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INTRODUZIONE
La motivazione che mi ha spinto a scegliere questo argomento per la mia tesi è stata la
curiosità verso un mondo che normalmente viene percepito come distante dalla vita di ogni
giorno. Il ruolo dell‟infermiere raramente viene percepito come legato al mondo
psichiatrico.
E‟ un argomento potenzialmente molto dispersivo ma attraverso questa mia tesi ho cercato
di organizzare la materia attraverso la divisione in sezioni, capitoli che in maniera
cronologica potessero fungere quasi da narrazione dell‟evoluzione che il ruolo
dell‟Infermiere psichiatrico ha conosciuto in Italia.
Per questa ragione il capitolo iniziale delinea una fotografia storica di quella che è stato nel
nostro Paese non solo la vita dell‟infermiere, ma in generale dell‟intero processo di cura al
paziente psichiatrico.
Ovviamente l‟infermiere è sempre al centro di questa ricostruzione che parte dall‟inizio del
novecento e arriva ai giorni nostri. In queste prime pagine per meglio delineare le
“atmosfere”, le vicende legate ai manicomi fino alla svolta della legge Basaglia e al
periodo immediatamente successivo ho inserito testimonianze dirette di persone che hanno
vissuto quegli anni. Si tratta di testimonianze di infermieri del tempo ma non solo. Per
meglio capire alcuni passaggi chiave dell‟evoluzione della cura psichiatrica in Italia ho
cercato di individuare anche il punto di vista del paziente attraverso le parole della poetessa
Alda Merini, recentemente scomparsa e che durante la sua vita era stata spesso in cura.
Il quadro che emerge da questo capitolo è molto articolato. E‟evidente che non si può
ridurre in poche pagine una vicenda lunga quasi un secolo e raccontare in maniera precisa
l‟istituzione del manicomio, l‟arrivo dei primi cambiamenti, la modernizzazione di
strutture, professioni e metodi di cura. In ogni caso ho tentato di rendere al meglio questa
“storia” consapevole del fatto che anche le testimonianze riportate non potevano essere
universali ma che comunque fornivano un punto di vista di chi ne è stato protagonista.
Proprio questa idea di dar voce a chi ha vissuto in prima persona queste evoluzioni è alla
base del secondo capitolo che è costituito da un‟intervista ad un infermiere che ha lavorato
fino al 2006 attraversando, in quarant‟anni di lavoro, il periodo più significativo di
mutazione di questa professione. E‟ un ulteriore modo per rendere un quadro delle
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situazioni, esperienze che in tutti questi anni hanno costituito il nucleo dei cambiamenti
delle professioni.
Da questa ampia testimonianza emergono le difficoltà dei primi tempi, le regole dure
dell‟istituzione manicomiale. Ma, a mio avviso, è molto importante la versione che
l‟intervistato fornisce del periodo a cavallo tra gli anni settanta e gli ottanta che fa
emergere che il processo di cambiamento non fu lineare. Non tutti si fecero trovare pronti
alla chiamata al cambiamento della Legge Basaglia. Infermieri, familiari dei pazienti e
altre figure si spaccarono in due. Ci fu chi non accettò le novità legate alla nuova norma.
Una reazione comprensibile se si pensa a quello che il manicomio era stato fino a quel
momento. Per la persona che ho intervistato è implicito ritenere la sua scelta, quella cioè di
andare a lavorare in una nuova struttura, come la migliore possibile. Ma nelle sue parole
non c‟è una condanna per i colleghi che non avevano assecondato i dettami della legge
Basaglia. D‟altra parte è chiaro che commentare quel periodo e quello immediatamente
successivo è stato per lui molto emozionante. E‟ forse questa il passaggio più significativo
di questo capitolo.
Dal terzo capitolo in poi ho preso in esame la professione infermieristica in ambito
psichiatrico per come è intesa oggi. L‟infermiere ha conquistato ampi spazi in ambito
sanitario che a sua volta ha subito innumerevoli cambiamenti a livello generale.
Ovviamente mi sono soffermata a sottolineare i progressi, i cambiamenti e le competenze
che hanno interessato da vicino l‟infermiere. Rilevare questa evoluzione è proprio obiettivo
che mi sono ripromessa di sviluppare fin dall‟inizio della mia tesi.
E‟ stato il capitolo più complicato da portare a termine dal momento che le modifiche sono
state molto numerose e si sono avute in poco tempo e lo spazio a disposizione per poter
dare a tutti i campi la giusta attenzione è limitato.
Ho sicuramente riportato gli aspetti principali sia per quanto riguarda il funzionamento
delle varie strutture psichiatriche oggi presenti in Italia, sia per gli aspetti legati alla
realizzazione del nursing infermieristico all‟interno di esse. In questa analisi, la figura
cruciale del mio studio è sempre stato l‟infermiere ma credo di non aver trascurato le altre
figure che di queste strutture fanno parte a pieno titolo.
Oltre alla consultazione bibliografica ho ritenuto opportuno riportare come esempio, il
funzionamento delle strutture psichiatriche presenti nell‟azienda Ospedaliera di Desenzano
del Garda, per rendere più reale e veritiero questa mia descrizione.
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Il capitolo è diviso in tre paragrafi ognuno inerente a una delle tre strutture con
corrispondente sottoparagrafo che invece si concentra esclusivamente sul nursing
infermieristico. Ho cercato di riportare più fedelmente possibile lo stato attuale della
professione infermieristica in psichiatria e delle possibilità assistenziali che oggi la sanità
italiana offre alla persona con malattie mentali.
Il filo logico che guida tutto l‟impianto della mia tesi è l‟assunto che l‟infermiere in tutti
questi anni ha sempre cercato di acquisire sempre maggiore responsabilità e
professionalità. Ecco perché nel quarto e ultimo capitolo mi sono concentrata
esclusivamente sull‟aspetto dell‟infermiere “case manager” in psichiatria.
Si tratta di una figura che in Italia ancora non si è affermata completamente, ma che può
rappresentare sicuramente il futuro di questa professione in ambito psichiatrico. Questo
tipo di ruolo prevede compiti nuovi, moderni che presuppongono anche capacità non
tradizionali. E del resto la parola manager rende l‟idea di nuove e più vaste competenze
che l‟infermiere deve acquisire nel suo bagaglio professionale.
Per certi versi scrivere di questa nuova evoluzione è incredibile soprattutto se si ripensa a
quello che è stato il punto di partenza di cui ho reso conto all‟inizio di questo mio lavoro.
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CAPITOLO 1
STORIA E LEGISLAZIONE DEL NURSING INFERMIERISTICO
PSICHIATRICO
L‟assistenza infermieristica psichiatrica in Italia, così come la intendiamo oggi, è il
risultato di numerosi cambiamenti storico- legislativi e non solo, in quanto con gli anni è
cambiata anche l‟idea sociale di “follia” passando così dal manicomio agli attuali luoghi di
cura. Si può dire con certezza che l‟assistenza infermieristica psichiatrica si è evoluta nel
tempo e con essa il concetto di malato di mente.
In Italia dal „900 in poi si sono susseguite una serie di norme strettamente collegate
all‟oggetto del nostro studio. Il quadro storico della legislazione psichiatrica italiana può
essere riassunto e schematizzato, ripercorrendo alcune tappe fondamentali, che hanno in
parte determinato e in parte seguito il diffondersi e il concretizzarsi dell‟esperienze di
psichiatria territoriale e ospedaliera nel nostro paese.
1.1 NASCITA DEL MANICOMIO E DELL‟INFERMIERE PSICHIATRICO
La prima è la legge 14 febbraio 1904 n.36 anche detta “legge Giolitti” che istituiva i
manicomi. L‟interesse del legislatore si concentrò sulla protezione della società dalla
pericolosità dell‟alienato: l‟interesse per la cura fu secondario. Per questo motivo questa
legge è stata definita “custodialistica”.
Con questa norma l‟obbligo di custodia scattava automaticamente per tutte le persone
affette da alienazione mentale a prescindere dalle motivazioni. Si poteva entrare in
manicomio perché si aveva effettivamente una malattia psichica ma anche solo perché
omosessuali, ragazze-madri, tossicodipendenti, ribelli, etilisti, non accettati dalla famiglia,
orfani o addirittura per espressa volontà per fuggire da una realtà non accettata.
Condizioni tali da rendere la persona pericolosa verso sé stessa, per gli altri o comunque a
rischio di causare pubblico scandalo. Qualunque fosse il motivo, la ragione clinica o
“sociale” del perché si finiva per varcare la soglia di un manicomio, l‟esito era molto
spesso uguale per tutti. Quelle sbarre, quei muri, quelle inferriate alle finestre, sarebbero
diventati per la maggior parte dei degenti l‟unico panorama che essi avrebbero più rivisto
fino alla fine dei loro giorni o al limite fino ad un‟ipotetica guarigione.
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Cinque anni dopo venne emanato il Regio decreto n 615/1909 “Approvazione dell’annesso
regolamento sui manicomi e sugli alienati”. Questo regolamento oltre a chiarire alcuni
punti della legge definiva il ruolo dell‟infermiere psichiatrico come figura assistenziale
all‟interno del manicomio delineandone alcune caratteristiche. Il testo recitava:
- l‟infermiere è chiunque sorveglia e assiste il malato mentale, è intelligente, un po‟
istruito, non saputello e presuntuoso, deve attenersi agli ordini del medico;
- gode di sana e robusta costituzione fisica, ha funzioni custodialistiche, esecutive.
L‟art. 34 responsabilizzava automaticamente gli infermieri nella sorveglianza dei degenti.
Trattandosi infatti di persone ufficialmente etichettate come pericolose per sé o per gli altri,
nei reparti del manicomio non doveva avvenire alcun incidente, altrimenti l‟incriminazione
del personale di turno era pressoché automatica. Recitava infatti l‟articolo: “… (gli
infermieri) rispondono dei malati loro affidati e della custodia degli strumenti impiegati per
il lavoro”. Nello stesso articolo è affermato che gli infermieri non possono ricorrere a
mezzi coercitivi se non in casi eccezionali con il permesso scritto del medico.
Questo immediato coinvolgimento giuridico spiega facilmente il rigido atteggiamento di
sorveglianza e custodia che lasciava poco spazio all‟improvvisazione in un tentativo di
sciogliere quelle catene. Il decreto distingueva gli infermieri dai sorveglianti (infermieri
con almeno tre anni di servizio e nominati dal direttore del manicomio) che erano preposti
al controllo ed alla verifica del lavoro svolto dagli infermieri (in pratica quelli che oggi
sono i coordinatori).
Il Decreto spiegava inoltre quale dovesse essere l‟organizzazione dei manicomi. Al vertice
c‟era un direttore che si occupava anche di istituire speciali corsi teorico-pratici per
l‟istruzione del personale addetto all‟assistenza. La durata di tali corsi è di almeno 6 mesi
per gli infermieri e di 1 anno per i sorveglianti. Non esistono programmi prestabiliti, né
limiti massimi d‟età, né indicazioni di scolarità. È sufficiente saper leggere e scrivere, aver
compiuto 21 anni se maschi, 18 anni se femmine.
L‟assunzione avveniva dopo aver eseguito l‟esame. Di fatto questo corso si basava solo su
alcuni elementi di base di psichiatria e soprattutto una serie di nozioni pratiche: come
sedare una crisi, mettere le fasce di contenzione, impedire il verificarsi di fratture nel
corso dell‟elettroshock-terapia. Bloccare la pericolosità del paziente era un fatto scontato:
era anzi uno dei primi compiti dell‟infermiere, tant‟è che sino ad una certa epoca uno dei
requisiti richiesti era l‟altezza. Per le donne, il requisito di base che il regolamento di