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INTRODUZIONE
La crescita della concorrenza impone alle imprese di mantenersi competitive
attraverso: il monitoraggio, il controllo e il confronto dei risultati dei processi di
business. Le condizioni abilitanti necessarie, ma non sufficienti, affinchØ questo
possa avvenire, sono la definizione dei “Process activity and flow standards”,
“Process performance standards”, “Process management standards”. Il terzo insieme
di standard, la cui elaborazione dovrebbe essere successiva ai precedenti corrisponde
alle best practices di gestione. Il problema di richiedere il consenso su attività e flussi
di processo, prima di procedere alla sua elaborazione, è stato risolto definendo
diversi Process activity and flow standards e best practices oppure definendo delle
practices di gestione ad un livello di generalità tale da non renderlo piø necessario.
Questo espediente ha determinato la moltiplicazione dei maturity models di project
management senza una focalizzazione dei campi di applicazione con lo sviluppo di
standard pensati per essere applicati a qualsiasi contesto in virtø della loro generalità,
ma che poi risultano essere di difficile implementazione pratica, proprio perchØ
l’operazione di “tailoring”, demandata all’organizzazione, si dimostra estremamente
complessa.
Le best practices di manufacturing, i cui studi sono afflitti dal limite di trascurare:
lo studio del rapporto che lega la best practice oggetto di analisi ai presunti
risultati di miglioramento delle performance analizzate;
il legame in chiave strategic fit esistente tra best practices differenti e la
potenziale influenza di fattori come il tipo di industria, le dimensioni aziendali, i
processi ed i prodotti;
il fatto che le practices, anche le migliori, possano divenire obsolete nel corso del
tempo;
non hanno ricevuto la stessa attenzione dei maturity models di project management.
Ci si è limitati ad una loro legittimazione come standard de facto, ma non sono stati
sviluppati tool di assessment e reference model per un percorso di miglioramento
strutturato, comparabili a quelli dei maturity models.
Lo scopo principale di questo lavoro di tesi è quindi l’analisi e lo studio dei maturity
models di project management e degli strumenti di plant assessment, promuovendone
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il confronto critico, l’analisi dei punti di debolezza e di forza e la verifica della
possibilità di migliorare l’applicabilità pratica del CMMI e di utilizzare la struttura
dei maturity model per la creazione di un reference model e tool di assessment per la
valutazione della maturità nella gestione della produzione industriale.
La prima parte è dedicata all’analisi della progressiva standardizzazione dei processi
con la definizione dei “Process activity and flow standards”, “Process performance
standards”, “Process management standards” come base per la promozione del
confronto critico. ¨ descritto, in generale, come questo fenomeno si sia sviluppato e
stia evolvendo soprattutto nell’ambito del Project Management e del manufacturing.
Definito un quadro di insieme sui Process management standards, si prosegue con la
determinazione dei criteri di comparazione e la promozione di confronti tra i
reference model e tool di assessment dei maturity models di project management e
tra i tool di assessment della gestione di un impianto manifatturiero. Questa fase si
conclude con la diagnosi dello stesso problema di applicabilità pratica per gli
strumenti in entrambi i contesti.
Il primo contributo innovativo, che questo lavoro di tesi intende apportare, consiste
in un miglioramento incrementale del maturity model del CMMI, attraverso la
definizione di una modalità e di una metodologia di diagnosi dello stato as is che sia
facile e veloce da implementare e che fornisca una guida al miglioramento.
L’importanza di questo intento deriva da una semplice constatazione: tutti i maturity
models esistenti o implicano una complessità nell’esecuzione dell’assessment tale da
richiedere che sia eseguito da un esperto che padroneggi lo standard a cui il maturity
model fa riferimento (CMMI, OPM3) o sono eccessivamente semplificati e
qualitativi (P2MM self assessment). La conseguenza è che una organizzazione che
voglia migliorare se stessa deve necessariamente ricorrere ad un esperto esterno se
vuole ottenere delle indicazioni precise sugli interventi da effettuare. Al fine di
rendere l’organizzazione almeno in grado di valutare il suo stato corrente e
comprendere le aree di possibile intervento, si intende semplificare la metodologia di
valutazione prevista dal CMMI in modo tale che sia eseguibile da personale non
avente una formazione specifica.
Il secondo contributo innovativo che questo lavoro di tesi intende apportare consiste
nel definire, sulla base dell’analisi compiuta sul CMMI e sugli altri maturity model,
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nonchØ sui precedenti articoli sul tema disponibili in letteratura, uno strumento di
assessment del livello di maturità relativo alle operations che caratterizzano la
produzione industriale. Questo obiettivo appare quanto mai ambizioso dato che gli
unici framework di riferimento utilizzabili riguardano i progetti, che sebbene siano
forme di lavoro che presentano elementi in comune con le operations, come il fatto di
avere per esecutori delle persone, di essere vincolati a risorse limitate e di essere
pianificati eseguiti e controllati, sono quanto mai distanti, visto che differiscono
significativamente in quanto le operations sono di natura permanente e ripetitiva
mentre i progetti sono temporanei con inizio e fine certi ed unici.
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1. LA PROMOZIONE DI STANDARD E BEST
PRACTICES COME MEZZO PER IL
RAGGIUNGIMENTO DELL’EFFICIENZA
L’imperativo fondamentale per tutte le imprese che operano in regime di concorrenza
è mantenersi competitive. Al fine di garantire l’efficienza è necessario: monitorare,
controllare e confrontare i risultati dei processi di business. Dove per processo di
business si intende semplicemente il modo nel quale un'organizzazione svolge il
proprio lavoro quindi l'insieme di azioni da essa attuate per raggiungere un obiettivo
particolare per un determinato cliente, sia interno o esterno. I processi possono essere
grandi e multi-funzionali, come la gestione degli ordini, o relativamente ristretti,
come l’immissione di un ordine, che potrebbe essere considerato un processo in sØ o
un sottoprocesso di gestione degli ordini (1).
Le condizioni abilitanti necessarie, ma non sufficienti, affinchØ le organizzazioni
possano eseguire il monitoraggio, il controllo ed il confronto sono la definizione dei
“Process activity and flow standards”, “Process performance standards”, “Process
management standards” (1).
Questo capitolo è dedicato alla spiegazione di come la ricerca di efficienza abbia e
stia portando alla definizione dei tre standards sebbene in modo diverso a seconda
dei settori e campi di impiego e di come la relativa indipendenza dei Process
Management Standard dalla definizione degli altri due, ne abbia facilitato lo sviluppo
e la diffusione. I due settori presi in considerazione nell’analisi sono quello del
project management con i maturity models e quello del manufacturing con le norme
ISO e le altre best practices come le tecniche SMED, il TQM.
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1.1. DALLA GESTIONE AD-HOC ALL’AFFERMAZIONE DEI
THREE TYPES OF PROCESS STANDARD
La maggior parte delle organizzazioni ha promosso fino a pochi decenni fa lo
sviluppo di processi in-house per ogni attività da compiere sia che fosse
fondamentale per la strategia dell'organizzazione sia che fosse marginale. Il risultato
di questa politica è stato lo sviluppo di processi ad-hoc in ogni dipartimento, per ogni
funzione aziendale, in misura tale da rendere l’organizzazione ingovernabile,
mancando la condivisione di uno standard e di convenzioni di riferimento. Questo
genere di situazioni è ancora oggi presente in sacche di inefficienza. Ad esempio
durante la mia esperienza di stage presso il Servizio Informatica della Camera dei
Deputati è emersa una situazione paradossale, risultato di anni di gestioni ad hoc dei
progetti, che si è tradotta nella incapacità dell’organizzazione di fornire un semplice
elenco dei progetti attualmente in corso di esecuzione.
La diretta conseguenza della mancanza di standard di riferimento è stata l’incapacità
di conseguire i risultati auspicati nella forma di una rapida riduzione dei costi e delle
inefficienze, nonostante il cambiamento delle politiche di efficientamento utilizzate
dalle organizzazioni nel corso del tempo.
Questa situazione sta evolvendo verso la progressiva affermazione dei “Process
activity and flow standards”, “Process performance standards”, “Process
management standards” per via della crescente competizione mondiale e rapida
diffusione di sistemi ERP.
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1.1.1. Diversi tentativi di essere efficienti ma scarsi risultati
Le prime campagne sistematiche di miglioramento dei processi di business risalgono
agli anni ‘70 e ‘80, quando le organizzazioni si convertirono al Total Quality
Management. Poi negli anni ‘90 si diffuse la moda del business process
reengineering, ispirato al principio del value streaming, come mezzo per la
razionalizzazione del flusso di attività dei processi. Nel decennio in corso, molte
aziende hanno implementato programmi Six Sigma. Nonostante la differente natura
di questi interventi, molte organizzazioni non hanno riscontrato i benefici auspicati,
soprattutto per quanto riguarda la rapida riduzione dei costi e delle inefficienze.
In conseguenza del sostanziale fallimento dei tentativi di miglioramento dei processi
in-house, verso la fine del ventesimo secolo, l'idea di esternalizzare processi e
capacità ha cominciato a guadagnare credito come mezzo per raggiungere piø
rapidamente i benefici ricercati. Una volta innescato questo meccanismo le
organizzazioni sono rapidamente passate dalla esternalizzazione di alcuni processi
accessori e marginali come la manutenzione degli edifici e le consulenze e i servizi
legali specialistici a funzioni fondamentali. Il primo passo in questa direzione è stato
compiuto da aziende come Kodak e DuPont che hanno ceduto in outsourcing
l’information technology management. Successivamente è stata la volta di AT&T e
BT che hanno ceduto in outsourcing i processi relativi alla gestione delle risorse
umane dal reclutamento al pagamento degli stipendi. Aziende come la BP e la
Procter & Gamble hanno esternalizzato fasi importanti delle loro funzioni finanziarie
e contabili, Nike e Hewlett-Packard le fasi di fabbricazione. Queste aziende sono
state sedotte dal concetto di outsourcing dei processi in gran parte a causa del
potenziale di riduzione dei costi. Molte di esse hanno sperimentato gli effetti deleteri
che l’esternalizzazione eseguita solo sulla base del driver di costo è capace di
causare, tornando ad interiorizzare le funzioni cedute.
Questa situazione di incertezza circa il modo migliore di perseguire il miglioramento
è destinata a cambiare grazie all'ampia gamma di standard di processo che renderà
possibile stabilire se una capacità di business può essere migliorata e in che modo,
promuovendo il confronto con partner e competitor.
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1.1.2. L’esigenza di standardizzare per un confronto efficace
La promozione di standard è finalizzata a migliorare le capacità di confronto e
coordinamento (1), (2). Se esiste una definizione di riferimento del processo, dei
sottoprocessi che lo compongono, delle attività, della sequenza in cui devono essere
svolte, non sussistono piø ambiguità su cosa si intenda e su cosa faccia parte o meno
di un processo. In pratica non è piø necessario in fase di discussione trovare un
accordo su una definizione condivisa del processo e delle sue componenti, ma è
sufficiente utilizzare il nome prescritto dallo standard. Inoltre diviene possibile un
confronto delle prestazioni a parità di condizioni che agevola notevolemente la
selezione. Si tenga poi presente che differenti performance relative allo stesso
processo implicano la possibilità di ricondurle immediatamente alle diversità nella
gestione, essendo la struttura identica. A questo punto non ci sono piø ostacoli
all’individuazione delle best practices la cui applicazione può essere replicata
ovunque nelle organizzazioni che aderiscono allo standard per quel processo, senza
potersi opporre con l’alibi del “not-invented-here”. In questo modo si innesca un
circolo virtuoso per il miglioramento continuo.
1.1.3. Process activity and flow standards, Process performance
standards, Process management standards
Lo sviluppo degli standard non è avvenuto e non sta avvenendo nell’ordine appena
esposto: “Process activity and flow standards”, “Process performance standards”,
“Process management standards”.
I “Process activity and flow standards” stanno cominciando ad emergere in una
varietà di imprese e industrie. Alcuni sono il risultato degli sforzi da parte di gruppi
di processo, come il Supply-Chain Council, che ha piø di 800 membri ed ha
sviluppato il Supply-Chain Operations Reference (SCOR) model, che prevede la
suddivisione del processo della supply chain in cinque fasi principali: plan, source,
make, deliver, return. Il modello specifica le attività di seconda, terza fascia e i
sottoprocessi di quarto livello con livelli crescenti di dettaglio (3), (4). Per molte
attività, il Council ha anche definito le metriche chiave come il "fill rate" o il "returns
processing cost", ma non i parametri di riferimento. Centinaia di organizzazioni,
dalla Alcatel alla US Navy, hanno iniziato ad utilizzare il modello SCOR per
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valutare i loro processi, i fornitori di software come SAP hanno cominciato a
includere i flussi e le metriche SCOR nei loro pacchetti software di supply chain (1).
Dati i successi ottenuti con lo SCOR alcune organizzazioni, comprendenti
rappresentati dalla Product Development Management Association, tra i quali HP e
Intel e diverse società di consulenza, stanno tentando di creare, sulla base dello
SCOR un modello per la maggior parte dei processi interni ad una organizzazione,
che interessino oltre alla supply chain anche lo sviluppo dei prodotti, le relazioni con
i clienti ed il supporto alle funzioni finanza e gestione risorse umane.
Il secondo insieme di standard, la cui elaborazione dovrebbe essere successiva al
primo appena esposto è il Process Performance Standard, vale a dire il parametro di
riferimento per le metriche chiave. Il rapporto di consequenzialità si deve al fatto che
le imprese appartenenti ad un dato settore industriale, possono iniziare a misurare e
comparare i risultati, solo dopo essersi accordate circa le attività ed i flussi che
costituiscono un processo. Ad esempio, se il processo di formazione di un nuovo
impiegato fosse formalizzato nel Process activity and flow standards, sarebbe
possibile in base al settore di attività, attribuire un benchmark di riferimento al costo
complessivo del processo di formazione. Benchmarks di riferimento per il modello
SCOR sono già disponibili. L’American Productivity and Quality Center (APQC) sta
collaborando con un consorzio di organizzazioni chiamato Open Standards
Benchmarking Collaborative per creare un database pubblico di Process activity and
flow standards, metriche e benchmarks per aiutare le imprese a livello mondiale a
valutare e migliorare rapidamente le loro prestazioni (1).
Il terzo insieme di standard, la cui elaborazione dovrebbe essere successiva ai
precedenti è il Process management standards, cioè le best practices di gestione. Il
problema di richiedere il consenso su attività e flussi di processo, prima di procedere
alla sua elaborazione, è stato risolto definendo diversi Process activity and flow
standards e best practices oppure definendo delle practices di gestione ad un livello
di generalità tale da non renderlo piø necessario. Il rilassamento di questo vincolo ha
reso estremamente semplice la creazione dei Process Management Standards, che
oggi risultano ampiamente diffusi. Quest’ultimi sono basati sul presupposto che la
corretta gestione del processo, qualunque sia la sua struttura, purchè avvenga
secondo i dettami delle best practices, finirà per determinare buone prestazioni (1). In
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alcuni settori come il project management e il manufacturing, tali norme sono già di
largo uso attraverso i maturity models, la serie ISO 900x e le tecniche SMED, il
TQM …
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1.2. ORIGINE, EVOLUZIONE E TENDENZE DEI MATURITY
MODELS DI PROJECT MANAGEMENT
In generale, ci sono due motivi per cui è vantaggioso per le organizzazioni adottare
un maturity model per il Project, Program e Portfolio Management. Da quando le
società hanno cominciato ad adottare l’approccio project based nel condurre gli affari
è divenuto imperativo consegnare i progetti con successo. Il conseguimento di questo
obiettivo richiede come condizione necessaria, ma non sufficiente, lo sviluppo di
infrastrutture adeguate, che comprendono processi, metodi, tecniche, strutture di
governance e soprattutto personale adeguatamente formato. Lo sviluppo
dell'infrastruttura può richiedere diversi anni e l'adozione di un maturity model si
rivela utile in questa fase, essendo in grado di assistere le organizzazioni nella
pianificazione delle modifiche da apportare al modello di business corrente e nella
verifica di quanto realizzato, fornendo una descrizione delle attività e delle best
practices classificate in funzione di livelli progressivi di maturità. Il secondo
vantaggio derivante dall'adozione di un maturity model diviene evidente quando
un’organizzazione ha terminato lo sviluppo dell’infrastruttura di base e procede a
valutare la sua prassi attuale (as-is) per definire gli obiettivi di avanzamento dal
livello corrente al livello desiderato di maturità (5). L’organizzazione matura una
visione dei guadagni rispetto ai punti di forza e di debolezza ed è in grado di
attribuire le priorità agli interventi di miglioramento. L'esecuzione di una valutazione
di maturità aumenta la consapevolezza di ciò che può essere migliorato, in virtø del
fatto che i membri dell’organizzazione si concentrano maggiormente sulle
inefficienze dei loro modi di lavoro.
¨ stata dedicata molta attenzione ai Maturity Models in quanto permettono ad
un’organizzazione di valutare e confrontare le proprie practices con le best practices
o con quelle impiegate dai concorrenti per tracciare un percorso strutturato di
miglioramento (6). In sostanza, un modello di maturità è un quadro che descrive
l'ideale progressione verso il miglioramento desiderato, usando piø fasi successive o
livelli. Si tenga presente che i maturity models per il Project Management possono
essere applicati anche ad una sola business unit, gruppo funzionale o dipartimento.
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1.2.1. L’origine dei Maturity Models
I termini “Maturity Model” compaiono in letteratura la prima volta accostati ad
“Information Systems” e sono stati usati da due scuole: quella di Richard Nolan
presso la Harvard Business School e quella di S. Watts Humphrey della Carnegie
Mellon University.
Il modello originale di Nolan determina il livello di maturità raggiunto dalle imprese
nell’elaborazione elettronica dei dati (EDP), rispetto a quattro fasi distinte:
“Initiation”, “Expansion”, “Formalization”, “Maturity” ed è basato sul budget
allocato a questa funzione nel corso del tempo.
Nel loro articolo originale del 1974, Gibson e Nolan descrivono il modello come
segue: “La base di questo quadro di fasi è la recente scoperta che il budget destinato
alla funzione EDP per un certo numero di società, rappresentato rispetto all’asse
temporale, dall’istante dell'investimento
iniziale fino al raggiungimento della
maturità, forma una curva a S. I cambi
di concavità di questa curva
corrispondono ai principali eventi -
spesso di crisi - nella “vita” della
funzione EDP e segnalano cambiamenti
importanti nel modo in cui la risorsa è
gestita. Ci sono tre cambi di concavità e
quattro fasi”. Il maturity model di Nolan
attribuisce un giudizio sulla base della
crescita registrata lungo tre dimensioni di analisi: le funzionalità delle applicazioni
informatiche, il livello di specializzazione del personale EDP, le tecniche di gestione
e di organizzazione formale.
Figura 1 - Le quattro fasi di crescita del
Maturity Model originale di Gibson/Nolan, per
la valutazione del livello di maturità raggiunto
dalle imprese nell'EDP.
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Il Maturity Model di Watts Humphrey è
stato sviluppato alla fine degli anni
ottanta con la sua squadra del Software
Engineering Institute (SEI) alla Carnegie
Mellon University, per la valutazione del
livello di maturità nello sviluppo di
software. Il SEI ha introdotto Maturity
Models per scopi diversi, ad esempio
People Capability Maturity Model,
Software Acquisition Capability
Maturity Model, Systems Engineering Capability Maturity Modell, Integrated
Product Development Capability Model. Il CMM ora chiamato SW-CMM
(Capability Maturity Model for Software) è divenuto uno standard de facto per
migliorare i processi di sviluppo software.
Le differenze piø significative si devono al fatto che il modello di Nolan si concentra
su una determinata unità organizzativa (l'unità di EDP o funzione IT) e descrive la
crescita del livello di maturità rispetto a quattro dimensioni (budget EDP,
applicazioni informatiche, personale EDP, tecniche di gestione), mentre la CMM si
concentra su processi svolti all'interno della funzione IT e considera esclusivamente
la qualità dei processi. Tuttavia, il modello CMM suggerisce diverse pratiche
cosiddette chiave che devono essere prese in considerazione quando la maturità del
processo debba essere incrementata (7).
1.2.2. La moltiplicazione dei campi di applicazione
Lo sviluppo del Capability Maturity Model ha ispirato l'emergere di altri modelli
nello stesso campo dello sviluppo del software come il Test Process Improvement
(TPI) Model sviluppato da Sogeti (8) e lo Usability Maturity Model (9). L'esistenza
del CMMI, congiuntamente all’esigenza di promuovere una migliore gestione dei
progetti ha portato anche allo sviluppo di maturity models per il Project
Management. Dato il contributo che quest’ultimo apporta nel processo di sviluppo
del software, molti dei concetti inseriti nei Capacity Maturity Models sono stati
adottati nei maturity models del Project Management (10). Lo scopo di questi
Figura 2 - I 5 livelli della software process
maturity nel modello originale di Humphrey.
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modelli è descrivere quanto “mature” e “professionali” siano le organizzazioni nella
conduzione di un progetto e cosa dovrebbero fare per migliorare il loro modo di
lavorare.
Allo stato dell’arte non esiste una definizione condivisa di come dovrebbe essere una
organizzazione project-based “matura” (10). Questa evidenza ha come conseguenze
la numerosità e diversificazione dei maturity models per il Project Management. In
effetti il loro attuale numero è stimato pari a 90 (11) e la tendenza è verso una
maggiore differenziazione tale da rendere necessaria un’attenta riflessione prima
della selezione.
1.2.3. Giudizi contrastanti sull’utilità dei Maturity Models
I maturity models costituiscono l’esempio di Process Management Standards
applicati al settore del Project Management. Il fatto di non aver definito un unico e
condiviso Process activity and flow standards non ha rappresentato un problema.
Questa affermazione non intende sostenere che non esistano delle linee guida nella
gestione dei progetti, ma che queste linee guida, sebbene facciano riferimento tutte
alla stessa struttura di base, hanno poi assunto delle caratteristiche tali da
differenziare radicalmente gli approcci, basta pensare agli standard CMMI e
PRINCE2. Questo significa che in tutti i maturity models esistono degli elementi
comuni, ma poi ognuno ha sviluppo delle proprie peculiarità, approcci e procedure.
Questo fenomeno presenta aspetti negativi e positivi: la prolificazione di standard
differenti rischia di causare un’involuzione rispetto a quello che è stato il percorso
verso la standardizzazione, ma d’altro canto la differenziazione comporta
ragionevolemente lo sviluppo di modelli caratterizzati da un minor grado di
astrazione e maggiore focalizzazione su un ambito specifico.
In realtà però quello che si sta verificando è la moltiplicazione degli standard senza
una focalizzazione dei campi di applicazione. Il risultato di questo fenomeno è lo
sviluppo di standard pensati per essere applicati a qualsiasi contesto in virtø della
loro generalità, ma che poi risultano essere di difficile implementazione pratica,
proprio perchØ l’operazione di “tailoring”, demandata all’organizzazione, si dimostra
estremamente complessa. A causa di questa situazione, i giudizi sulla validità di
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questi strumenti, soprattutto di quelli “meno qualitativi” come il CMMI sono
contrastanti.
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1.3. ORIGINE, EVOLUZIONE E TENDENZE DELLE BEST
PRACTICES DI OPERATIONS MANAGEMENT
Le “best” practices relative alle operations nel manufacturing sostengono le imprese
nel conseguimento di performance superiori attraverso il miglioramento continuo, la
prevenzione di errori e difetti, la riduzione del tempo di setup, la produzione della
giusta tipologia, nel corretto istante, nella quantità domandata di un determinato
bene, nella riduzione del tempo di fermata e intervento per la riparazione e
prevenzione dei guasti, nello sviluppo di sistemi piø piccoli, in ridondanza parziale o
totale tali da aumentare l’affidabilità e nell’integrazione con sistemi operativi per la
corretta gestione delle risorse (12).
Il tipo di attenzione ricevuta dalle best practices relative alle operations nel
manufacturing ha determinato una semplice e comunque significativa legittimazione
delle best practices a standard di riferimento consentendo ad un’organizzazione di
valutare e confrontare le proprie practices con le best practices o con quelle
impiegate dai concorrenti, ma non ha portato alla definizione di maturity models per
tracciare un percorso strutturato di miglioramento. Quindi, a parte per alcuni casi o
funzioni aziendali particolari come il material handling, per il quale è stato compiuto
un tentativo di classificazione delle practices rispetto a livelli di maturità progressivi,
non esistono maturity models di operations management. Al massimo sono stati
sviluppati degli strumenti, che sulla base dei principi definiti nelle best practices
cercano di determinare le aree di miglioramento insieme alle linee generali da
seguire per conseguirlo.