Introduzione
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INTRODUZIONE
Secondo Nicolas Bourriaud l’opera d’arte è un interstizio sociale,
ovvero uno spazio di relazioni umane che suggerisce possibilità di
scambio differenti da quelle che sono in vigore nel sistema in cui viviamo.
L’arte contemporanea crea degli spazi liberi, i cui ritmi si oppongono a
quelli che regolano la vita quotidiana, favorendo un contatto interumano
diverso dalle “zone di comunicazione” che ci sono imposte.
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Questi luoghi
- i musei, i centri d’arte, le gallerie - sono espressione della catena di
relazioni che la stessa arte, oggi, propone. I musei sono territorio di
scambio tra le diverse forme d’arte, tra la stessa arte ed il suo pubblico,
ma soprattutto tra le persone, chiunque esse siano.
In queste pagine ho tentato un analisi del ruolo sociale ed
educativo dell’arte e dei luoghi in cui essa viene ospitata, divenuti oggi
spazi relazionali: forum, piazze, luoghi destinati al divertimento e
all’educazione, istituzioni, centri politici e simboli di democrazia,
protagonisti della riqualificazione urbana ed immagini della nuova Europa.
Il fenomeno europeo e mondiale di “democratizzazione culturale”
non ha pressoché raggiunto il nostro paese: salvo rare eccezioni, l’arte
contemporanea non sa richiamare folle oceaniche e non ha spazi
adeguati dove essere ospitata. In Italia non esiste niente di lontanamente
paragonabile al Beaubourg o al Palais de Tokyo e nulla che faccia parlare
di “effetto Bilbao”. Anche i musei e le collezioni storiche non hanno
saputo reinventarsi nell’ottica del divertimento e del centro relazionale: gli
Uffizi non sono il Louvre, per tante, tantissime ragioni. Probabilmente al
nostro paese mancano dei valori e degli atteggiamenti che all’estero, al
contrario, sono presenti da decenni. Mancando questo tipo di sensibilità,
non si da spazio nemmeno alle più basiche funzioni educative del museo.
1
Bourriaud N., Esthétique relationelle, Les Presses du réel, Parigi, 2001, p.13
Introduzione
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Le sezioni didattiche di qualità nei nostri musei sono ancora pochissime e
non c’è una minima attenzione al reale concetto di accessibilità. Per
questo ho voluto concentrare le mie attenzioni su quei paesi che hanno
sviluppato questa sensibilità per poterla poi confrontare con la realtà
Italiana.
In questi anni ho avuto modo di imparare e sperimentare la
didattica dell’arte per il giovane pubblico, capendo quanto essa possa
divenire un importante strumento autobiografico, quanto possa aprire gli
occhi e sviluppare il senso critico. Ho imparato quanto l’arte sia molto di
più di un oggetto fatto di materiali anomali e discorsi apparentemente
incomprensibili.
Per il giovane pubblico, l’arte, può essere un importante mezzo
attraverso cui conoscere il mondo e sé stessi, ma se, come dice il detto
“non si smette mai d’imparare”, perché essa non può divenire uno
strumento prezioso per tutti, anche per i più grandi?
Ritengo che l’educazione attraverso l’arte debba raggiungere
anche coloro che di contemporaneo non hanno mai sentito parlare, vuoi
perché per regola, la sua comprensione non è immediata, vuoi perché in
molti, anche inconsciamente sono esclusi dalla società e dai suoi
vantaggi, persino da quelli culturali. L’educazione all’arte è un’ottima
occasione per introdurre al sapere e alla cultura chiunque abbia un
minimo di curiosità.
Mi sono chiesta come tutto questo poteva essere reso possibile,
ovvero in che modo l’arte contemporanea potesse divenire più
comprensibile ed accessibile. Ho cercato innanzitutto di capire chi sono i
visitatori e i non-visitatori di un museo, tentando di definire il pubblico
adulto
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e le sue modalità di apprendimento. In secondo luogo mi sono
concentrata sui ruoli che si devono occupare di questa specifica
2
Per pubblico adulto intendo tutti i visitatori e non-visitatori dei Centri d’arte a partire dai sedici
anni, ovvero coloro che sono in grado di visitare autonomamente i musei.
Introduzione
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educazione e sugli strumenti a loro disposizione, sottolineando
l’importanza della narrazione, della parola, la chiarezza della scrittura e la
qualità dei dispositivi didattici. Gli allestimenti e l’ideazione delle
esposizioni dovrebbero poi avere un ruolo centrale nel favorire questo
tipo di atteggiamento: l’incomprensione, data dalla successione di oggetti
sconosciuti e ambigui, potrebbe essere superata dalle scelte espositive e
narrative dello stesso curatore.
L’aspetto relazionale ed educativo dei centri d’arte si sposa
perfettamente con il concetto europeo di lifelong learning. I musei sono
secondo numerosi studi e trattati, sedi privilegiate dell’apprendimento
informale, in grado di dotare i visitatori di empowerment, favorire
l’inclusione sociale e la democrazia partecipativa dei cittadini.
I tre grandi capitoli che formano questa tesi ruotano intorno al
concetto di accessibilità, di emancipazione culturale (e quindi sociale),
attraverso l’arte e i luoghi in cui essa viene ospitata.
Il centro d’arte che ho in mente è un luogo aperto a tutte le forme e
agli aspetti della contemporaneità, non solo nelle sue emanazioni
artistiche e culturali, ma anche nelle sue emergenze sociali. Un luogo
dove il passaggio, favorito dall’invito, dalla accessibilità e dalla
trasparenza, diventi occasione per imparare. Uno spazio dove ci si
diverte e si trascorre il tempo, si interagisce e si partecipa, si conosce e si
scambiano opinioni. Un luogo dove l’arte non si spiega, ma si racconta e
dove esiste la possibilità di scegliere come e cosa imparare. Un centro
che sia un luogo dell’emergenza, dove le cose nascono ed accadono.
Uno spazio della mediazione, ma soprattutto dell’attrazione.
Parte prima: i centri d’arte contemporanea
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PRIMA PARTE: I CENTRI DI ARTE CONTEMPORANEA
Piccola storia del museo che educa dall’illuminismo ad oggi
Per comprendere la natura dei recenti sviluppi dell’idea di museo,
bisogna innanzitutto intendere quali fossero i suoi obiettivi all’ origine.
La paternità del museo viene attribuita al Regno Unito che nel 1759
dà la luce al British Museum. Nei primi cinquanta anni il British non è altro
che una collezione semipubblica di libri e manoscritti aperta alla
consultazione. Dunque qualcosa più vicino ad una biblioteca che ad una
galleria d’opere d’arte. Per convenzione, quindi, si attribuisce la paternità
del museo moderno ai francesi. Contrariamente a quel che si pensa,
l’idea di trasformare il Louvre in una collezione pubblica non nacque dalla
Rivoluzione Francese. Il progetto risale agli anni in cui l’Ancienne Regime
era, sì, in declino, ma ancora operativo. Il miracolo, però, fu fatto a soli 9
giorni dalla caduta della monarchia. Con un repentino decreto i progetti
divennero realtà e il Palazzo Reale fu aperto al pubblico. I natali del
museo sono quindi strettamente legati alla nascita del concetto di
visitatore. Il nuovo museo sarebbe stato aperto ai molti e non soltanto ai
pochi (aristocratici e gentiluomini), in modo che tutti i cittadini p otessero
condividere la proprietà, fino ad allora privata e inaccessibile, del
patrimonio culturale.
Il fine era quello di educare le masse attraverso l’arte. Le tavole
esposte dovevano sensibilizzare i cittadini e trasmettere loro gli obiettivi
Parte prima: i centri d’arte contemporanea
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rivoluzionari. Se da un lato non si può trascurare ed ignorare la forte
strumentalizzazione politica, dall’altro è da apprezzare l’immediato
riconoscimento dell’arte come mezzo educativo e civilizzatore.
Nel 1802, in piena era Napoleonica, viene nominato direttore del
Museo del Louvre (all’epoca Musée Napoléon) Dominique-Vivant Denon.
Non è certo questa la sede per elencare ad un ad uno i conservatori che
si sono succeduti alla testa del Louvre, m a Denon fu senza ombra di
dubbio un direttore singolare che segnò, non solo la storia del Museo
parigino, ma rivoluzionò l’idea stessa di museo. Diplomatico, cortigiano,
bon vivant, con un passato da pornografo, Denon non era qualificato per
ricevere tale incarico, ma la sua personalità carismatica ed il suo
entusiasmo lo portarono a raggiungere risultati fino ad allora impensabili.
A lui dobbiamo anche il saccheggio dei patrimoni europei e internazionali,
giustificato dallo stesso Denon con queste parole: “recuperare le opere di
genio e custodirle nella terra della Libertà avrà l’effetto di accelerare il
progresso della Ragione e dell’umana felicità”. Il suo merito, però, sta
nell’avere inventato un metodo espositivo moderno “per ordine,
educazione e classificazione”. Egli stesso definisce il suo modus operandi
“un vero e proprio corso di Storia dell’arte pittorica”. Denon aveva quindi
ideato un allestimento fondato esclusivamente sulla cronologia, sul
percorso artistico e le scuole nazionali. Per la prima volta, finalità
pedagogiche e una metodologia desunta dalla storia dell’arte svolgevano
un ruolo centrale nell’esposizione di opere d’arte. Inoltre Denon riuscì a
dare un nuovo orientamento al concetto di museo, sostituendo al
predominio dell’ideologia politica la documentazione storico-artistica.
Parte prima: i centri d’arte contemporanea
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H. Robert, Projet d'aménegement de la Grand Galerie du Louvre, 1796
Per tutto il XIX secolo, epoca coloniale, i musei si misero al servizio
dell’imperialismo. Strumentalizzati dall’ideologia politica, servirono a
giustificare (primo fra tutti il British Museum ) una genealogia che vedeva
negli attuali Regni i successori dei grandi imperi del passato.
Le fotografie del British Museum in epoca ottocentesca mostrano
sale buie, caotiche e ingombre di oggetti. L’impressione è che non ci si
sforzasse in alcun modo di mediare il rapporto tra i visitatori e le opere
d’arte. Q uasi si desse per scontato che chi entrava a museo sapeva
quello che cercava: “il curatore si limitava a vedere nel visitatore un altro
sé stesso
3
”. Le cose cambiano nettamente nel 1928 quando tre
archeologi classici – Bernard Ashmole, John Beazley e Donald Robertson
–presentano un documento sul riallestimento delle sculture e
capovolgono l’intero assetto museale britannico. Cinque anni più tardi
John Russel Pope, mette in pratica il documento, costruendo la Duveen
3
K. Shubert, Museo storia di un idea: Dalla Rivoluzione francese ad oggi,trad. it. di M. Gregorio
Il saggiatore, 2004, p.30
Parte prima: i centri d’arte contemporanea
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Gallery e rivalutando i “reperti” come opere d’arte. Il nuovo orientamento
trasforma a poco a poco i musei, rendendoli non più spazio dedicato
unicamente ai ricercatori, ma luoghi in cui si privilegia l’esperienza
estetica e conoscitiva .
Un altro protagonista di questa storia è Wilhelm Bode, che nel 1880
viene chiamato a dirigere la sezione pittura e scultura dei Musei Prussiani
di Berlino. Alla svolta del secolo Bode era riconosciuto come il massimo
esperto museale e storico dell’arte del suo tempo. Uno dei suoi progetti
più cari fu il Kaiser Friedrich-Museum dove diede vita ad un’innovativa
tecnica espositiva. Gli oggetti in mostra non erano più suddivisi per
categorie -dipinti con dipinti, sculture con sculture ecc.- bensì raggruppati
in riferimento al contesto storico. La cronologia resta, ma l’esposizione
viene senza dubbio resa più dinamica.
Il Kaiser Friedrich-Museum riscosse un grande successo e la sua
metodologia espositiva venne imitata in tutta Europa. “Bode aveva
dimostrato che era possibile superare l’impostazione tassonomica
ottocentesca creando esposizioni significative e scientificamente
fondate”.
4
I musei tedeschi non sfuggono alla propaganda Nazista e nel ’33,
durante un convegno presso Magonza, i lavoratori museali del Reich
proclamano che “anche i musei devono contribuire alla grande missione,
concorrendo per quanto è in loro potere a trasformare la massa amorfa
della popolazione in nazione
5
”.
Ancora una volta il museo viene strumentalizzato e diventa
l’istituzione idonea all’educazione delle masse e simbolo della gloria
nazionale. Nel bene e nel male.
4
Ivi, p.37
5
F.T. Shulz, “Die Notwendigkeit der Umgestaltung unserer Museen“ (la necessità di riallestire i
nostri musei), in Museumskunde Journal, 1933
Parte prima: i centri d’arte contemporanea
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Negli Stati Uniti invece, i primi grandi musei ebbero il carattere di
un’istituzione civile molto più che nazionalista, con un netto orientamento
didattico. E non è un caso che è qui che sorge il primo museo di arte
contemporanea: il Museum of Modern Art di New York, nato per caso da
una conversazione di Lille P.Bliss, Abby Aldrich Rockefeller e Mary
Sullivan .
Queste discussioni segnarono la nascita di un concetto nuovo e
totalmente americano. I musei statunitensi non si erano mai distaccati
dall’esempio europeo. Un museo c he si dedicasse totalmente alla
modernità era qualcosa di assolutamente innovativo ed originale e
permetteva una totale libertà di invenzione, non essendoci precedenti a
cui ispirarsi.
La sede del primo museo di arte moderna della storia fu ospitata
all’interno di un ufficio: una scelta decisamente al passo coi tempi.
Citando le parole di Alfred H. Barr, primo direttore del MoMa il museo è:”
un laboratorio, ai cui esperimenti il pubblico è invitato a partecipare”.
Il MoMa non si limitò alla pittura e alla scultura, ma accolse
fotografia, architettura, design e film, ossia l’intera gamma della cultura
visiva contemporanea. Il museo stesso fu sede di dibattiti culturali, quindi,
non fu solo spettatore, ma attore e figura attiva nel campo artistico. Il
museo d iventava così non più un luogo atto solo a conservare ed
esporre, ma si impegnava ad essere centro polifunzionale e spazio delle
relazioni, in cui si ospitava e si discuteva la creatività.
Nel 1969 aprì una sezione didattica sotto la direzione di Victor
d’Amico. Per Barr la funzione educativa non era marginale, bensì
essenziale, proprio per quel concetto di laboratorio che stava alla base
ideologica del museo. Egli stesso si impegnò a ricercare metodologie
didattiche trasformandosi in quello che definirei u n curatore-educatore.
Barr si occupava di ogni particolare e non trascurava mai la funzione
Parte prima: i centri d’arte contemporanea
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pedagogica ed interattiva delle esposizioni. Le didascalie alle pareti non
furono più considerate d elle insignificanti minuzie, ma presentavano
sempre delle concise note esplicative. Le mostre erano accompagnate da
programmi densi di conferenze e visite guidate. Accanto alla produzione
delle esposizioni si pubblicavano spesso cataloghi per i quali lo stesso
Barr firmava i testi che lo resero celebre: il suo stile era disinvolto ma allo
stesso tempo ricco di informazioni. La maggior parte dei cataloghi era
illustrato (la qual cosa non era scontata) e Barr in persona controllava la
grafica e l’impaginazione delle pubblicazioni. I cataloghi erano la vetrina
ideologica del museo e contribuirono al riconoscimento del MoMa da
parte della critica, degli artisti e dei visitatori. Il tutto veniva gestito come
una vera e propria azienda, con tanto di attenzione all’immagine e ufficio
stampa. In un mondo in cui il concetto di marketing è all’ordine del giorno,
deve però stupire come più di settanta anni fa questo metodo venne
applicato a quella che era considerata un’ istituzione vecchia e polverosa.
Probabilmente fu merito dell’energia dell’arte moderna, che obbligava alla
rivoluzione e al cambiamento. Arte che in quegli anni era portatrice di
idee radicali e anarchiche. I musei che pretendevano dialogare con
questa arte si dovevano adattare al suo dinamismo.
Il MoMa di New York nella sua evoluzione storica.
Facendo un salto decennale e tornando al vecchio continente
troviamo quello che è l’attuale modello di museo: il Centre Pompidou di
Parte prima: i centri d’arte contemporanea
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Parigi. Senza togliere agli altri, il museo parigino è forse quello che ha
davvero rivoluzionato ogni canone, ogni norma alla base dell’istituzione.
La sua nascita ha obbligato al cambiamento, al dibattito, alla crescita di
una nuova idea di museo. Il Centre Pompidou, che in questa tesi tornerà
a più riprese, è diventato il simbolo della museologia postmoderna.
Alle soglie del nuovo millennio la questione centrale sembra essere
quella dell’accessibilità del museo. A partire dagli anni ’70 si creano
complessi interdisciplinari, democratici e sperimentali, flessibili ed
adattabili. Il pubblico è il nuovo protagonista.