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INTRODUZIONE
Nato dagli studi chomskiani, il concetto di competenza ha acquisito negli
anni diverse sfumature di significato.
Quando si parla di competenza ci si riferisce ad insiemi di saperi e know-
how che possono essere utilizzati senza alcuna formazione ulteriore
1
oppure
ad una “caratteristica intrinseca individuale causalmente collegata ad una
performance efficace o superiore in una mansione o in una situazione, e che
è misurata sulla base di un criterio prestabilito”
2
.
Come è chiaro, le competenze rappresentano un universo concettuale molto
ampio e complesso ed è per questo motivo che non vi è ancora una
definizione accettata in pieno da tutti gli studiosi dell’argomento,
nonostante l’interesse verso questo tema non sia affatto nuovo; basti
pensare che nella psicologia americana si è avuto un vero e proprio
“movimento delle competenze” tra gli anni ’60 e ’70.
La difficile definizione del concetto non preclude la possibilità, ad alcuni
autori come Boyatzis, McClelland e Spencer e Spencer, di individuare un
comun denominatore, ovvero la centralità dell’individuo rispetto a quella
della mansione.
Tale concetto è alla base del bilancio di competenze, nato come
metodologia e servizio di counselling nel panorama francese nei primi anni
’90 con l’esperienza dei CIBC (Centres Interistitutionnels de Bilan de
Competénces).
Il Bilancio di Competenze fa riferimento ad un percorso di orientamento
strutturato che aiuta le persone ad acquisire maggiore consapevolezza delle
proprie attitudini e capacità, nell’ambito della vita professionale e
personale. I destinatari di tale percorso sono le persone che hanno già
1
Montmollin M., (1984), L’intelligence de la tache. Elements d’ergonomie cognitive, Peter Lang,
Berne.
2
Carretta A., Dalziel M. e Mitrani A., (1992) Dalle risorse umane alle competenze, Franco
Angeli, Milano.
3
maturato esperienze lavorative e che intendono proporsi in altri settori;
giovani in cerca di una prima occupazione e soggetti che tentano un
reinserimento professionale dopo un periodo di assenza per far ripartire la
propria carriera.
Il presente elaborato sperimenta una nuova visione del bilancio di
competenze. Il tentativo consiste nell’utilizzare il bilancio come strumento
per la crescita non solo del singolo lavoratore, ma anche dell’intera azienda
in cui esso opera. Mediante questo strumento, il lavoratore otterrà una
maggiore consapevolezza delle proprie competenze che gli consentirà di
ridefinire il proprio status; l’azienda, invece, punterà, grazie ai risultati
ottenuti dal bilancio, ad una riorganizzazione interna, al fine di rendere più
efficace ed efficiente l’utilizzo delle proprie risorse umane.
Il lavoro è suddiviso in tre parti.
Nel primo capitolo vi è una panoramica del concetto di competenza con
un’analisi approfondita dell’origine del termine e dei contributi teorici
italiani ed internazionali. Vi è, inoltre, un excursus sulle metodologie
adottate per identificare le competenze, nonché sull’importanza di questo
tema nell’ambito delle risorse umane.
Il secondo capitolo è interamente concentrato sul bilancio delle
competenze. Nella prima parte viene presentato il quadro teorico di
riferimento, dall’esperienza francese fino alla sua introduzione in Italia. Il
capitolo prosegue con l’analisi delle fasi di cui consta il bilancio con
un’attenzione particolare ai tempi, ai destinatari e agli strumenti utilizzati;
ed, infine, l’ultima parte è incentrata sul confronto di questo strumento con
altri simili.
Il terzo, ed ultimo, capitolo, infine, illustra i risultati della sperimentazione
effettuata. Dopo una breve presentazione dell’azienda studiata, l’attenzione
si sposta sui risultati ottenuti dalla somministrazione del bilancio ad ogni
singolo dipendente dell’azienda.
4
CAPITOLO I
Evoluzione del concetto di competenza
1.1 Il concetto di competenza
1.1.1 Le origini
Il termine “competenza” deriva dal latino “cum petere”, ovvero chiedere
insieme, pretendere, ma evoca anche il verbo italiano ”competere” che ha
tutt’altro significato, ovvero far fronte ad una situazione di sfida o
competizione. Risulta già chiaro che il termine ricopre un’area semantica
molto ampia, dovendo anche di volta in volta tradurre termini inglesi come
skill, competence e competency. Altra complicazione deriva dalla
distinzione tra i termini inglese competence e competency, che
generalmente vengono tradotti in italiano con la parola “competenza” e
considerati sinonimi. Soprattutto per iniziativa di McClelland
3
, questi due
termini dovrebbero corrispondere alla distinzione tra capacità posseduta dal
soggetto in termini di attitudine o di un tratto di personalità, senza la
necessità di essere messa alla prova (competency), e l’effettiva applicazione
di alcune abilità tecniche o cognitive in contesti professionali o di vita
(competence).
Il termine nasce dagli studi della linguistica. Chomsky
4
definisce la
competenza come la conoscenza che il parlante ascoltatore ha della propria
lingua che differisce dall’esecuzione come uso effettivo di essa in situazioni
concrete. L’esecuzione fa riferimento agli atti linguistici, mentre la
conoscenza ingloba la grammatica della lingua. Per poter parlare infatti
bisogna possedere una serie di capacità: innanzitutto competenze
grammaticali che sono assolutamente specifiche, poi conoscenze sulle
3
McClelland D.C., (1973) Testing for competence rather than for intelligence. “American
Psychologist”, n. 28.
4
Chomsky N., (1965), Aspects of the theory of syntax. MIT Press, Cambridge.
5
regole grammaticali e conoscenze relative alle circostanze e alle credenze
personali. Egli introduce la differenza tra competenze e performance,
ovvero tra ciò che l’individuo teoricamente può dire e comprendere, e ciò
che praticamente dice in determinate situazioni. Egli definisce la
competenza come la base indispensabile per poter produrre e assicurare una
performance linguistica.
Altra possibile definizione del concetto, deriva dalla sostituzioni dei termini
di “capacità”, “attitudine” e “qualificazione”, che ha permesso di inglobare
nella “competenza” aspetti quali: mobilitazione, motivazione, impegno,
coinvolgimento
5
. Quando si parla di capacità si fa riferimento all’insieme
delle prestazioni accertate, alla possibilità di riuscita in un campito.
L’attitudine è un substrato, preesistente, della capacità, che sarà
strettamente legato allo sviluppo dell’attitudine, alla formazione e
all’esercizio. Il termine inglese ability non evidenzia tali distinzioni, e così
esso sarà utilizzato indistintamente sia a significare capacità sia attitudine.
La qualificazione rimanda ad un riconoscimento ufficiale legato ad un
attestato che qualifica le conoscenze acquisite in un istituto di formazione
oppure attraverso un’esperienza professionale. Tale attestato permettere di
individuare un livello di qualificazione, utile ai fini dell’inquadramento
professionale e per le determinazioni salariali. In questo modo, il concetto
di competenza non risulta nuovo, in quanto esso verrà inteso come
conoscenza approfondita che consente ad una persona di far fronte a diverse
situazioni. Utilizzato al plurale indica l’insieme delle caratteristiche
personali che ognuno possiede e che gli consentono di giungere ad un
risultato.
5
Lemoine C., (2002), Risorse per il bilancio di competenze, Percorsi metodologici e operativi,
Franco Angeli, Milano.
6
1.1.2 Alcune definizioni
Montmollin (1984)
6
ha definito la competenza come degli insiemi stabili di
saperi e di know-how, di procedure standard che possono essere utilizzate
senza la necessità di alcuna formazione ulteriore. La nozione è ambigua. La
competenza può essere identificata solo a partire dal risultato e questo fa sì
che non può essere dissociata dall’attività attraverso il quale si manifesta.
L’ambiguità sta nel fatto che si ha un rimando al possessore e
contemporaneamente all’ambiente esterno, instaurando un rapporto di
dipendenza con il contesto che la attua.
Il concetto di “competenza” comunque è ancora privo di una definizione
univoca e condivisa, nonostante l’interesse verso questo ambito non sia
affatto nuovo. Tra gli anni ’60 e ’70, soprattutto nella psicologia
organizzativa americana, si è avuto un vero e proprio “movimento delle
competenze”
7
.
In quegli anni, la psicologia americana, mostrava scarso interesse nei
confronti dei tratti della personalità, ritenendo che essi fossero raramente
correlati con la performance lavorativa. Da numerose ricerche risultò però
che i test di attitudine allo studio, i titoli e gli attestati scolastici non danno
informazioni dirette circa l’attitudine al lavoro e il successo nella vita, e in
più, possono essere viziati da pregiudizi nei confronti delle minoranze,
donne e ceti sociali meno abbienti. Tali risultati spinsero McClelland a
definire alcune regole di ricerca delle variabili di competenza, in grado di
predire la performance sul lavoro e senza pregiudizi razziali. Tale
metodologia è denominata Job Competence Assessment. L’approccio è
6
Montmollin M., (1984), L’intelligence de la tache. Elements d’ergonomie cognitive, Peter Lang,
Berne.
7
Il “movimento delle competenze” nasce nel 1973 per opera di McClelland, considerato anche il
padre fondatore del movimento, che ha pubblicato l’articolo “Testing for competence rather than
intelligence” al quale è attribuito il merito di aver lanciato il movimento in psicologia.
Successivamente Lyle Spencer, che è ancora impegnato nell’attività ereditata da McClelland, con
Boyatzis Richard, Dalziel Murray, Page Ron ha approfondito l’approccio.
7
specifico della realtà in cui è applicato ed è dinamico in quanto le
competenze vengono di volta in volta aggiornate a seconda dell’evoluzione
delle strategie aziendali. Da qui scaturisce la necessità da parte delle
aziende, di individuare le competenze e servirsene in tutti gli ambiti della
gestione del patrimonio umano, ovvero reclutamento, selezione,
orientamento, valutazione ecc. Le due regole più importanti di questa
metodologia sono: ricorrere a campionature e individuare schemi cognitivi
e comportamentali operativi, causalmente correlati alla riuscita sul lavoro o
nella vita. La novità dell’approccio di McClelland, rispetto all’analisi delle
mansioni, sta nel fatto che la valutazione della competenza studia i “buoni
lavoratori” e definisce la mansione in termini di caratteristiche e
comportamenti di queste persone, distaccandosi dai metodi tradizionali che,
attraverso interviste o rilevazioni, osservavano i lavoratori per stabilire la
percentuale di tempo trascorsa a comunicare.
Quale comun denominatore di autori come Boyatzis, McClelland, Spencer e
Spencer, che daranno vita alla teoria “ortodossa” delle competenze
8
, vi è la
centralità del soggetto rispetto a quella della mansione, evidenziandone il
ruolo di attore principale.
La definizione maggiormente diffusa, formulata inizialmente da Klemp
(1980)
9
, ripresa poi da Boyatzis (1982)
10
e proposta in modo definitivo da
Spencer e Spencer considera la competenza “una caratteristica intrinseca
individuale causalmente collegata ad una performance efficace o superiore
in una mansione o in una situazione, e che è misurata sulla base di un
8
Alla base della teoria “ortodossa” vi è la centralità della persona nelle organizzazioni, e il
continuo richiamo alla contrapposizione fra l’astratto dei compiti e delle mansioni e il concreto
delle persone. Maraschini F., (2004), Gestire le competenze. Perché e come, Giappichelli Editore,
Torino.
9
Klemp G.O., (1980), The assessment of occupational competence, Report of National Institute of
Education, Washington D.C.
10
Boyatzis R., (1982), The Competent Manager, John Wiley, New York.
8
criterio prestabilito”
11
. Tale definizione appare subito molto parsimoniosa
12
;
essa si limita, infatti, ad indicare la prestazione come criterio discriminante.
Nell’analisi delle competenze, sono necessarie le caratteristiche che hanno
una relazione verificabile e misurabile con le prestazioni. La definizione
inoltre, va alla ricerca delle prestazioni nelle caratteristiche “intime” delle
persone, che aiutano ad orientare tutta la teoria verso ciò che le persone
sono realmente, i loro modi di agire.
La definizione è in grado di cogliere caratteristiche molto diverse. Il
ventaglio delle competenze però può aprirsi a seconda di due dimensioni
fondamentali. Innanzitutto vi è il livello di competenza, ovvero la
dimensione va riferita alla struttura complessa della personalità individuale,
dunque al radicamento di ogni competenza. La seconda dimensione fa
riferimento ai tipi di competenza, ed è di natura decisamente più empirica.
Essa allude alle diverse sfere di azione e relazione in cui l’individuo può
trovarsi impegnato. L’analisi delle competenze dovrebbe procedere lungo
una griglia ampia così da cogliere tutte le dimensioni del comportamento
che vanno ad incidere in una situazione specifica, relegando agli ultimi
posti l’elaborazione vera e propria del “modello delle competenze”
specifico per quel job. Il concetto chiave di questo modello è “specificità”:
è di primaria importanza la giusta collocazione delle persone in posizione
che facciano uso delle competenze specificatamente possedute. Si evidenza
una prospettiva qualitativa delle competenza che fa riferimento non alla
quantità di competenze possedute, quanto alla corrispondenza di esse con
un certo tipo di job
13
.
È possibile avere competenze desiderabili, che permettono di distinguere gli
elementi migliori dai peggiori, e competenze di soglia o essenziali che
11
Carretta A., Dalziel M. e Mitrani A., (1992) Dalle risorse umane alle competenze, Franco
Angeli, Milano.
12
Maraschini F., (2004), Gestire le competenze. Perché e come, Giappichelli Editore, Torino.
13
Ibidem.