PREMESSA
In Italia soltanto il 30% delle imprese viene
trasferito alla seconda generazione e non più del 15%
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arriva alla terza.
I motivi di questa modesta trasmissione
dell’impresa da una generazione all’altra sono diversi,
ma sicuramente un peso fondamentale è rappresentato
dall’assenza di una pianificazione del ricambio
generazionale, e in particolare dal fatto che la
generazione al comando non ha programmato o definito
il futuro dell’impresa.
L’ostacolo principale al passaggio generazionale
nelle imprese familiari è rappresentato da alcuni
principi presenti nel nostro ordinamento e vigenti in
ambito successorio.
1
Fonte Associazione italiana delle aziende familiari, 2006.
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Si tratta in primo luogo del divieto dei patti
successori di cui all’articolo 458 del codice civile.
In base a tale disposizione sono vietati tutti gli
accordi diretti a regolamentare la successione
dell’imprenditore, quando questi è ancora in vita, e
volti a disporre dei diritti che potrebbero derivare da
una successione non ancora aperta.
In secondo luogo, la libera trasmissibilità delle
imprese trova un ostacolo nell’esistenza delle norme
poste a tutela dei legittimari.
L’articolo 536 prevede che parte del patrimonio
ereditario sia necessariamente devoluta ai legittimari.
A tutela dei loro diritti, i legittimari possono esperire
l’azione di riduzione con la quale ottenere la
restituzione del bene oggetto di disposizioni
testamentarie o donazioni lesive della quota di
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legittima.
2
Articolo 553, codice civile.
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Infine, un’ultima difficoltà al passaggio
generazionale dell’azienda è rappresentata dal principio
di unitarietà della successione con riferimento al
momento dell’apertura della successione.
In base a tale principio, l’individuazione degli
eredi e la valutazione dei beni del de cuius devono
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riferirsi al momento di apertura della successione.
Al fine di agevolare il trasferimento dell’azienda
in capo al discendente preferito dall’imprenditore, è
stato introdotto il nuovo istituto del patto di famiglia,
disciplinato con la legge 14 febbraio 2006, n. 55.
La nuova normativa consente all’imprenditore di
programmare e definire per tempo il controllo e la
gestione dell’azienda nell’ottica di salvaguardare non
solo la continuità di gestione dell’impresa stessa, ma
anche la continuità generazionale e l’unità della
3
Articolo 556, codice civile.
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famiglia che costituisce aspetto rilevante nelle imprese
familiari.
Inoltre, la normativa sui patti di famiglia mira a
garantire l’integrità del patrimonio aziendale: una volta
aperta la successione, l’azienda oggetto del patto di
famiglia non è trascinata nelle vicende successorie
secondo le regole di diritto comune che, ispirate a una
logica individualistica, porterebbero alla disgregazione
dei beni dell’impresa.
In altri termini, la nuova disciplina soddisfa
l’interesse sociale alla conservazione dei beni aziendali
e a favorire una loro destinazione che consenta la
migliore utilizzazione degli stessi, senza ovviamente
trascurare le esigenze assistenziali derivanti dal
vincolo familiare.
Viene quindi riconosciuta rilevanza sociale alle
esigenze dell’impresa davanti alle quali cedono le
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normali regole successorie in tema di trasmissione dei
beni.
Il presente lavoro analizza il nuovo istituto dei
patti di famiglia, esaminandone gli elementi essenziali
nel contesto della normativa del codice civile.
Nel primo capitolo, dopo aver esaminato lo
scenario comunitario nell’ambito del quale si sono
sviluppate le esigenze di disciplinare il passaggio
generazionale nell’impresa, viene illustrata la modifica
all’articolo 458, in tema di divieto dei patti successori.
I capitoli successivi sono dedicati all’analisi degli
elementi essenziali del patto di famiglia: i soggetti,
l’oggetto e i rapporti giuridici derivanti dalla
conclusione di questo nuovo contratto.
In particolare, nel secondo capitolo viene
affrontata la questione relativa alla natura bilaterale o
trilaterale del patto di famiglia, nonché l’analisi
dettagliata di tutti i possibili partecipanti al patto di
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famiglia. L’ultimo paragrafo è dedicato ai soggetti che,
pur estranei alla stipulazione del contratto, sono
tuttavia destinatari degli effetti derivanti dal contratto.
Il terzo capitolo illustra i caratteri fondamentali
dell’oggetto del patto di famiglia, soffermandosi sulle
molteplici questioni relative alla compatibilità del
nuovo contratto con la disciplina sull’impresa familiare
e con le diverse tipologie societarie.
Il quarto capitolo rappresenta la parte centrale del
lavoro. In esso vengono analizzate la natura e la causa
giuridica del patto di famiglia, il quale viene messo a
confronto con gli altri istituti che garantiscono il
trasferimento dei beni. Inoltre sono illustrati i rapporti
giuridici derivanti dal patto di famiglia: il rapporto
disponente - assegnatario, il rapporto assegnatario -
altri legittimari, il rapporto disponente - altri
legittimari. Infine vengono analizzati i rapporti
successivi al patto e i requisiti formali.
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Nel capitolo successivo è affrontata la patologia
del patto di famiglia. L’analisi ha riguardato i casi sia
di nullità sia di annullabilità del patto di famiglia, con
un constante richiamo alla disciplina generale del
contratto.
L’ultimo capitolo riguarda lo scioglimento del
patto di famiglia: viene esaminata l’ipotesi dello
scioglimento mediante “diverso contratto” e quella
mediante dichiarazione di recesso.
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CAPITOLO 1
L’INTRODUZIONE NEL NOSTRO ORDINAMENTO
DEL PATTO DI FAMIGLIA
1. La legge 14 febbraio 2006, n. 55
Il patto di famiglia è stato introdotto nel nostro
ordinamento con la legge 14 febbraio 2006, n. 55
recante “Modifiche al codice civile in materia di patto
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di famiglia”. La nuova normativa nasce dall’esigenza,
sempre più avvertita da parte degli imprenditori, di
programmare per tempo il passaggio generazionale a
tutela della funzionalità futura delle proprie aziende.
Il momento del passaggio da una generazione a
quella successiva rappresenta una fase cruciale nel
4
La legge 14 febbraio 2006, n. 55 è stata pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale n. 50 del 1° marzo 2006 ed è entrata in vigore il 16 marzo
2006.
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ciclo di vita dell’impresa, soprattutto nel caso di
imprese familiari, che andrebbe pianificata per tempo.
Come noto, l’impresa familiare si caratterizza per
la collaborazione dei familiari nella gestione aziendale,
da cui deriva uno stretto legame tra l’imprenditore e i
suoi collaboratori, che non vengono considerati come
veri e propri dipendenti.
Il trasferimento dell’impresa familiare richiede
che i soggetti ai quali affidare la futura gestione siano
persone delle quali l’imprenditore abbia piena fiducia
da ricercare essenzialmente tra i propri discendenti e
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che al tempo stesso siano competenti e qualificati.
1.1 L’impulso comunitario
La volontà del legislatore italiano di disciplinare il
momento del passaggio nella gestione dell’impresa è
5
A. BOLANO, I patti successori e l’impresa alla luce di una recente
proposta di legge, in I contratti, 2006, fasc. 1, p. 89.
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stata in parte influenzata dalle sollecitazioni ricevute a
livello comunitario.
Nel 1994 la Commissione europea ha emanato la
raccomandazione 94/1069/Ce relativa alla successione
6
nelle piccole e medie imprese. Essa evidenziava come
ogni anno migliaia di imprese cessano la loro attività
per problemi e difficoltà inerenti la successione, con
ripercussioni negative anche a livello occupazionale e
in genere sul benessere economico. Questo risultato
era ritenuto inaccettabile poiché non imputabile alle
normali regole del mercato, bensì a una insufficiente
preparazione della successione nel controllo
dell’impresa e alla inadeguatezza di alcune disposizioni
legislative interne. Per facilitare la successione nelle
piccole e medie imprese la Commissione ha invitato gli
Stati membri ad adottare le misure idonee ad assicurare
la sopravvivenza dell’impresa e il mantenimento dei
6
Raccomandazione della Commissione europea 94/1069 del 7
dicembre 1994 sulla successione delle piccole e medie imprese in
GUCE n. 385 del 31 dicembre 1994.
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livelli occupazionali, educando l’imprenditore, ancora
in vita, a preparare la propria successione.
In particolare gli Stati membri erano chiamati a
provvedere affinché le norme interne in materia di
successioni, qualora si fosse verificata la morte
dell’imprenditore, non mettessero in pericolo la
continuità dell’impresa e affinché la sopravvivenza
dell’impresa non venisse pregiudicata dalle regole
vigenti in tema di liquidazione delle quote agli eredi.
Tali concetti sono stati ribaditi dalla stessa
Commissione europea nel 1998 con la comunicazione
98/C 93/02 relativa alla trasmissione delle piccole e
7
medie imprese.
In essa viene constatato che circa il 10% delle
dichiarazioni di fallimento all’interno della Comunità
Europea è causato da successioni mal gestite. Tra le
7
Comunicazione della Commissione europea 98/C 93/02 relativa
alla trasmissione delle piccole e medie imprese in GUCE n. 93-C
del 28 marzo 1998.
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misure individuate per migliorare la continuità delle
imprese e considerate idonee a mantenere le regole
gestionali di un’impresa da una generazione a un’altra,
la Commissione ha indicato i patti d’impresa e gli
accordi di famiglia già utilizzati in alcuni Stati
membri. Laddove tali patti erano vietati, la
Commissione ne auspicava l’introduzione poiché la
loro proibizione ostacolava una sana gestione
patrimoniale.
Ad esempio viene citato il caso della Germania,
dove la trasmissione tra coniugi dell’impresa è
possibile a condizione che il coniuge superstite
compensi in contanti gli altri eredi. Nel caso invece di
impresa agricola, si ammette una sorta di successione
anticipata attraverso la stipulazione di contratti.
In Francia invece il legislatore, tramite la
stipulazione di un’apposita clausola, ha consentito al
coniuge superstite di continuare l’attività liquidandone
il valore agli altri eredi.
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1.2 I lavori preparatori
A seguito delle sollecitazioni comunitarie, in Italia
si è avviato lo studio di un progetto di legge, al fine di
consentire all’imprenditore di disporre in vita della
propria azienda a favore di uno o più dei propri
discendenti.
Nel 1997, durante la XIII legislatura, è stato
presentato in Parlamento un disegno di legge in materia
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di patti di famiglia.
Esso ha avuto un iter formativo piuttosto
complesso, interrotto tra l’altro in occasione della
riforma del diritto societario, che ha trovato
conclusione soltanto nel 2006 con l’approvazione della
legge 14 febbraio 2006, n. 55.
8
Disegno di legge S2799, presentato il 2 ottobre 1997; durante la
XIV legislatura, il progetto è stato ripreso con i disegni di legge
S1353, presentato in Senato il 23 aprile 2003 e C3870 presentato
alla Camera l’8 aprile 2003; entrambi poi sono confluiti nel disegno
di legge S3567.
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Nel corso dei lavori parlamentari è stata
considerata l’ipotesi di eventuali censure di legittimità
costituzionale in relazione al principio di uguaglianza.
Queste avrebbero potuto trovare fondamento a causa
del differente trattamento che il legislatore riservava ai
beni appartenenti a uno stesso titolare: l’azienda e le
quote societarie che possono essere trasferite dal
titolare assegnatario, e tutti i restanti beni che al
contrario restano soggetti alla disciplina delle
successioni e delle donazioni.
Un’ipotetica questione di legittimità costituzionale
deve tuttavia ritenersi infondata in quanto il diverso
trattamento si giustifica con la diversità dei beni e
diritti oggetto della disciplina. Sebbene la normativa
preveda un trattamento differenziato per i beni
appartenenti allo stesso soggetto, occorre tuttavia
considerare che l’azienda, in quanto bene produttivo
finalizzato allo svolgimento di attività economica, si
distingue rispetto agli altri beni, mobili e immobili. La
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particolare funzione economica attribuita ai beni
aziendali e tutelata tra l’altro dall’articolo 41 della
Costituzione, giustifica quindi il diverso trattamento.
Peraltro, la stessa Corte costituzionale ha avuto
modo di esprimersi in merito a una questione analoga.
In quell’occasione i supremi giudici sancirono che “la
ratio della norma è da individuare nell’esigenza di
assicurare anche dopo la morte dell’imprenditore
agricolo, l’integrità dell’azienda e la continuità e
l’unità dell’impresa e pertanto la garanzia di continuità
nella conduzione di un fondo data a uno dei coeredi
non può essere considerata nella prospettiva di un
privilegio attribuito ad uno di essi a danno degli altri,
bensì nel più ampio quadro dell’interesse pubblico alla
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conservazione di un’impresa produttiva”
9
Corte costituzionale, ordinanza 31 maggio 1988, n. 597 ove la
Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità dell’articolo
49 della legge 3 maggio 1982, n. 203. La disposizione censurata
riconosce in capo all’erede del proprietario di fondo rustico, il
diritto di continuare l’attività del de cuius anche con riferimento
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