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INTRODUZIONE
Il rapporto tra fratelli è una componente centrale nella vita dell‟individuo, è il
legame affettivo che dura più a lungo, si iscrive in una relazione che è per sua
natura paritaria e affonda le sue radici nella condivisione di uno stesso
patrimonio genetico, familiare e culturale. Anche in presenza di un fratello
disabile tale relazione è di grande importanza e influenza lo sviluppo di
entrambi. Solo recentemente gli studiosi hanno scoperto l‟apporto che la
relazione coi propri fratelli e sorelle esercita sullo sviluppo del bambino. Le
prime ricerche sulla relazione fraterna di cui un soggetto è portatore di
handicap sono ancora più recenti e risalgono agli anni ‟80.
Scopo di questo lavoro è quello di approfondire il tema della relazione
fraterna, argomento ancora poco trattato (di solito quando si parla della
relazioni familiari si parla del rapporto tra bambino e madre) e su cui troviamo
in letteratura dati spesso contraddittori, e delle eventuali differenze esistenti tra
la relazione con un fratello normodotato e quella con un fratello disabile.
Nel primo capitolo si affronta il tema della relazione fraterna in generale, si
affronta poi il tema dell‟handicap e infine si parla della relazione fraterna in
presenza di disabilità in uno dei componenti della diade, vengono descritti poi
gli strumenti disponibili per misurare la qualità della relazione fraterna, e infine
si illustrano le finalità della presente indagine esplorativa.
Nel secondo capitolo si parla invece del materiale e del metodo utilizzati
nell‟indagine svolta: si illustra come è composto il campione (bambini tra i 6 e
i 12 anni con fratelli disabili e normodotati), si descrivono poi le caratteristiche
dello strumento usato, cioè del Sibling Relationship Inventory di Stocker e
McHale (1992) che analizza la percezione che i soggetti hanno della relazione
fraterna su tre dimensioni: Affetto, Conflitto e Rivalità; si descrive poi la
procedura di somministrazione e il tipo di analisi statistica condotta sui dati
così raccolti.
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Nel terzo capitolo si fa un‟analisi descrittiva del campione e si illustrano i
risultati del presente lavoro.
Nel quarto capitolo verranno confrontati i risultati dell‟indagine esplorativa coi
dati presenti nella letteratura nazionale e internazionale.
Nel quinto capitolo si ha la conclusione del lavoro svolto.
PAROLE CHIAVE: relazione fraterna, disabilità, psicopatologia delle
funzioni cognitive, sindrome di Down, autismo, Sibling Relationship
inventory, affetto, conflitto, rivalità.
KEY WORDS: sibling relationship, disabilities, psicopatology of cognitive
function, Down sindrom, Autism, Sibling Relationship Inventory, affect,
conflict, rivality.
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CAPITOLO I:
FRATELLI E DISABILITÀ
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1. La relazione fraterna
Il legame fraterno si colloca in una relazione paritaria che ha origine nella
condivisione dello stesso patrimonio genetico, familiare e culturale. Essa è una
relazione irreversibile e incancellabile: sebbene si trasformi con gli anni, non si
può eliminarla del tutto dalla vita delle persone coinvolte. I fratelli dovranno
sempre fare i conti con un passato in comune: essere vissuti nella stessa
famiglia, con gli stessi genitori, essere stati gli uni per gli altri “banco di
prova” delle rispettive capacità emotive e cognitive (Capodieci, 2003).
Il tema del rapporto tra fratelli è antico quanto la storia dell‟uomo. Il valore
della relazione fraterna per la crescita dell‟uomo traspare da miti, leggende,
racconti biblici e fiabe: pensiamo per esempio al mito egizio di Osiri, ucciso
dal fratello malvagio Seth; alla storia di Caino ed Abele; di Esaù e Giacobbe;
alla leggenda di Romolo e Remo; alla fiaba di Hansel e Gretel; a quella di
Cenerentola con le sorellastre.
Ad eccezione degli studi svolti da Helen Koch negli anni ‟50, la relazione tra
fratelli è stata ignorata a lungo dagli studiosi che si concentravano quasi
esclusivamente sullo studio del legame tra genitori e figli. I primi studi
scientifici sui fratelli si hanno negli anni ‟60, con un approccio volto
soprattutto ad indagare come la personalità di un soggetto e le sue abilità
sociali e cognitive fossero correlate alle variabili strutturali proprie della
relazione fraterna: l‟ordine di genitura, il genere dei fratelli, l‟estensione del set
fraterno, l‟età dei fratelli e le differenze d‟età. Questi studi seguivano un
orientamento prevalentemente psicoanalitico, in particolare adleriano. La
corrente adleriana sosteneva l‟importanza del ruolo dei fratelli e dell‟ordine di
nascita nello sviluppo dell‟identità personale e ciò portò a concentrare
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l‟attenzione sulla relazione fraterna nell‟infanzia, dato che è proprio in questa
fase della vita, secondo gli psicoanalisti, che si gettano le basi dell‟identità.
Numerosi furono gli studi sugli effetti dell‟ordine di nascita, tutti accomunati
dall‟idea che il figlio maggiore fosse favorito in termini di attenzioni e risorse
familiari rispetto agli altri fratelli.
Negli anni ‟70 molti studiosi cominciarono a spostare l‟attenzione dallo
sviluppo dell‟individuo al contesto interpersonale in cui il soggetto agisce. Si
inizia così ad indagare il legame fraterno in una prospettiva relazionale: si
studia non solo come la presenza di un fratello influisca sullo sviluppo
personale, ma anche come la relazione fraterna sia caratterizzata da
ambivalenza, essendo costituita sia da gelosie, conflitti e rivalità, che da
vicinanza, affetto e solidarietà.
Negli anni ‟80 sono importanti i contributi di Bank e Kahn e di Sutton-Smith e
Lamb che mirano a non focalizzare più l‟attenzione sui singoli componenti del
set fraterno, ma a prestare attenzione alla relazione tra i due: al legame,
positivo o negativo che sia, che comunque unisce i fratelli.
Negli anni ‟90 importanti sono gli studi svolti da Buhrmester (1992) e Cicirelli
(1996) sullo sviluppo della relazione fraterna nell‟arco di tutta la vita, gli studi
di Hetherington e Clingempeel (1992) sui contributi delle relazioni fraterne e
delle altre relazioni familiari allo sviluppo dell‟identità personale e sociale e
quelli di Dunn e Plomin (1997) e Anderson, Hetherington, Reiss e Hawe
(1994) sulle cause delle differenze tra fratelli., che pongono in luce anche
l‟importanza dei fattori ambientali “non condivisi” .
La relazione fraterna risulta tutt‟oggi essere però un campo relativamente
inesplorato per i ricercatori, con molte questioni ancora irrisolte, occorre perciò
costruire un corpus coerente di conoscenze sulla relazione fraterna nell‟intero
arco della vita (Valtolina, 2004).
Il rapporto tra fratelli appare come una componente centrale nella vita del
bambino, in grado di influenzarne lo sviluppo della personalità, del sistema
cognitivo e della comprensione sociale, favorendo le abilità di perspective
taking, di negoziazione e di gestione del conflitto.
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Oggi si assiste ad una riduzione della presenza di fratelli nelle famiglie italiane,
a causa del calo della natalità. Tra il 1970 e il 2000 le situazioni di assenza di
fratelli giungono quasi a raddoppiarsi, mentre quelle caratterizzate da almeno
due fratelli si riducono quasi di un terzo. Ciò porta a un aumento dei figli unici
che sono sempre più esposti all‟isolamento sociale e all‟iperprotezione
affettiva. Essi risentono della mancanza di reti di relazioni estese, come quella
fraterna, e ciò li porta a preferire la presenza di figure adulte e a socializzare
meno facilmente con il gruppo dei pari (Valtolina, 2004). Il fatto di essere
figlio unico rende più difficile il processo di separazione-individuazione.
L‟assenza di fratelli sui quali possono riversarsi parte delle attenzioni
genitoriali e l‟eccessivo investimento affettivo che i genitori hanno fatto sul
figlio, possono creare difficoltà per l‟adolescente nel riequilibrare i suoi
investimenti narcisistici ed oggettuali (Marcelli, Braconnier, 1999).
La relazione fraterna è stata indagata soprattutto nell‟ambito delle culture
occidentali industrializzate. Uno studio volto a rilevare la rappresentazione che
bambini provenienti da diversi contesti culturali hanno della suddetta relazione
è stato svolto da De Bernart (2006) analizzando i disegni di bambini italiani e
boliviani. I risultati ci mostrano come le strategie di rappresentazione di ciò
ricorrono similmente nelle due culture in questione e, sia per i bambini italiani,
che per quelli boliviani, un aumento della conflittualità e del disaccordo nella
relazione si accompagnano ad una riduzione dell‟ affinità.
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1.1 . L’arrivo del secondogenito
La nascita di un fratello o di una sorella trasforma il mondo del bambino che,
da quel momento, non si troverà mai più solo con i suoi genitori e avrà per tutta
la vita un fratello/ sorella minore.
Per Winnicot (1964) l‟arrivo di un nuovo nato provoca un turbamento talmente
usuale nel fratello da poter essere definito come normale. Winnicot sottolinea
come l‟avvenimento comporti un prezzo da pagare per il primogenito:
l‟esperienza di provare un sentimento di odio verso qualcuno è basilare per lo
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sviluppo psicoaffettivo del bambino che può trovare difficoltà a esprimere in
modo adeguato la sua ostilità.
La nascita di un bambino comporta per i fratelli numerosi cambiamenti:
innanzitutto reca nuove responsabilità, dovendo i fratelli aiutare il nuovo nato,
comporta però anche nuove opportunità di gioco, maggiori possibilità di
sperimentare tanto i vissuti conflittuali, quanto l‟armonia dei sentimenti.
Il significato che assume una nuova nascita in una famiglia in cui sono già
presenti dei figli è condizionato da molti elementi. Il modo in cui il
primogenito accoglie l‟arrivo del fratello è condizionato dalla differenza di età,
ma in ogni caso in tale occasione qualsiasi figlio può sperimentare, a
prescindere dall‟ordine di genitura, momenti di difficoltà emotiva. (Valtolina,
2004).
L‟idea di un fratellino in arrivo è per il fratello una scoperta particolare, dalla
quale sono però esclusi i bambini con meno di diciotto mesi, che non si
rendono conto di quali cambiamenti l‟evento introdurrà nella loro vita. Ad essi
infatti l‟età non permette di avere accesso a ricordi consci, a causa della
cosiddetta “amnesia infantile” e così hanno l‟impressione di aver sempre
vissuto con il fratello/sorella. Appare indispensabile che i genitori preparino il
primogenito fin dalla gravidanza all‟arrivo di un fratellino o una sorellina
perchè l‟effetto a sorpresa è sempre traumatico. Il primogenito deve essere
rassicurato circa l‟amore dei genitori: meno dubiterà della loro capacità di
amare due figli per volta, meno si sentirà ansioso.(Rufo, 2004).
Nelle famiglie in cui le madri nelle prime settimane dopo la nascita hanno
discusso coi primogeniti di almeno 2 anni i bisogni, i sentimenti, i desideri del
nuovo fratellino è più facile che il primogenito mostri poi un atteggiamento più
amichevole nei suoi confronti. (Bombi, Pinto, 2002)
L‟arrivo di un nuovo fratellino/sorellina obbliga il bambino a pensarsi “grande”
nel momento in cui i genitori gli annunciano l‟arrivo di un nuovo “piccolo”.
Alcuni rifiutano ciò violentemente e possono manifestare la loro sofferenza con
l‟interruzione della crescita. Il bambino può vedere il nuovo nato come un
intruso e la gelosia è un naturale sentimento di reazione a ciò: essa si può
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manifestare con comportamenti regressivi “perché la lotta per la conquista
dell‟amore dei genitori sia equa, bisogna farsi piccoli quanto il piccolo” o
aggressivi. Tra i comportamenti regressivi troviamo per esempio: l‟enuresi
secondaria, il pretendere di attaccarsi al seno, il voler bere dal biberon, il
disimparare il controllo degli sfinteri, l‟avere difficoltà nel prendere sonno
ecc…(Rufo, 2004).
Infatti una risposta frequente dei primogeniti all‟interazione della madre col
fratellino è proprio quella di rispecchiare l‟azione del secondogenito che ha
attirato l‟attenzione della madre. (Dunn, Plomin, 1997)
All‟esterno, soprattutto a scuola, il figlio maggiore si impone di restare grande
ma il suo disagio può emergere attraverso gesti aggressivi che egli mette in atto
nei confronti dei compagni. L‟aggressività talvolta appare anche nei confronti
del fratello minore, specie in forma verbale. Generalmente nel giro di qualche
settimana o di qualche mese l‟aggressività si sublima e i due fratelli si
affrontano pacificamente in gare infinite di competizione (chi salta più in alto,
chi è il più bravo a scuola o nello sport ecc… (Rufo, 2004).
I genitori devono aiutare i figli maggiori a trovare il ruolo adatto nel rapporto
con il nuovo fratellino; i ruoli possono essere: quello di assistente (che per
esempio passa alla mamma i pannolini da cambiare al neonato), quello di
aiutante (che intrattiene per esempio il più piccolo al momento del pasto o del
bagnetto), di maestro (che cerca di intuire le esigenze del fratellino o di
interpretare cosa stia esprimendo), di compagno di giochi. Dal momento che
gli ultimi nati hanno una predisposizione ad adorare i fratelli più grandi, è
necessario che i maggiori scoprano l‟importanza che essi hanno per il
fratellino, ciò gli conferirà un senso di orgoglio e di reciproco e piacevole
scambio di affetto e di attenzioni. (Capodieci, 2003)
Si notano alcune differenze in base al sesso per quel che riguarda i
comportamenti aventi una componente sociale, che sono più frequentemente
messi in atto dalle sorelle maggiori piuttosto che dai fratelli maggiori. Inoltre i
bambini di entrambi i sessi accettano più volentieri un aiuto da una sorella
maggiore piuttosto che da un fratello. (Cicirelli, 1975).
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Si hanno differenze pure in base all‟età in quanto sono per lo più i fratelli
maggiori a manifestare per primi sia gli atteggiamenti agonistici, sia quelli di
tipo socializzante. I minori hanno però un ruolo importante nel mantenimento
dell‟interazione, nella misura in cui rispondono positivamente ad un
comportamento socializzante o si sottomettono ad uno aggressivo. (Capodieci,
2003).
Importante contributo è stato fornito anche dagli studi sull‟attaccamento. Un
attaccamento di tipo sicuro con la madre fa si che i primogeniti reagiscano in
modo meno conflittuale quando la madre dirige la propria attenzione sul
secondogenito e si comportino in modo più positivo con esso. Nei casi in cui
entrambi i bambini abbiano sviluppato un attaccamento sicuro verso la madre
sarà più probabile che si sviluppi una relazione fraterna non antagonistica,
mentre nel caso opposto avverrà il contrario. I fratelli e le sorelle possono non
concordare nel livello di sicurezza dell‟attaccamento, il che conferma
l‟esistenza di differenze nel modo in cui possono sperimentare le cure materne
(Teti, Ablard, 1989).
1.2 . Caratteristiche della relazione fraterna.
Così come l‟interazione con i genitori inserisce il soggetto nell‟ordine culturale
dell‟esistenza, la relazione fraterna lo inserisce nell‟ordine sociale (Capodieci,
2003).
Come affermano Rutter e Rutter (1992), le relazioni più intense tendono ad
avere un carattere esclusivo. Quando tale esclusività è minacciata da altre
relazioni emergono sentimenti di gelosia e rivalità.
Afferma Winnicot: “la gelosia è normale e salutare. La gelosia nasce dal fatto
che i bambini amano. Se non sono capaci d‟amore, non dimostrano nemmeno
gelosia” .
Tale sentimento nasce come paura di perdere l‟oggetto d‟amore. Essa è
caratterizzata dal fatto che il bambino prova dolore perché pensa di aver perso
l‟amore dei genitori; si sente offeso e risentito per essere stato spodestato dal
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fratello ed è più o meno convinto che la responsabilità della perdita dell‟amore
dei genitori sia sua, per qualche suo difetto o manchevolezza e prova perciò
intensi sentimenti di ostilità verso il più fortunato rivale, che desidererebbe
eliminare.
La gelosia ha però anche delle funzioni positive: infatti permette al bambino di
capire che gli interessi materni sono molteplici e diversi dai propri, che egli
non è al centro del suo universo e tutto ciò è molto importante per la conquista
della propria identità e separatezza.
Secondo Winnicot la gelosia compare nel bambino intorno ai 15 mesi, perché il
piccolo a quest‟età è abbastanza maturo per capire che c‟è un rivale nel
rapporto con la madre. Il momento più critico si ha verso i 2-3 anni. La gelosia
può essere presente anche in bambini più grandi e in adolescenti, che hanno
però più strumenti che permettono loro di fronteggiarla in modo mascherato.
Le manifestazioni della gelosia possono essere molto diverse tra loro, anche a
seconda dell‟età e del carattere del bambino e si possono manifestare in vari
modi: con attacchi di rabbia (reazione tipica del bambino più piccolo, che non è
in grado di tollerare, col suo apparato psichico immaturo, una sofferenza
intensa e cerca di liberarsene espellendola all‟esterno), con capricci ed
aggressioni dirette (secondo Freud, se nell‟analisi di pazienti adulti si
presentano sogni della morte dei propri fratelli, si possono collegare agli istinti
omicidi provati durante l‟infanzia per il fratellino/sorellina rivale), con
mutamenti dell‟azione, proiezione, denigrazione, indifferenza ed evitamento
(specie nei bambini più grandi), con rabbia verso gli adulti, aggressività verso
la mamma, o distacco da essa, con sottomissione, o abbarbicamento alla
mamma, richiesta di contatto, regressione (il bambino si identifica con il rivale
e cerca di tornare ai periodi precedenti della sua vita quando godeva dell‟amore
esclusivo della mamma), tristezza, incidenti, somatizzazioni, autosvalutazioni,
apparente maggiore maturità, ansie verso il fratello, paura di mostri ed animali,
diniego, esibizionismo, competizione con i coetanei, difesa dei propri spazi ed
oggetti (Scalisi, 1995).