevitabile e necessario passaggio
sul piano dell’adattamento e, altrove, specifica: «ciò che è di importanza
fondamentale è sapere quale tipo di tumulto adolescenziale sia meglio adatto ad
introdurre il tipo più soddisfacente di vita adulta» (A. Freud, 1966, p. 1005).
Un’opposta linea interpretativa, quella cumulativa, minimizza la problematicità insita
nel periodo adolescenziale, sostenendone la continuità con il passato (Blos, 1962;
Erikson, 1968).
In riferimento a queste concettualizzazioni si percepisce la difficoltà che si incontra a
livello teorico, oltre che in clinica, nello stabilire il confine tra "normalità" e
"patologia" in adolescenza e nella valutazione delle condizioni patologiche transitorie
o a rischio di una evoluzione duratura.
In questo primo capitolo, dopo una presentazione dei modelli teorici di comprensione
dell’adolescenza e dei recenti contributi delle neuroscienze, si prenderanno in
considerazione fattori di vulnerabilità fase-specifici e fattori protettivi che all’interno
di una più ampia prospettiva multifattoriale spieghino l’ampia variabilità d’esito
psicopatologico in questo periodo della vita.
1.1 I principali aspetti dinamici dell’adolescenza
La prospettiva psicoanalitica si basa sul postulato di poter descrivere e comprendere
l’adolescenza in quanto processo psicologico relativamente omogeneo all’interno
della stessa società. Nei Tre saggi sulla teoria sessuale (1905) S. Freud parla delle
trasformazioni della pubertà, del ruolo svolto dall’accesso alla sessualità e, per questa
via, della riorganizzazione delle pulsioni parziali sotto il primato genitale, con lo
scopo appunto di cogliere la specificità peculiare della fase adolescenziale al di là del
quadro culturale che cambia. Secondo Freud l’adolescente ricercherà ora all’esterno,
in altri, il proprio oggetto sessuale e il piacere preliminare legato alle zone erogene
parziali lascerà il posto al piacere terminale legato alla zona genitale.
Naturalmente non è possibile una completa sovrapposizione del fenomeno
adolescenziale con l’universale fenomeno della pubertà, sebbene ne sia
indubbiamente influenzato (Brusset, 1985) e, in secondo luogo, la teoria
motivazionale di Freud è stata, con l’avvento della teoria delle relazioni oggettuali e