Introduzione La finanziarizzazione dell’economia è un fenomeno complesso che trae le
sue radici dalla crescita dell’importanza della finanza nelle economie e nelle
imprese e che ha invaso tutti i settori finanziari, prima come valido tentativo di
arginare o coprirsi dai rischi agendo sulle variabili chiave, e degenerando poi nella
sua determinante più speculativa, pericolosa per la sopravvivenza stessa delle
aziende.
Il processo che ha accompagnato lo sviluppo della finanziarizzazione negli
anni è stata l’innovazione finanziaria, che ha fornito strumenti sempre più
articolati, complessi e specifici agli attori della finanza, e ha consentito loro di
porre in essere gestioni non sempre caute in attività speculative, incorrendo in
profitti o perdite alquanto rilevanti. L’innovazione così sfruttata non si è
sviluppata a beneficio dell’economia, ma si è tradotta in un meccanismo
generatore di instabilità a livello sistemico.
Nell’ottica delineata, la prima parte del lavoro indaga l’origine e lo sviluppo
della finanziarizzazione dell’economia partendo dall’instaurazione del sistema di
cambi fissi stabilito nella conferenza di Bretton Woods, approfondendo le
determinanti del suo sviluppo che possono essere ricercate nella globalizzazione
dell’economia, nella liberalizzazione del commercio mondiale, nella deregulation
delle istituzioni finanziarie e nella nascita delle tecnologie dell’informazione e
della comunicazione.
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L’attenzione è stata posta anche sull’utilizzo di strumenti innovativi quali
futures , swap , e option che sfruttano la volatilità del prezzo del sottostante per
coprirsi dal rischio di prezzo di cambio o di interesse, o per generare profitti.
L’innovazione del sistema finanziario ha, inoltre, creato nuove figure quali i fondi
di private equity , che hanno specifiche modalità di gestione del capitale, gli hedge
fund , che hanno un enorme potenziale speculativo, e i Fondi Sovrani, creati da
nazioni ricche di materie prime, dalla cui vendita hanno ricavato delle enormi
riserve monetarie.
La seconda parte del lavoro si focalizza sui pericoli della finanziarizzazione E sulla genesi delle recenti crisi finanziarie che hanno travolto anche molte
istituzioni che si sono spinte oltre i criteri di prudenza che dovrebbero guidare la
sana gestione finanziaria.
La base teorica di tali argomentazioni risiede negli studi di Minsky sulle
“ipotesi dell’instabilità finanziaria”, di Fisher sulla “teoria della deflazione dei
debiti” e di Bernanke sul concetto di “acceleratore finanziario”.
Un ruolo importante nello sviluppo speculativo dei mercati finanziari risiede
nella teoria dello shareholder value come obiettivo esaustivo dell’impresa,
paradigma sviluppatosi negli anni ’80, nell’ ”ottica di breve periodo” che mira a
generare profitti nel minor tempo possibile relegando ai ritorni di natura
finanziaria un ruolo principe, a scapito della crescita del valore dell’impresa e
dello sviluppo e della valorizzazione del core business ; nella pratica delle stock
option come unici incentivi retributivi agli attori della finanza, che hanno grosso
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interesse a che il prezzo delle azioni ricevute si gonfi, per rivenderle nel minor
tempo possibile lucrando la differenza; e nelle nascita di strumenti innovativi che
adoperati sistematicamente spesso senza le conoscenze di gestione adatte, e a
causa della leva finanziaria che amplifica profitti e perdite delle cifre su cui ci si è
impegnati, hanno portato un sistema al collasso.
L’ultima parte del lavoro è incentrata sulla crisi dei mutui subprime e sulle
principali determinanti di tale fenomeno, che vanno ricercate nella eccessiva
deregolamentazione dei mercati e nella pratica dei mutui concessi molto spesso
senza considerare la richiesta di apposite garanzie. In particolare, sono stati trattati
il caso della bancarotta islandese e i piani di intervento dei Paesi dell’Unione
Europea. Il lavoro si conclude con alcune proposte di riforma e alcune linee guida
da seguire per migliorare il sistema attuale, soprattutto per quanto concerne la
vigilanza e la regolamentazione dei mercati.
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Capitolo I
Il fenomeno della finanziarizzazione
I.1. Cenni Storici Dal 1° al 22 Luglio 1944, si tenne a Bretton Woods, la conferenza che stabilì
le regole per le relazioni commerciali e finanziarie tra i principali paesi
industrializzati del mondo.
Si trattava di un sistema di cambi fissi, ispirato alle teorie economiche
keynesiane, ed era basato sull’ idea che, mantenere un regime di cambi fissi,
favorisse lo sviluppo del commercio mondiale, e la crescita economica dei Paesi
del nord del mondo. Si decise di ancorare il dollaro, valuta di riferimento, all’oro.
La Federal Reserve, si impegnò a convertire dollari in oro ad un prezzo fisso,
cosicchè le varie Banche Centrali, potessero accumulare riserve indifferentemente
in oro o in dollari, e i Paesi che aderivano al sistema, s’impegnavano a loro volta a
tenere fisso il cambio fra la loro valuta e l’unità di conto statunitense (Screpanti,
2008).
Il sistema scoraggiava la speculazione perché non si potevano verificare forti
variazioni del tasso di cambio, dava certezza alle imprese che operavano sui
mercati internazionali, visto che non c’erano pericoli connessi al deprezzamento
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delle valute, e questo favoriva lo sviluppo delle esportazioni e del commercio
internazionale (Screpanti, 2008).
All'inizio degli anni Settanta, si concluse il lungo periodo di relativa stabilità
dei mercati finanziari. Il primo segnale della fine fu nel 1971 la decisione
dell’allora presidente degli Stati Uniti Nixon, di scollegare il valore del dollaro
all’oro, e di rendere così la moneta statunitense, non più convertibile con l’oro. Si
venne dunque a creare un clima di sfiducia nei confronti del dollaro, che unito agli
alti tassi di inflazione e di disoccupazione, alla competitività indebolita, alla
crescita lenta, e ad un calo nei profitti, provocò non pochi problemi al capitalismo
statunitense. Ed è in questo contesto che si sviluppa la finanziarizzazione, nella
sua accezione attuale.
L'allora Presidente della Federal Reserve, Paul Volcker, si fece avanti,
aumentando i tassi di interesse a livelli record. Ciò riassorbì l'inflazione, ma
aumentò contemporaneamente il tasso di disoccupazione, che raggiunse il picco
dei tempi della grande crisi economica degli anni ‘30; numerose fabbriche e un
numero ancora più alto di aziende agricole a conduzione familiare andarono in
bancarotta, la classe operaia patì privazioni spaventose, in particolare le comunità
afro-americana, latina e altre minoranze, e si ebbero gravi ripercussioni
sull'economia globale, soprattutto nei paesi in via di sviluppo di Asia, Africa e
America Latina. Contemporaneamente, i tassi di interesse da record
reindirizzarono improvvisamente e massicciamente i capitali nazionali ed esteri
negli strumenti finanziari che all'epoca davano rendimenti molto elevati. Inoltre,
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una volta nei canali finanziari, il capitale in denaro non restava improduttivo.
Spinto dalla sua propria natura a espandersi costantemente e rafforzato dalla
pressione concorrenziale di capitali in competizione, in un ambiente con scarsa
regolamentazione, per tre decenni gli attori della finanza (banche, società
d'investimento, ecc.) si sono lanciati in una ininterrotta e massiccia corsa agli
acquisti, alle vendite, ai prestiti e alle spese folli. Tutto ciò ha portato ad
un'esplosione del settore finanziario in termini di occupazione, di transazioni, di
strumenti, di giocatori e di profitti. A differenza del capitale produttivo che si
riproduce e si espande creando profitti grazie alla forza lavoro nel processo di
produzione, l’investimento in denaro è molto più irrequieto e impaziente. Il suo
arco di tempo di riferimento è il breve termine, e può girare il mondo in un istante
grazie ai sistemi informatici e a Internet. Maturando in forza e portata sul finire
degli anni '80 e negli anni '90, la finanziarizzazione è cresciuta al punto da
diventare il fenomeno principale che ha caratterizzato l’evoluzione dell'economia
degli Stati Uniti e mondiale. Nonostante sia la risultante delle debolezze e delle
contraddizioni sistemiche connaturate al capitalismo statunitense, la
finanziarizzazione rappresenta anche il modello neoliberale di accumulo del
capitale e di amministrazione, volto a ripristinare lo slancio, la redditività e la
posizione dominante del capitalismo statunitense negli affari interni e
internazionali (Webb, 2008).
D’altra parte i successi della finanziarizzazione hanno aperto nuove linee di
frattura nell'economia statunitense e globale, rendendola insostenibile.
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I.2. La Finanziarizzazione dell’economia e delle imprese A partire dalla fine degli anni ’70, le economie mondiali hanno subìto
profonde trasformazioni che hanno dato vita ad una nuova fase di sviluppo
capitalistico: le transazioni economiche tra paesi sono sostanzialmente cresciute di
pari passo con il ruolo del mercato, grazie alla crescente liberalizzazione del
commercio mondiale e alla globalizzazione dell’economia; di contro il peso dello
stato nell’economia è andato diminuendo. E’ così che si sono create le condizioni
più favorevoli affinchè la finanziarizzazione potesse nascere e svilupparsi
(Sodano, 2008).
Anche se non è stata coniata una vera e propria definizione della parola
“finanziarizzazione”, gli studiosi sono concordi con la visione secondo cui, per
definire il fenomeno in questione, si faccia riferimento alla crescita del ruolo della
finanza, dei mercati finanziari, degli attori al suo interno, e delle istituzioni
finanziarie operanti nelle economie nazionali e internazionali.
Il mercato mondiale si sta configurando sempre più come un sistema
integrato di informazioni che, a causa delle minori restrizioni governative, della
deregulation delle istituzioni finanziarie, della nascita e diffusione di strumenti
finanziari innovativi quali futures , swap e option , ha ampliato la scena entro cui le
imprese multinazionali possono effettuare operazioni valutarie, sottolineando in
maniera sempre più marcata, la differenza fra economia reale ed economia
figurativa (Calvelli, 1998).
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Le imprese hanno iniziato a sfruttare, assumendo posizioni talvolta
speculative, le asimmetrie presenti nei mercati finanziari, spostando così la loro
attenzione verso utili di natura finanziaria, e conferendo alla finanza un ruolo
centrale al loro interno.
Le nuove possibilità offerte alle imprese, per opportunità di arbitraggio rese
possibili dalle diverse condizioni dei mercati, ed in termini di una maggiore
offerta di strumenti finanziari, hanno portato alla finanziarizzazione delle
economie e delle imprese, che grossa attenzione sta attirando da parte di studiosi e
ricercatori (Calvelli, 1998).
La finanziarizzazione delle imprese, può essere considerata in maniera
positiva, se le conoscenze finanziarie all’interno di un’unità, riescono a coniugarsi
con quelle reali in un’ottica non conflittuale, che riesca ad arricchire il bagaglio di
conoscenze distintive.
In tal modo, le imprese possono attuare strategie di riduzione di rischio e
costi delle attività, consentendo nuove opportunità di investimento, che
contribuiscano nel lungo periodo, alla crescita del valore economico del capitale
dell’impresa. Nel breve periodo, invece, le aziende possono trasferire la liquidità e
i profitti tassabili, tra le unità decentrate all’estero, scegliendo le modalità ottimali
di attuazione dei trasferimenti, in termini di tempi e costi (Calvelli, 1998).
Nella sua determinante speculativa, invece, la tendenza alla
finanziarizzazione è vista come fonte di preoccupazione, in quanto rappresenta un
allontanamento dell’attenzione dei manager, dal core business dell’azienda e dalle
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attività volte ad accrescere il patrimonio di conoscenze scientifiche e
tecnologiche, unico a garantire l’acquisizione dei vantaggi competitivi e la
creazione di valore nel lungo periodo (Calvelli 2008).
Il comportamento degli operatori tende maggiormente al conseguimento di
profitti di breve periodo, e diminuisce così, l’interesse verso i guadagni che
derivano dalla crescita del reddito reale, dalla dotazione di capitale produttivo, e
dall’impiego di lavoro; variabili queste, sulle quali si fonda il benessere delle
nazioni.
Da quanto detto, discende il nuovo ruolo della finanza nelle moderne imprese
impegnate in contesti internazionali, incentrato su una vasta gamma di
problematiche che spinge la finanza ad assumere un ruolo sempre più integrato
con le attività tradizionali, connesse alla produzione e alla gestione d’impresa.
I.2.1 Le determinanti dello sviluppo della finanziarizzazione La finanziarizzazione trae origine da un processo di trasformazione del
contesto economico, che possiamo ravvisare nel fenomeno della globalizzazione
dell’economia .
I fattori che hanno dato vita alla globalizzazione sono molteplici, ma due
sono stati estremamente rilevanti: la ricerca di nuovi mercati di sbocco e di nuove
strategie per l’ottenimento di vantaggi competitivi da parte delle aziende, e
l’avvento delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione
(Sodano, 2008) .
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