Introduzione
La tomografia telesismica si è sviluppata negli ultimi decenni con lo scopo di
mappare la struttura di velocità dell‟interno della Terra; rappresenta, quindi, uno strumento
essenziale per individuare materiale subdotto, anche in aree non caratterizzate da sismicità
profonda, e per individuare possibili zone di risalita di materiale caldo. Fornisce, inoltre,
informazioni utili per inferire lo stile convettivo del mantello, principale fautore degli
elementi geologici presenti sulla superficie terrestre.
L‟area Mediterranea è stata un laboratorio di geofisica molto importante che ha
permesso un confronto fra modelli di velocità ricavati utilizzando tecniche tomografiche
differenti. Lo studio della struttura profonda nell‟area Italiana, ottenibile mediante i residui
telesismici, è iniziata solamente agli inizi degli anni 80 quando il numero delle stazioni
sismiche permanenti è stato incrementato. Prima di allora, i residui telesismici di poche
stazioni (meno di dieci) sono stati utilizzati in diversi studi da Herrin & Taffat (1968),
Morello et al. (1968), Jeffreys & Singh et al. (1973) e Prozorov (1977). Alcuni studi più
dettagliati furono effettuati da Del Pezzo et al. (1981), i quali calcolarono i residui delle
onde P utilizzando 35 stazioni Italiane. Essi osservarono arrivi precoci nelle Alpi e nell'Italia
Meridionale e dei ritardi lungo la catena Appenninica. Un ispessimento litosferico della
catena Alpina, fino ad una profondità di 200-250 km, fu ipotizzato da Calcagnile et al.
(1979) e Panza & Mueller (1979) sulla base dell'analisi della dispersione delle onde
superficiali. Tuttavia, tale studio era caratterizzato da una modesta risoluzione spaziale a
causa delle basse frequenze delle onde prese in esame. Per questo motivo, negli anni
successivi sono proliferati gli studi riguardanti le onde di volume caratterizzate da un
contenuto in frequenza più alto. Il primo articolo dedicato completamente allo studio della
struttura profonda dell'Italia usando i dati telesismici fu quello di Scarpa (1982).
A partire dagli anni 90 una migliore definizione della struttura profonda della regione
Italiana è stata fornita dallo sviluppo e dall'applicazione delle moderne tecniche
tomografiche. Immagini tomografiche, per la struttura del mantello superiore, sono state
ottenute sia per l'intera regione Mediterranea, utilizzando una grande quantità di dati
telesismici e regionali (e.g. Spakman et al., 1993, Piromallo & Morelli, 2003), sia per la
penisola Italiana, utilizzando una minore quantità di dati telesismici più accurati (e.g. Amato
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et al., 1993a, Cimini & Amato, 1993, Lucente et al., 1999). In pratica si sono sviluppati due
differenti approcci che differiscono nella quantità, nella qualità e nel tipo di dati utilizzati.
Gli studi di tomografia telesismica hanno lo svantaggio di essere applicabili ad aree ristrette,
di poco superiori all‟estensione area le della penisola Italiana; tuttavia, poiché non
richiedono una gran mole di dati, questi in genere vengono acquisiti con grande accuratezza.
Invece, le tecniche di tomografia regionale possono essere applicate ad aree ben più estese,
riuscendo così ad indagare il mantello a profondità maggiori. Per fare ciò, richiedono
l‟utilizzo di una gran quantità di dati, inevitabilmente tratti dai bollettini e, di conseguenza,
meno accurati.
In questo lavoro, è stato presentato un modello Vs e Vp/Vs ad alta risoluzione, per
l'intera regione Italiana, che ha permesso di ottenere informazioni sulle caratteristiche del
mantello non mostrate dai precedenti studi di tomografia effettuati nell'area Mediterranea.
Due sono le ragioni sostanziali che hanno portato alla realizzazione di un modello Vs e del
rapporto Vp/Vs.
1) La prima è l'assenza ad oggi, per l'intera regione Italiana, di un modello relativo alla
Vs e al rapporto Vp/Vs
2) La seconda è che tramite l'analisi della sola Vp non è spesso possibile individuare la
causa principale della perturbazione di velocità, essendo molti i fattori che possono
influenzare le velocità sismiche del mantello. Allora un aiuto può essere fornito
dall'analisi indipendente e contemporanea della velocità delle onde S e delle onde P a
causa della loro diversa sensibilità ai vari fattori che alterano le velocità sismiche nel
mantello.
Fino a qualche anno fa, la realizzazione di un modello Vs per la regione Italiana non
era possibile a causa della presenza prevalente di sismometri a corto periodo. Recentemente,
l'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia ha investito notevoli risorse al fine di
ampliare la Rete Sismica Nazionale, triplicando il numero di stazioni presenti sul territorio e
sostituendo gran parte dei sismometri a corto periodo con sismometri a banda larga.
Attualmente, la Rete Sismica Nazionale è caratterizzata da ca. 190 strumenti a larga banda
distribuiti lungo tutta la penisola. Inoltre, gli ultimi modelli di tomografia telesismica e
regionale sono stati pubblicati qualche anno prima di tale investimento (Lucente et al., 1999,
Piromallo & Morelli, 2003). Quindi, la maggiore densità delle stazioni, l'utilizzo di un
numero maggiore di dati di elevata precisione e il miglioramento del campionamento, ad
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opera dei raggi sismici, del volume sotto indagine ha permesso di ricavare un nuovo
modello di velocità caratterizzato da una maggior risoluzione spaziale rispetto ai modelli
precedenti.
L‟importanza di ottenere immagini tomografiche ad elevata risoluzione spaziale si
comprende appieno solo se si considera l‟elevata complessità tettonica e geodinamica
dell‟area Italiana, dove differenti processi si sovrappongono su periodi e distanze
estremamente brevi. Grazie alla storia relativamente giovane (prevalentemente Neogenica)
del sistema di subduzione Appennino - Arco Calabro, le conseguenze di tali processi
trovano ancora traccia nel mantello sotto forma di anomalie sismiche. La compresenza di
due orogeni (Alpi e Appennini) spazialmente vicini, ma con caratteristiche notevolmente
differenti tra loro, rende l‟Italia un luogo unico per studiare e comprendere i processi
inerenti alla formazione delle catene montuose.
I modelli di velocità ottenuti fino ad ora condividono le caratteristiche più
macroscopiche, ossia la presenza di zone ad alta velocità, nel mantello sottostante l‟intera
penisola, interpretate all‟unanimità come radici litosferiche dell‟orogene Alpino e come
litosfera Adriatico - Ionica subdotta sotto il sistema Appennino - Arco Calabro. Nonostante
questi tratti condivisi, alcune differenze presenti nei modelli tomografici, congiuntamente ad
altri vincoli geologici, hanno portato ad ipotizzare vari scenari geodinamici; questi si
differenziano non tanto per la ricostruzione cinematica generale, che considera il roll-back
della litosfera subdotta come fattore dominante dell‟evoluzione Terziaria dell‟area
Mediterranea, quanto per altri processi considerati particolarmente significativi. La non
continuità nelle anomalie ad alta velocità, correlate alla litosfera Adriatica in subduzione,
osservate da Wortel & Spakman (2000) ha portato a considerare il fenomeno di slab
detachment (distacco dello slab sotto il suo peso) come un fattore importante nel controllare
la velocità di roll-back e quindi l'evoluzione del Mediterraneo Occidentale (e.g. Carminati et
al., 1998, Wortel & Spakman, 2000); Invece, la presenza di materiale subdotto alla base del
mantello superiore ha indotto Faccenna et al. (2001a) a considerare, come fattore chiave,
l‟interazione della litosfera con le discontinuità ogic reolhe presenti nella zona di transizione
(e.g. Faccenna et al., 2001a, 2003). Altri autori, infine, considerano la paleogeografia
ereditata dal rifting Tetideo come il fattore principale controllante l'evoluzione del sistema
di subduzione Appenninico - Calabro (Gattacceca and Speranza [2002] , Doglioni et al.,
1994).
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Gran parte delle differenze, tra i suddetti modelli geodinamici, derivano da incertezze
di vario tipo, tra le quali: 1) quanta litosfera, oceanica e/o continentale, è stata subdotta ed è
attualmente riconoscibile nel mantello? 2) qual è la relazione geometrica fra i corpi
litosferici subdotti durante l‟orogenesi Alpina e Appenninica? 3) esiste una slab window
sotto l‟Appennino Centro -Meridionale e, se sì, qual è la sua estensione spaziale? 4) esiste
una relazione causale fra l‟inizio della subduzione del margine continentale Adriatico e le
modalità di apertura del bacino Tirrenico? 5) qual è la natura fisica della zona a bassa
velocità sotto il fronte esterno dell‟Appennino Settentrionale, ondivisa c da tutti i modelli
tomografici e nota come Po plain anomaly? 6) fino a che profondità è possibile rintracciare
materiale subdotto appartenente alla litosfera Adriatico - Ionica?
Lo scopo di questa tesi è quello di ottenere ulteriori informazioni sulla struttura
profonda del mantello superiore, utili a trovare qualche spiraglio nelle lacune conoscitive
sopra descritte. Per fare ciò, oltre all'utilizzo di un maggiore numero di stazione, si è deciso
di superare i limiti derivanti dall‟utilizzo del tecnica la ACH, utilizzata in tutti gli studi di
tomografia telesismica effettuati finora nell‟area Italiana; questa tecnica è infatti
caratterizzata da una parametrizzazione del volume indagato in blocchi. Questo approccio
semplifica molto il volume in esame ed è, quindi, di facile applicazione. Tuttavia, non riesce
a rappresentare fedelmente tutte le eterogeneità all‟interno del mezzo in esame come, ad
esempio, i piccoli gradienti di velocità o discontinuità oblique. Inoltre, introduce delle
superfici di discontinuità tra i blocchi che, quando vengono attraversate da un raggio
sismico, non seguono le leggi dell‟ottica geometrica. Pertanto, queste discontinuità fittizie
intervengono non solo nei risultati finali ma anche nella fase di tracciamento raggi. L'uso di
una parametrizzazione a nodi, invece, permette di determinare la velocità delle onde
sismiche, in un qualsiasi punto del mezzo in esame, utilizzando delle tecniche di
interpolazione lineare e, quindi, di creare una rappresentazione più fedele della struttura
della Terra e di risolvere un maggior numero di eterogeneità. Questo permette anche un più
efficiente tracciamento dei raggi sismici. Infatti, permette di usare un algoritmo di
tracciamento dei raggi in un campo di velocità 3D, anziché 1D come è pratica comune nella
tecnica ACH.
Nel primo capitolo vengono descritti i caratteri salienti dell‟evoluzione tettonica del
sistema di subduzione Appennino - Arco Calabro, con particolare riferimento alla struttura e
alla sismicità che caratterizzano i differenti settori della catena e al carattere polifasico di
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apertura del bacino Tirrenico. Nei successivi due capitoli vengono analizzati i tempi di
arrivo dei telesismi e viene descritta in dettaglio la procedura di inversione adottata. Infine,
viene presentato il modello di velocità e vengono discusse le implicazioni geodinamiche che
ne conseguono.
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Capitolo 1
Vincoli geologici e geofisici all‟evoluzione post -
Oligocenica del Mediterraneo Centrale
1.1 Introduzione
L'attuale configurazione geologica e geomorfologica della penisola italiana è segnata
dalla presenza di due orogeni, le Alpi nella parte settentrionale e gli Appennini lungo la
penisola e in Sicilia. Solo limitate aree in Italia non sono state coinvolte dalle due catene,
ossia, la Puglia, parte del plateau Ibeano (Sicilia sud orientale), piccole aree nella pianura
Veneziana e del Po e la Sardegna. Queste zone di avampaese, anche se non o debolmente
compresse dall'onde orogenetiche, sono state sottoposte a movimenti di subsidenza e
sollevamento connesse con la migrazione dei fronti Appenninico ed Alpino.
Le Alpi e il sistema Appennino - Arco Calabro rappresentano, di per sé, due eventi
orogenici distinti che possono, tuttavia, aver condiviso una storia comune durante il
Terziario. Nell‟area Italiana, la formazione del sistema Alpino è iniziata,
approssimativamente, nel Cretaceo superiore quando apertur l‟ a dell‟oceano Atlantico
Meridionale ha portato l'Africa a staccarsi dall'America del sud e a subire una specie di
rotazione antioraria che ha determinato un riassetto dei moti relativi fra la placche e,
conseguentemente, una convergenza ca. N-S tra Africa e Europa. Tale convergenza ha
innescando la progressiva subduzione verso SE, sotto il margine Africano - Adria, del
dominio oceanico Mesozoico Neo - Tetideo corrispondente, nel settore Alpino, all‟oceano
Ligure Piemontese. La placca Adriatica risulta essere un pezzo di Africa che,
presumibilmente, si è distaccato da esso durante l'apertura del bacino Ionico in quanto i dati
paleomagnetici mostrano un moto solidale fra Adria e Africa fino al Cretaceo inferiore
(Stampfli et al., 2002), La collisione tra la litosfera continentali Europea e quella Africana
sarebbe avvenuta nell'Eocene e, secondo alcuni autori, sarebbe ancora attiva nelle parte
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orientale delle Alpi come indicato dalla sismicità.
Mentre la storia Cretaceo - Paleogenica della regione Mediterranea è stata
controllata, principalmente, dalla convergenza e dalla collisione tra il margine
Africano e il margine Europeo, l‟evoluzione Neogenica dell‟area e la formazione della
catena Appenninica è stata controllata, essenzialmente, dall'arretramento di un nuovo
sistema di subduzione W-NW immergente. La subduzione Appenninica si è sviluppata
lungo il retro-catena della subduzione Alpina, ad est del blocco Sardo-Corso, dove era
presente crosta oceanica Ionica. Nelle fasi iniziali la subduzione si estendeva circa parallela
alla direzione di convergenza fra Africa e Europa (Faccenna et al., 2001b).
Ci sono varie ricostruzioni sull'età d'inizio di tale subduzione: Faccenna et al. (2000)
pone l'inizio di questo evento tra 80-70 Ma, Dacourt et al (1986) in corrispondenza del
limite Cretacico - Terziaro, Bocaletti et al., (1971) nel Paleocene (50 Ma) e Doglioni (1997)
nell'Oligocene (35-30 Ma). La prima evidenza dell'esistenza di una tale subduzione è la
presenza di un vulcanismo calco-alcalino, in Sardegna e in Provenza, di età compresa tra i
34-32 Ma (Serri et al., 2001). La presenza di tale magmatismo indica che lo slab deve avere
raggiunto una profondità minima di 100 – 150 km per innescare il processo di fusione e la
formazione di un arco magmatico in superficie. Comunque, nonostante l'incertezza sull'età
di origine, esiste un sostanziale accordo nel porre l'inizio del roll-back a ca 30 Ma in
coincidenza con l'inizio dell'apertura del bacino Ligure - Provenzale. Come inizialmente
proposto da Malinverno and Ryan [1986], il progressivo arretramento del margine attivo,
verso E – SE (Figura 1.1), ha determinato un analogo spostamento di tutti gli elementi che
costituiscono il sistema di subduzione Appennino - Arco Calabro: compressione al fronte
del prisma d‟accrezione, estensione di ret -arco ro e vulcanismo. Tale migrazione ha
radicalmente mutato l‟assetto ttonico et pre - Oligocenico; tra gli effetti maggiori sono da
annoverare la creazione di nuovi bacini continentali ed oceanici (canale di Valencia, bacino
Alghero - Ligure - Provenzale e Tirrenico), la separazione e la rotazione di blocchi
continentali prima connessi al margine Europeo (blocco Sardo - Corso - Calabro) e la
progressiva distruzione di parte della precedente catena Alpina (Gueguen et al., 1998).
Un disaccordo esiste anche sulla forza determinante il fenomeno di roll-back. Vari
autori come Faccenna et al. (2000) sostengono che il roll-back sia guidato dalla forza di slab
pull (dal peso della litosfera in subduzione), invece, altri come Doglioni (1991) sostengono
un controllo da parte della deriva verso W della litosfera rispetto al mantello.
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Poiché nel Mediterraneo Centrale la subduzione di litosfera oceanica è stata seguita
dalla subduzione di litosfera continentale Adriatica, tra l‟altro fortemente eterogenea data
l‟irregolarità degli spessori litosferici e della geometria che solitamente caratte rizza i
margini passivi, è presumibile che questo abbia generato una ridistribuzione delle forze in
gioco.
Figura 1.1. Evoluzione dei limiti di placca dall‟Oligocene ad oggi secondo la truz ric ione os di
Wortel and Spakman (2000). Adr, Mar Adriatico; Aeg, Mar Egeo; Ap, Apennini; Cr, Creta; L-P,
bacino Alghero- Ligure-Provenzale; Bet, Cordilliera Betica Cal, Calabria; Car, Carpazi; Co,
Corsica; Din, Dinaridi; Hel, Hellenidi; Ion, Ionio; Mag, Maghrebidi; Tyr, bacino Tirrenico.
Questo carattere estremamente mutevole delle forze coinvolte nel processo di
subduzione si ripercuote su tutti gli elementi tettonici dell‟area, sulle modalità di estensione
nei bacini di retro-arco, sulla strutturazione del prisma di accrezione, sui movimenti verticali
e sulle rotazioni dei limiti di placca. Il fatto che l‟estensione d -i retro arco, che ha portato alla
formazione degli attuali bacini Ligure - Provenzale (ca. 30 − 15 Ma) e Tirrenico (ca. 10 − 0
Ma), non sia avvenuta a tassi e direzione costanti, bensì in modo sporadico e intermittente,
dimostra che la paleogeografia estremamente irregolare, lasciata dal rifting Tetideo, ha
avuto un controllo più o meno diretto sull‟evoluzione del -back roll della litosfera in
subduzione.
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Nonostante gli studi di tomografia sismica (e.g. Amato et al., 1993a; Lucente et al.,
1999; Spakman et al., 1993; Piromallo & Morelli, 2003) abbiano evidenziato la presenza di
porzioni relitte di litosfera subdotta, nel mantello sottostante l‟Arco Calabro, l‟Appennino e
le Alpi, rimangono notevoli incertezze riguardo alla natura e all‟estensione spaziale delle
anomalie di velocità. Oggetto di discussione è, ad esempio, la presenza di una slab window
sotto l‟Appennino C entro - Meridionale, ipotizzata sulla base di interruzioni verticali e
laterali nella distribuzione delle anomalie sismiche sotto la catena. Alcuni dubbi derivano
dal fatto che non tutti concordano sul tipo di anomalia di velocità generata dalla presenza di
litosfera continentale in subduzione; altri, invece, derivano da differenze nel metodo
tomografico adottato e nella risoluzione spaziale ottenuta.
La presenza di discontinuità nella litosfera subdotta, unitamente al carattere
intermittente dell‟estensione di retro -arco e ad altri vincoli geologici e paleomagnetici, ha
portato a differenti ricostruzioni dell‟evoluzione geodinamica dell‟area; i modelli proposti
differiscono non tanto nella ricostruzione cinematica generale (Figura 1.1), quanto per il
processo fisico dominante su cui viene fondato il modello geodinamico. I processi principali
proposti sono: 1) slab detachment (distacco dello slab sotto il suo peso) in seguito all'arrivo
di litosfera continentale nella zona di subduzione che ha coinvolto progressivamente le Alpi,
la Cordigliera Betica, il margine N-Africano e l‟Appennino, determinando, ad ogni fase, un
riassetto del sistema e la formazione di slab windows (e.g. Carminati et al., 1998; Wortel &
Spakman, 2000); 2) interazione fra la litosfera subdotta e le discontinuità reologiche
presenti al confine tra mantello superiore e inferiore (e.g. Faccenna et al., 2003, 2004); 3)
riduzione dei tassi di subduzione e del roll-back a causa della subduzione di litosfera
continentale, lateralmente eterogenea, senza rottura (e.g. Doglioni et al., 1994; Lucente et
al., 1999) o con rottura e segmentazione della litosfera subdotta (Rosenbaum & Lister,
2004); 4) segmentazione legata all‟eccessiva curv atura della litosfera subdotta (e.g. Royden
et al., 1987; Cimini &Amato, 1993; Amato &Cimini, 2001).
I maggiori dissensi nascono dal fatto che la reale natura della litosfera subdotta è
ancora ignota; non si conosce, ad esempio, né quanta litosfera Adriatica continentale sia
stata subdotta né quanto fosse vasto il dominio oceanico (Ligure? Ionico?) sfuggito alla fase
orogenica Alpina e, presumibilmente, subdotto prima del margine continentale Adriatico.
Su 400 − 500 k m di convergenza totale a partire dal Cretaceo, secondo Gueguen et al.
(1998), soli 130 – 150 km sono da ascriversi al periodo post - Oligocenico. Poichè
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l‟estensione che ha coinvolto il Mediterraneo Centrale lungo la sua maggiore direzione è
pari a ca. 700 km (Faccenna et al., 2001b), si può dedurre che la quantità massima di
litosfera subdotta sia di poco inferiore ai 850 km.
Le uniche testimonianze dirette di una subduzione attiva attualmente, o recentemente,
nell‟area del Mediterraneo ent C rale, sono fornite dalla sismicità sub-crostale nel Tirreno
Meridionale (fino a 300 − 400 km) e sotto l‟Appennino ntri Sette onale (fino a 100 km)
(Chiarabba et al., 2005), dal vulcanismo attivo (Etna - Eolie) e dall‟estensione che
caratterizza il settore interno dell‟intera catena, qualora questa possa essere attribuita -al roll
back e non ad altri processi quali, ad esempio, il collasso gravitativo post-orogenico. La
compressione è, invece, tuttora attiva solo in corrispondenza del margine meridionale del
Tirreno, al fronte esterno dell‟Appennino Settentrionale e nelle Alpi Orientali (Chiarabba et
al., 2005). I dati GPS (D‟Agostino and Selvaggi, 2003) indican , ino o ltre, che l‟estensione di
retro-arco nel Tirreno è cessata e questo fa supporre un arresto anche del roll-back della
litosfera Ionica in subduzione sotto l‟Arco Calabro.
Nel proseguo di questo capitolo vengono descritti alcuni dati geologici e geofisici che
aiutano a vincolare le ricostruzioni dell‟evoluzione geodinamica della regione Italiana. Un a
maggiore attenzione è rivolta alla differenziazione strutturale, sismica e paleogeografica dei
diversi settori dell‟Appennino e alle rotazioni paleomagnetiche elcabili orr all‟estensione che
ha coinvolto il bacino Tirrenico. Invece, le informazioni sulla struttura del mantello vengono
attinte dai modelli tomografici, dagli studi sull‟anisotropia e, dove possibile, sidalla smicità
sub-crostale.
1.2 Evoluzione tettonica, assetto strutturale e sismicità
Struttura tettonica e raccorciamenti
L‟Appennino è una catena di tipo fold and thrust belt e si sviluppa lungo due salienti
principali separati dalla cosiddetta Linea Olevano - Antrodoco (OAL). La OAL rappresenta
un sistema di faglie che ha riattivato in senso transpressivo, a partire da ca 5-6 Ma fa, la
linea Ancona - Anzio (master fault Liassica del rifting Tetideo; Figura 1.3) e che ha
accomodato la differente cinematica dei due settori della catena (Cipollari & Cosentino,
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1992). Infatti, nell‟Appennino Settentrionale, la direzione di trasporto tettonico è passata da
E a NE a partire dal tardo Tortoniano, mentre, nel settore meridionale da E a SE a partire dal
Pliocene inferiore. Considerati nell‟insieme, l‟Appennino Meridionale, l‟Arco Calabro e le
Magrebidi Siciliane, sono, inoltre, caratterizzati da una direzione di trasporto radiale rispetto
alle zone centrali del Tirreno Meridionale (Gattacceca and Speranza, 2002).
L‟intera thrust belt Appennin ica è, quindi, caratterizzata da una migrazione, generale
e progressiva, del fronte compressivo da W verso E (verso l‟avampaese della catena). I
sovrascorrimenti principali che strutturano la catena hanno portato, progressivamente, le
unità appartenenti ai domini più interni a sovrascorrere verso E sui domini più esterni. In
entrambi i settori della catena si possono riconoscere una parte interna, costituita da unità
metamorfiche che testimoniano le fasi più antiche della subduzione, interessata
successivamente da fagliazione normale, e una parte esterna, non metamorfica, soggetta a
compressione a partire dal tardo Messiniano (Vai, 2001b). Il limite geografico che delimita
attualmente l‟area della catena soggetta ad estensione, è reso evidente didalla stribuzione
della sismicità e dall‟analisi dei meccanismi focali (Figura 1.6).
Nonostante le caratteristiche sopra descritte siano comuni a tutto l‟Appennino, i
settori meridionali sono quelli interessati dai raccorciamenti più rilevanti e più recenti
(Figura 1.2), e quelli caratterizzati da una strutturazione più complessa nella quale
prevalgono le strutture a duplex sui thrust frontali embriciati. In Appennino Settentrionale,
il raccorciamento delle unità esterne cresce andando verso sud da 50 a 120 km, mentre, nel
settore interno è pari a ca. 100 − 180 km. (Vai, 2001b). In Appennino Meridio , il nale
raccorciamento Neogenico e Quaternario varia da 400 a 600 km (a seconda del modello
paleogeografico considerato) ed è in gran parte riconducibile al periodo post-Miocenico.
L‟arretramento della cerniera della subduzione in Appennino Meridionale è cessato nel
Pleistocene inferiore, come testimoniato dall‟ultima attività delle faglie nor , m orali ientate
NW – SE, presenti nel foreland Apulo (Patacca and Scandone, 2001).
La Calabria e la Sicilia nord-orientale presentano una maggiore complessità, poiché
costituiscono un blocco continentale alloctono (appartenente al margine Europeo) migrato
verso SE a partire dall‟Oligocene, sovrascorso sul margine Adriatico durante Miocene il e
separatosi dal blocco Sardo-Corso a seguito dell‟apertura del Tirreno. Lo stile deformativo
è caratterizzato da episodi di tettono - metamorfismo di tipo Alpino di età Eocenica; le rocce
soggette a metamorfismo HP-LT sono state, successivamente, riesumate a livelli crostali
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nell‟Oligocene. Secondo Faccenna et al. (2003), l‟età del metamorfismo indicherebbe
l‟esistenza di una subduzione, W immergente, a partire dal tardo Cretaceo-Paleocene, in
accordo con l‟ipotesi di Brun &Faccenna (2008), secondo la quale l‟esumazione a live lli
crostali sarebbe stata causata dal roll-back della litosfera in subduzione. Il raccorciamento,
osservabile nelle unità presenti nell‟area del Pelorita , no ha avuto inizio nel Miocene
inferiore medio (20 − 15 Ma), prima di uanto q registrato in Appennino Meridionale
(Rosenbaum and Lister, 2004).
Figura 1.2. Periodi di estensione, accorciamento e attività magmatica nei vari settori
del sistema Appennino - Arco Calabro (Rosenbaum and Lister, 2004); AI: Eolie, IP:
penisola Italiana, NA: Appennino Settentrionale.
L‟evoluzione del sistema foredeep - foreland presenta delle notevoli differenze a
seconda del settore considerato; gli studi di van der Meulen et al. 1998, 2000, hanno messo
in evidenza due fatti sostanziali (Figura 1.4): 1) un sollevamento dei settori centro –
meridionali della catena, a partire dal Pliocene, non legato a fenomeni di accrezione, 2) una
differente evoluzione del depocentro dell‟avanfossa dell‟Appennino Settentrio nale rispetto a
quello dell‟Appennino Centro -Meridionale. Infatti, nel primo caso, a partire dall‟Oligocene,
vi è stata una migrazione del depocentro dall‟interno verso l‟esterno della catena, con
un‟unica pausa tr ail Tortoniano e il Pliocene. Nel secondo caso, il depocentro è migrato
verso SE, a partire dall‟attuale zona dell‟Appennino Centrale, parallelamente allo strike
della catena. Questa migrazione è stata intermittente e, considerando i periodi di
accelerazione della sedimentazione, può essere descritta nel modo seguente: 7.6 Ma fa
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l‟area di massima deposizione si trovava in Appennino Centrale, 3.6 Ma fa nella parte
settentrionale della fossa Bradanica e, 0.6 Ma fa, nel nord della Calabria. Inoltre, ogni fase
di migrazione del depocentro è stata seguita da un sollevamento, non legato ad accrezione,
dei stessi settori, precedentemente, interessati da subsidenza; questo sollevamento ha,
infatti, dapprima coinvolto l‟Appennin oCentrale (4.4 − 4.1 Ma fa, van der Meulen et al.,
2000) e, successivamente, l‟ Appennin Mer o idionale (Pleistocene medio, Doglioni et al.,
1994).
Figura 1.3. Assetto strutturale e paleogeografico; AAL: Ancona - Anzio Line, ORL: Ortona -
Roccamorfina Line, TRF: Tremiti Fault, MF: Mattinata Fault, SL: Sangineto Fault, TL:
Tindari Line, NSF: North Sicily Fault; modificata da Scrocca et al. (2003).
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L‟evoluzione del sistema foredeep - foreland presenta delle notevoli differenze a
seconda del settore considerato; gli studi di van der Meulen et al. 1998, 2000, hanno messo
in evidenza due fatti sostanziali (Figura 1.4): 1) un sollevamento dei settori Centro-
Meridionali della catena, a partire dal Pliocene, non legato a fenomeni di accrezione, 2) una
differente evoluzione del depocentro dell‟avanfossa dell‟Appennino Settentrionale rispett o
all‟Appennino Centro -Meridionale. Mentre nel primo caso, a partire dall‟Oligocene, vi è
stata una migrazione del depocentro dall‟interno verso l‟esterno della catena, con un‟unica
pausa tra il Tortoniano e il Pliocene, nel secondo caso il depocentro è migrato verso SE, a
partire dall‟attuale zona dell‟Appennino Centrale, parallelamente allo strike della catena.
Questa migrazione è stata intermittente e, considerando i periodi di accelerazione della
sedimentazione, può essere descritta nel modo seguente: 7.6 Ma fa l‟area di massima
deposizione si trovava in Appennino Centrale, 3.6 Ma fa nella parte settentrionale della
fossa Bradanica e, 0.6 Ma fa, nel nord della Calabria. A seguito di ogni fase di migrazione
del depocentro vi è stato, inoltre, un sollevamento, non legato ad accrezione, degli stessi
settori precedentemente interessati da subsidenza; questo sollevamento ha, infatti, dapprima
coinvolto l‟Appennino Centrale (4.4 − 4.1 Ma fa, van der Meulen et al., 2000) e,
successivamente, l‟ Appennino Meridionale (Pleistocene medio, Doglioni et al., 1994).
Strutturazione del margine passivo Adriatico
Lungo la catena si possono distinguere diversi domini paleogeografici Mesozoici
appartenenti al margine Adriatico (Figura 1.3); le unità presenti nell‟area Umbro -
Marchigiana sono correlabili ad un ambiente bacinale a sedimentazione pelagica mentre,
quelle presenti nell‟area Laziale - Abruzzese, ad un ambiente di piattaforma carbonatica.
Più a sud, quest‟ultima è separata dalla piattaforma carbonatica pula A da un‟altra area
bacinale (Lagonegrese - Molisana) la quale, secondo Gattacceca & Speranza (2002),
avrebbe rappresentato una propaggine settentrionale dello Ionio (substrato oceanico). E‟
presumibile che la piattaforma carbonatica Appenninica, attualmente sovrascorsa sulle unità
bacinali Lagonegrese - Molisano e sulla piattaforma Apula in Appennino Meridionale,
abbia in origine rappresentato un prolungamento verso SW della piattaforma Laziale -
Abruzzese (Gattacceca & Speranza, 2002). Gli affioramenti carbonatici appartenenti alle
piattaforme Appenninica e Apula terminano bruscamente in corrispondenza della Linea di
Sangineto nella Calabria settentrionale (SL Figura 1.3). A sud della linea di Sangineto,
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