INTRODUZIONE
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INTRODUZIONE
LA COSTRUZIONE DELL’IDENTITÀ ATTRAVERSO LA MEMORIA.
Costruire memoria significa innanzitutto strutturare e presentare, attraverso
articolazioni complesse e stratificate, identità.
I luoghi di cultura, i musei in questo caso, sono luoghi formativi e
rappresentativi dell’identità culturale della città e dei suoi abitanti. Nuovi o vecchi che
siano i musei, raccontano storie, coinvolgono, accolgono e soprattutto educano. E
nuovi o vecchi che siano, i cittadini visitano questi luoghi alla ricerca di un
coinvolgimento sociale che passa proprio attraverso la cultura. Come dice Andrea
Emiliani, la comunità urbana, una tra le centinaia di personalità urbane che abitano
l’Italia della imponente umanizzazione storica, possiede in affidamento fin dal
Settecento una serie intera di servizi pubblici che le sono stati dati. Archivio e
biblioteca, teatro e museo, e infine giardino, tanto botanico che pubblico, sono i
maggiori servizi formativi e didattici della comunità
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. Sono i luoghi e le storie della
comunità che insegnano, che formano il cittadino. Lontano da qualsiasi forma di
paternalismo, i musei sono spazi costitutivi della società contemporanea e ne
fotografano le evoluzioni e le strategie relazionali in atto. L’identità che i musei
contribuiscono a creare non è granitica e assoluta. Ogni società infatti può essere vista
come un mosaico di molteplici comunità e organizzazioni in continuo mutamento. Le
identità e le esperienze individuali non derivano mai completamente da singoli
segmenti della società o da una soltanto delle collettività che la costituiscono. La città
stessa, attraverso il proprio tortuoso cammino storico è un complesso mosaico di
individui e racconti. Allora qual è il dovere etico e civile dei musei? È quello non solo di
mostrare questi racconti e queste individualità, ma di coinvolgerle in un reale dibattito
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Emiliani.A, Presentazione, in Karp I., Kreamer Mullen C., Lavine S.D. (a cura di), Musei e
identità. Politica culturale delle collettività, Bologna, CLUEB, 1995, p. IX.
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e creare partecipazione attraverso efficaci politiche culturali. Costruire identità
significa innanzitutto radunare gli sforzi interpretativi di questo complesso mosaico e
creare dei luoghi che siano custodi delle problematiche costitutive della comunità. I
musei della memoria sono luoghi nei quali questo dibattito costruttivo si realizza. Sono
musei articolati che comportano difficoltà analitiche, ma che si dimostrano
estremamente redditizie dal punto di vista museologico e sociologico. Essi sono
costruiti più di altre istituzioni, da logiche che superano quelle meramente culturali e
che si intersecano con fattori complessi e stratificati. I musei della memoria sono i
luoghi nei quali le barriere delle discipline vengono annientate per raggiungere
obiettivi unici: muovere le coscienze, porre questioni, e creare identità. Essi
considerano quindi la memoria un mezzo, non semplicemente un fine. Sono i luoghi
nei quali la nostra società mostra ed ammette gli errori del passato, ponendo così le
basi per le scelte future. Sono luoghi nei quali la Storia viene declinata attraverso le
piccole e grandi vicende che la costituiscono.
Nei musei della memoria, la scelta stessa degli oggetti, la costruzione e
l’esposizione della collezione hanno, come vedremo, precise peculiarità: in essi tutto
deve colpire, emozionare e muovere le coscienze.
Nei musei della memoria c’è la politica: quella dell’impegno civico e civile,
quella degli sbagli, quella delle scelte strategiche e delle decisioni, quella del
coinvolgimento e della conciliazione, quella della collaborazione e della mediazione.
Nei musei della memoria c’è la museologia: quella delle scelte architettoniche,
dei percorsi, degli allestimenti declinati nel loro estremo potenziale emozionale. Quella
che cerca e prevede una corretta comunicazione, che risolve gli imbarazzi espositivi,
che studia i percorsi e i comportamenti dei visitatori.
Nei musei della memoria c’è l’arte con le sue metafore: talvolta unici mezzi per
raccontare l’ineffabile. C’è la scelta di nuovi linguaggi contemporanei, di architetture
sensibili e di spazi non scontati perché doverosamente comunicativi.
Nei musei della memoria ci sono le persone: i visitatori e i turisti, i parenti delle
vittime, i cittadini e la società civile. Tutti questi attori, hanno un approccio specifico e
differenziato.
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Nei musei della memoria c’è, come dicevamo, la storia, presentata attraverso i
suoi errori e i suoi drammi. C’è la malvagità, ma anche la solidarietà.
Nei musei della memoria c’è l’impegno, la volontà di non seguire percorsi già
tracciati e l’ostinatezza di chi crede che tutto si possa e si debba dire.
Nei musei della memoria, infine, c’è la città con le sue ferite, ma anche con la
volontà ricreatrice tipica degli esseri umani.
Il fenomeno del Memory boom, ovvero la riflessione sulle tematiche della
memoria e la realizzazione di forme museali ad essa dedicate, è un fenomeno di
portata internazionale, che in particolar modo, ha affrontato, a partire dagli anni
Ottanta, il dramma dell’Olocausto. Negli Stati Uniti sono sorti centinaia di musei e
memoriali ad esso dedicati, ma il fenomeno ha raggiunto persino il Giappone, dove,
per colmare una diffusa ignoranza a proposito, si è realizzato nel 1995 l’Holocaust
Education Center dedicato ai bambini vittime della Shoah. Ad eccezione del capolavoro
di Daniel Libeskind, il Jüdisches Museum di Berlino, la retorica museale della Shoah
rimane più o meno identica in ogni angolo del mondo. Non escludendo chiaramente la
museologia dell’Olocausto, in questa tesi si farà particolare riferimento a forme
museali che trattano drammi storici, dittature o genocidi, che non hanno una
morfologia comune e devono perciò creare tipologie espositive differenziate.
Il Museo per la memoria di Ustica è l’unico esempio sul territorio italiano di
musealizzazione della memoria del secondo dopoguerra. Il nostro paese è costellato da
monumenti e memoriali dedicati ai drammi dell’Olocausto, della Deportazione e della
Resistenza, ma questo museo si differenzia proprio perché testimonia una tragedia
civile in un presupposto periodo di pace.
Il museo è nato dall’ostinatezza, talvolta incosciente, dell’Associazione dei
parenti delle vittime di Ustica, che attraverso una sensibilizzazione della società civile
che non ha eguali in Italia, ha coinvolto le istituzioni nell’impresa museale. Impresa che
quindi parte dal basso, dai cittadini, per diventare luogo identitario della città di
Bologna e dell’Italia tutta. Ustica rappresenta infatti il paradigma della giustizia cercata
e mai definitivamente ottenuta. Rappresenta la più grande inchiesta giudiziaria e
mediatica del nostro Paese. Il simbolo di una stagione irrisolta che è oggi è portavoce
di un Memory boom all’italiana.
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Ustica è riuscita a raccontarsi, nonostante la sua complessità, attraverso l’arte e
questo è senza dubbio il suo primato. Un primato di livello internazionale che potrebbe
dare alla vicenda la visibilità da sempre cercata, anche fuori dai nostri confini, al fine di
ottenere una definitiva verità.
L’arte di Christian Boltanski ha cambiato radicalmente la fisionomia del
progetto originale del museo, riuscendo a trasformare una vicenda peculiare, in un
dramma e in un concetto universale, allontanandosi così da forme di giustizialismo e
vendetta che si sarebbero dimostrate semplicemente pericolose. L’opera di Boltanski
evita la rabbia, che si sa è un sentimento passeggero, ma coinvolge emotivamente
attraverso l’immedesimazione. Ciò permette al museo di comunicare il messaggio
correttamente. Ustica è ancora oggi una vicenda senza colpevoli, nonostante una
sentenza abbia chiarito, per quanto possibile, le cause. Perciò il museo non si occupa di
storicizzare l’episodio, bensì di mantenerne vivo il ricordo e la presenza. I musei oramai
non sono più destinati alla mera conservazione, né sono più schiavi di un’accezione
negativa, ma sono luoghi vivi, crocevia di relazioni ed accadimenti. Realizzare un
museo, non un monumento, si è dimostrato il modo migliore per reiterare, veicolare e
dare voce a chi ancora, dopo 30 anni, chiede giustizia.
Questa tesi è dedicata alle 81 persone cadute dal cielo il 27 Giugno del 1980. A
loro e a tutte quelle persone che hanno contribuito a trasformare una brutta vicenda
in una meravigliosa opera d’arte e in un simbolo culturale emblema della coscienza
civica di questo paese.
Vorrei ringraziare per il fiume di parole, l’immensa disponibilità e l’entusiasmo
contagioso la Senatrice Daria Bonfietti. Ringrazio anche Il Dott. Luca Alessandrini
dell’Istituto Parri e la Dott.ssa Alessia Masi, per i documenti, le informazioni altrimenti
introvabili e il tempo prezioso concessomi durante questa ricerca.
LA COSTRUZIONE DELLA MEMORIA
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Parte Prima
LA COSTRUZIONE DELLA
MEMORIA
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LA COSTRUZIONE DELLA MEMORIA
Dai Monumenti ai musei
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1 DAI MONUMENTI AI MUSEI
La cosa che colpisce di più dei monumenti è che non li noti. Nel mondo non c'è
niente di più invisibile di un monumento. Non c'è dubbio che siano stati costruiti per
essere visti - persino per attrarre l'attenzione; eppure allo stesso tempo qualcosa li ha
saturati rendendoli irrilevanti. Come una goccia d'acqua su una tela impermeabile,
l'attenzione su di loro scivola via senza fermarsi neanche un istante.
Robert Musil
1.1 Tra le due Guerre
La storia dei monumenti ai caduti in Europa, è soprattutto una storia di guerre.
E’ una storia che parte da lontano, ma che ai fini del nostro discorso facciamo risalire
alla Prima Guerra Mondiale.
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In seguito alla Grande Guerra, infatti, nacque un
approccio peculiare al culto dei caduti. Il fenomeno interessò praticamente tutti gli
Stati coinvolti nel conflitto, ma fu più forte e sentito dagli sconfitti. Il culto fu simile in
tutte le nazioni: esso fu cristiano e classico ed espresse l’immagine familiare della
virilità del caduto. Ma è da notare che molte furono le eccezioni. Infatti, si
sperimentarono forme diversificate del ricordo. In Gran Bretagna si sviluppò una
meditata architettura cimiteriale. Concepiti da una commissione apposita, composta
da intellettuali del calibro di Rudyard Kipling, i cimiteri di guerra furono realizzati da
celebri urbanisti come Edwin Lutyens. Anche in Germania presero forma strutture
cimiteriali commemorative molto simili a quelle britanniche, nelle quali regnava una
atmosfera semplice e ascetica. Qui furono inoltre realizzati i boschi sacri degli eroi, gli
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Mosse G. L., Le guerre mondiali. Dalla tragedia al mito dei caduti, Bari, Edizioni Laterza, 1990.
LA COSTRUZIONE DELLA MEMORIA
Dai Monumenti ai musei
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Heldenhain, nei quali alberi di esclusiva provenienza germanica, presero il posto di
tombe e lapidi. Sempre in Germania furono saggiate forme memoriali sperimentali,
come ad esempio le Totenburg dell’architetto Robert Tischler. Queste enormi fortezze
fungevano da tombe collettive e da monumentali memoriali. Visibili da grande
distanza, divennero in seguito il metodo di sepoltura per i caduti prediletto da Hitler. In
Francia troviamo già, seppur in minima rappresentanza, monumenti che esprimono
sentimenti antibellicisti. Da non dimenticare poi la forma, sviluppatasi pressoché
ovunque, del monumento al milite ignoto.
In Europa il culto dei caduti fu estremamente conservatore: ogni qualvolta
forme moderne o sperimentali venivano suggerite o realizzate, suscitavano una
tempesta di critiche e si dimostravano inefficaci. Basti l’esempio del celebre architetto
Bruno Taut che costruì per la città di Magdeburgo una biblioteca ed una sala di lettura
concepite come un monumento ai caduti. Si trattava di una nozione intellettuale che
rompeva con la tradizione passata, ma venne immediatamente condannata al
fallimento. L’approccio degli Stati Uniti fu totalmente differente. I monumenti ai caduti
sotto forma di edificio pubblico divennero immediatamente popolari. Centri culturali,
biblioteche e sale sportive dedicate ai caduti, furono prescelti come luoghi deputati
alla custodia della memoria. Al culto ispirato dalla sacralità dei templi greci e denso di
religiosità dei monumenti europei, si contrappose quindi, la funzionalità dei memoriali
americani.
Monumenti e sacrari furono meta di incessanti pellegrinaggi e manifestazioni
lungo tutto il dopoguerra. Ciò contribuì a fortificare il mito della guerra sino alle sue
estreme conseguenze: condusse infatti ad una brutalizzazione della politica ed a una
militarizzazione di molti stati europei, in particolar modo quelli che confluiranno nei
fascismi.
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, il desiderio di pace fu pressoché
universale. Nelle zone di occupazione occidentale furono realizzati nuovi monumenti
che, non glorificando più la guerra, divennero, al contrario, promemoria delle
conseguenze devastanti di quest’ultima.
Nel 1946 gli alleati ordinarono la demolizione, non soltanto di tutti i monumenti
e musei costruiti dai nazisti, ma anche di tutti i monumenti suscettibili di glorificare la
LA COSTRUZIONE DELLA MEMORIA
Dai Monumenti ai musei
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tradizione militare o eventi militari. Alla Germania venne vietata fino al 1952 la
costruzione di monumenti ai caduti. In Gran Bretagna venne creato il National Land
Found, che dopo aver acquisito grandi residenze di campagna e le aree naturali che le
circondavano, le rese accessibili a tutti i cittadini del Regno e le dedicò alla memoria
dei caduti. Il monumento ai caduti cessava così di essere un simbolo astratto confinato
in uno specifico luogo come lo era stato il Cenotafio all’indomani del primo conflitto.
E’ da notare quindi, che ciò che abbiamo precedentemente chiamato “culto dei
caduti”, perse il vigore che lo aveva caratterizzato all’indomani del primo conflitto. La
questione era chiaramente legata a una più generalizzata confusione riguardo a vinti e
vincitori.
Chi si doveva ricordare? I vincitori? I vinti? Le vittime? Nei paesi che avevano
avuto una lotta di resistenza i vincitori furono chiari e vennero commemorati con
lastre, marmi e ceppi, seppur con un sempre più debole vigore ed efficacia.
Bisogna inoltre prendere atto che i memoriali di cui abbiamo parlato,
riferendoci alla Prima Guerra Mondiale, furono monumenti dedicati principalmente a
coloro che nella convenzione comune vengono indicati come eroi: combattenti,
rivoluzionari, condottieri e persino militi ignoti.
Il dramma della Seconda Guerra Mondiale insegnò anche, e soprattutto, a
ricordare gli eroi delle tragedie civili: le vittime, ovvero uomini comuni travolti dalla
banalità del male. Donne, uomini e bambini morti in circostanze “innaturali”.
Non più colonne ai vincitori-dice Gianfranco Maris- non edicole o tempietti o
esendre nei santuari, non archi, non statue, ma documenti eretti, indelebili
dell’ingiuria del tempo
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Maris G, in Ducci T. (a cura di), In memoria della deportazione. Opere di architetti italiani.,
Milano, Mazzotta, 1997.