3
PRIMA PARTE
L’AFRICA
NELL’IMMAGINARIO OCCIDENTALE
4
5
Il continente africano si offre nella sua complessità appena osiamo farcene prossimi. Le fonti dalle
quali traiamo spunto per elaborarne una rappresentazione quanto più completa sembrano mostrarne
esclusivamente gli aspetti critici. Solo raramente l’Africa fa capolino tra le pagine dei quotidiani o
dei notiziari. E le poche volte che assume una qualche rilevanza è purtroppo ridotta a bersaglio di
osservazioni amare concernenti il suo modello di sviluppo, oppure resa materia di cronaca di guerre
che, pur protraendosi da anni, così come sono considerate importanti rapidamente ricadono nel
dimenticatoio comune.
Apparentemente l’Africa sembra darsi soltanto come luogo che non conosce “sviluppo”, luogo
insanguinato da guerre di matrice etnica o da genocidi, luogo dai costumi anacronistici e non
rispettosi della dignità della persona. Recentemente tuttavia, oltre agli interessi antropologici
1
e alla
curiosità per l’arte africana
2
, si sono sviluppate riflessioni critiche sul contesto africano.
Interessanti in tal senso sono alcuni testi in cui sono analizzati e messi in discussione i processi di
occidentalizzazione e mondializzazione. Questi ultimi si sarebbero sviluppati contemporaneamente
alla storia dell'imperialismo, del colonialismo e della decolonizzazione. Ed osservando il loro corso
si possono rilevare le avvisaglie del rischio di un ritorno all’etnocentrismo, dunque ad
un’assimilazione ed uniformazione ai valori occidentali
3
. Ancor più preziose sono le opere che
trattano dell’Africa o dell’elaborazione dell’immaginario occidentale
4
.
Da questi testi emerge innanzitutto un dato di fatto: non esiste una concezione economica priva del
riferimento ad un sistema valoriale. A tale sistema corrisponde un immaginario condiviso. Difatti la
concezione dello sviluppo e dell’economia procede con una certa rappresentazione valoriale, nella
quale si stabiliscono le modalità del darsi del lavoro, del mercato e delle relazioni sociali e, su larga
scala, delle relazioni tra i continenti e le nazioni.
Se l’economia determina oggi una visione che accomuna per lo più il mondo occidentale e ne
definisce stile di vita e scala valoriale, l’immagine dell’Africa, come di ogni continente o nazione,
prima d’essere un’auto-rappresentazione si costituisce all’interno dei rapporti di natura economica.
Il suo potersi dire un paese sviluppato dipende dalla concezione occidentale dello sviluppo. Sicché è
1
Cfr. M. GOMIERO, Africa: Immagini dalla storia, Padova 2002, p. 6-15. Vi si accenna alle scoperte di Ominidi e
Australopitechi presso territori africani. Dopo queste e altre scoperte i genetisti e altri specialisti sostengono la tesi
secondo cui l’origine della specie umana ha avuto luogo in Africa.
2
Cfr. ivi , p. 16- 42. Spesso artigianale e ricca di valore in quanto risponde a più funzioni (sociale, politica, economica,
storica, terapeutica; e religiosa poiché consente all’africano di relazionarsi con le forze soprannaturali imparando a
dominare i pericoli del mondo circostante), l’arte africana fu vista in un’ottica folcloristica dagli europei che
giungevano in massa nel periodo coloniale. Divenne presto un souvenir smarrendo il suo significato originario. Tuttavia
i maggiori artisti occidentali, dal tardo Ottocento in poi, fecero dell’arte tribale africana il loro retroterra.
3
Mi riferisco a: S. LATOUCHE, L’occidentalizzazione del mondo: saggio sul significato, la portata e i limiti
dell’uniformazione planetaria, trad. it. di A. Salsano, Torino 1992; AA. VV. , Il ritorno dell’etnocentrismo:
purificazione etnica versus universalismo cannibale, a cura di S. LATOUCHE, trad. it. di B. Fiore, “Revue de
M.A.U.S.S.”, I, Torino 2003.
4
Cfr. S. LATOUCHE, Decolonizzare l’immaginario: il pensiero creativo contro l’economia dell’assurdo, libro intervista a
cura di R. BOSIO, Bologna 2004; S. LATOUCHE, L’altra Africa: tra dono e mercato,tr. it. di A. Salsano, Torino 2000
2
.
6
possibile chiedersi quale immagine dell’Africa abbiamo a partire dai processi economici.
Eppure le rappresentazioni dell’economia potrebbero non limitarsi a produrre delle ricadute sui
rapporti sociali e inter-nazionali. Forse il sistema valoriale sottostante alle dinamiche economiche e
la concezione dello sviluppo riflettono a loro volta un immaginario, dal quale prendono in prestito e
riciclano alcune rappresentazioni. Stando a questa prospettiva, le chiavi interpretative fornite dalla
visuale economica producono effetti sulla realtà politico-sociale e al contempo sono prodotte dalle
immagini con cui sono configurate le differenti relazioni. Infatti le modalità in cui si strutturano i
rapporti sociali, culturali e nazionali non sono frutto delle sole rappresentazioni economiche, ma
anche delle raffigurazioni con cui si categorizzano i rapporti con le alterità. Se così fosse le
immagini degli altri diverrebbero costitutive di un immaginario condiviso che, a dispetto della
nostra piena consapevolezza, accompagnerebbe il nostro modo di intendere i rapporti, il nostro stile
di vita, fino a condizionare i rapporti economici.
Per questo motivo l’immagine dell’Africa diffusa oggi merita di essere verificata e riconsiderata:
ripartendo dall’immaginario occidentale del continente nero, dal modo in cui via via si è
concettualizzato il rapporto con l’Africa e con l’Africano.
La necessità di un confronto critico con il nostro immaginario dell’Africa è evidente: “L’Africa ha
rischiato di essere troppo spesso, nel pensare europeo, un concetto vagamente indefinito, piuttosto
che una realtà ben precisa, oppure continua ad essere considerata come un grande serbatoio di
ricchezza dal quale l’occidente ha attinto da sempre … Ora più che mai le nuove strategie della
globalizzazione sembrano non darle tregua. E non è tutto: da attendibili sondaggi questa terra viene
ancora incredibilmente percepita come una nostra perduta colonia, dove si sono introdotti
tecnologia, progresso ed evoluzione, che affidati poi alla “incapacità di amministrare i negri”, si
perdono tra i cento mali ed il degrado generalizzato che investe un intero continente. Anche l’uomo
nero sembra non essersi ancora completamente riscattato … Anche la mia generazione è stata
culturalmente allevata all’ombra dell’informazione che la storia dell’Africa fosse nata con le
scoperte geografiche o dalla relativa colonizzazione; sovente dalle immagini di vecchi sussidiari
sbucavano … paesaggi esotici che assommavano … leoni e foreste, palme e capanne con gente
nera senza storia, ma con il distintivo perizoma di banana. Solo da poco tempo si è cominciato a
proporre tra mille ostacoli e difficoltà la vera dimensione di questo grande triangolo di storia, di
cultura e di civiltà … Purtroppo questo sforzo rimane ancora limitato entro confini troppo angusti”
5
.
5
M. GOMIERO, Africa cit. , Padova 2002, pp. 4-5.
7
1 L’Africa terra dei lontani
1.1 Prima dei contatti con il mondo greco-romano
L’Africa fu abitata da molti popoli. In primo luogo dai Boscimani, di cui sopravvissero dei
superstiti soltanto in alcune zone del Sud. Nelle foreste occidentali apparvero allora altre
popolazioni che si diffusero poi in tutto il continente: sudanesi al nord, bantu al centro e al sud.
Tempo addietro erano già stati presenti altri gruppi: i pigmei, i proto-camiti in Tunisia e i caucasoidi
in Kenya. In principio tali popolazioni vissero in piccoli gruppi o clan. In seguito esse appresero a
fabbricare il vasellame e cominciando a coltivare la terra costituirono le prime comunità agricole.
Quest’ultime si strutturarono richiamandosi a due modalità di organizzazione sociale: la prima,
tribale e molto diffusa nella fascia equatoriale, prevedeva il suddividersi della società in base all’età
e del lavoro in base al sesso; la seconda si articolava a partire dalla divisione del lavoro, da cui si
generavano classi sociali, caste e perfino forme di schiavitù
1
.
L’Africa Bianca e l’Africa Nera scaturirono con la prima grande desertificazione, nel corso della
quale si originò il deserto del Sahara. In precedenza le due Afriche non erano considerate
separatamente: fu il formarsi dell’area desertica sahariana a fissarne la distinzione e la separazione.
Tra i primi abitanti dell’Africa vi furono i proto-camiti. Il loro nome ha probabilmente un legame
con la vicenda biblica della maledizione di Cam e con il personaggio di Cam stesso. “I figli di Noè
che uscirono dall’arca furono Sem, Cam e Iafet; Cam è il padre di Canaan. Questi tre sono i figli di
Noè e da questi fu popolata tutta la terra.
Ora Noè, coltivatore della terra, cominciò a piantare una vigna. Avendo bevuto il vino si ubriacò e
giacque scoperto all’interno della sua tenda. Cam, padre di Canaan,vide il padre scoperto e raccontò
la cosa ai due fratelli che stavano fuori. Allora Sem e Iafet presero il mantello, se lo misero tutti e
due sulle spalle e, camminando a ritroso, coprirono il padre scoperto; avendo rivolto la faccia
indietro, non videro il padre scoperto. Quando Noè si fu risvegliato dall’ebbrezza, seppe quanto gli
aveva fatto il figlio minore; allora disse: <<Sia maledetto Canaan! / Schiavo degli schiavi / Sarà per
i suoi fratelli!>>.
Disse poi: <<Benedetto il Signore, Dio di Sem, / Canaan sia il suo schiavo! / Dio dilati Iafet / E
questi dimori nelle tende di Sem, / Canaan sia suo schiavo!>>”
2
.
La maledizione sancisce in realtà la futura schiavitù di quello che sarà il figlio di Cam, Canaan.
1
Cfr. ivi , p. 43-44.
2
Gen. 9, 18-27. Per la traduzione italiana farò riferimento a: La Bibbia di Gerusalemme, ed. italiana e adattamenti a
cura di un gruppo di biblisti italiani sotto la direzione di F. VATTIONI, Bologna 2006
9
, qui pp. 29 – 30.
8
Secondo le note esegetiche del brano sopra menzionato, Sem è antenato di Abramo e degli israeliti.
Inoltre i discendenti di Iafet si espanderanno a spese degli israeliti.
Leggendo il brano successivo, il tutto appare più nitido
3
: i figli di Iafet popoleranno Asia Minore ed
isole del Mediterraneo. I figli di Cam abiteranno l’Egitto, l’Etiopia e l’Arabia e anche Canaan (essa
conoscerà la dominazione egiziana). Infine i figli di Sem saranno elamiti, assiri, aramei, antenati
degli Ebrei. Il legame tra Cam e l’Egitto si svela sin dall’etimologia: Cam proviene dal termine
egiziano Kem che significa “terra nera”. Tale vocabolo fungeva da appellativo con cui gli egizi si
riferivano al loro paese, richiamandosi al limo nero che dopo le inondazioni del Nilo ricopriva le
loro terre rendendole fertili. I figli di Cam menzionati nel brano sono: Mizraim capostipite degli
Egizi, Cus padre dei popoli Aetiopi, Put progenitore forse d’altre popolazioni nere e infine Canaan
fondatore dei popoli della Palestina.
Alcuni interpreti si sono sbizzarriti su tali passi affermando che la maledizione si è storicamente
avverata quando gli israeliti hanno soggiogato i cananei e quando poi gli uni e gli altri han
conosciuto la dominazione di potenze mondiali iafetiche come la Media-Persia, la Grecia e Roma.
Altri esegeti hanno spiegato la schiavitù dei neri riconducendola alla maledizione di Cam. Siamo di
fronte ad una semplificazione: in tali brani non è sancita l’inferiorità etnica della stirpe di Cam. E
Canaan non appare quale capostipite degli Etiopi, né in generale dei popoli neri. Eppure si sono
date varie letture in tal senso di questi passi biblici
4
. Al di là di queste esegesi, la vicenda della
maledizione documenta l’appartenenza degli africani al genere umano quali discendenti di Noè.
1. 2 Storia di una parola: “Africa”
Il nome “Africa” ha origine nell’antichità e rivela, viste le sue origini latine, l’istituirsi di un
contatto romano con la realtà africana. Il nome sorge, infatti, nel mondo romano come un
appellativo di riferimento geografico. Gli antichi greci avevano una qualche conoscenza
dell’Africa, ma solevano chiamare il continente con un'altra parola, “Libya”. Ne troviamo traccia
nei testi di vari autori greci, tra cui le Storie di Erodoto
5
.
Nell’opera di Erodoto si rammenta che i Greci erano soliti chiamare l’Africa “Libia” e “mar Libico”
il mare che si trova di fronte all’Africa. Nelle Storie la “Libia” assume le vesti di una donna dalle
origini sconosciute. “In effetti, la Libia, secondo la maggior parte dei Greci, avrebbe preso nome da
3
Cfr. ivi 10.
4
Cfr. ivi 9, 27. Questo il verso incriminato sul quale si son divisi esegeti e missionari, specialmente nel secolo scorso.
Vedendo talvolta nella maledizione di Canaan una maledizione verso Cam e tutta la sua progenie e giungendo a
giustificare la schiavitù dei neri grazie all’ipotesi di un’inferiorità della stirpe di Cam.
5
Cfr. HER. II 16; si può riscontrare la medesima testimonianza in STRABONE, XVII 824.
9
Libia, una donna di quella terra, mentre l’Asia sarebbe stata determinata così dalla moglie di
Prometeo; … Quanto all’Europa, nessuno degli uomini sa se sia circondata da acque, né da dove
prese questo nome, né è noto chi a essa lo impose, a meno di non sostenere che la regione lo ebbe
da Europa di Tiro: prima dunque ne sarebbe stata priva, come le altre”
6
. Secondo Varrone il termine
“Libya” proverrebbe da libys, voce impiegata dai Greci per indicare il vento australe. Secondo altri
“Libia” scaturirebbe dal nome attribuito ai popoli abitanti a occidente dell’Egitto
7
.
Il termine “Africa” esordisce negli Annales di Quinto Ennio. La parola allude alle popolazioni del
continente che si affacciano sul bacino del Mediterraneo. Passerà molto tempo prima che il termine
sia esteso a tutto il continente. Non v’è possibilità di risalire alla sua origine: sappiamo solo che
Ennio ne fa uso per primo
8
. Un autore romano, Servio, tenta di risalirvi. La sua resta un’ipotesi
plausibile secondo cui il vocabolo “Africa” proverrebbe dal termine greco “Afrike”. In tal caso l’
“a” iniziale costituirebbe un alfa privativo e “afrike” si potrebbe tradurre come “senza freddo”.
Vi sono due successive versioni della possibile origine della parola “Africa”. Nella Suida, lessico ed
enciclopedia dell'età bizantina, “Africa” è indicato come nome proprio di Cartagine (in lingua
punica Cartagine era “Afrigah” o colonia, dalla radice semitica “Faraqa” che significa dividere o
separare; va ricordato il “taglio di divisione” operato sul territorio dal faraone Sethi I e completato
dal figlio Ramsesse II ). Un’altra ipotesi farebbe derivare “Africa” da una qualche tribù berbera,
riconducendolo ad appellativo generico di popoli berberi
9
.
1. 3 Il termine “africano”e l’immaginario ad esso connesso
Il rapporto con la lontana Africa si forma nell’elaborazione di un’immagine dell’Africa, degli
Africani e si fissa in alcune parole che veicolano delle rappresentazioni condivise.
I Greci vedevano inizialmente gli Etiopi, uomini dalla faccia bruciata dal sole, come popoli mitici.
Ritenevano che essi vivessero ai confini del mondo, in estremo occidente ed estremo oriente, nelle
terre calde in cui sembrava iniziare e finire il viaggio solare. E attribuivano loro gli aspetti fisici e
comportamentali propri dei popoli ideali: bellezza, longevità e religiosità.
I vocaboli convenzionali utilizzati per indicare le persone di colore e l’immagine degli Africani
presente nei testi letterari manifestano la scarsa conoscenza della realtà africana. Gli autori antichi
6
HER. IV 45 3-4. Per l’edizione critica e la traduzione italiana farò riferimento a: ERODOTO, Le Storie, Libro IV: La
Scizia e la Libia, introduzione e commento di ALDO CORCELLA, testo critico di SILVIO M. MEDAGLIA, trad. it. di
Augusto Fraschetti, Milano 1993, qui p. 45.
7
Cfr. M. GOMIERO, Africa cit. , pp. 43-44. Si tratta di popoli chiamati nella Bibbia Lubin, dagli egiziani Lbu.
8
ivi, p. 43-44.
9
Cfr. , ivi , p. 43-45.
10
descrivono i popoli africani come particolarmente lontani. Questa lontananza rivela innanzitutto
l’assenza di incontri ravvicinati con essi, ossia la mancanza di una familiarità con l’alterità.
I neri fanno dapprima capolino nelle opere di Omero
10
, dopo essere già apparsi negli affreschi di
Creta e di Pylos. I neri appaiono quali popoli irraggiungibili: una parte di essi vive dove il sole
sorge, i restanti dove l’astro tramonta
11
. La loro residenza comincia alle correnti dell’Oceano.
Omero non precisa i luoghi di provenienza delle persone dalla pelle nera, e mai nomina l’Etiopia.
Molti interpreti hanno cercato di individuare la collocazione dei luoghi di residenza di questi popoli,
eppure non vi è concordanza nelle loro posizioni. Di volta in volta i luoghi in cui sorge il sole o in
cui tramonta appaiono diversi
12
. Nei poemi omerici compare anche la notizia di un viaggio di
Menelao: egli avrebbe girovagato attorno a Cipro, Fenicia, Egitto sino a giungere presso
popolazioni più lontane, tra le quali le prime ad essere menzionate sono quelle etiopi. In tutti questi
estratti si coglie il carattere lacunoso della prima conoscenza dei neri: si afferma il loro essere e
vivere lontani senza descriverne né i luoghi di vita, né le usanze, né l’apparenza fisica.
Infatti, anche se nell’Odissea compare la prima descrizione fisica di un uomo di colore, Omero non
fornisce al lettore nessuna informazione circa la provenienza di quest’uomo e non si serve di alcun
termine greco per definirlo come un nero. L’uomo in questione è Eurìbate: nell’Iliade lo vediamo
accompagnare Ulisse fino a Troia nelle vesti di trombettiere; e nell’Odissea risulta giunto ad Itaca
non si sa come
13
. E’ in questa seconda opera omerica che si scopre la descrizione di Eurìbate. Tale
rappresentazione, collocata all’interno di una conversazione tra Ulisse e Penelope, risulta generica:
“Anche questi ti dirò come era: era curvo di spalle, bruno di pelle, ricciuto. Eurìbate era il suo
nome: Odisseo lo onorava”
14
. Omero per voce di Ulisse sottolinea due caratteristiche fisiche (colore
della pelle, capelli ricci), ricorda il nome dell’uomo di colore, ma omette le informazioni sul luogo
d’origine di Eurìbate. Non evidenzia alcun legame tra quest’uomo di colore e l’Africa. Eppure,
nonostante questa mancanza, è possibile ritenere che Omero conoscesse di fama i Pigmei, proprio
10
Cfr. M. GOMIERO, Africa cit. , p. 72. Gomiero ricorda il primato omerico. Cfr. FRANK M. SNOWDEN, JR. , Blacks in
Antiquity: Ethiopians in the Greco-Roman Experience, Cambridge 1970, p. 216. Anche Snowden lo ricorda come
precursore. Mentre in altre pagine, p.144 e in particolare pp. 101-104, si dilunga sui contenuti omerici. Per i passi
accennati: HOMER. Ilias 1.423-4, 23.205-7; HOMER. Odyssea 1.22-24, 4.84; 5.282, 287. Inoltre la presenza di neri negli
affreschi di Creta e Pylos rileva una certa conoscenza delle persone di colore presso i popoli del Mediterraneo orientale.
11
Cfr. HOMER. Odyssea 1.22-25. Mi riferirò alla seguente traduzione italiana: OMERO, Odissea, greco a fronte, trad. it.
di G. Aurelio Privitera, saggio introduttivo di A. HEUBECK, premessa di I. CALVINO, Milano 2007, pp. 4-5. In questo
passo omerico vi sono i luoghi di vita dei neri: “Ma Posidone era andato a trovare gli Etiopi, che stanno lontano, gli
Etiopi divisi in due parti, i più remoti tra gli uomini, gli uni a Iperione calante, gli altri a Iperione levante, per ricevere
un’ecatombe di tori e di agnelli”.
12
Cfr. FRANK M. SNOWDEN, JR., Blacks in Antiquity cit., pp. 102-103. Stando ad alcuni, i luoghi in cui sorge il sole si
troverebbero nei pressi dell’Egitto e quelli dove tramonta sarebbero vicini alle Colonne d’Ercole; secondo altri, i primi
si situerebbero nelle coste somale, i secondi presso il Sudan; altri interpreti collocherebbero gli Etiopi abitanti a est
presso il Mar Rosso, e quelli viventi a ovest non molto ad ovest del Nilo superiore.
13
Cfr. HOMER. Ilias 2.184, 9.170; HOMER. Odyssea 19.245-7.
14
HOMER. Odyssea 19.245-7. Per la traduzione italiana faccio riferimento a: OMERO, Odissea cit. , II, qui pp. 582-583.
11
come buona parte degli abitanti del Mediterraneo orientale, i quali, stando agli affreschi di Pylos
e Creta, avevano visto più di una volta le persone di colore.
Di fronte all’ insufficienza delle notizie Omero ricorre a motivi mitologici. Nell’ Iliade
nell’Odissea, il poeta inaugura un topos che si rintraccerà in numerosi altri autori: gli Etiopi giusti e
devoti alle divinità sono benvoluti dagli dèi, i quali spesso li visitano. Il motivo della pietà etiopica
permette di colmare le lacune sui costumi africani. Omero narra alcuni episodi in cui gli dèi si
recano presso gli Etiopi: sempre lieti di far festa con loro, gli déi cercano spesso di andarli a trovare.
Che siano il solo Poseidone, la sola Iride, oppure tutti assieme e presieduti da Zeus, in genere gli dèi
sono entusiasti di recarsi in Etiopia e di partecipare ai sacrifici etiopi
15
.
Il tema della pietà etiopica è presente trasversalmente nelle opere degli autori antichi. Ricordandone
alcune: le Storie di Erodoto
16
, il De ira di Seneca
17
, Strabone
18
, opere di Luciano
19
, alcuni passi di
Arnobio
20
.
Diodoro Siculo non solo presenta la figura di re Sabacone come esempio di giustizia e generosità
21
,
ma riprende il topos omerico in modo esemplare. Gli storici: “Affermano presso di essi che per
primi fu introdotto il culto degli dèi e si insegnò a compiere sacrifici e processioni ed adunanze
solenni e gli altri riti con cui gli uomini onorano la divinità; e perciò presso tutti gli uomini s’è
sparsa la fama del sentimento religioso che essi nutrono, e pare i sacrifici celebrati dagli Etiopi
siano i più graditi alla potestà divina. Come testimone di queste affermazioni producono il più
antico, pressoché, ed il più ammirato poeta tra i Greci; infatti, egli nell’Iliade rappresenta Zeus, e gli
altri dèi con lui, che si recano in viaggio in Etiopia per i sacrifici ed il banchetto comune tributati
loro onore ogni anno dagli Etiopi: / << Zeus, infatti, verso l’Oceano con gli irreprensibili Etiopi /
ieri andò a mensa; gli dèi tutti insieme lo seguivano>>. Dicono anche che per il loro sentimento
religioso verso la divinità essi ottengono riconoscenza con tutta evidenza, dal momento che mai
hanno fatto esperienza di un dominio straniero; da sempre, infatti, sono rimasti in una condizione di
libertà e di concordia reciproca, e benché molti uomini potenti abbiano condotto spedizioni contro
15
Cfr. HOMER. Ilias 1.423-4, 23.205-7; Cfr. HOMER. Odyssea 1.22-25.
16
Cfr. HER. 3.18. Qui l’autore narra di Sabaco della dinastia Etiope e del re Macrobiano, entrambi caratterizzati dalla
generosità e dalla pietà etiopiche.
17
Cfr. LUC. ANN. SEN. De ira 3.20.2. Seneca ricorda anche la figura di Cambise.
18
Cfr. STRAB. 17.1.54.
19
Cfr. LUCIAN. SAMOSAT. Juppiter Tragoedus 37; Cfr. LUCIAN. SAMOSAT. De sacrificiis 2. L’autore rievoca le
occasioni in cui gli dèi hanno visitato l’Etiopia e aggiunge che gli Etiopi dovrebbero ritenersi molto fortunati ad essere
prediletti dagli dèi.
20
Cfr. ARNOB. Adversus nationes 6. 4. Lo scrittore cristiano latino ricorda che gli Etiopi sono stati i primi ad onorare le
divinità, sono famosi per la giustizia e la pietà. Inoltre spiega il politeismo in uso presso gli Etiopi: gli dèi non
abbandonano mai l’Etiopia, non vi si recano solo occasionalmente, ma pervadono con la loro potenza ogni cosa (Cfr.
FRANK M. SNOWDEN, JR., Blacks in Antiquity cit., p. 148).
21
Cfr. DIODOR. III 1.65. 1 – 8. Diodoro racconta che Sabacone sarebbe stato l’autore dell’abolizione della pena di morte.
12
di loro, nessuno però riuscì nel suo piano”
22
. Diodoro termina le sue osservazioni constatando che
ogni tentativo di conquista dell’Etiopia è fallito: da quello di Cambise, fino a quelli di Eracle e
Dionisio. Egli mette in relazione la libertà in cui da sempre vivono gli Etiopi con la benevolenza
divina. E il motivo mitologico fornisce una giustificazione al fallimento di ogni impresa di
conquista
23
. Se è la benevolenza divina ad aver impedito ogni soggezione dell’Etiopia, la
predilezione divina forse è la causa stessa della lontananza etiope: gli Etiopi non hanno mai subito
l’altrui sottomissione, e pertanto non si sono mai incontrati con il mondo greco.
Anche Esiodo descrive persone di colore senza offrire indicazioni sulla loro provenienza. Egli
presenta al lettore la visione di una città abitata da uomini di colore e accenna alla pietà etiopica
24
.
Esiodo recupera i motivi sviluppati da Omero: da un lato la religiosità etiope e la benevolenza degli
dèi verso l’Etiopia, dall’altro la descrizione molto vaga dei neri. Anche lui cerca di far fronte alle
carenze conoscitive ricorrendo a temi mitologici: afferma la pietà etiope e giunge a sostenere la
discendenza divina degli Etiopi
25
. Esiodo inoltre fa esordire il topos Etiope-Scita
26
.
Nei lavori di Eschilo muta profondamente la rappresentazione dei neri: le persone di colore sono
associate all’Africa. Eschilo è quindi il primo ad affermare che i neri o gli Etiopi vivono in Africa
27
ed è colui che per la prima volta colloca geograficamente il continente nero. Nel periodo storico in
cui egli vive erano oramai molto frequenti e continui i contatti tra Greci, Romani ed Etiopi.
22
ivi III 2, 2-4. Per il testo critico mi riferirò a: DIODORE SICULE, Bibliothèque Historique, Livre III, texte établi et
traduit par BIBIANE BOMMELAER, Paris 1989. Per la traduzione italiana: DIODORO SICULO, Biblioteca storica libri I –
VIII: Mitologia e protostoria dei popoli orientali, dei Greci e dei Romani, a cura di G. CORDIANO e M. ZORAT, Milano
1998, p. 311-312.
23
Snowden commenta Diodoro Siculo sottolineando degli aspetti: “ (1) … fama della pietà degli Etiopi; (2) la citazione
… dei passi omerici da parte dei commentatori nelle spiegazioni riguardo l’insolita gioia che prendeva gli dèi nel corso
dei sacrifici etiopi; (3) due osservazioni … appaiono per la prima volta: (a) gli Etiopi … i primi ad essere istruiti ad
onorare gli dèi e a svolgere riti religiosi in loro onore, (b) in ragione della loro pietà gli Etiopi godono delle benevolenza
divina e, come conseguenza di questo favore, furono benedetti con la sicurezza interna e la libertà dalle invasioni. ..
L’esegesi di Diodoro segna una nuova tappa nella trasmissione dell’osservazione omerica, perché Diodoro ha
apparentemente legato il punto di vista omerico ad alcuni materiali … Diodoro invita l’autorità di Omero a sostenere
quanto … ha scoperto” (FRANK M. SNOWDEN, JR., Blacks in Antiquity cit., pp. 146-147, trad. mia).
24
Cfr. HESIOD. Opera et dies 232-233. Esiodo focalizza lo sguardo sulle libagioni su phialai d’oro che, stando alla
tradizione, erano offerte in Etiopia. E celebra la giustizia di tale città. Per la visione della città: Cfr. HESIOD. Opera et
dies 527. Alcuni interpreti vedono in Esiodo una prima identificazione dei neri con popoli noti al tempo.
25
Riguardo l’origine divina degli Etiopi, appoggiandomi a Snowden (FRANK M. SNOWDEN, JR., Blacks in Antiquity cit.,
p. 149.), cito il frammento d’Esiodo, HESIOD. Frg. 40A (Loeb 604, 11. 15-19). In esso si sostiene, con un richiamo a
Tzetzes, la discendenza divina degli Etiopi quali figli del figlio di Kronos, forse dello stesso Zeus. Rimandando ancora
a Tzetzes si sostiene che Zeus fu chiamato Αΐϑíoψ dagli abitanti di Chios. Altre interpretazioni indicherebbero
Poseidone come il padre degli Etiopi.
26
Come rammenta Snowden il topos Etiope-Scita esordisce con una frase di Esiodo citata poi in un’opera di Strabone
(STRABO VII 3, 7): “Gli Etiopi, i Liguri e anche gli Sciti, Hippemolgi” (FRANK M. SNOWDEN, JR., Blacks in Antiquity
cit., p. 171).
27
Cfr. AESCHYL. Prometheus Vinctus 807-812. All’interno del Prometeo incatenato, Prometeo svela ad Io il suo futuro.
Io perviene dinanzi a Prometeo dopo essere stata cacciata dal padre sia dalla casa sia dalla patria, in obbedienza a
Giove, e aver vagabondato senza meta. Egli le presagisce un viaggio senza riposo e le rivela i rischi che incontrerà nel
cammino. Passando in rassegna le località che visiterà, Prometeo le profetizza una sosta presso gli Etiopi: “Ora ascolta:
vedrai altri mostri, tremendi! … non avvicinarti a loro! Giungerai poi ai confini della terra, presso un popolo nero che
abita alle fonti del sole, dov’è il fiume Etiope” (ESCHILO, Prometeo incatenato in ID. , Le tragedie di Eschilo,
traduzione, introduzione e commento a cura di M. CENTANNI, Milano 2007 ).
13
Eschilo opera all’incirca nel V secolo a. C. e già nel VI secolo a. C. i Greci s’erano stabiliti a
Naucrate e i mercenari ionii e carii erano stati arruolati sotto Psammetico I. Lui stesso aveva
incontrato gli Etiopi combattendo contro l’esercito persiano: tra i soldati persiani contro cui
combatteva, erano stati arruolati anche molti Etiopi.
Questa maggiore conoscenza degli Africani si riflette nella descrizione fisica dei figli di Aegyptus
e soprattutto delle Danaidi, figlie di Danao
28
.
Eschilo registra le caratteristiche delle Danaidi e rileva il loro essere africane annotando la diversità
che le connota per colore e forma rispetto ai Greci. Egli evidenzia anche che le popolazioni africane
parlano una lingua differente
29
. Non giunge però a dire etiopi le Danaidi: ne indica le affinità con i
popoli africani, specie con quelli vicini all’Etiopia, in quanto differenti dai Greci.
L’atteggiamento di Eschilo porta con sé il superamento dell’immagine dei popoli remoti e riflette il
darsi storico di una relazione con l’alterità: nel periodo di Eschilo si scopre visivamente l’altro o l’
“Etiope”.
All’inaugurarsi dei rapporti con gli Africani corrisponde la nascita di termini antichi designanti i
neri. Tali parole da un lato segnalano l’avvio di un contatto con l’Africa, dall’altro palesano la
natura superficiale dei nuovi rapporti. L’altro è infatti percepito e compreso solo nel darsi della sua
esteriorità fisica e questo si rispecchia nei termini: l’immagine cui rimandano le parole è un elenco
di dettagli fisici. Anche se l’Africano è considerato come un essere umano, la sua immagine si
traduce nella registrazione delle caratteristiche fisiche che ne manifestano immediatamente la
diversità. Apparentemente i neri ora non sono “lontani”, in quanto sono possibili più occasioni di
incontro, eppure la diversità incontrata nella sua immediatezza esteriore non sprona ad un
approfondimento della conoscenza reciproca. Sarà paradossale, ma l’africano anche se avvicinato,
non è conosciuto e resta lontano. L’uomo antico fallisce nell’incontro dei neri: laddove viene a
mancare una conoscenza approfondita dell’alterità e ci si ferma alla considerazione di quanto balena
all’occhio o suscita curiosità, risulta assente un’effettiva relazione con l’altro.
Gli aspetti fisici connotanti l’immagine dell’africano sono numerosi: il colore nero della pelle, il
naso schiacciato, i capelli lanosi (οΰλος) o molto ricci, le gambe magre o fine, i seni pendenti per le
donne e le labbra grandi o rigonfie. Tra essi, il colore della pelle costituisce la caratteristica più
evidente: era dunque considerata un tratto distintivo degli Africani. Sono continui i rimandi letterari
al colore della pelle dei neri
30
. Gli antichi cercavano di individuare i più scuri tra gli Etiopi ed anche
28
Cfr. AESCHYL. Supplices 154-155. Qui, le Danaidi sono descritte come nere e ustionate dal sole. Nelle Supplici,
ancora, (Cfr. ivi 279-285) , Re Pelasgo le vede simili agli abitanti della Libia, o del Nilo, di Cipro, ad abitanti nomadi
vicini all’Etiopia, o alle Amazzoni.
29
Cfr. ivi 496. Eschilo affronta la questione della diversità linguistica in AESCHYL. Frg. 370.
30
FRANK M. SNOWDEN, JR. , Blacks in Antiquity cit., p. 5. Tra i motivi ricorrenti: il proverbio “lavare bianco un
Etiope”, ossia rendere bianco un Etiope. Con esso si marcava l’impossibilità di eliminare il colore nero dagli Etiopi.
14
di distinguere le varie gradazioni del colore della pelle. Infatti Greci e Romani consideravano gli
Etiopi quali metri di misura con cui valutare il grado di pigmentazione dei popoli (da fusci a
nigerrimi). A questa sollecitudine corrispondeva una noncuranza nei confronti delle variazioni
introdotte dall’unione tra bianchi e neri. Gli antichi chiamavano i bambini che nascevano da tali
unioni, i cosiddetti meticci, semplicemente decolores.
Data la centralità del colore della pelle tra i vari tratti fisici, ben presto gli aggettivi utilizzati nella
descrizione della pigmentazione africana furono considerati come equivalenti ad Etiope. Pertanto
termini significanti nero o scuro, come μέλας per i Greci, niger e alle volte fuscus per i Romani,
diventarono a tutti gli effetti interscambiabili con il termine Etiope.
Oltre ai nomi appena rammentati, molti altri servivano da appellativi per gli Africani. Tre erano i
termini per designare, in modo più specifico di Etiope, le persone di colore:
- Afer (Africano): usato per indicare persone dall’origine africana o libica, alle volte esteso a tutti
quelli che potevano essere fatti confluire nel gruppo “dei neri”
31
;
- Indus (Indiano): Virgilio e Ovidio chiamavano Indi gli Etiopi
32
, forse a causa dell’antica
confusione tra est e sud;
- Maurus (Moro): usato nelle composizioni poetiche al plurale e al posto di Etiopi, esso rimanda
alla pigmentazione dei neri. Alcuni autori ritenevano Maurus e Niger interscambiabili e pensavano
che il nome della regione Mauretania potesse derivare dal colore dei suoi abitanti, maurus. Gli
antichi consideravano il colore della pelle un tratto distintivo, perciò a volte usavano Maurus per
riferirsi a tutti i popoli dell’Africa: infatti dal I secolo d. C. in poi Maurus era spesso concepito
come equivalente di Aethiops.
I termini designanti gli Africani sono accomunati da alcune caratteristiche: essi presentano di rado
legami con la terra natale, mai con la condizione sociale della persona nominata. Tali vocaboli ne
rilevano prevalentemente l’aspetto fisico. Pertanto oltre ai nomi ricordati v’erano: Iras riferito ai
capelli e Simus legato all’aspetto del naso. Gli schiavi erano battezzati dai padroni con epiteti
indicanti evidenti caratteristiche fisiche. Vi erano poi vari nomi egiziani, ebrei ed etiopi
33
. A partire
dall’osservazione diretta gli antichi identificavano in primis il “vero” tipo di nero Africano, che
Tale proverbio si rintraccia in molte opere: ad esempio in Luciano o nelle favole di Esopo. Altro tema frequente: il
timore suscitato dall’uomo nero. L’assenza di una conoscenza approfondita determinava l’accrescersi delle paure: alla
paura verso l’uomo nero corrispondeva il timore suscitato dal valore bellico degli Etiopi arruolati.
31
Cfr. Ivi, p. 11.
32
Cfr. PUBL. VERG. MARO Georgicon 4.293; Cfr. PUBL. OVID. NASO Ars amatoria 1.53.
33
Cfr. FRANK M. SNOWDEN, JR. , Blacks in Antiquity cit., pp. 12-14. Inoltre Snowden si dilunga sui nomi degli Etiopi
da pagina 15 a pagina 21. Nomi prima collegati a caratteristiche fisiche poi a luoghi di provenienza, nomi etiopi egizi ed
ebrei, nomi greci e latini. A pag. 14, l’autore espone in modo breve le chiavi interpretative con cui discernere il termine
“africano” nel mondo greco- romano, partendo dalla verifica dei testi e dall’uso delle parole.
15
presentava tutte assieme le caratteristiche corporee identificative dell’ “Africano”
34
. Quando invece
essi scorgevano solo alcuni di questi aspetti fisici nelle persone osservate, le classificavano come
appartenenti ai sottotipi, ossia ai sottogruppi del tipo “vero” nero. Tra i sottotipi c’erano il tipo
Nilotico, quello Camitico o Nilo-Camitico, ed inoltre, i Pigmei e quegli Etiopi contro i quali
Cambise spedì le sue truppe
35
.
La prima descrizione letteraria degli Etiopi è di Senofane. Con lui debutta il contrasto antropologico
tra “tipi” non-Greci
36
nei panni di un’antitesi tra “neri e bianchi”. Il contrasto si propone nelle vesti
di un’antinomia tra “tipologie”, Etiopia -Tracia, che dopo Senofane muterà in Etiopia – Scizia. In
questa prima rappresentazione gli Etiopi sono camusi e neri, i Traci caratterizzati da capelli fulvi ed
occhi azzurri: “Ma sono i mortali del parere che generati sian gli dèi, / e ch’abbian la stessa loro
veste, e voce e figura”; a cui segue “ <Affermano> gli Etiopi <dei propri dèi che> son camusi e
neri / e i Traci <ch’hanno> gli occhi cèruli ed i capelli fulvi”
37
. L’antitesi è priva di colorazione
razziale: “Il contrasto Tracio-Etiope di Senofane divenne, nelle mani degli ambientalisti e di altri
osservatori delle differenze razziali, uno Scita – Etiope topos. Tale antitesi assicurò un supporto alle
dichiarazioni rispecchianti la convinzione secondo cui la razza è ininfluente nel giudicare il valore
dell'uomo”
38
.
Anche gli appellativi convenzionali per designare gli uomini di colore non avevano contenuti di
discriminazione razziale e si riferivano piuttosto a tratti fisici appurati negli incontri con persone di
colore
39
. Eppure alcuni moderni hanno cercato una legittimazione autorevole dei contenuti razziali
del loro immaginario nelle opere degli antichi ed han ripreso spudoratamente certi dettagli fisici
presenti nell’immagine antica degli Africani. Al di là delle somiglianze volutamente ricercate, si
riscontrano alcune discordanze tra i due immaginari: ad esempio le gambe storte sono presenti nella
sola visione moderna dell’Africano
40
. Sono tali differenze a impedire di scorgere nelle immagini
34
“Questo gruppo possiede .. le seguenti caratteristiche: colore .. dal marrone rossastro al profondo nero brunastro;
capelli .. ricci e ispidi descritti come lanosi, crespi ..; un naso spiccato, schiacciato; labbra grosse, di solito gonfie e
rovesciate; prognatismo, spesso marcato nella regione sottonasale” (ivi, p. 8, trad. mia).
35
Cfr. HER. 3. 20. L’autore accenna agli alti Etiopi incontrati da Cambise. Snowden espone l’ articolarsi della
classificazione nei vari tipi: “almeno tre gruppi: (1)un tipo, come il così – chiamato vero o puro “negro”, con tratti
“negroidi” nelle loro più marcate forme … ; (2) un tipo con caratteristiche “negroidi” meno pronunciate spiegabile forse
come somigliante sia al “negro” nilotico o al tipo “negroide” con commistioni caucasoidi …; e (3) il pigmeo” (FRANK
M. SNOWDEN, JR. , Blacks in Antiquity cit., p. 14, trad. mia).
36
Cfr. ivi, pp. 171-172.
37
Frg. 14 e Frg. 16 (Diels); qui tradotti H. DIELS, W. KRANZ, I presocratici, Testimonianze e frammenti da Talete a
Empedocle, a cura di A. LAMI, con un saggio di W. KRANZ, Milano 2000
5
, p. 191-193.
38
FRANK M. SNOWDEN, JR. , Blacks in Antiquity cit., p. 216.
39
Cfr. ivi, Cambridge 1970, p. 1-21. Tale teoria è ribadita in, FRANK M. SNOWDEN, Before Color Prejudice: The
Ancient View of Blacks, Cambridge and London, 1983. L’autore mostra l’assenza di pregiudizi razziali nell’antichità.
40
Cfr. FRANK M. SNOWDEN, JR. , Blacks in Antiquity cit., pp. 9-11. Snowden pubblica una tabella dal titolo esaustivo :
“Una comparazione tra il “negro” quale descritto nel Moretum e quello descritto da due moderni antropologi” (ivi, p. 9,
trad. mia). I termini di paragone sono: il testo poetico citato e i testi di antropologi moderni.
16
antiche i semi dei contenuti razziali germoglianti presso i moderni. Esse testimoniano la
strumentalizzazione degli autori antichi messa in atto dai moderni.
Per concludere, gli antichi : “usarono il termine “Etiopi”, termine che deriva dal greco e significa
“faccia scura”, molto più raramente “Afer” o “Indus” oppure “Maurus” per indicare tutte le
popolazioni dalla pelle scura o nera, i cosiddetti Camiti orientali, … e vi inclusero indifferentemente
… i Veri Negri, Niloti, Nilo - Camiti e Pigmei; … il termine includeva anche gli Etiopici di oggi,
anche se meno conosciuti dei Nubiani, dei Blemmi .. Greci e Romani considerarono gli Etiopi e gli
Sciti come tipi umani tra loro differenti, ne annotarono le caratteristiche fisiche, per i negri ad
esempio il colore nero della pelle, il naso schiacciato, i capelli lanosi e così via, ma, non ebbero
alcuna preoccupazione scientifica di classificazione. Essi scrissero anche di Etiopi asiatici, ma sulle
caratteristiche fisiche e sulla loro area di residenza non avevano … cognizioni precise; purtroppo le
opere … sono andate perdute”
41
.
Le caratteristiche fisiche, contrassegno dell’alterità e della diversità, erano spiegate ricorrendo al
determinismo ambientale
42
e dunque alle differenze climatiche e paesaggistiche. Così la
pigmentazione dei neri si credeva fosse dovuta in primis al sole bruciante e cocente, mentre i
capelli crespi al clima umido e caldo.
Nel determinismo ambientale quattro qualità fondamentali, caldo/freddo e umido/secco, si
combinano secondo rapporti di causalità producendo quattro quadri ambientali e antropici. Ai
quattro territori corrispondono difatti la forma somatica, l’indole e i costumi degli abitanti
43
: vi
sarebbe perciò un rapporto deterministico tra tipi dell’ambiente naturale e tipi umani con dati tratti
psico-somatici. Con ciò Ippocrate sottolinea il legame tra cambiamento e diversità. Nella teoria
deterministica il mutare delle stagioni produceva la diversità: “e l’entità della diversità è
direttamente proporzionale a quella del cambiamento”
44
.
“Alle griglie del determinismo ambientale” si sovrappone “un altro paradigma culturale, che
riguarda i diversi tipi di paesaggio…”
45
, in cui la montagna rappresenta il luogo della povertà, la
41
M. GOMIERO, Africa cit. , pp. 71-72.
42
Punto di riferimento per il determinismo ambientale è Arie, acque e luoghi di Ippocrate (IV a. C.). Per la traduzione
italiana farò riferimento a: IPPOCRATE, Arie acque luoghi, introduzione, traduzione dal greco e commento a cura di
LUIGI BOTTIN, Venezia 1990
2
. “I popoli sono diversi fra loro …questo dipende dai mutamenti delle stagioni e della
natura del territorio. Fra suolo e abitanti esistono rapporti di somiglianza. Dove le stagioni presentano mutamenti …
anche il territorio è selvaggio, ineguale ... La stessa cosa vale … per gli uomini. … Le stagioni infatti, che modificano
la natura, sono diverse fra loro, e a grandi differenze fra le stagioni corrispondono ancor maggiori nelle forme” (Ivi, pp.
108-109). Diodoro Siculo rammenta la centralità del determinismo ambientale ponendolo quale causa riconosciuta, per
lo più dagli autori antichi, delle grosse differenze tra i Greci e le altre popolazioni (Cfr. DIOD. Liv. III XXXIV 2). Le
differenze prese in considerazione da Diodoro non sono solo fisiche, ma anche dei modi di vivere.
43
F. BORCA, Luoghi, corpi, costumi, Determinismo ambientale ed etnografia antica, Roma 2003, qui p. 113 ss. Su
Ippocrate pure la sezione da pp. 11 a 41. E un rimando a p. 109: secondo la combinazione delle qualità i Libi sarebbero
asciutti, più sani e forti, fertili così come la fauna sarebbe più rigogliosa.
44
Ivi, qui p. 113.
45
Ivi, qui p. 124 - 125.
17
sede dell’inciviltà poiché non coltivata, sito presso il quale gli uomini “civili”debbono recarsi per
portare la civiltà. Così possono essere lette le conquiste romane. In questa visuale vi sono i
“primitivi”: a causa dell’asprezza del territorio in cui risiedono essi non conducono una vita dedita
all’agricoltura e si dedicano invece alla pastorizia o alla caccia, vivono di nomadismo e razzia
46
. La
“primitività” si esprimerebbe nel loro vivere in grotte e cavità naturali, anziché in capanne o nelle
abitazioni degli uomini “civili”. Questi ultimi risiedono in città e si cibano non solo di vegetali
spontanei e allevamento, ma anche di pane e vino. Per i Greci gli abitanti delle montagne sono
indomiti e bellicosi: in tale prospettiva la rappresentazione della donna si confonde con l’immagine
maschile, mentre la figura maschile si fa bestiale.
L’immaginario antico s’inscrive nell’orizzonte del determinismo ambientale, segnato dalla presenza
da un lato di una comprensione delle diversità, dall’altro di una visione ferina di uomini che sono
differenti a causa degli squilibri climatici e ambientali. Come se la discontinuità delle stagioni e del
clima si imprimesse prima nella fisicità naturale del territorio e poi nelle sembianze umane,
colorandole di difformità. Una discrepanza che rende la donna maschile e l’uomo simile ad una
bestia: la diversità li permea al di là dell’aspetto esteriore giungendo in profondità fino alle loro
usanze. Costumi diversi perché inseriti in uno stile di vita contrassegnato dal nomadismo che è agli
antipodi della vita sociale greca. Basta rammentare Aristotele: chiunque non ha necessità o interesse
a vivere in comunità, deve essere un dio o una bestia.
In questo spirito gli Africani sono avvicinati dagli antichi, nonché presenti in molte opere teatrali
(come nell’Andromeda di Sofocle e di Euripide) come personaggi da raccontare o come figuranti.
Figure dall’aspetto africano fanno capolino anche nelle opere d’arte. Per comprendere la
disposizione degli antichi verso i neri sono da ricordare pure le professioni svolte dagli Africani.
Essi erano per lo più attori, artisti in genere, o esperti di mimi. Tutte queste attività rivelano un
legame con la realtà dello spettacolo e, a pensarci bene, è curioso rendersi conto che i neri
svolgevano mestieri in cui era centrale la capacità di destare sorpresa, meraviglia. Questi lavori
indicano lo sguardo degli antichi nei confronti degli africani: uno sguardo catturato da una diversità
che incuriosisce e che salta agli occhi. Ciò non significa che non vi fossero neri che praticavano
altre professioni e che grazie alle loro capacità gli africani non potessero affermarsi. A Roma,
specialmente, non erano praticate forme di discriminazione e non vi era un diverso trattamento
sociale.
Fin qui si offre l’immagine di un Africano che se pur colto ed avvicinato nella sua realtà fisica è al
contempo simile e distante. E il senso di distanza prodotto dalla non approfondita conoscenza si
colma con il ricorso ai motivi mitici.
46
Ivi, qui p. 133. Qui l’autore riprende la distinzione riportata anche da Aristotele (Cfr. ARISTOT. Politica 1256a).