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PREMESSA
Negli ultimi tempi, mi sono spesso imbattuto nella lettura di articoli di gior-
nali o riviste e ad ascoltare discussioni specializzate nelle quali si parlava di
una fantomatica “intelligenza emotiva” (IE) come panacea della maggior
parte della soluzione di problematiche organizzative e aziendali nonché in-
terpersonali e relative alla persona. Esempi sono alcuni articoli apparsi su
quotidiani nazionali:
“Oggi, quando si parte, non si vuole solo staccare la spina, ma si sce-
glie la meta in base a un’intelligenza emotiva e non più analitica, che spin-
ge a cercare paesaggi intatti, cibo genuino, accoglienza familiare. Tutti e-
lementi che, secondo un’indagine Eurisko (2006-07), si ritrovano proprio
in Trentino, con circuiti tra i più belli dell’arco alpino, masi di charme, sa-
pori mai perduti.” (da il Corriere della sera del 1 giugno 2007, sezione
Viaggi);
“La dimensione emotiva gioca un ruolo fondamentale nell' ottenere le
migliori prestazioni, non solo nella vita personale e sociale, ma anche in
azienda. Riuscire a sviluppare e controllare il proprio potenziale di intelli-
genza emotiva può consentire di sviluppare le proprie capacità canalizzan-
do in modo positivo elevati livelli di energia che potrebbero invece essere
dispersi in lotte interne, conflitti e ostilità tra persone o funzioni.” (fonte:
Corriere della Sera, 31/05/2002, inserto Corriere Lavoro);
“I sistemi per misurare l'intelligenza non sono tuttavia universalmente
riconosciuti. Si tratta di questionari che cercano di valutare diversi tipi di
fattori che concorrono a determinare le abilità cognitive dell'individuo,
l'intelligenza (la cui definizione è a sua volta dibattuta), dalla capacità di
risolvere problemi alla comprensione di testi scritti, alla fluenza verbale o
al pensiero tridimensionale. Fra le obiezioni più frequenti quella che l'intel-
ligenza non è riconducibile a dei numeri (lo sosteneva per esempio il famo-
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so biologo evoluzionista Stephen Jay Gould) o quella che alcune persone
potrebbero avere una straordinaria intelligenza emotiva e allo stesso tempo
potrebbero non essere in grado di capire le differenze tra figure geometri-
che presentate in sequenza (come quelle usate negli Iq test). Inoltre i que-
stionari falliscono nel caso esaminino analfabeti: questi soggetti, per quan-
to intelligenti siano, ottengono punteggi bassissimi.” (fonte: Il Sole 24 Ore
del 6 aprile 2006);
“Una vita senza emozioni non è più tale. Anche se pensiamo che le
emozioni siano una componente negativa della nostra esistenza, l’antitesi
della razionalità, esse hanno invece una funzione decisiva per sopravvivere
nel presente e vivere bene nel futuro. Quindi “non vanno represse, ma van-
no educate verso un controllo di quelle negative e il rafforzamento di quelle
positive, e lo sviluppo della intelligenza emotiva deve diventare una priorità
nel processo educativo dei nostri figli” (G.Perna, specialista in psichiatra,
responsabile del centro per i disturbi d’ansia dell’ospedale San Raffaele di
Milano, docente della facoltà di Medicina e Chirurgia della stessa struttura
e fresco direttore associato dell’International Master in Affective Neuro-
science dell’Università di Maastricht, in “Le emozioni della mente, biologia
del cervello emotivo”, citato in www.tgcom.it in un articolo del 06 agosto
2004).
Anche E. Berlinguer in un suo intervento al “Forum PA (Pubblica
Amministrazione)” interviene sul tema della nuova Pubblica amministra-
zione “La “infrastruttura” primaria nella costruzione della nuova PA è
dunque nella cultura e in particolare in quella scientifica secondo Berlin-
guer e il salto di qualità di questo processo va collegato: “alla sintesi tra
fare e sapere, tra intelligenza emotiva e intelligenza razionale che si fissa
nell'obiettivo del risultato”. Se si considera che uno dei temi forti della
Nuova PA è quello della misurabilità dei servizi, dei risultati e degli inve-
stimenti si deve concludere che la visione culturale proposta da Berlinguer
appare come la premessa affinché possa crescere una generazione di risor-
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se umane della pubblica amministrazione capaci di creare prima ancora
che di eseguire.” (fonte: 01net in un articolo del 23 maggio 2007 di Mauro
Bellini).
Ulteriore citazione riguarda un tema trattato all’educatorio del Fuligno
di Firenze durante un convegno per riflettere sul percorso educativo della
scuola dell'infanzia: “Gli interventi presentati oggi, che ripercorrono alcuni
di questi importanti temi, sono promossi da esperti al fine di approfondire
argomenti di grande rilievo: "ad esempio - ha spiegato l'assessore Lastri -
sull'intelligenza emotiva, della quale si può dire che c'è un pregiudizio che
pesa sulle emozioni nella nostra cultura razionalistica ed efficientistica: le
emozioni sarebbero soltanto un fattore di disturbo dei processi di educa-
zione, comunicazione, apprendimento, valutazione mentre sono una grande
risorsa e una grande ricchezza di conoscenza. L'intelligenza emotiva può
migliorare il benessere degli individui e dei gruppi, inoltre può ottimizzare
i processi di acquisizione e di scambio delle informazioni" (dal sito internet
www.intoscana.it).
Facendo alcune domande in giro tra amici e colleghi però, mi sono ac-
corto che non tutti avevano la cognizione del reale significato di Intelligen-
za Emotiva: anche Grewal e Salovey (2006) hanno denunciato il pericolo
che con il diffondersi del concetto, esso possa perdere la sua originaria de-
finizione, diventando invece “quasi tutto ciò che risulta desiderabile nel
complesso di una personalità e che non può essere misurato da un test del
QI, come la capacità di ispirare fiducia, la stabilità mentale, l’ottimismo e il
saperci fare con la gente”.
Non è certo l’imprecisione relativa alla definizione dell’oggetto e am-
bito dell’Intelligenza Emotiva dell’uomo della strada che ne determina un
limite o un ostacolo nella sua divulgazione, tutt’altro. Non è difficile infatti
imbatterci in situazioni nelle quali l’Intelligenza Emotiva è applicata in mo-
do esemplare, senza magari che i soggetti ne siano consapevoli! Con questo
non voglio dire che con gli studi sull’Intelligenza Emotiva non ci sia niente
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di nuovo: addirittura “oggi è possibile rivolgersi ad un esperto che ci aiuti a
risollevare il nostro quoziente emotivo (EQ)” Grewal e Salovey (2006).
E’ quindi grazie alla popolarità del concetto di Intelligenza Emotiva
insieme al fatto che esso è ancora giovane, che mi sono interessato con fer-
vore all’argomento. Ho letto libri divulgativi sull’argomento, come “Lavo-
rare con intelligenza emotiva” (1998) e “Essere leader” (2002) entrambi di
Goleman; inoltre nell’azienda in cui lavoro da ormai quasi dieci anni e nella
quale ricopro da due, in qualità di Quadro direttivo, un ruolo di responsabile
nell’area informatica, spesso mi sono ritrovato a seguire corsi di aggiorna-
mento sul Lavoro in team, la Motivazione dei collaboratori, la Gestione
delle critiche, ecc. nei quali, senza che espressamente fosse dichiarato, ve-
nivano fatti continuamente dei riferimenti a quelle dimensioni che sono stati
rintracciati da Goleman come facenti parte delle dimensioni e delle compe-
tenze che si riscontrano come oggetti di interesse dell’Intelligenza Emotiva
(Goleman, 1998).
Da questo interesse è nata un’idea per una tesi che prendesse spunto
dalle ultime teorie di Goleman sull’Intelligenza Emotiva per approfondire
l’argomento e trovare un’indicazione per una teoria di riferimento che veri-
ficasse la presenza di quanta capacità in una azienda giovane e dinamica
come quella in cui lavoro e che ho preso come case study.
Come vedremo, l’elaborato si suddivide in quattro capitoli.
Nel I Capitolo cercheremo di parlare in generale sull’argomento Intel-
ligenza Emotiva: partiremo dalla definizione dei concetti di intelligenza ed
emozione per arrivare a un breve cenno storico passando per l’illustrazione
dei test più famosi per misurarla. Ci soffermeremo poi sulle dimensioni e
competenze che Goleman indica implicate nella determinazione e forma-
zione di una “prestazione eccellente” (Goleman, 1998).
Nel II Capitolo presenteremo il metodo (partecipanti, strumenti, pro-
cedura e tecniche di analisi dei dati) che abbiamo seguito nella ricerca.
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Nel III Capitolo descriveremo i risultati della ricerca e infine nel IV
Capitolo discuteremo degli esiti della ricerca e cercheremo di trarre alcune
conclusioni che ci permettano di rispondere alle domande che ci siamo posti
come obiettivo del presente lavoro: quanto di “emozionale” è presente in
una azienda altamente competitiva?
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1. INTRODUZIONE
1.1 Breve storia e principali Modelli dell’Intelligenza Emo-
tiva
Limitandoci alla trattazione degli studi psicologici del XX e XXI secolo re-
lativi all’intelligenza e alle emozioni e i loro correlati, ci troveremo a per-
correre una strada che sembra divergere e convergere nel corso del suo
cammino. Troviamo che nei primi 60-70 anni si parla di Intelligenza ed
Emozioni come due argomenti relativamente separati per poi passare al
ventennio successivo nel quale il Pensiero e le Emozioni sembrano essere in
un rapporto di reciproca influenza. Arriviamo poi agli inizi degli anno ’90
nei quali emergono le prime teorizzazioni che trattano di un nuovo costrutto
che prende le mosse da Pensiero ed Emozione per presentare un concetto
che vede nascere una nuova idea che influenzerà gli studi e le teorie degli
anni successive sull’argomento. Nel periodo che va dalla seconda metà de-
gli anni ’90 ad oggi assistiamo alla divulgazione di questi ultimi concetti e
alla produzione di strumenti che ne misurino l’entità e limiti significativi.
Ma andiamo con ordine, ripercorrendo la strada dagli inizi del vente-
simo secolo fino ai giorni nostri.
Dal 1900 fino al 1970 circa gli studi sull’Intelligenza erano uno sviluppo
dei concetti di intelligenza che si basavano su quella parte della mente u-
mana che tratta la “cognizione” (o pensiero): memoria, ragionamento, giu-
dizio, pensiero astratto e già Tommaso d’Aquino (Walsh e Belz, 2000) ri-
conosceva nell’intelligenza quella facoltà che sovrintende al loro buon fun-
zionamento. In questo periodo se ne ricercavano le origini biologiche e fi-
siologiche e si iniziavano a studiare i primi test. Delle Emozioni invece si
trattava sul come e quando esse venivano percepite dall’individuo, e se esse
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fossero l’origine o la conseguenza del sistema nervoso simpatico; inoltre si
cercava di capire se esse avessero un significato universalmente riconosciu-
to o se fossero specifiche per culture e apprendimento.
Dal ’70 al ’90 si iniziavano ad intravedere quegli studi che sarebbero
poi risultati in un certo senso anticipatori delle vere e proprie idee rivolu-
zionarie degli anni successivi. Si iniziava a parlare di cognizione ed emo-
zione e di come quest’ultima non dovesse essere considerata come mera e-
spressione, bensì come attitudine, qualcosa che caratterizzava l’esistenza
dell’individuo in ogni momento, e come esse ci accompagnino in ogni no-
stra azione inducendoci a interpretarle ed elaborarle continuamente (Mayer,
Salovey e Caruso, 2000). Gli studi su cognizione ed emozione cercavano di
rintracciare le regole per definire cosa le emozioni significassero e da dove
nascessero (Mayer e Salovey, 1997): quindi esse non erano più qualcosa di
“irrazionale” da regolare e controllare, ma qualcosa che è sempre presente
nelle esperienze di vita. Anche Cantor et Al. (Epstein, 1984) nei loro studi
evidenziavano come i compiti della vita fossero caricati di informazioni af-
fettive, di come queste informazioni dovessero essere elaborate (forse in
maniera differente rispetto le informazioni cognitive) e di come gli indivi-
dui avessero modalità differenti nel farlo. In questo periodo però andava
ancora fatto il passo fondamentale, ovvero quello di una definizione esplici-
ta di Intelligenza Emotiva dopo aver raggruppato e analizzato nel suo in-
sieme tutte le ricerche effettuate che portavano alla luce una capacità
dell’individuo fino a quel momento trascurata.
Arriviamo infine agli anni ’90, tappa fondamentale sulla scena degli
studi sulle intelligenze quando per la prima volta si parlava in termini speci-
fici (dandone una sorta di definizione) di Intelligenza Emotiva. Per primi
furono Salovey e Mayer in un loro articolo del 1990 a definire in concetti di
Intelligenza Emotiva; fu la chiave di volta, insieme al lavori di divulgazione
di Goleman degli anni a seguire, per una presa di coscienza in molti ambiti
(scientifico, evolutivo, formativo, ecc.) del fatto che l’intelligenza nelle sue
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varie forme e definizioni, non è un “dono” né un “problema” bensì un og-
getto di percorsi di miglioramento e adeguamento. Furono prodotti e vendu-
ti test sulla misurazione dell’Intelligenza Emotiva, create associazioni e cir-
coli culturali legati alla divulgazione dell’Intelligenza Emotiva, e in genera-
le si assistette al “cavalcare l’onda” del successo partito con la divulgazione
di Goleman.
Faremo adesso un breve cenno alle Teorie e ai Modelli più importanti e dif-
fuse relativamente alle “intelligenze”, passando però da una descrizione
delle due componenti l’Intelligenza Emotiva.
1.1.1 Intelligenza vs Emozioni
Da internet, nel sito dell’Enciclopedia Libera (www.wikipedia.it) leggiamo:
Intelligenza: è l'insieme innato di funzioni conoscitive, adattative e imma-
ginative, generate dall'attività cerebrale dell'uomo e di alcuni animali. È
anche definibile come la capacità di ragionare, apprendere, risolvere pro-
blemi, comprendere le idee e il linguaggio. Sebbene molti considerino il
concetto di intelligenza in un ambito più ampio, molte scuole di psicologia
considerano l'intelligenza come distinta da tratti della personalità come il
carattere, la creatività o la saggezza.
Se volessimo trattare la questione dell’intelligenza in ambito evoluzionisti-
co, la potremmo considerare come un mezzo che contribuisce a migliorare
l’adattamento all’ambiente e quindi in estrema sintesi la capacità di risolve-
re problemi nuovi o vecchi, quest’ultimi in modo da essere affrontati in ma-
niera diversa e più vantaggiosa rispetto alle passate soluzioni.
Per quanto concerne nello specifico l’essere umano, l’intelligenza è
anche implicata, secondo le definizioni più classiche, con le capacità logi-
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co-razionali. Il riduttivismo di quest'ottica però è incapace di cogliere la po-
liedricità insita nel concetto stesso di intelligenza. Per questo motivo riscon-
triamo nella storia ma in particolare in questi ultimi secoli, le molte ricerche
di studiosi che si sono mossi nel rintracciare le origini e la natura di diverse
intelligenze: già il lirico greco Archiloco distingueva con una elegante me-
tafora due tipi di intelligenza: quella del riccio (concetto rigido di intelli-
genza di natura innata e misurabile) e quella della volpe (che implica un
concetto di variabilità di intelligenze, ognuna applicabile a ambiti specifici).
Seguiranno le intelligenze multiple di Gardner per arrivare ai più recenti
enunciati di Salovey e Mayer.
Fatto importante e fondamentale che giustifica anche in parte le sud-
dette ricerche è il fatto che è necessario ricercare un requisito che indichi
che effettivamente vengono utilizzate le facoltà intelligenti: non è con la
semplice applicazioni di regole o algoritmi, ancorché complessi, ai proble-
mi da risolvere che si può parlare di attività intelligente. In questo caso en-
treremmo nell’ambito di studio dell’intelligenza artificiale, che si propone
infatti di emulare le operazioni del nostro cervello mediante applicazione di
regole e procedure date delle informazioni in input necessarie per raggiun-
gere un determinato output: essendo questa una procedura predefinita, non
si può parlare di intelligenza in quanto non ci attendiamo niente di diverso
che non il risultato finale delle operazioni. Proprio da questo aspetto si pos-
sono rintracciare le differenze (o se vogliamo le caratteristiche determinan-
ti) con l’intelligenza umana: andare fuori dalle regole imposte dagli script
degli algoritmi già predisposti. Potremmo, con un paragone forse un po’
forte, considerare l’intelligenza umana come una sorta di percorso evolu-
zionistico darwiniano: grazie ad “anomalie” dei processi che porterebbero
alla soluzione attesa (intelligenza artificiale), ovvero a “salti logici” del pro-
cesso, potremmo giungere a risultati inattesi rispetto agli input a disposizio-
ne e alle regole iniziali (intelligenza umana): le anomalie, o “intuizioni”,
rappresenterebbero quelle caratteristiche specifiche dell’intelligenza umana.