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INTRODUZIONE
La seguente tesi di ricerca “Psicologia del Benessere e Nuove Tecnologie: la Realtà Virtuale a
supporto dello Stress da Lavoro. Il Caso degli Insegnanti” tratta prevalentemente di come sia
possibile incrementare la gestione dello stress da lavoro, per insegnanti di scuole superiori,
attraverso tecniche di rilassamento basate sul controllo del respiro e tecniche di gestione delle
emozioni per insegnanti di scuole medie secondarie. A motivare questo progetto di intervento
sono state le recenti questioni emerse su quotidiani ed internet le quali segnalavano stime
sempre più allarmanti circa patologie o abbandoni del luogo di lavoro da parte di insegnanti,
dovute a stress. Da uno studio della Fondazione Iard in collaborazione con l'Anp (Associazione
Nazionale Presidi), pubblicati nel maggio 2008, si rileva infatti che il numero di insegnanti
lombardi soggetti a disturbi psichici dovuti allo stress da lavoro sono aumentati del 35%
rispetto al decennio precedente, per un totale di oltre diecimila insegnanti che hanno dovuto
abbandonare il posto di lavoro: il doppio rispetto agli altri dipendenti della pubblica
amministrazione. In seguito a queste circostanze, la Dottoressa Alessandra Grassi, ideatrice del
progetto sopra citato ed io, abbiamo iniziato a riflettere sull‟argomento.
Nel corso di questo percorso di studio è stato possibile apprendere che la psicologia, oltre ad
essere una disciplina che interviene in situazioni di disagio per ripristinare la salute del proprio
paziente, si presta anche come preziosa risorsa di intervento in grado di prevenire lo sviluppo
della patologia. Gli insegnamenti, le numerose ricerche e gli incoraggianti risultati della
psicologia positiva ne danno un‟evidente conferma. Considerate dunque le stime allarmanti sul
tema dello stress da lavoro, un intervento preventivo che fermasse il dilagare del fenomeno e
migliorasse le capacità di gestione dello stress prima che sfociasse in situazioni critiche,
sembrava un buon punto di partenza. Sulla base di questo intento, si è dunque fatto riferimento
alle teorie ed alle metodologie della psicologia del benessere, per dare forma al progetto di
intervento finalizzato alla gestione dello stress da lavoro. La psicologia positiva è infatti il filo
conduttore che accompagnerà l‟intero sviluppo di questa tesi. Il punto cardine della psicologia
positiva trattata ed approfondita all‟interno del primo capitolo, è che la salute psico-fisica di una
persona si costituisce a partire dai punti di forza presenti in ciascun individuo sui quali egli può
fare affidamento. Pertanto diventa indispensabile, al fine della salvaguardia del benessere,
promuovere e sviluppare le risorse in suo possesso. Come sostiene Martin E.P. Seligman, il
fondatore della psicologia positiva, se si identificano tali forze insite negli esseri umani e si
amplifica la loro presenza in situazioni di rischio, allora è possibile produrre un‟efficace
prevenzione (Seligman, 1992). Un metodo efficace per accrescere e rinforzare i punti di forza di
ciascuna persona è ampiamente trattato all‟interno di una delle due prospettive della psicologia
positiva, la prospettiva edonica. La prospettiva edonica (Kahneman, Diener e Schwartz, 1999)
riconosce nelle emozioni positive un prezioso alleato per far leva sui punti di forza di ciascun
individuo ed incrementare le risorse in suo possesso. Come afferma la Fredrickson nella sua
“Broaden-and-Build Theory” (Fredrickson, 2004) ovvero la teoria di “ampliamento e
costruzione”, le emozioni positive sono in grado di allargare in modo momentaneo il repertorio
di azioni e pensieri delle persone consentendo al soggetto di regolare “abbassando” gli effetti
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fisiologici di attivazione delle emozioni negative e permettendo la costruzione e l‟incremento di
risorse personali durevoli (Fredrickson, 1998, 2001).
Per identificare i punti di forza degli insegnanti sui quali far leva e dunque incrementare le loro
risorse attraverso uno specifico training di gestione delle emozioni, si è reso necessario un
approfondimento sul tema dello stress nell‟ambito lavorativo e più precisamente nell‟ambito
scolastico. Conoscendo le dinamiche di sviluppo dello stress e le cause che maggiormente lo
elicitano, è stato possibile costruire un intervento mirato che rispondesse alle caratteristiche ed
alle esigenze specifiche del contesto scolastico. Per questo motivo, nel secondo capitolo, dopo
una descrizione del fenomeno stress secondo l‟accezione di Selye (1979), si approfondisce il
tema dello stress da lavoro delineandone caratteristiche e manifestazioni a livello emotivo,
cognitivo e di personalità. Lo stress infatti è una risposta fortemente soggettiva influenzata dal
modo in cui un soggetto fa fronte a determinate situazioni. Infatti un elemento fondamentale
nella gestione dello stress sono proprio le strategie di coping. Meichenbaum (1977) infatti
sostiene che lo stress dipende dal modo in cui le persone valutano cognitivamente e
percepiscono emotivamente gli eventi stressanti congiuntamente ai modi in cui valutano le
proprie risorse psicologiche e le proprie capacità di far fronte allo stress. Nel caso in cui le
strategie di coping fossero poco funzionali, per esempio orientate principalmente
all‟evitamento, allora la capacità di gestione dello stress diminuisce notevolmente, dando vita,
in situazioni estreme, a conseguenze debilitanti come nel caso del Burn Out. Il Burn Out è un
processo di disadattamento a uno stress individuale eccessivo, legato all‟inadeguata gestione
delle problematiche lavorative. I livelli di stress, non più gestibili dal lavoratore, si ripercuotono
sul rendimento professionale e sulla qualità della prestazione compromettendoli. Solitamente la
sindrome del Burn Out riguarda le Helping Professions, o professioni d‟aiuto, per via di alcune
peculiarità che le contraddistinguono: alto coinvolgimento emotivo, carattere relazionale di
aiuto e alta responsabilità verso le persone affidate. La categoria dell‟insegnante è per
l‟appunto una di queste. Attraverso gli studi di Maslach (1977), però, emerge che è possibile
intervenire in modo preventivo sui fattori che conducono all‟escalation esplosiva dalla
sindrome del Burn out e dunque ristabilire livelli di stress gestibili dal soggetto. Sono numerose
infatti le discipline che studiano tecniche e strategie che possano divenire strumenti idonei a
gestire lo stress in modo efficace. In questo progetto di ricerca tuttavia si è fatto riferimento in
modo particolare a quelle discipline il cui intento fondamentale fosse quello di aumentare la
consapevolezza personale. La consapevolezza infatti riveste un‟enorme importanza nel
contrastare gli effetti disfunzionali dello stress e di tutti quei meccanismi di pensiero che
interferiscono con il benessere della persona. Nel capitolo tre dunque sono state approfondite
quelle che Walsh, (1980; Walsh, Shapiro, 2006) chiama le “discipline della coscienza” tra cui la
pratica Mindfulness (Jon Kabat-Zinn, 1994), il rilassamento muscolare progressivo di Jacobson
(1922), il Training Autogeno di Schultz (1932) e lo Stress Inoculation Training (SIT) di
Meichenbaum (1977). In particolar modo, attraverso la descrizione della pratica mindful (Jon
Kabat-Zinn, 1994) è stato possibile sottolineare quelle caratteristiche, comuni a molte
discipline, che più di altre sono funzionali ad una più efficace gestione dello stress, ovvero
l‟attenzione, l‟intenzione e l‟attitudine. Il binomio attenzione-intenzione infatti è fondamentale
al fine di interrompere i circuiti di pensiero automatici che sostituiscono la percezione e
l‟elaborazione del momento presente con schemi ed aspettative costruiti nel passato.
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Fermando il soggetto nel momento presente, l‟attenzione e l‟intenzione aumentano la
consapevolezza dell‟esperienza momento per momento, consentendo al soggetto di poter
influenzare in modo diretto il funzionamento del proprio corpo, della propria mente, dei propri
pensieri e delle proprie emozioni. La modalità ideale per allenare la capacità di focalizzare
l‟attenzione e di essere consapevoli in modo intenzionale di un determinato processo è la
pratica, l‟esercizio, e lo strumento privilegiato per eccellenza in questo tipo di allenamento è il
respiro. Questa pratica, eseguita con costanza nel tempo, consente di trasformare queste
tecniche in una attitudine. Stati ripetuti di attenzione intenzionale permettono infatti, mutamenti
neuro plastici che trasformano il circuito esecutivo ed integrativo della mente (Siegel, 2007) a
lungo termine, consentendo ad uno stato mentale temporaneo di diventare un tratto involontario
del vivere. In riferimento più specifico alla gestione dello stress il metodo analizzato è stato lo
Stress Inoculation Training di Meichenbaum (1977). Meichenbaum propone un percorso che
faccia leva sulla ristrutturazione delle capacità cognitive per ridurre gli effetti disfunzionali
dello stress. In maniera analoga all‟inoculazione medica si aumenta la resistenza psicologica
allo stress attraverso l‟esposizione sistematica a stimoli stressanti. Sottoponendosi gradualmente
allo stress, la persona sviluppa un senso di intraprendenza appresa (resourcefulness), impara a
gestire attivamente e con successo livelli gestibili di stress ed arriva a costruire un proprio
bagaglio di abilità e aspettative positive che l‟aiuteranno in situazioni future di stress anche più
impegnative. L‟efficienza delle tecniche di aumento della consapevolezza personale e la
validità del percorso di graduale esposizione allo stress di Meichenbaum (1977) per aumentare
le capacità di coping, li hanno resi gli strumenti ideali per raggiungere l‟obiettivo del progetto:
rendere più efficace la gestione dello stress.
Stabiliti dunque gli strumenti di intervento era necessario decidere il supporto attraverso il
quale trasmetterne i contenuti. La scelta è ricaduta sulle nuove tecnologie per due importanti
motivi: primo fra tutti la diffusione di questi mezzi di comunicazione nella vita di tutti i giorni
secondariamente i successi ottenuti dalla realtà virtuale nell‟ambito della psicologia cognitiva.
Nel corso del quarto capitolo verranno infatti delineate le principali caratteristiche dei media
che hanno consentito loro di inserirsi all‟interno della società diventando i principali mezzi di
comunicazione. L‟interazione con il soggetto attraverso nuove interfacce e la capacità di
“creare nuovi tipi di azione e interazione e nuove forme di relazioni sociali” (Thompson, 1995)
ha reso i nuovi media degli strumenti in grado di organizzare e ampliare il sapere dando vita a
nuove forme di costruzione e gestione della conoscenza. Ne è un esempio il “self-care
Management”, termine che definisce la possibilità da parte dei singoli individui di gestire
autonomamente la propria conoscenza e la propria salute psicofisica attraverso l‟ausilio della
rete. È stato proprio questo innovativo connubio tra nuove tecnologie e interesse per la salute
che ha spinto molti ricercatori ad interrogarsi sulla possibilità di sfruttare le nuove tecnologie
come mezzo per prevenire o curare situazioni patologiche. In particolar modo la realtà virtuale
presenta le caratteristiche idonee a sostenere questo tipo di intento poiché favorisce la
sensazione di “esperienza non mediata”. Nel mondo virtuale infatti l‟utente passa dalla
sensazione di star percependo un‟informazione alla sensazione di essere in un luogo di
informazione (Morganti e Riva, 2006). La risposta cognitiva ed emozionale che ne deriva è in
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grado di far passare l‟utente da osservatore di un‟esperienza a protagonista della esperienza
stessa (Bricken, 1990).
L‟efficacia della realtà virtuale all‟interno di un intervento clinico si rivela particolarmente utile
in casi in cui sia necessaria l‟esposizione “in vivo”, come nelle patologie d‟ansia. In questo
modo la realtà virtuale si configura anche come luogo protetto entro il quale fare esperienza
senza doversi esporre direttamente nel luogo o nella situazione ansiogena. I risultati ottenuti da
“Progetto del Ministero della Ricerca e dell‟Università NeuroTIV – Management Care” ne
hanno confermato la validità in ambito clinico.
Gli strumenti necessari per attuare l‟intervento di gestione dello stress erano dunque stabiliti:
tecniche di rilassamento basate sul controllo mindful del respiro, tecniche di gestione delle
emozioni basate sul Sit di Meichenbaum (1977) e il supporto delle nuove tecnologie per
incrementarne l‟efficacia. L‟ultimo passo prima di procedere con l‟attuazione del progetto era
stabilire le modalità di intervento. Considerando che le tecniche volte all‟incremento della
consapevolezza necessitano sia costanza sia del tempo prima di essere acquisite, l‟intervento
non poteva essere di breve durata. Per tanto, facendo affidamento a lavori affini, è stata stabilita
una durata di quattro settimane per quanto riguarda l‟apprendimento delle tecniche di
respirazione e gestione delle emozioni ed un periodo di mantenimento della stessa durata per
consolidare le pratiche acquisite. Affinché anche il requisito della costanza venisse rispettato, è
stata scelta una cadenza di fruizione di due volte alla settimana. Determinate le modalità di
scansione temporale dell‟intervento sono stati selezionati i supporti tecnologici che meglio
potessero prestarsi a tale intento. La scelta è ricaduta su cellulare, dvd, cd audio e mp3, in
quanto sono strumenti accessibili che non richiedono grandi competenze tecniche per essere
utilizzati. Secondariamente è stato messo a punto il training di rilassamento basato sul
protocollo di gestione dello stress “Stress Inoculation Training” ( Sit) di Meichenbaum (1977).
Sono quindi state realizzate delle narrative che inducessero al rilassamento attraverso degli
esercizi di distensione muscolare basati sul controllo del respiro e delle narrative che
inoculassero lo stress al fine di mettere in atto le tecniche precedentemente acquisite. Infine
sono stati realizzati dei filmati che accompagnassero il contenuto per gli strumenti dvd e
cellulare. Per quanto riguarda le narrative che inducevano al rilassamento, i filmati sono stati
realizzati con il programma I-Clone, un software che riproduce ambienti virtuali, mentre i
filmati inoculanti lo stress sono stati realizzati in collaborazione con l‟Istituto Albe Steiner
ITSOS di Milano. Terminata la preparazione del materiale sono stati selezionati i questionari
più idonei a misurare le variabili prese in considerazione. Ultimato il protocollo è stato preso
contatto con diversi istituti di Milano e Varese dei quali hanno aderito al progetto l‟istituto
tecnico per il turismo Varalli, l‟istituto tecnico Torricelli, il liceo scientifico Salvador Allende e
l‟Isis di Varese. Gli insegnanti che hanno deciso di partecipare al progetto, 75 per la precisione,
sono stati poi ripartiti entro le 4 condizioni sperimentali alle quali è stato affiancato un gruppo
di controllo. Il progetto di ricerca “Psicologia del Benessere e Nuove Tecnologie: la Realtà
Virtuale a supporto dello Stress da Lavoro. Il Caso degli Insegnanti” poteva dirsi iniziato.
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CAPITOLO 1
LA PSICOLOGIA DEL BENESSERE
INTRODUZIONE
Nel corso del seguente capitolo verrà presentato il panorama di riferimento teorico che farà da
sfondo all‟intera tesi di ricerca. Il progetto di ricerca “Psicologia del Benessere e nuove
tecnologie: la realtà virtuale a supporto dello stress da lavoro. Il caso degli insegnanti” ha come
obiettivo il raggiungimento di una più efficace gestione dello stress da lavoro per insegnanti di
scuole medie superiori attraverso tecniche di rilassamento basate sul controllo del respiro e
tecniche di gestione delle emozioni che mirano ad incrementare la consapevolezza emotiva del
docente che le esperisce. Il modello teorico preso in considerazione nello svolgimento di questa
tesi è l‟ambito della psicologia del benessere anche chiamata psicologia positiva. Attraverso le
linee teoriche e le metodologie di questa branca della psicologia è possibile rendere conto della
tipologia di ricerca trattata ampiamente all‟interno dell‟ultimo capitolo. Qui di seguito verranno
brevemente illustrate le cause che diedero vita alla psicologia del benessere, orientata
prevalentemente alla prevenzione e all‟ampliamento delle risorse e punti di forza posseduti da
ogni individuo. Successivamente saranno delineati i principali capisaldi della psicologia
positiva, contraddistinta dalle altre correnti psicologiche per i suoi peculiari obiettivi, il suo
originale punto di svolta nonché le sue metodologie scientifiche. Dopo di che vengono descritte
le principali prospettive della psicologia positiva, quella edonica e eudaimonica, le quali
attraverso le loro peculiarità consentono di approfondire e meglio comprendere la direzione e
gli intenti perseguiti da questa corrente di pensiero. Grazie alla prospettiva edonica in
particolare sarà possibile introdurre un importante elemento della psicologia positiva relativa
alle emozioni ed alle loro influenze sul soggetto. Dopo una breve panoramica sull‟origine delle
emozioni e le loro particolari caratteristiche saranno messe in luce le potenzialità delle
emozioni positive nell‟incrementare il patrimonio di risorse personali in possesso del soggetto,
in linea con i principi fondamentali che ispirano la psicologia positiva. Attraverso le emozioni
la psicologia positiva verrà poi applicata ad un settore specifico, quello lavorativo, affinché si
possano delineare le varie possibilità di intervento promosse dalla psicologia del benessere.
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1.1 VERSO NUOVI ORIZZONTI
Fin dalla sua nascita, la psicologia si è posta come principale obiettivo l‟indagine e lo studio
della psiche umana attraverso un‟attenta analisi delle sensazioni, emozioni ed attività
intellettive che la caratterizzano. Ciò che ne ha determinato l‟evoluzione, dando vita alla varietà
di correnti psicologiche esistenti, è stato il movente che ha spronato a tale indagine.
Psicoanalisi, comportamentismo, cognitivismo e neuropsicologia per citarne solo alcune, hanno
ciascuna una propria motivazione d‟indagine ed ognuna di esse si contraddistingue dalle altre
per il metodo di studio, l‟oggetto di indagine e gli strumenti utilizzati. Eppure all‟interno di
questa molteplicità di intenti è possibile rintracciare un filo comune, una linea rossa che le
unisce tutte nella storia della psicologia: la volontà di conseguire un benessere psichico. Come
la medicina, la psicologia ha a cuore la salute dell‟uomo e nel corso degli anni si è prodigata
attraverso studi e ricerche, per prendersene cura. Nascono così varie forme di psicoterapie, di
interventi clinici e di manuali che sanciscono sintomatologie, diagnosi e le relative cure per
intervenire tempestivamente laddove è presente un disagio. Il più noto ed importante tra questi
è il DSM, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder, oggi giunto alla sua quarta
revisione (APA 2001) il quale racchiude al suo interno interi cluster di disordini mentali
collocandoli su cinque differenti assi. In questo modo per la maggior parte dei disordini mentali
oggi conosciuti e studiati, esistono descrizioni e classificazioni che permettono di orientare gli
interventi al fine di ripristinare, per quanto la scienza rende possibile, la salute del soggetto.
Raggiunto questo traguardo, nella psicologia avviene una svolta. Dal momento che è si conosce
l‟evoluzione delle patologie ed i sintomi ad essa correlati, si comincia ad indagare quali fattori
connessi al disagio ne alimentano l‟evolversi o quali, al contrario, sembrano contrastarla.
Grazie a questa analisi si ottiene una descrizione piuttosto dettagliata relativa ai fattori di rischio
e protezione che si affiancano ad un particolare disturbo. Si giunge quindi alla consapevolezza
che incrementando i fattori di protezione e dando alla persona degli strumenti interni per
affrontare i fattori di rischio, si aprono delle concrete possibilità ad un‟azione preventiva che
potrebbe bloccare potenziali percorsi disfunzionali prima che sfocino nella patologia. Alla cura,
arma storica della psicologia, si affianca un‟alleata, la prevenzione.
È così che nasce la psicologia positiva (Seligman e Csikszentmihalyi, 2000).
1.2 LA PSICOLOGIA POSITIVA
La psicologia positiva è stata ufficialmente sancita nel primo numero dell‟American
Psychologist (American Psychologist, n°1, 2000), ma il suo ingresso nella storia della
psicologia risale alla fine degli anni 80, negli Stati Uniti. L‟intento di questa corrente di
pensiero era quello di catalizzare il cambiamento in psicologia così che oltre alla cura o allo
studio dei disordini mentali si potessero offrire, con l‟intervento psicologico, degli strumenti
idonei a migliorare la qualità della vita prevenendo l‟insorgere di situazioni di disagio
(Seligman, 2002). La psicologia positiva, si muove infatti nella convinzione che sia meglio
favorire lo sviluppo di risorse soggettive per gestire al meglio l‟esistenza che non attendere la
necessità di intervenire per riparare danni e colmare carenze affettive e cognitive. Per tale
motivo la Psicologia Positiva studia i fattori ed i meccanismi che favoriscono il benessere
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soggettivo e la felicità al fine di accrescere la qualità della vita anche in assenza di malessere
manifesto. Il punto cardine di questa corrente di pensiero infatti, è che la salute non possa essere
considerata la semplice assenza della malattia, ma che si costituisca a partire dai punti di forza
presenti su cui ciascun individuo può fare affidamento.
Pertanto diventa indispensabile, al fine di salvaguardare la salute, promuovere e sviluppare le
risorse che si possiedono. Come sostiene Seligman, se si identificano tali forze insite negli
esseri umani e si amplifica la loro presenza in situazioni di rischio, allora è possibile produrre
un‟efficace prevenzione (Seligman, 1992). Per tal ragione individuare e potenziare le
competenze, facendo leva sui punti di forza ed eccellenza di ogni persona diviene il principale
obiettivo della psicologia positiva (Vailant, 2000; Anolli, 2005). Si privilegiano interventi
finalizzati alla mobilizzazione delle abilità e risorse della persona, concentrandosi sui punti di
forza presenti, anziché alla riduzione o compensazione delle sue limitazioni (Delle Fave,
2006a). L‟originalità di tale approccio risiede soprattutto nell‟attribuire all‟individuo un ruolo
attivo nella tutela della propria salute. Ogni persona infatti possiede capacità di decisione, è in
grado di assumersi rischi e responsabilità, può diventare il promotore della propria salute
(Bandura, 1986; Seligman, 1992) utilizzando quelle che Seligman (2002) definisce “forze
cuscinetto” contro lo sviluppo di patologie mentali. La psicologia positiva adotta dunque una
visione di fiducia nelle potenzialità di sviluppo dell‟individuo, nell‟incrementare le componenti
costruttive possedute da ciascuno per rinvigorire il benessere soggettivo. Per questo motivo
Diener per primo denominò la psicologa positiva “psicologia del benessere soggettivo” (Diener
et al., 1984). Questa corrente si pone l‟obiettivo di individuare ed ampliare le competenze, le
risorse e le abilità in ciascuno individuo per promuoverne, in termini positivi, le potenzialità ed
il benessere soggettivo, senza trascurare la patologia o la disfunzione, né tanto meno negare la
sofferenza o il disagio dei singoli. Ciò che contraddistingue la psicologia del benessere dalla
psicologia umanistica degli anni ‟60 e ‟70 è la fiducia che essa ripone nel metodo scientifico per
perseguire il proprio obiettivo. Gli umanisti infatti erano piuttosto scettici circa la possibilità di
studiare con metodo scientifico il benessere soggettivo, mentre gli psicologi positivi ritengono
che le potenzialità ed i punti di forza di ciascun individuo siano conoscibili scientificamente
così come è stato possibile conoscere con metodo scientifico sintomi e patologie. Sheldon e
King (2001), affermano: “la Psicologia Positiva non è niente di più che lo studio scientifico
delle forze e delle virtù degli essere umani […], considerando la persona media e cercando di
individuarvi cosa funzioni e cosa sia possibile migliorare.” In questo modo, facendo leva sugli
aspetti positivi dell‟esperienza umana, sia a livello individuale, sia a livello sociale è possibile
stimolare un atteggiamento che orienta le risorse psicologiche in senso positivo e costruttivo nei
confronti dei compiti e difficoltà della vita. La psicologia positiva o del benessere ha così preso
piede nel mondo della psicologia diventando una disciplina autonoma e riconosciuta dalla
comunità scientifica. Ciò che maggiormente la contraddistingue sono i punti salienti che
caratterizzano tale approccio: (Gilliham & Seligman, 1999; Seligman & Csikszentmihalyi,
2000; Seligman, 2002):
lo studio della percezione del vissuto soggettivo in termini positivi nel tempo (presente,
passato e futuro). Diversi studi hanno fornito evidenze empiriche che suggeriscono la
rilevanza centrale che riveste la valutazione soggettiva che le persone danno rispetto al
loro benessere e al loro funzionamento psicologico e relazionale (Diener e Suh, 2000;
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Easterlin, 1995; Frey e Stutzer, 2000; Kahneman, Diener e Schwartz, 1999; Biswas-
Diener e Diener, 2001; Diener e Suh, 1997; Marmot e Wilkinson, 1999). Come
dimostrano questi numerosi studi è importante identificare gli indicatori soggettivi del
benessere a partire dalle valutazioni che gli individui stessi forniscono del proprio stato
di salute, del proprio grado di soddisfazione nei diversi ambiti della vita, dei risultati
conseguiti e degli obiettivi futuri. Infatti una caratteristica del benessere è quella di
essere un fattore fortemente influenzato da parametri quasi esclusivamente soggettivi. Il
reddito, le condizioni di salute e lo status sociale, indicatori oggettivi spesso usati per
effettuare il bilancio di benessere di una società, non sono parametri affidabili sui quali
stimare il livello di benessere della persona. Esterlin (1974) decretò a tal riguardo il suo
famoso “paradosso della felicità”: la felicità di uno Stato, e dunque la felicità degli
individui che vi fanno parte, tende ad aumentare di fronte ad un aumento del benessere
economico e dunque del reddito personale. Ma questa felicità è una felicità ballerina
poiché tende a diminuire in netto contrasto con il livello di benessere economico
raggiunto. A partire da queste considerazioni numerosi ricercatori si sono dedicati allo
studio della percezione soggettiva del benessere e della qualità della vita (Bronstein et.
al., 2003) al fine di poter identificare quali fossero i parametri soggettivi salienti
attraverso i quali stimare, incrementare e potenziare il benessere in un'ottica presente ed
in prospettiva futura;
l‟analisi delle caratteristiche umane positive, in termini di punti di forza e virtù; per la
psicologia del benessere è possibile mettere a fuoco i tratti positivi degli individui
riconoscendovi tre caratteristiche principali: la capacità di organizzarsi, l'essere auto-
diretto e l‟essere in grado di adattarsi attraverso difese mature come la sublimazione,
l‟umorismo e l‟anticipazione (Vaillant, 2000). Oltre a queste qualità fondamentali si
annoverano come punti di forza l‟autodeterminazione (Ryan e Deci, 2000) la capacità di
amare e di lavorare, il coraggio, le abilità interpersonali, la spiritualità, l‟orientamento al
futuro, il talento, la saggezza (Staudinger, 2000), valorizzando esperienze soggettive
come benessere, appagamento e soddisfazione, autoaccettazione e autoefficacia in
prospettiva presente, speranza e ottimismo in prospettiva futura (Ryan e Deci, 2000);
il funzionamento positivo in contesti più allargati come la famiglia, la comunità e le
istituzioni. A livello di gruppo è possibile infatti far leva sulle virtù civiche e su quelle
caratteristiche che fanno di un individuo un buon cittadino: la responsabilità,
l‟altruismo, la moderazione, la civiltà, la tolleranza, il lavoro etico (Seligman, 2002).
E‟ in questo moltiplicarsi di contributi che la psicologia positiva si propone di valorizzare
risorse e punti di forza degli individui (Seligman e Csitksentmihalyi, 2000), promuovere lo
sviluppo individuale (Seligman, 2002) e favorire l‟empowerment sociale (Peterson e Seligman,
2004). Questi apporti della psicologia positiva hanno dato vita a due distinte prospettive. Grazie
al loro contributo ed alle diverse modalità con le quale perseguono lo stesso obiettivo, esse
arricchiscono ed approfondiscono gli intenti e le finalità patrocinati dalla psicologia del
benessere. Tali prospettive sono le seguenti (Seligman & Csikszentmihalyi, 2000):
- la prospettiva chiamata “eudaimonica” focalizzata sul benessere psicologico
(psychological well-being) che privilegia l'analisi dei fattori che favoriscono lo sviluppo
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e la realizzazione delle potenzialità individuali e dell'autentica natura umana (Ryan &
Deci, 2001);
- la prospettiva definita “edonica” focalizzata sul benessere soggettivo (subjective well-
being), che comprende studi volti ad analizzare la dimensione del piacere, inteso come
benessere prettamente personale e legato a sensazioni ed emozioni positive (Kahneman,
Diener, & Schwarz, 1999).
1.3 PROSPETTIVA EUDAIMONICA
Il termine “eudaimonìa” è una parola di origine greca che si traduce letteralmente in “spirito
buono”. I greci solevano usare questo termine per designare quello che noi oggi chiamiamo
felicità, ovvero “colui che è posseduto da una buona sorte, da un buon demone”. Anche se il
termine eudaimonia è per praticità tradotto nel concetto di felicità, il suo campo semantico è in
realtà di gran lunga più ampio. A chiarir meglio la sottile sfumatura che ne estende il significato
è proprio uno dei più grandi pensatori dell‟antica Grecia, Aristotele, il quale definisce
l‟eudaimonia come un “processo di interazione e mutua influenza tra benessere individuale e
collettivo, tale per cui la felicità individuale si realizza nell'ambito dello spazio sociale (Delle
Fave, 2007). L‟eudaimonia per cui, intesa come ciò che è utile all‟individuo perché ne
arricchisce la personalità, non comprende unicamente la soddisfazione individuale ma implica
un percorso di sviluppo che conduca il soggetto all‟integrazione con il mondo circostante
(Nussbaum & Sen, 1993). Nella prospettiva eudaimonica il benessere è sinonimo di capacità
nel perseguire obiettivi significativi per il singolo e la società, implica la mobilizzazione delle
risorse, l‟incremento delle abilità e dell‟autonomia individuale, le competenze sociali e il ruolo
delle relazioni interpersonali nella promozione del benessere individuale e comunitario.
L‟eudaimonia riflette dunque i bisogni universali ed i bisogni collettivi legati a quel bene
comune che ciascun individuo ricerca, attraverso le opportunità offerte dalla società, nel cui
ambito collabora alla costruzione di significati e alla condivisione di obiettivi per realizzare un
progetto condiviso (Delle Fave e Massimini, 2005). Per gli eudemonisti il benessere implica
dunque la capacità di attribuire un significato all‟esistenza nel perseguire obiettivi rilevanti per
il singolo e per la società (Bauer e McAdams, 2004; King, 2001). Nella prospettiva eudemonica
il benessere è associato al pieno funzionamento, alla crescita psicologica, all‟integrità e ad
esperienza di vitalità (Ryan e Frederick, 1997), alla coerenza con sé stessi (Sheldon e Elliot,
1999), nonché all‟autorealizzazione (Ryff e Keyes, 1995; Waterman, 1993) considerata come
attualizzazione delle potenzialità, risorse e predisposizioni individuali. Questi fattori
rappresentano gli elementi cruciali del benessere nella sua dimensione psicologica. È infatti a
partire da questi elementi che gli studiosi possono esplorare la relazione tra qualità di vita
percepita, definizione di obiettivi ed azione sociale (Delle Fave e Massimini, 2004). Un
indispensabile contributo al benessere psicologico, in chiave eudaimonica, deriva dai lavori
eseguiti da Amartya Sen (1987, 1992). Egli definisce il benessere attraverso concetti pratici e
concisi: functionings (funzionalità) e capabilities (capacità). Secondo l‟opinione di Sen, le
funzionalità rappresentano i costituenti fondamentali del benessere in quanto coincidono con i
risultati ed i traguardi che una persona di fatto consegue nell‟arco della propria esistenza sotto
forma di attività, ruoli e sviluppo dell‟identità personale. Le capacità invece sono l‟insieme
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delle funzionalità di cui una persona dispone in potenza, e si caratterizzano dal grado di libertà,
autonomia e controllo di cui l‟individuo beneficia nel proprio contesto di vita, ed anche in base
alle sue possibilità di scelta nell‟ambito della gamma disponibile di funzionalità.
In base a come si strutturano e rapportano funzionalità e capacità il soggetto raggiungerà un
determinato grado di benessere. Oltre a questi concetti cardine, Sen inserisce nella definizione
di benessere anche un altro, importante, elemento: l‟agency (Sen, 1992). Il termine agency
rimanda all‟azione, un‟azione caratterizzata da intenzionalità, consapevolezza,
autodeterminazione, responsabilità in prima persona che l‟individuo si assume. Ciò che
differenzia il concetto di agency da quello di benessere è che se il benessere si caratterizza
attraverso il raggiungimento di funzionalità e capacità individuali, l‟agency riguarda il
perseguimento di obiettivi significativi per la persona in una prospettiva più ampia, che mette in
relazione l‟individuo al contesto sociale, ai valori di quel contesto ed ai bisogni degli altri
individui. Per tale ragione gli obiettivi ed i risultati connessi all‟agency possono non coincidere
con quelli legati alle funzionalità, anche se entrambi, congiuntamente, operano in direzione del
benessere.
1.4 LA PROSPETTIVA EDONICA
Questa seconda prospettiva è stata denominata attraverso il termine “edonismo”, che deriva dal
greco “edonè” il quale significa letteralmente piacere, poiché essa identifica nel piacere il fine
ultimo dell‟uomo. Kahneman (1999) definisce per l‟appunto la prospettiva edonica come “ lo
studio di ciò che rende le esperienze e la vita piacevole e spiacevole”. La prospettiva edonica
(Kahneman, Diener e Schwartz, 1999) affronta dunque il concetto di benessere soggettivo in
relazione alla presenza di elementi di piacere o dis-piacere collocati su tre distinte dimensioni
(Diener, 1999):
- la soddisfazione di vita;
- la presenza di emozioni positive;
- l‟assenza di emozioni negative;
La prima dimensione, la soddisfazione di vita, fa riferimento alle valutazioni cognitive del
soggetto rispetto alla soddisfazione per le proprie condizioni di vita secondo standard e criteri
soggettivamente definiti (Diener, 1984; 1994; 2000; Diener et. al., 1999). Le ultime due invece,
sono relative agli stati emotivi di valenza contrapposta e si riferiscono al grado di bilancio
edonico che deriva dalla differenza tra affettività positiva e affettività negativa.
1.4.1 LA DIMENSIONE COGNITIVA DEL BENESSERE
Per quanto riguarda la componente cognitiva, oltre alla soddisfazione di vita, Diener (1999)
annovera altri due costrutti che ritiene essere indicatori cognitivi importanti per il benessere
soggettivo: autostima e ottimismo. Nonostante soddisfazione, autostima e ottimismo siano
costrutti che si distinguono in termini di contenuto cognitivo, tutti e tre comportano valutazioni
ampie e positive che influenzano soggettivamente gli stati emotivi e i comportamenti
individuali e danno vita a strutture conoscitive durature relative a sé ed al mondo circostante.
Questi schemi conoscitivi relativamente stabili legati alla propria vita e al futuro, attestano il
modo in cui le esperienze passate sono state organizzate ed archiviate in memoria ed incidono
sul modo in cui si pianificano le esperienze correnti e si predispongono quelle future.